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Autore: Ari_92    27/08/2012    18 recensioni
È buffo, come nella vita si finisca sempre per tornare al punto di partenza.
Erano passati dieci lunghi anni da quando Blaine gli aveva allungato la mano, sulle scalinate della Dalton Academy. Ed ora eccoli lì, su una scala completamente bianca anziché in legno pregiato, ma pur sempre una scala. E loro erano per mano e si amavano, esattamente come ai tempi del liceo, anche se non lo sapevano ancora.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Isn't he/she lovely






“Blaine, dove sono le chiavi?” Gridò Kurt dal salotto, raspando alla rinfusa tra le carte che affollavano il piccolo tavolino di vetro vicino all’ingresso. Blaine si stava già precipitando giù dalle scale, con un braccio in una manica del cappotto e l’altro che scorreva lungo il corrimano.
Scese gli ultimi scalini con una tale enfasi che per poco non si andò a scontrare direttamente con Kurt, che dal canto suo continuava a cercare come un forsennato, del tutto sicuro di non essere mai stato più dannatamente angosciato in tutta la sua vita. Avrebbe solo voluto buttare tutto per aria e mettersi a urlare ma Dio, non adesso!
Doveva uscire da quella casa, doveva farlo subito e senza quelle dannate chiavi della macchina non sarebbe stato possibile.
 
Blaine ansimò, con il fiatone per la corsa folle e il fermento viscerale che dallo stomaco gli aveva stretto in una morsa tutto il corpo, rendendogli anche il solo respirare un’impresa incommensurabile. Agguantò più in fretta che poteva cellulare e portafoglio, lanciando poi un’occhiata sgomenta alla sua destra.
 
“Kurt! Mettiti le scarpe!” Lui sbatté un pugno sul tavolo, voltandosi bruscamente in sua direzione.
“Cosa facciamo? Andiamo a piedi? Finché non troviamo quelle dannatissime chiavi cosa me ne faccio delle scarpe?!” Blaine scosse la testa e – se solo non fossero stati così dannatamente di corsa, pieni di ansia e spaventati a morte – probabilmente si sarebbe divertito a prendere un po’ in giro il suo fidanzato. Ma no, non era quello il momento.
 
“Kurt. Le hai in mano.” Lui spalancò gli occhi, guardandosi d’istinto l’arto incriminato fino a realizzare che ehi, Blaine aveva ragione. Si sarebbe sentito un idiota, se solo ne avesse avuto il tempo materiale. Lanciò le chiavi davanti a lui e – mentre Blaine le afferrava al volo – si era già piegato a recuperare un paio di stivali bianchi, che infilò senza curarsi di riallacciarli, avventandosi poi sulla porta di casa.
 
“Hai preso tutto?”
“Non ne ho idea.”
“Perfetto, andiamo.”
 
Kurt stava per inciampare sui suoi stessi piedi, fortunatamente Blaine lo acchiappò al volo per un braccio proprio mentre usciva in tutta fretta da casa, richiudendosi la porta alle spalle con tre mandate. La corsa giù dalle scale del palazzo dove abitavano fu caotica. Erano al quarto piano e avrebbero potuto semplicemente prendere l’ascensore, ma non avevano nemmeno avuto bisogno di guardarsi in faccia per decidere che sarebbero semplicemente morti, nei secondi che avrebbe impiegato a raggiungere il loro piano o semplicemente necessari a far aprire le porte.
Blaine per poco non travolse la signora Botill, l’anziana che abitava sotto di loro, e Kurt fu costretto a scusarsi per entrambi perché il suo fidanzato era già una dozzina di gradini più in basso. Corsero fuori dall’edificio, oltre il cortiletto fino al fitto parcheggio che lo affiancava, e Blaine avrebbe davvero voluto scandalizzarsi per il fatto che per la prima volta in dieci anni Kurt usciva di casa senza aver dedicato almeno una decina di minuti alle sue scarpe, eppure al momento era l’ultimo dei suoi pensieri.
 
“Metti in moto. Blaine, sbrigati!”
“Ci sto provando!” Arrancò, pigiando con forza sull’acceleratore, ed era già per strada ancor prima di essere riuscito a centrare il gancio della cintura di sicurezza.
Naturalmente, il primo semaforo che incontrarono era rosso.
 
“Dannazione! Non arriveremo mai- ”
“Kurt, stiamo facendo il prima possibile. Hanno chiamato quando? Cinque minuti fa? Ci stiamo praticamente catapultando.” Gli ricordò, benché sentisse i nervi a fior di pelle esattamente quanto Kurt.
Però lo conosceva, abbastanza da sapere che nelle situazioni di panico toccava a lui recitare la parte del sano di mente, che si sentisse tale o meno. Kurt non gli sarebbe stato mai abbastanza grato per questo, in particolare ora. Blaine ripartì nell’esatto istante in cui scattò il verde, con il suo fidanzato che respirava alquanto rumorosamente al suo fianco.
 
“Kurt? Non puoi morire adesso- ”
“È tutto sbagliato. Dovevamo aspettarcelo. A quest’ora avremmo dovuto essere già là, noi... Non siamo tagliati per questo.” E, parola più parola meno, Blaine sapeva che Kurt gli avrebbe rifilato un discorso del genere prima o poi. Sospirò, senza togliere gli occhi dalla strada.
“Non siamo ancora veggenti, Kurt, non dovevamo aspettarci proprio niente e comunque ora stiamo andando, no?”
“Sì, ma Christine aveva detto- ”
“Siamo quasi arrivati. Vedremo Christine tra una manciata di minuti se non tiriamo le cuoia prima, dobbiamo solo evitare di impazzire proprio adesso.”
 
Kurt non parlò più per la bellezza di trenta secondi, poi si appropriò del cambio e inserì quello automatico.
“Ma cosa- ” Kurt non disse niente, si limitò a prendergli la mano e stringerla più forte di quanto non avesse mai fatto. Blaine ricambiò immediatamente la presa, pregando la tenacia di assisterlo e di non scoppiare a piangere proprio in quel momento.
 
“Ti amo. Ti amo anche quando sbagli a fare la lavatrice o bruci le uova. Lo sai vero?” Blaine sorrise dolcemente.
“Anch’io, amore. Lo so che non fai sul serio quando mi minacci di morte.” Kurt scosse appena la testa, senza riuscire ad impedirsi di incurvare le labbra verso l’alto. Era abbastanza sicuro di essere nervoso a sufficienza da poter vomitare da un momento all’altro eppure, nonostante tutto il tempo che era passato, ogni dichiarazione del suo fidanzato era in grado di farlo tranquillizzare quel tanto che bastava a permettergli di restare se stesso, senza perdere del tutto la cognizione della realtà.
 
“Siamo arrivati.” Mormorò Blaine, con un groppo alla gola che non si preoccupò di celare.
“Sì.” Il che era davvero stupido da dire. Ma al momento Kurt non era particolarmente preoccupato da cosa potesse o non potesse sembrare stupido.
 
Scesero dall’auto senza neanche accorgersi di averlo fatto, per poco non furono investiti da un’ambulanza – il che avrebbe avuto una sua sfumatura tragicomica – e finalmente, finalmente entrarono.
Blaine notò a mala pena i gruppetti di infermieri radunati intorno alle macchinette automatiche, quelli che trottavano per i corridoi immacolati e qualche paziente che immancabilmente inveiva contro l’inefficienza del servizio. Inoltre, ignorò del tutto la ragazza che chiese loro se avevano bisogno di aiuto.
Kurt, come al solito, fu costretto a scusarsi al posto suo, per poi seguire il suo fidanzato a passo sostenuto su per le scale. Si sentiva male. Male e bene allo stesso tempo, e il cuore gli batteva talmente forte che non si sarebbe stupito di vederselo schizzare fuori dal petto.
 
“Blaine- ” Oh, sapeva che non avrebbe dovuto aprir bocca. Senza nemmeno poterlo controllare insieme al nome del suo fidanzato uscì anche un sonoro singhiozzo, che fece bloccare Blaine sul posto.
“Kurt! Kurt, no. Non morire adesso. Dammi la mano.”
 
E Kurt gliela diede.
 
È buffo, come nella vita si finisca sempre per tornare al punto di partenza.
Erano passati dieci lunghi anni da quando Blaine gli aveva allungato la mano, sulle scalinate della Dalton Academy. Ed ora eccoli lì, su una scala completamente bianca anziché in legno pregiato, ma pur sempre una scala. E loro erano per mano e si amavano, esattamente come ai tempi del liceo, anche se non lo sapevano ancora.
Blaine gli sorrise, perché sapeva cosa passava per la testa di Kurt quando faceva quella faccia. Gli regalò lo stesso ghignetto ammaliatore che gli avrebbe concesso Blaine-il-leader-dei-Warblers, mentre gli passava un braccio dietro la schiena e saliva i pochi gradini rimasti al suo fianco. Kurt ridacchiò.
 
“Tu e il tuo fascino da solista.”
“Non mi risulta che te ne sia mai lamentato.”
“E non lo sto facendo. ... È quella, vero?”
Erano arrivati. Erano arrivati sul serio e Kurt non riusciva neanche a reggersi in piedi. Fissò con intensità il numero sulla porta della stanza, sentendo le lacrime pizzicargli agli angoli degli occhi. Dio, era senza speranza.
“Come se non lo sapessi. Sei stato tu a litigare con l’infermiera per farle assegnare la... c-camera dodici perché era il numero di assoli che- uhm...” Kurt si voltò di scatto verso di lui, gli occhi spalancati.
 
“...Blaine? Piangi?”
“No.” Il che è divertente da dire, con un lacrimone che ti cola lungo la guancia. Oh, al diavolo.
“È che non sono stato mai tanto raggiante e terrorizzato in una volta sola. E sono felice di essere qui con te, adesso.” E Kurt, a quel punto, si sentì autorizzato a lasciar fluire quel pianto che gli bloccava la gola da quando avevano ricevuto la telefonata, ormai una ventina di minuti prima.
“Anch’io, Blaine.” Gli accarezzò leggermente uno zigomo, in modo da cacciare via il rivolo salato che lo bagnava. Poi lo riprese per mano, diretto verso la stanza numero dodici.
Kurt non fece nemmeno in tempo ad interrogarsi sulla prossima mossa da fare che una giovane infermiera uscì proprio da quella porta, richiudendosela piano alle spalle. Blaine sentì il cuore fargli una capriola all’indietro.
 
“Salve. Noi siamo- ”
“I ragazzi di Christine, lo so.” Rispose sorridendo cordialmente “è andato tutto molto bene, potete stare tranquilli. Christine sta riposando adesso, potrete andarla a trovare più tardi.”
Kurt strinse la mano di Blaine, con il cervello completamente offuscato dall’emozione.
 
“E... e lui?”
“O lei.”
Aggiunse Blaine, fissando con aria speranzosa l’infermiera, che sorrise intenerita. Nella sua breve carriera, era la prima volta che le capitava un caso del genere.
“Sta benone. Mai sentite urla più disperate delle sue: è tutto polmoni.”
Kurt scoppiò a ridere.
Poi scoppiò a piangere.
E sì, Blaine sapeva che di solito si compensavano: sapeva che nei suoi attimi di debolezza Kurt c’era a sostenerlo e viceversa, ma al momento l’unica cosa che riuscì a fare fu cercare di contenere i singhiozzi più rumorosi, per quanto possibile. L’infermiera sorrise dolcemente, del tutto ignara dell’esplosione in corso nel cuore e nella testa dei sue giovani uomini che aveva davanti.
 
“Volete vederlo?”
 
Kurt e Blaine si voltarono istintivamente l’uno verso l’altro e – quando i loro occhi si incontrarono – sembravano contenere la stessa, identica frase. Ce l’avevano fatta. Ce l’avevano fatta per davvero, ed era stata in assoluto la cosa più dura che avevano dovuto affrontare in tutta la loro vita.
 
Era partito tutto da Kurt – partiva sempre tutto da Kurt – un insospettabile pomeriggio di Dicembre quando, nel bel mezzo di Central Park, si erano ritrovati tra capo e collo una bambina di circa tre anni, che urlava e piangeva come una forsennata perché non trovava più la sua mamma.
Naturalmente Kurt l’aveva presa come una faccenda personale, e si era messo a fargli da intrattenitore fino a quando la suddetta mamma non avrebbe fatto il suo trionfale ritorno. La madre della piccola non ci aveva impiegato più di cinque minuti a farsi viva, ma ormai il danno era fatto. Blaine era rimasto semplicemente incantato dal modo in cui Kurt si era comportato con lei.
Nel giro di un pomeriggio, Blaine era arrivato alla conclusione che privare un bambino della possibilità di essere figlio di Kurt Hummel era un crimine contro l’umanità.
 
Chiederglielo fu relativamente semplice – pianti a parte.
Tutto il resto, invece, tremendamente complicato.
 
Kurt aveva insistito a lungo sul fatto che suo figlio doveva avere i capelli ricci di Blaine, il quale – con altrettanta decisione – pretendeva avesse gli occhi azzurri di Kurt.
Il verdetto fu quello per cui all’epoca avevano propeso i genitori di Rachel: non venire semplicemente a sapere chi fosse il padre biologico del bambino. Tutto ciò aveva già preso qualche settimana, ed impiegarono mesi, per trovare una madre surrogata.
La prima che contattarono sparì ancor prima che avessero la possibilità di incontrarla: non avevano dubbi sul fatto di voler conoscere la madre biologica del loro bambino di persona e in quel caso non aveva funzionato. La seconda non era disponibile per le coppie gay, cosa per la quale Kurt non aveva fatto una piega, fino a quando Blaine non lo aveva sorpreso a piangere, accoccolato sul loro letto.
Poi arrivò Christine, una manna dal cielo per entrambi.
 
Fu lungo, difficile e doloroso.
 
Non passava giorno che Kurt non si lamentasse di dover andare al lavoro, quando invece voleva solo raggiungere Christine, stare con lei e cantare al suo pancione. Blaine lo sapeva, perché anche lui provava le stesse cose. Anche lui si era sentito morire di gioia quando – appoggiando una mano sul suo ombelico – aveva sentito muovere. Anche lui si era innamorato di quell’esserino nell’esatto momento in cui i medici dissero che sì, era stato concepito.
Kurt ne aveva sofferto tanto, Blaine lo sapeva. Adorava Christine, e sapeva che senza di lei non avrebbero mai avuto quella possibilità in assoluto, eppure non poteva evitare di provare invidia per le coppie in grado di vivere quei momenti nella loro intimità anziché con la presenza costante ed opprimente di un’altra persona. E sì, Kurt si sentiva orribile a pensarlo, ma era vero: lui e Blaine non avrebbero mai avuto l’opportunità di addormentarsi con le mani intrecciate su quello che da lì a pochi mesi avrebbero potuto abbracciare come il loro bambino.
 
C’erano stati momenti in cui Kurt aveva ceduto, altri in cui l’aveva fatto Blaine. Momenti in cui Christine aveva semplicemente dovuto sopportare la loro presenza costante, rifiutando sempre con un dolce sorriso le loro proposte di alzare la cifra di pagamento concordata, a causa di tutto quel disturbo.
Né Kurt né Blaine avrebbero protestato, se lui/lei avrebbe ereditato il sorriso tenero della donna che lo portava in grembo.
Non avevano nemmeno mai voluto sapere il sesso del bambino, si erano limitati ad accertarsi ogni singolo momento che tutto procedesse per il verso giusto.
 
Una settimana prima Christine aveva telefonato. Kurt aveva risposto e riattaccato in fretta, consapevole che il bambino sarebbe arrivato da lì a pochi giorni.
Blaine gli aveva chiesto cosa succedeva, lui aveva detto che lo amava.
 
Era passato più di un anno da quel pomeriggio a Central Park, ed ora erano lì. Erano lì.
 
“Vogliamo vederlo subito.”
 
Decretò Kurt, e Blaine sorrise: avevano aspettato così tanto, talmente tanto che gli si stringeva il cuore. E quella sarebbe stata la prima volta che gli sarebbe stato concesso di avere un momento da soli, solo loro e quella creaturina che tanto profondamente avevano amato, già da quando era solo un’idea nelle loro teste.
 
“Seguitemi. Sta dormendo, se dovesse svegliarsi e mettersi a piangere chiamatemi, sarò qui fuori.” Kurt annuì, troppo sconvolto per aggiungere altro. La ragazza li condusse qualche decina di metri più avanti, fino ad una stanza incorniciata da una grande vetrata trasparente, che ospitava un discreto numero di culle.
 
“Oh mio Dio Blaine.”
“Tranquillo, amore.”
“Accomodatevi della stanza qui accanto, Christine ve l’ha fatta riservare perché sapeva che non avreste saputo aspettare. Arrivo con la culla tra un minuto.” Blaine si limitò a stringere più forte la mano del suo fidanzato e, una volta entrati, si sedettero insieme sul bordo esterno di uno dei classici lettini da ospedale: materasso sottile, coperta bianca che fa i pallini.
Kurt era strettamente aggrappato al suo braccio, come se potesse cadere da un momento all’altro.
 
“...E se non siamo pronti?” Sussurrò di punto in bianco, con voce a mala pena udibile. Blaine lo fissò sbigottito.
“Kurt, non dirai sul serio! Abbiamo scorte di pannolini tali che gli basteranno fino alla maggiore età; abbiamo pellegrinato in lungo e in largo per trovare il lettino che volevi, siamo addirittura finiti in un altro Stato a prenderlo della tonalità giusta. Per non parlare di quando abbiamo verniciato la sua stanza! Abbiamo lasciato le finestre aperte un mese, perché tu avevi paura che quella tinta fosse tossica- ”
“Sì, okay. Sono un po’ maniacale a volte.”
A volte?
“Dai, Blaine. Lo sai che non parlo di questo.” Sorrise Kurt, stringendogli una mano sul ginocchio. Lui si raddolcì all’istante: Kurt aveva quel potere su di lui.
“Te lo prometto, vedrai che- ”
La porta si aprì in quel momento, lasciandoli entrambi ammutoliti. Dopotutto lui/lei dormiva, e a dire il vero nemmeno volendo sarebbero riusciti a mettere insieme una qualsivoglia frase di senso compiuto.
 
Poi la videro, nello stesso momento. La copertina azzurra brillante.
Si alzarono in piedi in un buffo tentativo di essere rapidi e silenziosi allo stesso tempo.
 
“È... è un- ”
Un maschietto. Era un maschietto, a due passi da loro. Non sapeva nemmeno cosa pensare, non era nemmeno certo di esserne ancora capace. Di punto in bianco, era come se tutte le paure, le incertezze, le gioie e le ansie fossero convogliate in un’unica, incatalogabile emozione semplicemente troppo sconvolgente per lasciare spazio a qualsiasi cosa d’altro. Nel suo cuore, nella sua testa, dentro e fuori dal suo corpo.
Blaine sentì le dita strette a quelle di Kurt intorpidirsi, mentre faceva un timido passo in avanti, verso la minuscola culla trasparente spruzzata di azzurro.
“Se dovesse svegliarsi quasi sicuramente si metterà a piangere, chiamatemi nel caso, anche se dubito non lo sentirei con tutti quei decibel. Vi lascio soli, oh, e congratulazioni.”
 
“S..Sì. Sì, grazie...” La porta si chiuse, lasciando il resto del mondo alle loro spalle.
 
Kurt non aveva mai visto niente, assolutamente niente di così perfetto. Dal bordo della copertina spuntavano due pugnetti chiusi, e il viso di quello che era in assoluto il bambino più bello che avesse mai visto.
La prima cosa che notò fu l’espressione. Blaine, assolutamente Blaine. Non c’era altra persona al mondo in grado di avere quell’aria così beatamente dolce quando dormiva, beh, ora c’era, in realtà. I suoi occhi scivolarono automaticamente verso le lunghe ciglia nere che accarezzavano la pelle del bambino, per poi risalire all’unico ricciolino scuro che sfuggiva dalla cuffietta che gli avevano messo in testa. Oh, avrebbe decisamente dovuto cambiargliela al più presto con qualcosa di più confortevole e modaiolo, quello era poco ma sicuro. Kurt sorrise, quando identificò il taglio delle sua labbra: del tutto simile a quello del suo fidanzato.
Quindi, alla fine, era piuttosto chiaro chi fosse il padre biologico. Ne era felice, innanzitutto perché lasciare che i geni di Blaine Anderson morissero con lui era pura eresia, e poi sarebbe stato inutile negarlo: sentiva quella piccola meraviglia più sua di quanto non sarebbe mai stato in grado di  declamare.
Per la prima volta dopo quasi un anno di travagli, sembrava che tutto fosse di nuovo al suo posto.
 
Blaine lasciò che le lacrime scendessero silenziose sul viso di Kurt: non avrebbe avuto senso asciugarle, non in quel momento. Non gli sembrava nemmeno possibile, eppure stavano davvero avendo il loro primo incontro in tre, come una famiglia.
Kurt era sempre stato la sua famiglia, sin da quando erano solo amici: avevano soltanto deciso di ampliarsi. Poteva sentire il suo fidanzato tremare al suo fianco – o forse era lui quello che non la smetteva di rabbrividire, non lo sapeva – e avrebbe davvero voluto voltarsi verso di lui e dirgli qualcosa, se solo il suo sguardo non fosse stato così ipnoticamente attratti dal fagottino in azzurro sotto ai suoi occhi.
 
La prima cosa che notò fu la pelle. Kurt, assolutamente Kurt. Era completamente bianca, intonsa, trasparente: quel bambino sembrava dipinto da quanto era incoerentemente perfetto. Sembrava una bambola di porcellana, e Blaine avrebbe solo voluto toccarlo per accertarsi che non fosse freddo, liscio e fragile se solo fosse stato incapace di muovere un muscolo. Il suo sguardo andò istintivamente a posarsi sul piccolo, minuscolo nasino all’insù al centro del suo viso, così dolcemente familiare. Blaine si ripromise di baciargli la punta del naso quante più volte avrebbe potuto, prima che diventasse troppo grande per queste cose.
Sorrise, perché alla fine tutto quel mistero sul padre biologico era stato perfettamente inutile. Credevano che non l’avrebbero semplicemente mai scoperto, invece era bastata una prima occhiata per palesare l’evidenza. Era felice che fosse andata in quel modo, prima di tutto perché il mondo ne concede pochi alla volta di Kurt Hummel, e lasciarli estinguere come se niente fosse poteva considerarsi paragonabile a un crimine contro l’umanità.
E poi era di Kurt, e lui sentiva Kurt più suo di quanto non sentisse di appartenere a se stesso; la stessa, identica cosa valeva per quel bambino. Era figlio di Kurt, ed era figlio suo.
 
A un tratto, senza alcun preavviso, una mano gli accarezzò dolcemente i capelli, e un paio di labbra sfiorarono le sue. Si immerse negli occhi limpidi del suo fidanzato, e rimase senza fiato come la prima volta.
 
“È...”
“Sì.” Kurt si strinse forte al suo fianco, facendo vagare timidamente le dita sul bordo della culla. Non si azzardava a toccarlo, era troppo...
“...Piccolo.”
“Cosa?”
“È così piccolo, Blaine.” Lui rise leggermente, lasciandosi scappare l’ombra di un singhiozzo.
“È perfetto.” Ed era questo il suo pensiero più ricorrente da quando aveva messo gli occhi su quella piccola meraviglia, quel piccolo angelo, bello come il suo Kurt. Kurt, che rise in quel suo modo dolce e leggero e Dio, magari lui aveva ereditato anche quello.
 
“Tu... Tu riesci a credere che ce lo lasceranno portare a casa? Dopo tutto quello che è successo?”
“No. Assolutamente no.” Rispose sinceramente Blaine, fermando le dita di Kurt – che ancora spaziavano sul bordo della culla – tra le sue.
“Ti amo. Lo amo.”
“Sai, Kurt? Non credevo sarei mai stato smentito quando dicevo che non avrei mai amato nessun altro come amo te, ma a quanto pare...” Kurt continuava semplicemente a sorridere, completamente assorto a guardare il bambino sotto di loro. Blaine gli strinse la mano.
 
“Guarda che puoi toccarlo.” Kurt tirò un sospiro terrorizzato e felice, prima di allungare timidamente le dita verso il centro della culla, ed era come se non aspettasse altro che quella autorizzazione. Blaine seguì il suo esempio e le loro mani raggiunsero insieme il minuscolo torace del bambino, che si alzava e si abbassava lentamente al ritmo pigro del suo respiro.
“È incredibile.” Kurt annuì, senza riuscire a smettere di piangere.
Era davvero incredibile: fino a pochi mesi prima non aveva nemmeno mai considerato la possibilità che lui e Blaine avrebbero potuto diventare la famiglia di qualcun altro. Non aveva nemmeno mai osato sperarlo, ed ora era proprio lì, il loro bambino. Lo contemplò ancora per qualche attimo, senza smettere di accarezzarlo appena percettibilmente, solo perché sembrasse reale, almeno un po’. Poi qualcosa gli trafisse il petto, e lo fece voltare verso Blaine.
 
“Lo sai che sarà diverso per noi, vero? Non sa nemmeno che esistiamo, conosce solo Christine e per un po’ piangerà perché vuole andare da lei e- ”
“Kurt. Ti rendi conto di quanto abbiamo fatto per questo bambino? Abbiamo tartassato quella povera donna ogni minuto di ogni giorno e abbiamo cantato talmente tanto per lui che non mi sarei stupito di vedere una radiografia dove aveva le dita nelle orecchie. Amore, non siamo semplici estranei.”
“Blaine, è diverso. Qualunque cosa avessimo fatto non avremmo potuto comunque competere con il fatto che lui è stato parte di lei per nove mesi, e... Oh.”
“È stato parte anche di noi, Kurt. Lo era già da prima che trovassimo Christine.”
“Blaine.”
“E poi lei è stata carinissima. Non credo che tutte avrebbero sopportato i nostri viaggi mentali senza battere ciglio- ”
“Blaine!”
“Cosa?”
“Si... Si sta...” Svegliando.
 
Si stava svegliando e lui aveva paura anche solo di aprire bocca, terrorizzato all’idea di fare qualcosa di sbagliato. Blaine si voltò all’istante verso il basso, giusto in tempo per vederlo muovere appena una manina, prima di sollevare piano le palpebre.
 
Oh.
Oh, .
 
Non avrebbe nemmeno saputo dire quanto quello che vide gli scaldò il cuore. Non gli servì nemmeno aspettare che lui aprisse del tutto gli occhi per notarlo:un’esplosione di azzurro, verde e mille altre sfumature a cui non avrebbe saputo dare un nome, a cui non aveva mai saputo dare un nome.
Perché erano gli occhi di Kurt quelli che aveva davanti, nella loro riproduzione più perfetta.
 
“Ci sta guardando secondo te?” Blaine boccheggiò qualche altro istante, travolto dalla gioia.
“...Sì.” Riuscì a dire, mentre lui sbatteva le ciglia in loro direzione, apparentemente senza nessuna intenzione di mettersi a piangere come aveva prognosticato l’infermiera.
Kurt si irrigidì del tutto, senza sapere cosa fare: non voleva spaventarlo, e sembrava talmente fragile che temeva bastasse un movimento sbagliato per farlo andare in mille pezzi.
L’avevano voluto così tanto.
 
Isn’t he lovely...
 
Canticchiò piano Blaine, attirando l’attenzione del bambino. Oh, sapeva avrebbe funzionato.
“Blaine?”
“Ci ha sentito duettare per nove mesi, è naturale che riconosca le nostre voci. Dai, canta qualcosa.” Kurt non riuscì ad evitarsi di sorridere: erano stati parte della sua vita più di quanto potesse anche solo lontanamente sperare. Allungò un dito verso la sua manina e – quando lui glielo strinse – era abbastanza sicuro che quello sarebbe stato in assoluto il ricordo più bello di tutta la sua vita. Dopo quello del suo primo bacio, perché senza Blaine non ci sarebbe stato nemmeno quella creatura meravigliosa che li fissava, con i suoi grandi occhioni chiari.
 
...Isn’t he wonderful.”
 
Luisi mosse un po’, guardando Blaine.
“Mi ha sorriso!” Kurt scosse la testa, divertito.
“Blaine. I bambini così piccoli hanno solo il riflesso di stringere i pugni, per vederli sorridere devono avere almeno due mesi. L’hai letto anche tu quel sito internet: prima delle otto settimane sono solo i muscoli facciali che- ” Si interruppe, rapito dell’espressione di pura adorazione dipinta sul volto del suo fidanzato mentre contemplava il bambino. Kurt scosse appena la testa.
“...Sì. Ti ha sorriso.”
 
Un attimo dopo, Blaine stava insinuando con una delicatezza impressionante le mani sotto il corpicino che avevano davanti, prendendolo in braccio. Kurt gliene fu grato, perché lui non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo per primo.
“Tienigli una mano sotto la testa.” Gli ricordò, rievocando in qualche modo le conoscenze pedagogiche che aveva avuto modo di affinare in quei mesi. Blaine lo sollevò piano dalla culla, tenendolo con attenzione tra le braccia. Kurt lo guardò, realizzando improvvisamente di avere ben due uomini nella sua vita. Sorrise e si avvicinò a Blaine, cingendogli la vita con un braccio mentre con la mano libera sfiorava la pelle morbida del bambino.
 
“Sai? Dovremmo chiamarlo Alex.” Blaine inarcò un sopracciglio. Oh no, nel modo più assoluto.
No, Kurt. Non ti permetterò di dare a nostro figlio il nome di uno stilista.”
È abbreviato! Non se ne accorgerà mai nessuno- ”
“Se fosse stato una femmina non mi avresti mai lasciato chiamarla Katy. O Pink.”
“Pink? Seriamente?” Blaine rise e scosse la testa, tornando a concentrare le sue attenzioni su Alex- No. Il bambino. Oh, mettersi contro Kurt era una partita persa in partenza.
Passarono qualche minuto in contemplazione, consapevoli che sarebbe scoppiato a piangere da un momento all’altro.
 
“Sono contento che abbia i tuoi occhi.” Disse alla fine, sorridendogli. Kurt sembrava stupito.
“Blaine... Sappiamo benissimo che biologicamente parlando può essere il figlio di uno solo di noi due. Mi sembra un po’ improbabile che abbia i miei occhi, non credi?” Chiese pazientemente, mentre Alex – oh sì, l’avrebbero chiamato in quel modo – spostava lo sguardo dall’uno altro, apparentemente interessatissimo alla discussione.
“...Non capisco.” Continuò Blaine, guardando direttamente Kurt.
“Insomma, che biologicamente parlando sia figlio tuo mi sembra evidente. Non vedo cosa ci sia di così assurdo nel fatto che abbia ereditato i tuoi occhi.” Kurt sbatté le palpebre più volte, provando senza successo ad assimilare la cosa. Non poteva dire sul serio.
 
“Scherzi, vero? Blaine, è evidente che sei tu il padre biologico!” Blaine stava per mettersi a ridere.
“Non dirai sul serio- ”
Guardalo! Ha la tua stessa identica espressione, i riccioli neri, la forma degli occhi e perfino le labbra sono le tue! Non aspetto altro che esca da quella coperta e inizi a cantare Teenage Dream!” Blaine considerò tutti i dettagli citati da Kurt, e si sforzò davvero di capire il suo punto di vista, ma era più forte di lui. Tutto quello che Alex urlava era Kurt.
 
“Kurt, seriamente. Ha la tua stessa identica pelle, per non parlare del naso! È una copia in miniatura del tuo, e poi gli occhi- ”
“Blaine. Christine ha gli occhi azzurri, aveva due possibilità su tre di ereditarli- ”
“Tu non hai gli occhi azzurri! Christine ha gli occhi azzurri, i tuoi...” Sono verdi, azzurri e grigi insieme e sembrano l’esplosione di una stella.
“...I tuoi sono diversi. E comunque i capelli non vogliono dire niente, e anche Christine li ha scuri.”
“Sì, ma questi sono i tuoi ricci. Blaine, ce li ho sotto il naso da dieci anni: se permetti li riconosco!”
“Esattamente come io riconosco quel naso. Quel. Naso!” Kurt sbuffò e si spostò appena dietro Blaine, appoggiandogli il mento sulla spalla.
 
“Questo è ridicolo... Non può essere figlio di entrambi.” Blaine attese qualche secondo prima di chiederglielo. Avevano deciso di comune accordo di non farlo, ma se per Kurt rappresentava un problema rimanere nell’incertezza beh, in quel caso...
“Vuoi sapere di chi è? Intendo... geneticamente?” Kurt guardò Alex, oltre la spalla del suo fidanzato: non aveva mai visto un bambino così bello. Baciò Blaine sulla guancia, stringendolo a sé.
“Alex? Lo sai vero che non approverò nessuna delle ragazze che ci porterai a casa?” Blaine rimase leggermente spiazzato dal brusco cambio di argomento, ma non poté fare a meno di sorridere.
 
“Primo, Alex non è ancora la scelta definitiva- ”
Oh, invece sì! E ora che l’hai detto ad alta voce lo è per forza! Il modo in cui lo pronunci è così carino!”
“Kurt. Non mi comprerai così facilmente. E comunque non potrai fare niente per impedirgli di fare strage di cuori, con quegli occhi...”
“Giuro che se porta una sua amica a vedere Rent, canta duetti romantici insieme a lei, sa come beve il caffè e non si muove a capire che è l’amore della sua vita lo prendo a schiaffi.” Blaine abbassò lo sguardo con aria colpevole.
“Oh, e se poi si azzarda a lasciarla perché lei merita di meglio, allora- ”
“Kurt, ho resistito cinque giorni!”
“Sì, e me li ricordo bene. Tutti quanti.” Blaine rise appena, e fortunatamente Kurt era troppo impegnato ad adorare Alex per accorgersene.
“Beh, a mia discolpa posso dire che ricordo ancora la sera delle nostra riappacificazione...”
“Sei stato fortunato. Avrei fatto bene a mandarti a quel paese, mi hai fatto prendere un colpo-

“...E comunque gli otto anni seguenti non sono statati niente male.” Kurt sorrise, senza riuscire a trovare niente di pungente con cui ribattere a quelle parole. In effetti sì, quegli anni non erano stati così male.
 
“Ti avviso subito. La prima volta che ti chiamerà papà io mi metterò a ridere e ti dirò che sei vecchio.” Blaine lo guardò storto.
“Guarda che chiamerà papà anche te, genio.” Kurt gli diede un altro bacio sulla guancia, facendo sorridere. Alex era un bambino fortunato.
“Allora? Vuoi sapere di chi è?” Kurt accarezzò delicatamente una delle guance paffute di Alex, appoggiando la testa a quella di Blaine.
“Potrei farlo solo per il gusto di dire te l’avevo detto, ma ti risparmierò l’umiliazione.” Blaine fece una di quelle smorfie infastidite tipiche di Kurt: rientra nella lunga categoria di atteggiamenti che semplicemente si assimilano dopo aver passato tanto tempo con un’altra persona.
 
“...E poi è nostro.” Aggiunse con un filo di esitazione. Dopo tutto quel tempo, perfino ora che avevano un figlio, Kurt non aveva mai smesso di essere il ragazzino adorabilmente impacciato di quel primo giorno alla Dalton. Blaine sorrise.
 
Nostro.”
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 





NDA
 
Avete presente i catastrofici spoiler (più o meno smentiti) sulla 4x04? Bene. Quando sono usciti tutte le persone normali si sono messe a scrivere One-Shots coerenti con questi ultimi, naturalmente. Io ho scritto questa storia. Non cercate di trovare un nesso logico perché fidatevi, non c’è XD Avevo solo voglia di un po’ di Klaine, solida e bella e innamorata come nelle ultime due stagioni: spero di avervela ricordata almeno un po’ :)
 L’unico accenno alla 4x04 è verso la fine, e sì, il mio headcanon è che sarà Blaine a lasciare Kurt perché vuole che trovi di meglio, ma terrà duro solo cinque giorni.
Per il resto spero che questa piccola storia vi sia piaciuta! Io l’ho scritta con un po’ di magone, ma più andavo avanti, più mi immaginavo Alex, più passava ;) E poi avevo appena visto il promo di The New Normal, perciò...
 
Per spoiler, dubbi e scleri vari vi rimando alla mia pagina facebook: http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527
 
E se vi va di chiedermi qualcosa, qualsiasi cosa, potete farlo qui: http://ask.fm/Nonzy9
 
A presto :)
  
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