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Autore: mamogirl    27/08/2012    2 recensioni
Era il senso della loro vita, era il fulcro più prezioso del loro amore, anche se ora veniva declinato in più flebili e tenui duetti: non era solo più il mero desiderio di provare e far provare piacere all’altro, non era solo mero desiderio fisico la sete cui volevano appagare per qualche ora. Quello c’era sempre, era il liquido che accendeva ogni sguardo e tocco e che dava inizio a quelli incontri ma ora andava oltre, si tuffava in un mare che era stato creato con il trascorrere del tempo, fra alghe di ricordi e di esperienze costruite insieme. Era la celebrazione di quelle vite che avevano intrecciato insieme e da cui ne era nata un’altra: non era semplice, non era perfetta né volevano che lo fosse. Era la loro ed era tutto ciò che aveva importanza.
Anche e soprattutto in quella domenica mattina londinese, trascorsa tra caffè e coccole.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: AJ McLean, Brian Littrell, Howie Dorough, Kevin Richardson, Nick Carter
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Allora, questa cosa nata all'improvviso (no, in realtà no! lol) è un piccolo regalo sorpresa per Laphy, visto che oggi è il suo compleanno. <3 E' solo un piccolo ringraziamento per essere la miglior fan e supporter possibile. Non solo, anche per essere una stupenda amica. <3

 

 

 

 

 

Coffee And Cuddles

 

 

 

 

 

 

 

Otto tocchi, l’uno a distanza dall’altro di pochi secondi, echeggiarono nel salotto ancora avvolto dalla coperta del primo mattino. Le luci erano spente, le persiane erano ancora ben serrate tanto da non permettere a nessun raggio di sole di poter entrare ed il silenzio regnava incontrastato. Quell’apparente calma venne disturbata dal rumore di passi che scendevano con fare lento le scale, fermandosi di tanto in tanto e riprendendo dopo quella breve pausa.
Inizialmente, Kevin nemmeno si accorse di che cosa lo circondava: con gli occhi ancora infastiditi dagli ultimi granelli di sonno che ancora non riusciva a cancellare via, l’unica cosa a cui riusciva a dare attenzione erano i gradini, cercando di non cadere rovinosamente ed il suo cervello era ancora troppo addormentato per riflettere su tutte le ferite che avrebbe potuto causarsi in quel caso. 
Dal salotto, passò immediatamente alla cucina, anch’essa ancora completamente assorbita dal buio. Come ormai d’abitudine, la prima azione che fece fu quella di dirigersi verso il bancone e, presa una tazza dal lavabo, recuperò la caraffa di caffè per versarsi la prima dose di caffeina, quella più necessaria per iniziare la giornata.
E fu lì che Kevin comprese che qualcosa non andava: la tazza non scottava, nemmeno la minima traccia di calore riusciva a scaldare la ceramica. Fu quel primo indizio a risvegliarlo come una doccia fredda mentre la sua mente incominciava a captare gli altri: nell’aria non c’era il profumo di caffè appena fatto, così come la caraffa che aveva appena riposto al suo posto non era colma di liquido nero ma tristemente e freddamente vuota. Il terzo indizio fu che la cucina era al buio, le persiane ancora chiuse quando abitualmente a quell’ora erano già spalancate, con le finestre aperte sul terrazzino e l’aria freschina della mattina londinese a mischiarsi con quella della colazione appena pronta.
“Ma... che...” Borbottò fra sé e sé mentre i suoi occhi cercavano almeno un biglietto che potesse indicare il motivo di tutta quella stranezza. Ma niente, la cucina era perfettamente pulita ed in ordine e gli unici fogli erano quelli del programma della settimana, perfettamente impilati e messi al centro del tavolo.
Forse aveva sbagliato l’ora.
Già, doveva essere così. Con ancora i rimasugli del fuso orario, doveva aver scambiato qualche ora imprecisata della notte per le otto di mattina ed ecco trovata la ragione per cui Brian non poteva essersi ancora alzato per poter preparare il caffè.
Sì, doveva essere proprio così.
Con quella convinzione, Kevin si voltò per dare un’occhiata alla sveglia del microonde. Le otto e cinque minuti. Con fronte accigliata e sopracciglia aggrottate, si diresse in salotto per verificare con il vecchio pendolo: non c’erano dubbi, non era notte ancora fonda, era proprio mattina.
E Brian non si era ancora alzato.
Da quando erano giunti a Londra, del primo caffè appena svegli se ne era sempre occupato Brian. D’altronde, come lui aveva spiegato, era già abituato a svegliarsi presto e non riusciva a rimanere a letto senza fare niente, quindi perché non portarsi avanti ed incominciare a preparare la colazione? Così lo avevano lasciato fare, anche perché quando si intestardiva su qualcosa era poi difficile fargli cambiare idea ed anche perché, un po’, andava bene a tutti svegliarsi qualche minuto più tardi e trovare già il caffè pronto.
Altri passi gli fecero voltare il viso verso la direzione delle scale, da cui un mezzo addormentato Howie stava arrivando, sbadigliando ancora e grattandosi la nuca. Non fece nemmeno a caso a Kevin in piedi in mezzo al salotto, andò anche lui diretto in cucina, convinto di trovarvi il caffè. Kevin contò fino a dieci prima di rivedere Howie uscire dalla stanza con un’espressione confusa e sbigottita sul volto.
“Dov’è il caffè?”
Kevin alzò le spalle. “Credo che stia ancora dormendo.”
“Brian non dorme mai fino a tardi.” Puntualizzò Howie.
“Magari questa volta sì.”
“No, non succede mai. – Rimarcò Howie. – Deve esser stato male, è l’unica soluzione possibile.”
“So che sembra strano che io lo dica ma... non ti sembra di esagerare?”
“No. Ogni volta che Brian si svegliava per ultimo era perché non stava bene.”
“Sarà stata una coincidenza.”
“No, no. Tu sei mancato per troppo tempo.”
“E’ pur sempre mio cugino.”
“E questo che vorrebbe dire?”
Il loro botta e risposta venne interrotto dall’apparizione di Aj, anche lui ancora mezzo addormentato.
“Chi ha avuto la bella idea di vivere tutti insieme? - Borbottò fermandosi sul pianerottolo a metà scala, osservando i due amici con espressione torva. – Vi si sentiva discutere fino di sopra ed è domenica!”
Kevin e Howie si scambiarono un’occhiata prima di scoppiare a ridere, soprattutto perché non erano ancora abituati a rivedere l’amico con i capelli scompigliati appena sveglio. Beh, meglio specificare che non erano abituati a rivedere Aj con i capelli, visti gli anni precedenti.
Eppure, anche quello sembrava riportare tutti loro ai primi anni della loro avventura insieme: la casa in cui oggi avevano deciso di convivere per il tempo delle registrazioni era nettamente migliorata, era molto più grande e permetteva a tutti di avere una camera propria e nessuno sentiva la mancanza di quel tugurio in cui erano stati costretti a stare in passato, due camere ed un divano letto sistemato in quello che poteva considerarsi un salotto con tanta e molta fantasia. Erano cambiate anche le abitudini, erano nate piccole manie che potevano rendere quasi claustrofobica la convivenza con altre quattro persone ma, nonostante tutto quello, ritornare insieme per quel breve periodo aveva fatto riscoprire loro ciò che aveva sempre reso speciale e differente il loro gruppo: erano una famiglia. Litigavano, certo. Si lanciavano insulti e qualcuno faceva sbattere anche le porte in perfetto stile diva ma, alla fine della giornata, si ritrovavano attorno al tavolo soddisfatti del lavoro fatto e con una dose di ricordi in più da conservare nei loro bagagli.
“Brian non ha preparato il caffè. – Rispose Howie, ignorando il tono polemico di Aj. – Anzi, non si è ancora svegliato.”
“Allora è malato.”
Howie voltò di scatto lo sguardo all’indirizzo di Kevin, un sorriso vittorioso sulle labbra. “Visto?”
“Qualcuno dovrebbe controllare.” Suggerì il maggiore.
Aj alzò immediatamente le mani, in segno di resa. “Ah, non guardate me. Io quei due in versione notturna non ho proprio intenzione di vederli!”
“Aj!”
“Che c’è? Abbiamo smesso di dormire insieme quando quei due si sono messi insieme!”
“Sai che detta così sembra alquanto equivoca come frase?”
“Oh, lasciatemi stare! Non ho ancora preso il caffè.”
“Nessuno lo ha ancora preso. E’ proprio questo il punto.”
“Forse potrebbe andare il cugino, no?” Propose Howie, guardando di lato Kevin.
“Ehm... ecco... insomma... – Incominciò a balbettare, Kevin, mentre una tinta di rosso si insinuava tra il nero del pizzetto e baffi. - ... se stanno dormendo, non mi sembra il caso di svegliarli.”
“Magari Brian sta male. Non vuoi controllarlo?” Aj si unì in quella bonaria presa in giro del maggiore, ogni pensiero negativo scacciato via da quelle note positive.
“Beh, ci penserà Nick a prendersi cura di lui, no?” Kevin buttò quella tentennante risposta, cercando poi un altro modo per salvarsi in corner; certo, una parte di lui voleva salire al piano superiore e vedere con i propri occhi che il cugino stesse bene, nonostante ormai non fossero più ragazzini e Brian non era più il cuginetto fragile di salute che aveva preso sotto la sua ala non appena giunto ad Orlando. Era un uomo e, per quanto gli costasse doverlo ammettere, anche Nick lo era diventato e doveva sforzarsi di lasciare a lui quel compito. Anche se sembrava come lasciare dei fiammiferi accesi nelle mani di un bambino troppo vicino a della legna.
“Non ci credo! Sei imbarazzato nel vederli!” Esclamò estasiato Aj e quasi ci mancava che incominciasse a saltellare come un bambino.
“Non lo sono! – Obiettò con tono perentorio Kevin, sperando che la sua espressione minacciosa funzionasse ancora dopo tutti quegli anni. – Perché invece non vediamo di capire come funziona la macchina del caffè?” E, prima di sentire qualche altra battuta provenire dalle scale, Kevin ritornò in cucina, aprendo come prima cose le persiane per far entrare la luce di un grigio mattino londinese.

 

 


*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

 

 

 

 

Non era difficile.
Poteva benissimo liberarsi.
Era un gioco da ragazzi, qualcosa che persino suo figlio sarebbe stato in grado di fare ad occhi chiusi.
Era riuscito a sciogliersi da intrecci ben più complicati e sempre senza destarlo dal sonno. Se avessero aggiunto quella disciplina agli sport olimpiaci, di sicuro Brian avrebbe avuto la possibilità di vincere non solo la medaglia d’oro ma anche di stabilire il record mondiale. Anche spaziale.
Oh, non che si lamentasse delle loro abitudini. Tutt’altro, adorava dormire accoccolato fra le braccia di Nick: per qualcuno che aveva sempre sofferto il freddo, avere una persona che di sua iniziativa gli si avvolgeva attorno quasi come una coperta, era davvero come aver trovato l’esatta metà di se stesso. E a lui piaceva pensare che anche quel semplice dettaglio, il modo di dormire, era solamente un’altra conferma di quanto lui e Nick fossero stati creati per stare insieme, così perfettamente complementari in ogni aspetto.
Ma esisteva anche l’altro lato della medaglia, visto che tanto Nick amava dormire fino a tardi, tanto Brian si svegliava al primo raggio di sole senza riuscire a tornare a dormire come se niente fosse. E lì iniziavano le tecniche di liberazione, alcune molto simili alle arti dei ninja. Doveva ringraziare il cielo per la sua fisionomia, di sicuro avrebbe avuto molti più problemi e difficoltà se fosse stato più alto e con qualche chilo in più.
Fortunatamente, quella mattina Nick aveva solamente un braccio ed una gamba accoccolate contro di lui quindi, in linea puramente di principio e teorica, bastava solamente che scivolasse via per liberarsi e poter andare a preparare la colazione. Così, facendo attenzione ad ogni minimo cambiamento nel respiro del ragazzo, incominciò a scivolare verso il basso fin quando la sua testa non si ritrovò sotto il braccio che prima gli cingeva le spalle. Aspettò qualche secondo, pronto a far ricadere il ragazzo nel sonno nel caso avesse mormorato qualche reclamo ma il silenzio continuò ad essere sottolineato dal respiro lento di Nick.
Con sorriso compiaciuto, Brian recuperò le sue ciabatte ed incominciò a dirigersi verso la porta.
“Dove stai andando?”
La domanda bloccò Brian sui suoi passi e con una mano già pronta ad abbassare la maniglia per aprire la porta. Si voltò e vide Nick, seduto sul letto, che lo osservava con uno sguardo che non prometteva bene: gli occhi socchiusi, le labbra curvate in una stretta linea che il ragazzo assumeva sempre quando era contrariato. Ma di che cosa?
“Scusa se ti ho svegliato. Ritorna pure a dormire.” Gli disse, credendo che potesse essere quello il motivo per cui Nick sembrava essersi svegliato con la luna storta.
“Dove stai andando?” Nick ripeté la domanda, scandendo con misurata lentezza ogni singola parola.
Quel tono confuse ancor di più Brian, abituato a quella voce solamente quando lui si dimenticava qualche promessa fatta a Nick. Succedeva raramente e, in quelle occasioni, era sempre per questioni futili: le altre, quelle vere e più importanti le aveva sempre mantenute, anche quando era sembrato impossibile. Ma se c’era una cosa, una delle poche su cui Nick non transigeva, erano proprio le promesse fatte: non importava quanto, in realtà, stupido fosse l’argomento o la situazione, se gli era stata data la parola su qualcosa, Nick si aggrappava a questa con unghia e artigli, rimanendoci male se questa veniva scacciata via come se niente fosse.
Il problema, in quel momento, era che Brian non si ricordava che cosa gli avesse promesso, men che meno se gli aveva dato la sua parola durante quei minuti in cui nemmeno ricordava il suo nome. “Che cosa ti avrei promesso?”
“Ovvio. Non te lo ricordi.”
“No, Nick, sul serio. Che cosa ti avrei promesso?”
“Lo sai che cosa ti ho chiesto.”
“E tu lo sai che sto invecchiando. E’ normale alla mia età perdere qualche parola qua e là. – Rispose Brian, ritornando sui suoi passi e salendo sul letto. – E’ per questo che ti ho scelto. Sei giovane e sarai la mia memoria.”
“Ahah. Divertente.”
“No, dai. Non mi ricordo.”
“A quanto pare, non è importante.”
“Stai mettendo il broncio?”
“No.”
“Stai mettendo il broncio.”
“Non è vero!”
“Che cosa ti avrei promesso, allora?”
Nick scrollò le spalle, faticando a rimanere seriamente arrabbiato per quella piccolezza quando Brian sembrava davvero convinto di essersi dimenticato una cosa, invece, importante. “E’ domenica e non dobbiamo andare in studio.”
“E quindi?”
“E quindi... – Nick si lasciò andare da un grosso respiro. - ... pensavo che potevamo usufruire di queste ore per stare un po’ insieme. Qualche coccola. Qualche ora in più di sonno.”
Oh, quella promessa. E’ la verità era che non se n’era dimenticato, anzi, aveva già parlato con Kevin e gli era stato promesso che avrebbero avuto la casa tutta per loro fino a sera. Ma, a quanto pare, i suoi piani non combaciavano con quelli di Nick. “Stavo solo andando in bagno.”
Fu il turno di Nick di aggrottare la fronte. “Come no!”
“Sul serio. Stavo solo andando in bagno.”
“Se stai solo andando in bagno, allora sarai indietro tra cinque minuti, giusto?”
“Mi stai davvero dando un tempo per andare in bagno?”
“Io non ti sto dando niente. Solo, se ci metti un po’ più di tempo, significa che mi hai mentito.”
“Magari non sto bene.”
“Altra ragione per rimanere a letto.”
“Nick!”
“Vai in bagno e poi torna.”
“Era quello che avevo già intenzione di fare.”
Nick sembrò essere soddisfatto di quella risposta e si stese ancora sul letto, prendendosi il cuscino usato da Brian ed abbracciandoselo stretto. “Cinque minuti.”
“Sei impossibile!”
“Ma mi ami.”
“A volte mi domando perché.”
“Perché sono impossibile. E giovane. Ed affascinante. E... - Nick non poté continuare con la sua lista perché quel cuscino che tanto stringeva fra le sue braccia gli venne strappato via per poi esserne colpito sulla testa. - Ehi! Cinque minuti!”
La risata di Brian rimase nella stanza anche se la porta venne chiusa dietro la sua figura. Nick la respirò fino in fondo mentre teneva lo sguardo ben fisso sull’orologio. Sapeva che Brian non stava andando in bagno ed era pronto ad andare a riprenderlo non appena quei cinque minuti sarebbero scattati.

 

 


 

*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

 

 

 

 

 

Erano trascorsi più di cinque minuti ma Brian s’era ormai dimenticato delle minacce, nemmeno poi tanto velate, implicate nelle parole di Nick. Non appena era giunto in cucina, la sua vera destinazione, era stato praticamente assalito da Aj e dalle sue suppliche di prendere il posto di Kevin perché il caffè preparato sembrava assomigliare ad una sostanza acquosa di color marroncino.
Così, mentre Howie finiva di preparare i burritos, con una nota nostalgica lui si era messo a preparare il caffè, canticchiando sottovoce una delle canzoni che stava passando sulla radio sintonizzata. E proprio mentre la caffetteria annunciava a tutti i presenti, con il suo immancabile e più riconoscibile fischio, che il caffè era pronto per essere servito, la porta della cucina si aprì di scatto, sbattendo contro il mobile lì a fianco.
“Questo non è il bagno.”
Brian si voltò di scatto, rischiando quasi di rovesciare tutto il caffè sul piano cottura e poi sul pavimento, e si ritrovò di fronte a Nick, vagamente e lievemente irritato, sentimenti che erano facilmente riconducibili dalle mani puntate sui fianchi. E, se entrambi fossero stati i protagonisti di un fumetto, sopra i capelli biondi di Nick ci sarebbe stato del fumo grigio.
“Fino a qua ci arrivavamo da soli.” Fu la sua risposta, un po’ piccata ma giustificata dal fatto che ancora aveva potuto solamente inspirare il profumo della caffeina.
“Non fare lo spiritoso.”
“E tu non fare il primitivo.”
“Oh, ma non lo sto facendo. O, almeno, non ancora.”
“Non ancora?”
“Mi hai mentito.”
“No, sono andato in bagno solo che poi Aj mi ha chiesto di preparare il caffè.”
“Ehi! – Si intromise Aj. – Non mettetemi in mezzo nelle vostre discussioni.” Dopo di che, insieme a Kevin e Howie, uscì dalla cucina portandosi dietro il vassoio con la colazione.
“Bell’amico. - Commentò sottovoce Brian, incrociando le braccia sul petto. – Okay, non sono andato in bagno. In realtà, volevo preparare la colazione e portatela a letto.”
Nick non rispose, anzi, non disse niente e tutto ciò che fece fu continuare ad osservare il ragazzo di fronte a lui. Parte della sua arrabbiatura era scemata via nel momento in cui Brian aveva spiegato i suoi intenti, anche se non combaciavano con la sua di idea. Il suo piano era molto semplice ma aveva dimenticato un piccolo particolare ed era proprio quel dettaglio che lo stava facendo innervosire: perché mai non riusciva a pianificare qualcosa in modo totalmente perfetto? Brian avrebbe dovuto rimanere a letto, lui lo avrebbe svegliato con carezze e baci per poi fargli apparire un vassoio con la colazione già pronta. Era quello il fulcro di tutta la sua idea, un modo per ripagare ciò che il suo fidanzato – e futuro sposo perché Nick era sicuro che prima o poi avrebbero fatto anche quel passo – faceva ogni giorno a casa, dal preparare la colazione per tutti fino all’organizzare la loro routine, senza mai lamentarsi. Certo, lui gli dava una mano quanto e per quanto poteva senza combinare danni, e doveva ammettere che era diventato un maestro nel lavare i piatti, ma per una volta voleva essere lui a fargli una sorpresa e non il contrario.
“Nick?” Lo richiamò Brian.
Ma Nick ancora non rispose, troppo impegnato a cercare un modo per far sì che il suo piano potesse tornare in azione nonostante quel piccolo imprevisto. All’improvviso, gli si illuminò il viso mentre un’idea si formava nella sua mente.
Oh, avrebbe di certo sorpreso Brian!
“Nick? Mi stai tipo spaventando...”
Ma, prima che Brian potesse terminare la sua frase, si ritrovò preso di peso dalle braccia del ragazzo e gettato sulle sue spalle come se fosse un sacco di patate. Incominciò a battere i pugni contro la schiena, cercando di trovare un modo per liberarsi da quelle braccia che sembravano tenaglie dal tanto che lo tenevano stretto.
“Nick! Nick, lasciami scendere!”
In qualche modo, Nick riuscì ad aprire la porta. “Ecco, ora puoi dirmi che sono un uomo delle caverne!”
“Nick!”
In salotto, tutti gli sguardi si ritrovarono calamitati da quella scena: Aj scoppiò in una fragorosa risata, Howie rischiò quasi di strozzarsi con il caffè che stava bevendo proprio in quel momento mentre Kevin osservava la scena tra il divertito ed il preoccupato.
“Fate qualcosa! -  Urlò Brian al loro indirizzo. – Nick! Mettimi giù!”
Stavano ormai salendo le scale, in sottofondo la risata di Nick mischiata con quella di Aj e le preghiere di Brian. Prima che i due scomparissero sul piano superiore, Kevin riuscì a lanciare la sua immancabile rassicurazione. “Nick, fa attenzione! Lo vogliamo ancora sano.”
“Sì, tranquillo...” Stava rispondendo il ragazzo quando, a metà della sua frase, un rumore di qualcosa che si muoveva, anzi, sbatteva risuonò fin giù dalle scale, seguito da un’esclamazione di dolore.
“Come volevasi dimostrare.”

 

 

 

*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

 

 

 

 


“Ahio!”
“Scusa, scusa, scusa, scusa!”
“Ecco, sta già uscendo il livido!”
“Mica è colpa mia se hai la pelle sensibile!”
“Chi è che mi ha portato in giro con la grazia di un elefante?”
“Ho solamente sbagliato l’angolo.”
“E chi ci deve sempre rimettere?”
“Ti ho chiesto scusa!”
“E ciò dovrebbe risolvere tutto?”
Nick sbuffò spazientito mentre osservava Brian davanti allo specchio, la maglietta alzata di lato per controllare il danno subito: i polpastrelli tastavano l’angolo di pelle che era andato a sbattere contro il mobile e piccoli gemiti di dolore venivano bloccati dai denti stretti contro il labbro. Brian aveva ragione, dovette ammettere Nick, un livido bluastro stava già oscurando il rosa della pelle e bastava quell’ombra a fargli nascere il senso di colpa dentro di lui. Si avvicinò silenziosamente a Brian e appoggiò il mento sulla sua spalla mentre una mano copriva quella appoggiata sulla parte dolorante. “Scusami. Non volevo farti male.”
Il sorriso di Brian lo rincuorò nel riflesso dello specchio. “Lo spero.”
“Volevo solo stare un po’ con te.”
“Anch’io.”
“Ma non così.”
“Beh, possiamo sempre cambiarlo, no?”
Nick annuì e, stringendo la mano di Brian nella sua, portò entrambi sul letto. Lì, sulle lenzuola ancora attorcigliate con la coperta, vi fece sdraiare Brian, facendogli prima togliere la maglietta che indossava. Non vennero scambiate parole né spiegazioni sugli intenti mascherati dietro a quegli sguardi che venivano scambiati fra due tonalità di azzurro.
Nick appoggiò le sue labbra sul fianco di Brian, lì dove gli aveva fatto male. Un bacio lambì quelle tonalità di blu, una tenera dolcezza che incominciò a sprigionare un calore non solo limitata a quella regione.
“Va meglio?”
Un brivido sottolineò la risposta di Brian, ancor prima che le sue labbra poterono formulare parole e verbi. L’implicito malizioso venne recepito e contrapposto nel tono roco con il quale Brian ribatté poco dopo. “Non è solo lì che mi fa male.”
“Ah no?”
“No.”
Nick spostò le labbra sull’ombelico, lasciandovi sopra una tenera carezza. “Qui?”
Un altro brivido, un gemito e Nick ebbe tutte le risposte di cui aveva bisogno. La voce divenne silenziosa, resa muta dai gesti che più di essa potevano trasmettere le reazioni che quelle labbra provocavano in un corpo che ora era ridotto ad essere solamente fasci di nervi pronti per essere stimolati.
Come la prima volta, come tutte le volte, erano semplici carezze a trasmettere i più estremi dei messaggi. Perché le carezze erano sempre carezze e quel semplice gesto in sé non era cambiato nel corso degli anni. Ciò che si era modificato e aveva assunto diverse sfumature erano i significati sottointesi a quei tocchi.
Vi erano carezze che erano semplicemente quelle, gentili tocchi che rimarcavano un’intimità che si era fatta più profonda e che li avrebbe sempre legati; non vi erano sottointesi in quei gesti, erano semplicemente tocchi innocenti e casuali mentre si chiacchierava o mentre erano accoccolati sul divano intenti a guardare la televisione.
C’erano poi quei dolci tocchi che volevano solamente rassicurare là dove le parole non sapevano essere efficaci: dita che si perdevano fra i capelli madidi di sudore e febbre; mani intrecciate l’una nell’altra a rimarcare una difesa contro la solitudine, a confermare ancor di più che sarebbero stati l’uno al fianco dell’altro davanti a qualsiasi problema o ostacolo.
C’erano quelle mani strette o solo appoggiate sulla spalla, colme di orgoglio di fronte ad una nuova avventura di loro figlio, anche per un banale goal in una partita con i cuginetti e gli amici.
E poi c’erano quelle carezze, quelle di cui in quel momento il corpo di Brian ne era vittima: erano dolci battiti d’ala sulla sua pelle, dolci e gentili dita d’angelo che si appoggiavano e lasciavano poi il loro segno, un intenso fuoco colmo di desiderio e di voglia di appagare qualsiasi piacere.
Il dolore era stato lasciato in un angolo, sopraffatto dalle ondate di dolci sensazioni in cui la mente di Brian preferiva lasciarsi annegare e solo il suo corpo sembrava essere in grado di rispondere in modo coerente. Le mani seguivano quelle di Nick, scivolavano sulla sua pelle per incontrarsi, abbracciarsi e poi dividersi ancora, ognuna di esse impegnate a rendere elettrici i nervi sotto il loro passaggio. Le labbra seguivano quelle scie, opponendosi alle mani in modo che ogni parte del corpo ricevesse la stessa attenzione perché anche i baci erano carezze, anzi, erano le più preziose e forse anche quelle più desiderate e custodite in un ricordo di emozioni e sensazioni.
Il tempo si era fermato, almeno per quanto li riguardava: il grigio del cielo si era schiarito, fin quando tinte di azzurro e bianco ne avevano preso il posto, garantendo a quella giornata un sole che raramente si era visto in quelle settimane. Le tende erano comunque state invitate a danzare dalla brezza, tiepida dopo il suo incontro con i raggi del sole, e quando raggiungeva i due corpi nel letto, aggiungeva brividi a quelli che già si rincorrevano fra di loro.
Si appartenevano e si respiravano: inspiravano gli sguardi colmi di amore e di devozione che erano rivolti a loro, al loro corpo e alla loro anima e ne espiravano altrettanti. Avevano incontrato altri respiri, avevano cercato affiatamento fra donne ed altri uomini, ma nessuno di questi era mai riuscito a combaciare così alla perfezione come facevano i loro. A tempo di battito di cuore, i loro respiri si annullavano a vicenda, unendosi in una melodia di cui solo loro conoscevano tempo, note e battute; era il ritmo su cui i loro corpi danzavano, fluidi movimenti resi perfetti dall’abitudine di amarsi, di cercarsi e trovarsi come anime gemelle lasciate sole per troppo tempo. Era il senso della loro vita, era il fulcro più prezioso del loro amore, anche se ora veniva declinato in più flebili e tenui duetti: non era solo più il mero desiderio di provare e far provare piacere all’altro, non era solo mero desiderio fisico la sete cui volevano appagare per qualche ora. Quello c’era sempre, era il liquido che accendeva ogni sguardo e tocco e che dava inizio a quelli incontri ma ora andava oltre, si tuffava in un mare che era stato creato con il trascorrere del tempo, fra alghe di ricordi e di esperienze costruite insieme. Era la celebrazione di quelle vite che avevano intrecciato insieme e da cui ne era nata un’altra: non era semplice, non era perfetta né volevano che lo fosse. Era la loro ed era tutto ciò che aveva importanza.
Anche e soprattutto in quella domenica mattina londinese, trascorsa tra caffè e coccole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Buon compleanno! *__*
Ora, passando alla storia, questa è nata dopo aver visto l'intervista ai cinque idioti (ancora non mi capacito che Kevin sia tornato! Welcome back monosopracciglio preferito! lol) di luglio, quando vivevano in quell'unica casa londinese e dal fatto che fosse Brian a preparare il caffè alla mattina (cosa che non mi stupisce. :D). Ed ecco che cosa è nato da una delle pazze conversazioni tra me e Laphy, anche se leggermente modificata.
Spero che possa piacere a tutti! ^__^  Come sempre, accetto anche le critiche purchè siano costruttive. Nel caso non amiate lo slash, per favore, questa sezione è piena anche di storie di altri generi. C'è libertà quindi non mi offendo se non leggete. 

   
 
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