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Autore: Hebi_Grin    27/08/2012    5 recensioni
[Storia classificatasi terza al Contest 'Hurt' indetto da dodo (yuma92) sul Forum di EFP e su Contest&Challenge Mania]
*08/01/13: corrette alcune imperfezioni*
Estratto:
"Il sole continuava a calare, poche ore e le tenebre avrebbero avvolto totalmente Axen, mentre il rosso del tramonto diventava amaranto, e nuvole grigie arricchivano di un’altra tinta quel cielo, i cui colori ora erano preludio del sangue e delle macerie che a breve ne avrebbero ricoperto il suolo."
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa all'Hurt Contest indetto da dodo sul Forum di EFP e su Contest&Challenge Mania.


Titolo: ‘Then, suddenly, light’

Fandom: Dragon Ball

Nickname sul forum: LadyGrinningSoul91

Nickname: LadyGrinningSoul

Città scelta: Londra

Prompt usati: Solitudine; Missing Moment; Illuminated –Hurts (precisazioni sull’uso fatto nelle NdA)

Personaggi: Vegeta

Paring: //

Word: 1211 – Contatore Word

Rating: Giallo

Genere: Guerra, Introspettivo

Avvertimenti: Nessuno

Disclaimer: Il personaggio da me utilizzato e Dragon Ball appartengono interamente al Maestro Akira Toriyama. Questa storia è puramente fanmade ed è stata scritta senza scopo di lucro.

Note: Missing Moment; One Shot.

NdA: La One Shot tratta di un Missing Moment, di una missione solitaria di Vegeta, rivelando non solo la sua solitudine “fisica”, ma anche quella interiore, in quanto solo membro della sua razza che possa riportare i Saiyan agli antichi fasti. O almeno così lui credeva, sappiamo benissimo non essere andata così.

La canzone è stata usata semplicemente come contrasto luci/ombre, e questa contrapposizione sarà ricorrente nella fic.

Piccola precisazione: parole come “Pianeta”, “Galassia”, “Universo”, “Terza Classe”, Principe”, “Ki” e altre son scritte maiuscole per una questione stilistica.


 

 

Then, suddenly, light

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Vegeta aveva ottenuto da Freezer di andare in missione da solo, ancora una volta. Avrebbe fatto a meno di Radish e Nappa. Non che la presenza della Terza Classe e del gigante Saiyan gli fosse di grande aiuto nelle conquiste: lui, il Principe dei Saiyan, non aveva bisogno di loro per portarne a termine una, e quel corpo celeste non costituiva un’eccezione.

L’urto della navicella lo risvegliò dal profondo sonno in cui era rimasto per tutta la durata del viaggio. Il tramonto rischiarava ancora il cielo lilla del pianeta Axen.

Uscì dall’abitacolo, avendo la possibilità di valutare quel Pianeta. Con l’occhio allenato alla valutazione dei Pianeti acquisita in anni di esperienza e la capacità di riconoscere il bello che un nobile – anche se questi è un assassino – ha, dovette riconoscere che le informazioni contenute nel dossier degli archivi di Freezer circa la sua bellezza fossero vere.

 

Il vento gelido delle sere invernali del Pianeta sferzava il suo corpo. 

Camminava in quel prato azzurro, di fianco a un limpido ruscello dal fondale verde.

La sua meta, la città all’orizzonte, dove la quasi totalità della popolazione viveva. Il sole continuava a calare, poche ore e le tenebre avrebbero avvolto totalmente Axen, mentre il rosso del tramonto diventava amaranto, e nuvole grigie arricchivano di un’altra tinta quel cielo, i cui colori ora erano preludio del sangue e delle macerie che a breve ne avrebbero ricoperto il suolo.

Esplosioni, devastazione e sangue. 

Le ombre scesero su quell’emisfero di quel piccolo Pianeta, fino a lasciare come unica fonte di luce sul fertile Corpo Celeste la flebile luce delle lontane stelle e i Ki blast generati dal Principe.

Quanta gloria c’è, nell’atterrire  civili indifesi?

Quanta, nello spargere sangue di innocenti che non possono difendersi, contro il migliore esemplare della razza assassina per eccellenza?

Forse nessuna, per gli altri popoli di quella Galassia martoriata da sanguinose guerre e conquiste, ma ciò non vale per i Saiyan, che in quelle azioni – per altri popoli abbiette e immorali – soddisfano il loro istinto più naturale e la loro vocazione: l’annientamento dell’avversario e la sua distruzione.

Ma non più per sé, non più da esseri liberi, da quando il loro Impero era dapprima caduto nel baratro buio dell’asservimento a un Tiranno senza scrupoli, qualcuno che – ancora più di loro – si divertiva a uccidere, con ancora maggiore sadismo. Non per compiere un istinto o una missione, ma per vezzo. Successivamente, l’Impero Saiyan – che aveva toccato l’apice del proprio splendore poco prima dell’alleanza con la famiglia Cold, ma che da quel momento aveva conosciuto solo il decadimento, nonostante l’apparente aumento della propria brillantezza – aveva conosciuto per l’ultima volta la luce. Ma questa aveva portato solo morte, distruzione, e una ferita insanabile nell’orgoglio dei pochi sopravvissuti. Poi solo il buio, quello lasciato da un immenso vuoto che si crea quando un Pianeta esplode. Vegeta non l’aveva visto, ma lo sapeva, essendo lui stesso si divenuto distruttore di innumerevoli, inutili, Pianeti. Dell’Impero che avrebbe ereditato e riportato alla luce non vi era più traccia, solo pulviscolo e materiale infrastellare.

 

In lontananza le nuvole nere e cariche di pioggia, confuse ora con l’oscurità della buia e fredda notte, avevano cominciato a piangere col Pianeta, regalando a quella terra un’ultima pioggia.

I contorni del viso del Principe erano accarezzati dalla sporadica luce, che illuminava con ritmo incostante gli schizzi di sangue delle sue vittime di cui il corpo era stato sparso. Quei brevi lampi coincidevano coi momenti in cui la sua specie, se non si fosse saputa la sorte che era spettata al Pianeta Vegeta, poteva sembrare essere risorta. In lui, l’esemplare perfetto, ritrovava la gloria della sconfitta dell’avversario. Fulmini brevi, in lontananza, veloci, potenti e perfetti, esattamente come i colpi con cui annientava l’avversario prima che potesse rendersene conto.

Guerriero dall’anima solitaria e orgogliosa, distruttore di popoli e conquistatore di mondi, schiavo del suo padrone, la sua natura si rivelava nello sterminio.

Alle scarse fonti di luce si aggiunsero gli incendi che la devastazione aveva portato. Lui non risentiva del freddo clima, per il suo corpo e per il calore provocato dall’eccitazione crescente dettato dalla vista del sangue da lui sparso e dalla prospettiva di spargerne ancora. Quel tepore si faceva sempre più intenso, e le fiamme illuminavano i suoi occhi tenebrosi del rosso del fuoco. L’ira crescente nella sua anima come un tarlo l’aveva corroso sempre più, lotta dopo lotta, uccisione dopo uccisione, conquista dopo conquista.

E la legge del più forte si compiva, ogni volta. Eppure, il suo stesso popolo, temuto da ogni popolazione della Galassia, era stato annientato.

Continuava a combattere nel buio di quella notte, con furia e potenza, mentre gli Axeniani non provavano neanche più a fuggire, braccati dal luminoso fuoco nella città e chiusi in essa col loro carnefice. Pochi chilometri più in là, l’elemento che avrebbe sconfitto il fuoco li beffava col suo dono, non concedendo i propri effetti sulla città.

 

Un nobile servo combatteva solitario, poiché solo così facendo poteva aspirare a esser padrone, ciò per cui era nato ma che il destino gli aveva impedito, poiché gli echi della loro forza ed efficacia in battaglia avevano attirato l’attenzione della famiglia che voleva dominare l’Universo e aveva finito per ridurli a suoi servitori, fedeli ma costantemente pronti alla ribellione dettata dall’orgoglio di un popolo che è sempre vissuto in nome della propria Libertà.

Il Principe, benché senza trono né corona, combatteva con la sua razza, pur essendo solo, pur essendo uno dei pochi sopravvissuti. Ma lui ne era l’unico simbolo degno di tale nome. L’unico – forse – che potesse aspirare alla vendetta e al riscatto.

Lui era l’unico a poter tenere alto l’onore della sua stirpe. Il solo a poter diventare la Leggenda.

Vegeta trovava il proprio Paradiso in quello che gli altri avrebbero chiamato Inferno. D’altronde, era l’unico Paradiso che un Saiyan potesse immaginare. Il fuoco della Morte, quanto di più simile a un dio il suo popolo potesse bramare e amare, bruciava dentro di lui con una passione fortissima e istintuale, facendo battere il suo cuore e pulsando nelle sue vene, facendolo combattere automaticamente e freddamente, spingendolo a farsi per gli altri popoli quello stesso dio, ma non bramato: temuto.

 

La notte dell’assassino era quasi terminata, la pioggia era giunta a spegnere l’incendio, ma troppo tardi per permettere la salvezza.

Le gocce cadevano sul suo corpo e sul fuoco, spegnendo la furia di entrambi.

L’ultimo mortale colpo era stato inferto, Axen vedeva stare in piedi solo l’assassino della specie e poche mura, che non si sarebbero rette a lungo sotto la potente pioggia scrosciante, quando, all’improvviso, arrivò l’alba. Puntò i suoi occhi neri contro l’orizzonte; la luce, giunta all’improvviso ad illuminare lo scenario di morte che stava ai suoi piedi, gli fece capire che lui ci sarebbe riuscito, lui avrebbe riportato i Saiyan alla loro forza. Ricordandosi di ciò che gli aveva detto suo padre anni prima, vide in quella luce che sostituiva le tenebre e rischiarava lo scenario di morte come un simbolo. Lui sarebbe diventato la Leggenda, come suo padre gli aveva detto anni prima. Illuminando il buco nero e torbido della sua coscienza pesante – di cui non aveva però conoscenza – Vegeta ebbe la conferma. Ce l’avrebbe fatta, il Tiranno sarebbe stato sconfitto per mano del Principe a cui aveva sottratto il trono. Era una mera illusione, ma questo, Vegeta, non lo sapeva ancora. 

   
 
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