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Autore: Bluemask    27/08/2012    3 recensioni
- Ehi. – ripeté – Non ti ho mai vista qui, sei nuova? Che ci fai di notte, da sola, sotto la pioggia?-
- Mi sono persa.- riuscii a dire, ancora scossa.
- Oh, capisco. Vieni a casa mia.- fece un gesto con la mano, invitandomi ad andare con lui.
Alzai un sopracciglio. –Chi mi dice che possa fidarmi di te?- domandai, seccata.
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Avevo chiamato Zayn, era l’unico con cui mi ero sfogato ultimamente.
- Liam, che è successo?- ansimò, col fiatone dovuto alla corsa.
Per tutta risposta lo abbracciai, tenendomi alla sua felpa.
Rimase zitto, stringendomi tra le sue braccia come accadeva spesso negli ultimi giorni.
Non so per quanto rimanemmo in quel modo, ma avevo bisogno di lui.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Correvo da ore, ormai.
Incominciavo a sentire le gambe molli, sapevo che non mi avrebbero retto ancora per molto tempo.
Ma dovevo fuggire il più lontano possibile da quel posto triste, crudele, orrendo. Anche chiamato orfanotrofio.
Più che orfanotrofio sembrava un riformatorio, se devo essere sincera.
Il cibo faceva abbastanza schifo, i miei compagni “di cella” erano tutti stronzi e antipatici, i sorveglianti ci trattavano come pezzenti.
Volevo solo scappare da quel posto, avevo da sempre aspettato il momento giusto. E alla fine l’avevo trovato.
Era notte, in quell’istante non c’era nessuno che mi potesse vedere. Uscii dalla finestra, non fu particolarmente difficile, mi ero allenata per molti anni.
E poi avevo iniziato a correre.
Avevo freddo, fame e sonno. Avrei voluto fermarmi, ma non ne avevo il coraggio.
Tremavo ancora dalla paura e dal nervosismo.
Il cielo incominciò a diventare ancora più nero, gocce di pioggia scure scesero improvvisamente a fiotti.
Era come se lettere d’inchiostro danzassero fin sulla terra. Il vento era la penna, la città era il mondo, lo scrittore era il destino.
- Maledizione.- imprecai, a denti stretti.
Mi ritrovai vicino a un bosco. Non un parco o cose simili, solo una piccola foresta.
Segno che ero in una qualche periferia, non più in città.
Scorsi una figura vicino agli alberi, la pioggia sembrò aumentare.
- Ehi!- urlò, forse a me.
O forse non parlò neppure, forse era solo il rumore del temporale.
Ma stava venendo verso di me. Mi irrigidii, con gli occhi sbarrati.
L’ombra di un ragazzo si avvicinava; era sempre più agitata, però non riuscii a fare un passo.
Così lui, chiunque fosse, arrivò di fronte a me.
Socchiusi gli occhi, cercando di vederlo attraverso la pioggia.
Probabilmente aveva qualche anno in più di me; era alto, con una massa riccioluta di capelli che gli si erano appiccicati alla fronte, due grandi occhi grigi, o magari verdi.
Portava una maglia nera zuppa, mi stava fissando.
- Ehi. – ripeté – Non ti ho mai vista qui, sei nuova? Che ci fai di notte, da sola, sotto la pioggia?-
- Mi sono persa.- riuscii a dire, ancora scossa. Ed era vero.
- Oh, capisco. Vieni a casa mia.- fece un gesto con la mano, invitandomi ad andare con lui.
Alzai un sopracciglio. –Chi mi dice che possa fidarmi di te?- domandai, seccata.
- In realtà niente, e a me chi dice di potermi fidarmi di te? Lo faccio e basta, perché ti trovo piuttosto stanca e spaurita, e capisco che hai bisogno di stare in un posto asciutto. Quindi, vieni?-
Avvicinò una mano alla mia, io mi scansai.
Sbuffò.
- Vengo.- gridai, per farmi sentire sopra il rumore del primo tuono.
Lui sorrise, aveva un sorriso semplicemente stupendo. Capace di illuminare l’intera notte, l’intero giorno. Il mio intero universo.
Okay, la situazione mi stava facendo lentamente impazzire.
Cercò di toccarmi di nuovo, però non glielo permisi.
Alzò le spalle e s’incamminò.
Io lo seguii.
Dopo alcuni minuti arrivammo davanti a una casa enorme.
- Ma ci vivi da solo?- domandai sorpresa.
- No, con altri quattro ragazzi. Sono molto simpatici, ti piaceranno.- prese delle chiavi dalla tasca.
Se la cosa avrebbe preso una brutta piaga saremo stati cinque contro una, il che non era rassicurante.
Intanto lui aveva aperto la porta e si era voltato verso di me con aria interrogativa.
Esitai ad entrare, ma infondo che poteva esserci di peggio dei diciassette anni passati in quell’istituto?
Entrai, lui ci chiuse la porta alle spalle. Quasi sussultai quando sentii il rumore della serratura che scattava.
Era normale chiudere a chiave, perché avrei dovuto preoccuparmi?
Agitò il capo, per scrollarsi l’acqua dai ricci, manco fosse un cane.
Non riuscii a trattenere un sorriso, solo in quel momento mi accorsi che era piuttosto attraente.
Il rumore assordante di un tuono ci fece urlare dallo spavento entrambi, poi ci guardammo e scoppiammo a ridere.
- Non dire agli altri che ho avuto paura, okay?- domandò, ancora ridendo.
- Il tuo segreto è al sicuro con me. – ammiccai, divertita.
Si morse un labbro, incominciai letteralmente a sciogliermi.
- Beh, è meglio se ti togli quei vestiti bagnati. Vieni.- ordinò poi lui, salendo le scale.
Lo seguii, di nuovo, senza fare domande.
Arrivammo in un lungo corridoio, con cinque stanze e un bagno.
- I miei amici non ci sono.- mi informò lui, aprendo una porta.
Era una camere piuttosto grande, con un letto enorme, una scrivania, alcuni mobili e armadi.
Ne aprii uno, rovistando tra alcuni pantaloni. Ne prese un paio, posandoli sul letto.
- Questi mi stanno piuttosto piccoli, dovrebbero andarti bene.-
Mi limitai ad annuire, osservando i suoi movimento.
Ero rapita dal suo fascino, accidenti. Non mi era mai capitato, lui era diverso.
Si diresse verso un’altra anta, scrutando quello che c’era dentro. Prese una maglia e la buttò sul letto, sopra i jeans.
- Ti starà un po’ larga, ma meglio di niente.- tornò da me, con un sorriso malizioso. –Ovviamente per me potresti anche stare senza maglia, lo dico per te. – sussurrò.
- Spiritoso, davvero.- ribattei, sfoderando un sorriso acido.
- Ti aspetto giù, hai fame? Di solito non cucino, però potrei fare un eccezione.-
- In effetti sì, grazie... per tutto.-
Uscì, lasciandomi con uno dei suoi dolci sorrisi. Chiusi la porta, col cuore che batteva ancora a mille.
Respirai profondamente, un lampo squarciò il cielo nero.
Mi cambiai in fretta, la maglia di... oh, non sapevo nemmeno il suo nome, che idiota.
Comunque la sua maglia mi stava davvero larga. Sbuffai, e scesi.
Attraversai il salotto, c’erano diverse foto sui mobiletti.
In una un ragazzo biondo stava in spalle al riccio, in un’altra c’erano cinque ragazzi che ridevano, poi uno con un ciuffo nero che abbracciavo un tipo dai capelli castano chiaro e uno con la maglia a righe blu e bianche (in stile marinaio?) passava una mano intorno alla vita del riccio.
Perlustrai tutte le altre, sorridendo. Sembravano così felici.
- Abbiamo ospiti?- una voce sconosciuta mi fece sobbalzare, mi voltai.
Il ragazzo vestito da marinaio nella foto entrò in casa, con un aria perplessa.
- Ehm, io sono... insomma, un’amica di... del riccio. Non proprio un’amica, cioè... più o meno, insomma.- balbettai.
Lui mi squadrò, notando l’abbigliamento, e sorrise in modo furbo.
- Capisco che intendi. Un’amica speciale, eh? Ci hai fatto sesso? -
Avvampai.
- No! Non hai capito niente...- scossi la testa, cercando di evitare i suoi occhi verdi e blu.
In quel momento, fortunatamente, entrò il Riccio con un vassoio in mano.
- Non ti devi imbarazzate, è normale per Harry averle.- continuò il Marinaio.
Ebbi una fitta al cuore. Normale? Era normale per lui averle?
- Louis, sei già qui?- notò lui sorpreso, fermandosi.
- Quindi sei un puttaniere?- sbottai, incenerendolo con lo sguardo.
- I-io... Lou, cazzo le hai detto?- esclamò.
- Solo che hai diverse amiche con cui vai a letto.- si strinse nelle spalle, confuso.
- E ti sembra una cosa da dire?- gridò, con la voce ovattata da un tuono.
- Ma io credevo che fosse una di loro, ha i tuoi vestiti!- disse l’altro in sua discolpa.
Rimasi incantata a guardare quei due che urlavano, senza riuscire a dire qualcosa.
Mi aggiustai la maglia, ravvivandomi i capelli ancora bagnati.
Andai da Harry, che si zittì all’istante, e presi il vassoio.
- Immagino sia per me. – sibilai.
Emise un flebile “sì”, io lo superai, trovandomi in cucina.
Mi sedetti al tavolo, incominciando a mangiare.
Come se fosse tutto normale.
Tanto ero abituata a soffrire, l’avevo fatto per diciassette anni.
Un giorno in più non avrebbe cambiato nulla.
 
 
  
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