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Autore: Lilyth    27/08/2012    0 recensioni
Quella fu una notte senza sogni.
Mi sentii strana al mio risveglio, per settimane avevo pensato a quel giorno, fatto incubi terribili e la notte prima del giorno più importante della mia vita era stata nulla, priva di qualsiasi pensiero.
Mi alzai cautamente e rimasi in piedi davanti allo specchio.
Tra qualche ora, solo qualche ora avrei disputato la gara più importante della mia vita ed ero quasi tranquilla, quasi immune alle mille emozioni che cercavano di martellare il mio animo.
Bussarono alla porta.
< avanti >
Mia madre entrò con quella tranquillità e quel sorriso che la caratterizzavano, era la mia spalla, era la mia preparatrice estetica, era la mia più grande fan.
< sei pronta? Se non ci sbrighiamo non riuscirò mai a sistemare tutti questi capelli. >
Annuii prendendo la sedia vicino al letto
< sono pronta, possiamo cominciare. >
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“4.8 4.8 4.8 stile...”
Ok, ora ero nervosa; veramente nervosa.
Ero stressa nella giacca della tuta, sentivo freddo benché fosse giugno; la mia spina dorsale continuava ad essere percorsa da brividi di eccitazione e paura.
Il mio volto, nonostante tutto, era la solita lastra di ghiaccio.
Volevo stare da sola, seduta sulla gradinata più alta con i pattini già ai piedi; volevo stare da sola ad aspettare, aspettare...
Ma per quanto volessi rimanere sola sapevo che prima o poi avrei sentito quei passi, lenti e sicuri, che mi preannunciavano il suo arrivo; infondo aspettavo solo la sua voce, aspettavo di essere svegliata da quel torpore e caricata al massimo.
Il pavimento scricchiolò e non potei fare a meno di abbozzare un sorriso.
< tutto bene? >
Mi voltai pieno per poterlo guardare negli occhi
< sì, tutto bene >
Si sedette accanto a me continuando a guardare la pista
< manca poco ormai, sarete solo tu e la pista, come al solito. >
Scossi la testa
< no, saremo io la pista e te; come negli ultimi quattro anni Simòn >
Sorrise e quel sorriso mi diede più forza.
Spesso, in passato, chi sapeva quale sport svolgessi mi rivolgeva parole dolci e delicate su quanto fossi forte per affrontare un’emozione tanto grande da sola.
Ma io non ero mai sola.
Il primo paio di pattini lo misi a tre anni e mezzo, ma da sempre conto gli anni di frequenza da quando Simòn mi ha preso sotto la sua ala protettrice.
Ero praticamente una pupetta.
 Una tredicenne ambiziosa e con una gran faccia tosta;
lui un diciassettenne ugualmente ambizioso e pieno di se che non voleva assolutamente allenare una come me, già tecnicamente formata.
Eccoli qui, quattro anni dopo, diciassette e ventun’anni, ancora seduti vicino, ancora tesi verso un sogno in comune.
La ragazza che stava gareggiando in quel momento era l’ultima del suo prova pista, il prossimo gruppo era il mio.
Si alzò e mi guardò dall’alto
< o adesso, o mai più >
Mi alzai insieme a lui e scesi le scale in bilico sulle lame, rischiando per l’ennesima volta di cadere e rompermi un ginocchio.
Avevo paura, ma mai quanta ne aveva lui.
Da circa un anno ormai, ogni volta che facevo anche una piccola, stupida gara, lo guardavo negli occhi e vi leggevo dentro l’emozione e la paura che non si dovrebbero mai leggere negli occhi di un allenatore.
Non gliel’avevo mai detto, mai.
Sapevo che l’avrei messo in imbarazzo e sicuramente questo avrebbe messo a repentaglio il nostro lavoro di squadra.
Ci avvicinammo alla lastra di ghiaccio che da li a poco avrebbe ospitato i miei esercizi, i miei salti.
Mi guardò di nuovo negli occhi
< come al solito Mia, se cadi ti rialzi e continui. >
Annuii iniziando a sfilare le maniche della giacca, mi fermò intimandomi di porgerli tutta la mia attenzione;
< la paura non è nelle gambe, nelle braccia, nei piedi o nei nervi >
Mi poggio due dita sulla fronte
< la paura è qui, e qui soltanto. Ma tu puoi sconfiggerla mia, puoi fare grandi cose. >
“ prova pista A”
Ci voltammo insieme verso la pista, tolsi la giaccia, i salva lama e senza rivolgergli un altro sguardo entrai.
Per i prossimi sette minuti saremmo stati solo io e lei, solo io e il mio campo di battaglia.
 
< la migliore gara, veramente, la migliore gara degli ultimi cinque anni! >
Per poco non sputai la sorsata di birra che avevo appena messo in bocca.
Inghiottii di forza iniziando a ridere
< ma cosa cavolo dici, ero più brava da piccina. >
Mio padre scosse la testa contrario
< ma cosa dici?! È il punteggio più alto che tu abbia mai avuto, l’ha detto anche Tomas >
Mio fratello mi guardo annuendo
< è vero e io ho una buona memoria >
Alzai le spalle
< beh, l’importante è avere ottenuto quel quarto posto; un quarto posto nazionale, ad un passo dal podio >
Ero così felice di aver finalmente finito tutto, chiacchierare tranquillamente con la mia famiglia mi rilassava.
< dove andrete tu e Simòn stasera, per festeggiare? >
< torneremo in pista, stasera si esibiscono i gruppi danza e vogliamo andare a dare un’occhiata, tutto qua >
Mia madre annuì
< bene, la chiave ce l’hai, non ti aspetterò alzata, almeno per stasera >
Sorrisi.
Finalmente potevo passare due minuti con Simòn senza parlare di mie competizioni o di rivali o di quello che pensavo delle altre; avremmo guardato altri atleti di altre categorie e basta.
Mi ci voleva proprio.
Scesi sotto l’albergo alle 6:30, era già li sotto ad aspettarmi
< ce ne hai messo di tempo >
Sbuffai
< lo sai quanto tempo ci metto a lavarmi i capelli dopo che mia madre ci mette le mani, non ti lamentare >
Mi fece strada verso l’auto
< sei più tranquilla ora? Te lo chiedo perché stamattina ho veramente pensato che avresti perso il controllo >
Lo guardai storto
< come hai potuto anche solo pensarlo? O cavolo, mi conosci come se fossi mio fratello...io che perdo il controllo...è un’assurdità! >
Scoppiò a ridere
< vuoi che ti ricorda come sono andate le cose al nazionale di tre anni fa? >
Mi ammutolii e lui mi lanciò uno sguardo soddisfatto.
Arrivati al palazzetto ci trovammo due posti tranquilli e aspettammo che iniziassero le gare.
< ora che farai? >
Lo guardai perplessa
< cosa intendi esattamente per “ora” ? >
Alzò le spalle
< intendo le vacanze estive, dove andrai insomma... >
< ah...beh, mia zia lavora in un campo militare in New Jersey, andrò da lei >
Mi guardò di sottecchi
< oltretutto sai quanti bei militari gireranno li intorno >
Sgranai gli occhi e gli diedi una bottarella su una spalla
< come atleta sai che la mia mente sarà altrove >
< infatti sono i tuoi occhi a preoccuparmi, non la tua mente >
Puntai gli occhi sulla pista
< shh...stanno iniziando, ne parliamo poi. >
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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