PROLOGO.

Cercavano di chiedermi il motivo per cui non piangevo, non ero triste, non chiamavo le mie amiche. Ma io non sapevo che rispondergli. Per me Laura non era morta, non avrei mai realizzato una tragedia del genere.
Continuavo ad andare a casa sua, per poi rimanere a guardare la nostra foto appesa al muro rosa shock, per interi pomeriggi, senza versare una lacrima.
Avvolte capitava  che mi addormentassi tra le lenzuola ancora disfatte,  per poi svegliarmi la mattina presto tramite il raggio di sole che si intrufolava tra la serranda semi aperta. 
Continuavo ad andare normalmente a scuola,a lavorare alla mia radio,  ridevo quando si faceva qualche battuta, e abbassavo il volume del telegiornale quando si parlava dell’ accaduto.
Spesso andavo in spiaggia portandomi il blocchetto dove ogni pomeriggio io e la mia amica passavamo a riempire di romanzi, pensieri  idioti e domande a cui non trovavamo risposte, per poi restare là a fissarlo senza aprirlo. Insomma la mia vita non aveva niente che non andava, ma per un motivo a me ignoto i miei genitori dopo due settimane mi mandarono da uno strizza cervelli.
Ma non servì a niente, era inutile dire “ Sto bene, davvero.” , portarono anche un dottore a casa: “ Ognuno di noi si comporta in modo diverso davanti a uno shock del genere, lei in questo caso si sta tenendo tutto il dolore dentro. Le farebbe bene parlare con un’ amica, o scrivere.
Non avete detto che scriveva molto bene?”   domandò quel giorno.
“ si è così, ma da quando tutto è successo ha smesso, e non penso riprenderà mai più…” aveva risposto mia madre con gli occhi lucidi.                                                                                                                                                                                                                          Perché era così difficile fare capire a tutti che io stavo veramente bene? Infondo era così no?