Anime & Manga > Soul Eater
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Autore: kazuha89    29/08/2012    3 recensioni
Ricordare a volte è bello, a volte è brutto. Dipende..
Io non ho scelte, perchè non dimentico mai niente. però ora, che sono qui a pregare che tu non mi venga portato via, mi rasserena pensare che il ricordo forse a me più caro, è ancora vivo nella mia mente : il ricordo del giorno in cui io, maka Albarn, ho incontrato te, Soul eater Evans
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Io non riesco mai a dimenticare niente. Mai.
Che siano nomi, odori, sensazioni. Tutto rimane inciso nella mia memoria, per sempre. Sarà per questo che studiare e prendere voti alti mi riesce abbastanza facilmente. Però non sempre è positiva, questa cosa. Non dimenticare, anzi, è quasi sempre al negativo, per me. Si, perché come tengo bene impressi nella mente i bei momenti, tengo anche quelli brutti, o la roba che già un secondo dopo averla vista, vorrei scordare. Le volte in cui mi prendevano in giro perché ero sempre appiccicata ai libri, quando nelle docce vedevo che i corpi delle mie amiche erano..beh, diversi dal mio oppure quando vedevo mio..la falce della morte del sommo Shinigami con le donnacce. Ecco, quella roba pagherei a peso d’oro per poterla carteggiare via dal mio cervello. E invece niente, tutto rimane indelebile. Compreso, lo so già, quello che è successo. Vorrei tanto credere che si tratta solo di un incubo, ma non c’è possibilità che lo sia, lo so. Un incubo, per natura, è solo un illusione della mente: non ha odore, non ha colore, non ha sapore.
Invece quella notte, quello che è successo aveva fin troppi colori, fin troppi odori, fin troppi sapori. La dottoressa medusa mi disse che non avevo motivi per preoccuparmi, che potevo tranquillamente andare a casa quando volevo. Beh, io non volevo. La sola idea di lasciare questa stanza..ma che dico, la sola idea di lasciare la mano si Soul mi faceva tremare dalla testa ai piedi. Erano quasi sei ore che stavo seduta li, e non avevo ancora avuto il coraggio di allontanarmi nemmeno di un millimetro. Avevo aspettato tutto il pomeriggio che il dottor. Stein finisse di operare, seduta fuori dalla porta dell’infermeria. Appena avuto il via libera, ero entrata di corsa e mi ero messa la capezzale di Soul, e gli avevo preso la mano fra le mie. Questo sei ore prima. Non mi ero più mossa. E nemmeno volevo farlo. Mi sentivo male, al pensiero. Era come se nella mia testa, la mia mano stretta a quella di Soul fosse l’unico legame che lo teneva vincolato a questo mondo. Mi sentivo come se lasciandola..gli avessi permesso di andarsene per sempre. Il dottor. Stein mi disse che era fuori pericolo, che stava solo dormendo, ma la cosa non mi aveva calmata per niente. Tenevo la sua mano bella stretta nella mia, e stavo bene così. Papà mi disse che secondo lui non lo volevo lasciare perchè mi ero spaventata, dato che non mi era mai successo niente di simile. Odio ammetterlo, ma aveva ragione da vendere. Mai, nemmeno nelle fantasie più frenate del mio inconscio, avevo mai concepito una cosa simile: Io..che mi prendo cura..di Soul!
 Al solo pensarlo, mi sorpresi a ridere sotto i baffi. So che non era il caso date le circostanze, ma so anche se che fosse stato sveglio, Soul stesso avrebbe sghignazzato per primo.
Si, perché Soul è quello forte, fra noi. Soul è quello che mi spinge ad osare, a uscire dal mio guscio, a vivere, insomma. Fosse per me, sarei ridotta al tenore di vita di un granchio eremita misantropo. Io non ho mai il coraggio per fare niente. Mi basta un nonnulla, e vado in crisi. Lui invece no. Soul quando il gioco si fa duro, ride. Ride in faccia a tutto, niente lo smuove, cascasse il mondo. Quanto lo invidio, a volte. La sua spensieratezza mi fa una gola assurda. Io non riesco mai rilassarmi, cavolo. Sempre lì che mi arrovello, che mi agito, che mi tormento per ogni stupidaggine. E lui invece ride. Oddio, a volte ride per niente, quello si, e altre volte ride solo per il semplice fatto che tanto sa che il lavoro duro lo faccio sempre io. Però, diciamo 8 volte su 10, ride perché è la cosa giusta da fare. Al mondo, Maka, non bisogna prendere tutto di petto, mi ripete sempre. In genere dopo una frase simile, mi guarda e scoppia a ridere, ma in quel caso non è la cosa giusta o quella sbagliata da fare.. è solo cattiveria!
Anche quando il dottor Stein ci lesse l’anima per la prima volta, ebbi conferma di tutto ciò. La mia anima, disse, è seria e diligente. Quella di Soul, cinica e ribelle. Mai verità più vera fu scritta. Ma a me, ricordo, la cosa non destò sorpresa. E non mi sorpresi nemmeno quando, navigando nei meandri della mia mente, incappai nella mia anima e in quella di Soul. La mia era così piccola, così delicata. La sua era forte, intensa, ma buona. Ricordo che mi sentì felice quando la strinsi a me. Mi sembrava di sentire dei fili invisibili uscire dalla sua anime, filtrarmi dentro e intrecciarsi con la mia. Si, la mia anima e quella di Soul sono giorno e notte, ma l’idea di separami da lui, mi è inconcepibile.
Il tramonto ormai è alle porte, quel sabato. La luce della stanza ormai era passata dal giallo, all’arancione e ormai era quasi del tutto rossa. Il respiro del sole era sempre più profondo. Non tarderà ancora molto a cedere al sonno. Avevo deciso che sarei rimasta a dormire. Me lo poteva dire anche il sommo Shinigami che Soul era fuori pericolo, non mi sarebbe importato. Non avrei lasciato andare quella mano, mai.
“Io non ti lascio..” mormoro. “Rimarrò con te, lo prometto. Io non ti lascerò mai da solo, Soul..”
“Come’è che si chiama quella roba che ti fa pensare: cavolo, io questa scena l’ho già vista?”
Feci un salto di un metro, dallo spavento. Mi voltai. Black Star stava posato con la schiena sull’uscio dell’entrata dell’infermeria, le braccia incrociate, un sorrisetto dolce stampato in viso. Io sbuffai, il cuore a mille.
“Sei matto? Mi hai fatto venire un infarto, Black Star..” borbottai.
Lui rise sprezzante, venendo verso di me.
“Hai ragione. Un essere come me, dotato di una potenza spirituale simile, dovrebbe entrare con più maniera in una stanza, altrimenti assimilarne la grandezza potrebbe essere difficile ai comuni mortali..”
“Ti capita mai di ascoltare quello che dici? E comunque, sebbene io non sia esattamente un comune mortale, ti assicuro che il tuo ingresso in una stanza non sarebbe poi così percettibile.. se lo facessi in maniera meno chiassosa..”
Guardai ancora la porta. Kid stava entrando con passo leggero nella stanza, con Patty, Liz e Tsubaki, armate di fiori e dolcetti.
“Beh ovvio, tu sei un semi dio, la tua natura ti permette di incassare in maniera più ch dignitosa la mia immensa luce vitale!” rispose Black Star carezzandomi la testa e sedendosi dall’altra parte del letto di Soul. “Hei, come va, bello?” mormorò osservandolo.
Kid sospirò.
“Immagino che alla fine l’unica cosa da fare con lui sia sorridere e annuire come fa tu, vero?” Disse rivolto a Tsubaki. Lei rise un po imbarazzata. e annui.
“Ah beh, non è che tu possa sollevare chissà quali sentenze. Ne portiamo, noi, di  pazienza, col tuo cervelletto bacato, caro mio..” sibilò Liz, stringendomi le spalle e posando i cioccolatini alla frutta sul comodino di Soul. Patty scoppiò a ridere e mise i fiori che teneva in braccio sulle gambe di Soul e mi si mise vicino. Tsubaki mi fece un sorriso, mi strinse forte e prese a sistemare il copriletto di Soul per tenergli coperto lo stomaco con aria materna.
“Non raccolgo..” ringhiò Kid. “..Ma non mettere i fiori lì, idiota, non è mica morto, santo cielo!”
Tolse in fretta i fiori dalle gambe si Soul e li sistemò in un vaso accanto alla finestra, fulminando Patty, che lo osservava confusa. Poi si avvicinò a me, mi mise le mani sulle spalle e mi sfiorò la fronte con le labbra.
“Mio padre, le ragazze e io abbiamo visto tutto dalla stanza della morte..non ho parole di giustifica, Maka. Nessuno ha percepito la presenza di quell’individuo..nemmeno mio padre.”
Io scossi il capo, cercando di sorridere.
“E’ colpa mia. Avrei dovuto chiamare Il sommo Shinigami e chiedere rinforzi appena percepita la presenza di quel tipo. E invece spinta dallo zelo..”
Mi si era annodata la gola. Ogni volta che ci avevo ripensato, quel pomeriggio, era successo. Kid denegò e mi sospinse contro la sua spalla.
“Sta’ tranquilla. Nessuno ti incolpa di niente..” disse, comprensivo.
“Giusto! Qui ness..” esclamò Black Star.
“Piano..” mormorò Tsubaki.
“Ops..scusami Tsubaki..dicevo, qui nessuno pensa che sia colpa tua. Tutti noi avremmo fatto lo stesso, nei tuoi panni. Ho ragione o no?”
I presenti annuirono.
“No..nei mie panni, tu e Kid non avreste permesso che alle ragazze capitasse..una cosa simile.”
La mia presa alla mano di Soul si era intensificata. Le dita avevano iniziato a tremare di nuovo. E nella mente, come un filmato, rividi quei momenti orribili. Mi sentivo così inutile, ripensandoci. Come potevano dire che non era colpa mia? Magari non lo era per la decisione di affrontare quel pazzo da sola, ma..quello che era successo a Soul era senza dubbio colpa mia. Sentivo il respiro farsi mozzo mentre nella mia mente, ripercorrevo quei momenti: la porta dietro la mia schiena.. la sensazione di panico nel capire che non si apriva..la lama irradiata dalla luce lunare puntare a tutta velocità verso di me..il dolore che non venne..il profumo di Soul nel naso..quel rumore di qualcosa che viene tagliato..gli schizzi caldi sul mio viso..il tonfo sordo. E sangue. Tanto, caldo, rosso sangue..
“Era ora. Tuo padre dice che non lo avevi ancora fatto. Ci speravo che noi ci saremmo riusciti. Meno male..”
Aprì gli occhi. Avevo ancora il viso premuto contro la giacca nera di Kid. Ma senza che me ne fossi accorta, avevo iniziato a piangere. Non sapevo neanche quando avevo iniziato. Se Kid fosse stato zitto, anzi, credo che nemmeno me ne sarei accorta. Non avrei voluto. Detestavo piangere in pubblico. Già mi sentivo vulnerabile per i fatti miei, mancava solo di renderlo ufficiale. Eppure non riuscivo a smettere, accidenti a me. Era un pianto incessante, come un rubinetto aperto, mi veniva dal cuore. Quelle lacrime erano il risultato di quelle ore passate fuori della sala operatoria e delle sei ore a fissare il viso addormentato di Soul aggrappata alla sua mano come ad uno scoglio in mezzo al mare. Sapevo che Kid non era il tipo da lasciare che gli inondassi la giacca di lacrime, perciò pensavo che magari era il caso di alzare la testa, ma non ci riuscivo. Ero stremata, non avevo forze alcune.
“Piangi pure quanto credi, ne hai il sacrosanto diritto. Appena Kid sarà troppo zuppo per assorbire le tue lacrime, ti puoi tranquillamente spostare sulla spalla del grande Black Star. Sicuramente il mio abbraccio riuscirà a placare la tua angoscia! Ah e per quanto riguarda il fattaccio..”
Lo sentì posare una mano sulla mia schiena. Feci un po capolino per poterlo vedere in faccia.
“Soul ha solo fatto quello che io e Kid qui presente avremmo fatto per le ragazze. Che le armi siano nate per difendere noi maestri è una bufala spaziale, bella mia! Io non permetterei mai a Tsubaki di incassare un colpo al posto mio!”
“E io non lascerei mai che Liz e Patty vadano a farsi del male per proteggere me.” Continuò Kid. 
“Davvero? ti beccheresti un colpo per me e Patty?” chiese Liz stupita.
“Beh, se magari riuscite ad evitare di andare là dove vi possono colpire, mi fate un favore, certo..” puntualizzò Kid pescando un fazzoletto dalla tasca e porgendomelo.
“Ah ecco, mi pareva..” mormorò Liz.
“Siamo uomini. E’ la nostra natura. Dico bene,Tsubaki?” disse Black Star rivolto a Tsubaki.
“Benissimo. Però, ovviamente, noi armi abbiamo come compito primario la protezione di colui o colei che ci impugna. Quindi Soul, Maka, non solo ha svolto egregiamente il suo compito di cavaliere nei tuoi confronti..ma anche quello di tua arma..”
“Soul non è un’arma..” risposi secca. Mi alzai, mi levai le ultime lacrime dal viso con il fazzoletto di Kid e fissai tsubaki, che mi guardava sgomenta.
“Sono stanca di questa cosa. Le armi devono proteggere il maestro, le armi devono essere a disposizione del maestro in battaglia..che cosa assurda!”
Sentivo la rabbia crescere dentro di me. Era da sempre un argomento delicato alle mie orecchie, quello.
“Armi..le armi e i maestri. Due cose distinte e di diversa natura..che schifo di ragionamento! Soul respira esattamente come me, mangia esattamente come me, soffre e prova emozioni esattamente come me..”
“beh, oddio..” sentenziò Black Star.
“E’ un esempio!” rimbeccai. “Similitudini, niente più. Voglio farvi capire che fa le stesse cose che farebbe un qualsiasi essere umano. Perché lui è un essere umano, cavolo! Non le voglio sentire le stronzate sul fatto che visto che è un arma era suo dovere fare quello che ha fatto, perché è la volta buona che mi incazzo sul serio! La lama, quel pazzo, l’aveva puntata verso di me! Era me che doveva colpire! Era la mia pelle che doveva tagliare. Era il mio sangue che doveva scorrere a fiumi. Era me, che dovevate venire a trovare, accidenti..”
Rimasero un paio di secondi a guardarmi sbuffare come un toro, le lacrime che scendevano di nuovo sulle mie guance.
“Ma..” Tentò Kid. “E’ una cosa che tutti qui dentro sappiamo, Maka. Le armi..”
“Ok, ok, calma, piccola tigre, tira dentro gli artigli, la guerra è finita..”
Black Star venne verso di me e mi strinse forte. La sua presa era più salda di quella di Kid. Mi sembrò di sentire il cigolio delle mie costole.
“Lo sappiamo che le leggi sono sbagliate, non occorre fare tanto baccano..”
“Le leggi..le leggi cosa?” chiese Kid interdetto.
Black Star annui.
“Non voglio mica venire qui a dire che tuo padre è un baggiano, Kid, per carità. Però francamente, neanche io mi bevo tanto volentieri la solfa delle armi da difesa. Cavolo, io non troverei nemmeno in un secolo di ricerca il fegato di parcheggiare tsubaki tra me un potenziale colpo! E nemmeno tu useresti lei come scudo, voglio sperare.” Disse, e fece un cenno verso Patty. Liz si fece un po avanti, le mani sui fianchi.
“Ma..ma è ovvio! Patty è una ragazzina, neanche una bestia lo farebbe!” rispose Kid, osservando Liz un po allarmato.
“Ah si? Io sono una donna, però. Io andrei bene?” chiese lei, gelida.
Kid si fregò la fronte, confuso.
“ma come ci siamo finiti a parlare di tutto questo? No, ovviamente no! io non so neanche andare in giro da solo, per colpa delle mie dannate nevrosi, lo sapete. Ma pure se fossi mezzo scemo non userei Patty e Liz per difendermi! Non ne avrei..il coraggio, ecco.”
Black Star annui.
“Eccolo lì. Il credo che le armi siano solo degli oggetti di nostro uso e difesa è una boiata, e a livello inconscio lo sai anche tu. La verità, amico mio, è che è scritto sui registri che io te e Maka siamo maestri d’arma, mentre Liz, Patty, Tsubaki e Soul sono armi, ma è realtà che siamo tutti e 7 la stessa cosa..persone.”
Ero scioccata. Tutti lo eravamo. Black Star, all’insaputa di tutti, aveva acquisito un cervello. E’ ben pensante, per di più!
“Io..si, hai ragione, credo. Beh..che dire, Black Star..hai dei bei pensieri, quando ti ci metti..” borbottò Kid, colpito.
“Ok, ok, calma, non iniziate ad adorarmi, adesso, non è il caso! Ci sono mille e un motivo per farlo, ovviamente, ma non questo. Mi duole ammettere che tutto questo bel polpettone serioso non è nato dalla mia illuminata mente geniale. L’ho solo memorizzato dopo averlo sentito dire da una bambina..”
Tutti ci voltammo a guardarlo.
“Una bambina?” chiese Liz, curiosa. “E chi era?”
Black star rise.
“Beh adesso non lo è più, ma ne dice ancora un bel po di roba complicata, come quando lo era. Eh, Maka?”
Io lo guardai. In primis non capì il nesso. Poi mi venne in mente, e risi.
“Allora, com’è che si chiama quella roba che quando ti viene, dici: cavolo, io questa cosa l’ho già vista?”
Io risi ancora.
“Si dice “déjà vu” Black star.” Risposi.
Lui mi guardò dubbiosa.
“Ma non è un dolce, quello?”
Io sbuffai.
“No, quello è dessert!”
Tutti scoppiarono a ridere.
“Beh che sia una torta o meno, me ne è venuto uno prima, mentre ti guardavo tenere la mano di Soul dicendogli che non lo avresti lasciato. E anche questo bel discorso imparruccato me ne ha fatto venire uno. Ti ricordi? Anche quella volta gli hai promesso che non lo avresti lasciato..”
Io annui.
“Fu il giorno in cui lo conobbi. Avevamo 6 anni..”
“No, un attimo!” disse Tsubaki, interdetta. “Non ci siamo conosciuti tutti qui alla Shibusen?”
Io denegai.
“No, io ho conosciuto Soul 9 anni fa. E ho pure intravisto il nostro casinaro qui..”
Black star aprì le braccia in accoglienza alle ovazioni.
“Ah che posso dire, è impossibile per me passare inosservato!”
“Certo, persino a un sordomuto che guarda altrove non sfuggirebbe la tua presenza, Black Star..” commentò Kid. Tsubaki aveva un’aria mortificata. Patty rideva fino alle lacrime.
“Comunque, come è successo, Maka?” chiese Liz sedendosi sulla sponda del letto vicino a quello di Soul.
“Che io sappia, Soul è nato in un villaggio di essere umani piuttosto lontano..” disse Kid, sedendo anche lui.
Io annui.
“Cosa? Un’arma del calibro di Soul,,figlio di umani?!” disse Tsubaki, sbalordita.
“Si. Soul è l’unica arma di tutta la sua famiglia, nato in un villaggio estraneo a queste cose..”
Liz portò una mano alla bocca.
“Che hai?” chiese Kid.
Lei lo guardò, poi tornò a guardare me.
“Quanto deve essere stato difficile avvicinarti a lui, Maka..” mormorò.
Io annui, seria. Kid parve soppesare il discorso. Poi, come colto da un illuminazione, si fece molto serio anche lui. Tsubaki non capiva.
“Ma..ma Soul non è cattivo! Perché..perchè difficile?”
Black Star la tirò verso di se, anche lui piuttosto serio.
“Vedi, Tsubaki, nel tuo villaggio, voi armi eravate numerose e bel viste, no?”
Lei annui.
“Beh..nel villaggio dove è nato Soul..la sua natura era vista come..oh cavolo..beh lui era visto come..”
“..un mostro.” Mormorai.
Tsubaki divenne pallida. Liz prese Patty e la strinse forte. Kid perse lo sguardo nel vuoto.
“No. Non è vero..” belò Tsubaki, angosciata.
“E invece si.” Disse Kid, e andò verso la finestra, dove ormai uno spicchio di luna ghignante galleggiava nel cielo. “Mio padre ha faticato in maniera immane per trovare, sparsi nel mondo, i bambini e le bambine nate con questa straordinaria capacità da famiglie comuni, sia maestri d’arma, che armi. I piccoli maestri d’arma non erano molto differenti dai comuni bambini, se non per la capacità di lettura delle anime delle persone a loro contigue. Ma per le piccole armi, mio padre diede il massimo. Sapeva che la loro natura avrebbe causato loro non pochi problemi, che bisognava assolutamente trovarli e portarli in un posto sicuro dove avrebbero potuto concepire la loro prodigiosa essenza senza la dittatura dell’ignoranza che vigeva nei loro luoghi natii. Mio padre mi ha parlato di alcuni villaggi in cui, presi dal panico, i paesani avevano o rinchiuso in gabbie o esiliato i bambini e le bambine nate con le fattezze dell’arma demoniaca per paura che fossero demoni o creature nate per flagellare le loro esistenze. A volte invece, capitava che le piccole armi venissero nascoste fin dalla nascita dalle loro famiglie, per paura di vedere i propri figli uccisi o trattati da bestie. Mio padre, però, sparse la voce della sua causa e prese sotto la sua ala ognuno di questo bambini e diede loro un futuro. Man mano che la scuola andava prendendo forma, mio padre iniziò a mandare i suoi collaboratori più stretti nei luoghi in cui percepiva l’anima di un maestro d’armi o di un ‘arma. Uno di loro fu Spirit, la sua fidata falce della morte, e in un orfanotrofio con sede in uno di quei villaggi c’era appunto..”
“Soul. Si, anche mio padre mi ha raccontato la stessa cosa, quel giorno..”
Liz mi guardò allibita.
“Un momento, Soul..era in un orfanotrofio? Che ne era dei suoi?”
Io abbassai lo sguardo, e con il dito feci una carezza ad una guancia di Soul.
“Suo padre, dopo la sua nascita, non riuscì a sopportare l’idea della sua natura. Iniziò a bere molto. E una sera, ubriaco, perse il controllo, e senza ragione appiccò fuoco alla casa. La madre di Soul fece appena in tempo a mettere al riparo Soul e suo fratello..ma non sé stessa.”
Le ragazze, Patty compresa, erano pallide come fiocchi di neve. Kid era sgomento.
“Non sapevo te lo avesse detto..” mormorò Black Star. “A me lo ha detto una volta, e poi non ha quasi parlato per giorni..”
Io annui.
“succede sempre, quando in un discorso saltano fuori i suoi..”
“E suo fratello dov’è?” chiese Liz.
“Beh, Wess è umano, e ha 6 anni più di Soul. Ora è a Parigi, credo. Fa il musicista, violino.”
“E quanti anni aveva Soul quando è successo tutto?”
“5 credo..”
Liz batté un piede a terra, irata.
“Ma che fai?” chiese Kid, guardandola.
“Io ho 3 anni più di Patty, ma col cavolo che ho permesso che la ficcassero in orfanotrofio, quando i nostri hanno avuto l’incidente in macchina! Io ho allevato Patty e me stessa, niente collegi! Perché Wess non ha tenuto Soul, eh?”
Io sospirai.
“Beh lui..”
“Wess è un carciofo senza spina dorsale.” S’intromise Black Star. “Se avesse tenuto Soul, neanche sei mesi e lo avrebbe fatto a fettine. Soul è un uomo di mondo, Wess uno da sala da tè. Per carità, Liz, neanche a metterla in piedi, come ipo..”
“Lo ha rifiutato, vero?”
Black Star si voltò. Tsubaki era in lacrime.
“Non ha voluto il suo fratellino perché era..perchè era un.. mostro, vero?”
Io la guardai. Black Star le mise una mano sulla testa. Liz emise un verso di disgusto e stritolò Patty in un abbraccio.
“Si, diciamo di si. Wess non ha mai detto ufficialmente quello che pensava di Soul, a detta sua, ma..credo che certe cose non abbiano bisogno di parole..”
Tsubaki tirò su col naso e si appollaiò sulla spalla si Black Star.
“Beh..chissenefrega! il nostro Soul con un..bacchettone violinista, che idea malsana! Allora, Maka, quand’è che il sommo Shinigami lo ha portato qui da noi?”
“Si, quando è andato a prenderlo?” rincarò Liz.
“Non andò mio padre. Andò il suo..” disse Kid indicando me. Io annui.
Si. Papà fu incaricato al posto del sommo Shinigami perché lui non poteva, quel giorno.  Lo ricordo come fosse ieri, quel giorno..
“Perché mandò la sua arma? Credevo che il sommo si fosse occupato personalmente dei reclutamenti, no?”chiese Tsubaki, confusa, gli occhi ancora arrossati.
“Suo figlio aveva il raffreddore, e non poteva star solo, a detta sua..” risposi.
Tutti guardarono Kid. Lui tossicchiò.
“Beh non è un male avere dei genitori premurosi, no?” disse vagamente imbarazzato. Noi ridevamo sotto ai baffi.  Lui sbuffò.
“Proseguiamo col racconto, per piacere?” rimbeccò stizzito.
Io annui. Era da un sacco che non rivangavo quel ricordo.
 “Lo racconto io, Maka, tu lo prolificheresti troppo, e finiremmo tutti per collassare pria del bello!” disse Black Star. Mi venne alle spalle, e mi si sedette accanto. Io li per li fui quasi sul punto di rimbeccare, ma poi scorso il suo sorrisetto complice, e colsi il messaggio. Black star agli occhi del mondo appare sempre solo come un megalomane pieno di sé, ma per occhi come i miei che lo hanno visto per tanto tempo, ha delle sfaccettature inattese. Sapeva che nello stato in cui ero, riaccendere ricordi simili mi avrebbe fatto star male, e si era addossato tutto il peso. Grazie, Black Star. Mi appollaiai con le braccia incrociate sul bordo del letto di Soul, osservando la mia mano nella sua. A pensarci bene fu proprio allora, in quel pomeriggio d’estate, che mi capitò di prendere la sua mano per la prima volta. Probabilmente, quello sarebbe rimasto il ricordo a me più caro in assoluto.
“Ah me lo ricordo bene, Soul me ne ha parlato tante volte!”
Anche io, pensai, lo ricordavo bene.
Avevo sei anni e mezzo, ed ero dispersa in una fase di me stessa da cui temevo di non uscire mai. Vivevo letteralmente di luce riflessa di mia madre, la sola ed unica fonte di ispirazione della mia famiglia ai miei occhi, dato che a malapena riuscivo a pensare a mio padre come membro di essa, ed ero decisa ad emularla. Tuttavia, la scoperta della mia natura mi aveva devastato: non ero nata maestra d’armi come lei. Ero nata arma, come mio padre.
Accettarlo, per me, era una richiesta oltre modo irragionevole. Il solo pensiero di avere, oltre al grado di parentela, altre cose in comuni con quell’individuo, mi faceva detestare la mia stessa esistenza. Il rifiuto crebbe cosi forte e nutrito in me, che rifiutai contatto umani di qualsiasi genere, fuori che coi miei genitori, e in quel caso comunque limitatissimi con mio padre, che con la scoperta della mia natura, disprezzavo come non mai. Mia madre aveva tentato molte volte di persuadermi a cambiare idea, ma ero irremovibile: se la mia natura era non di maestra d’armi ma di arma, io non sarei stata altro che una bambina comune.
Però mio padre, sa dio mosso da cosa data la mia posizione, non demorse mai dall’idea che un giorno avrei ritrattato le carte in tavola, e prese a colpirmi da ogni direzione con frecciatine e allusioni riguardanti la vita di una falce della morte, e a portarmi con sé ogni qualvolta gli veniva dato un incarico di rilievo, in modo che potesse nascere in me un barlume di appezzamento alla mia natura: mera illusione, vano dirlo. Primo, perché associavo sempre la cosa a mio padre, e lì si andava sempre a cozzare con il ripudio nei suoi confronti, ripudio che era lì prima ancora di scoprire che ero nata arma come lui. Secondo, perché avevo scoperto che le armi femmine erano in maggior numero rispetto alle armi maschi, e che quindi avevo un 60% di possibilità che, ammesso che decidessi di arrendermi all’idea di essere un arma, il mio maestro d’armi fosse un ragazzo, e saputo questo perfino il marmoreo ottimismo di mio padre finì per scalfirsi. Si, perché oltre a detestare mio padre come genitore e marito, avevo finito per detestarlo come uomo, e dato che era l’unica figura maschile a me disponibile, avevo finito per associare i suoi bassi istinti primitivi e perversi alla classe vera e propria. In poche parole, alla veneranda età di 6 anni avevo allevato dentro di me,maturo e stabile, un odio repulso per gli uomini, per mio padre e per me stessa e la mia natura. Un’infanzia invidiabile, eh?
Nessuno e niente riusciva a smuovermi, ero impantanata nell’apatia. Però quel giorno, quando il capo di mio padre, l’uomo che sentivo nominare in molti discorsi come “il sommo Shinigami” ma che non avevo mai visto, chiamò mio padre per comunicarli un messaggio, mi ritrovai incuriosita dalla natura  di esso.
Sentì quello strano tizio riferire a mio padre che era stato contattato da un suo informatore riguardo la presenza in un orfanotrofio con sede in un villaggio umano fuori città di un bambino che portava i segni di un clan di maestri d’armi molto potente, e che poteva essere uno di loro, ma che purtroppo lui non poteva recarsi sul posto come di consueto perché doveva badare al suo figlioletto malato. Mio padre disse che non aveva problemi a sostituirlo, e lo Shinigami lo ringraziò. Poi, mentre papà stava per allontanarsi dall’immagine riflettente il suo capo, tornò sui suoi passi, e fece una domanda che non gli sentivo fare mai:
“Sommo Shinigami, tutta curiosità, non mi fraintendere, ma..perchè mi mandi a fare una cosa simile?chiedo perché non ho mai svolto incarichi simili, dato che hai non so quanti addetti al settore nel caso tu fossi impossibilitato come ora, no?”
Lo Shinigami emise un verso di approvazione.
“Sempre perspicace, bravo il mio Spirit. Sai, è uno dei motivi per cui mi sei inestimabile come compagno, ragazzo mio. Si, come hai detto ora, non avrei motivo di mandare te a fare simili lavoretti con tutta la gente che ho ferrata in questo particolare tipo di mansione. Tuttavia, questo è un caso molto delicato, da guanto di seta, e tu eri l’unico adatto, escluso me che non posso occuparmene per via del mio bambino malato..”
“Un caso di cui solo io e te possiamo occuparci? Che cosa ho di speciale che ti spinge a pensarla così?”
Lo Shinigami assunse un tono più dolce, e rispose piano.
“Beh io e te abbiamo una cosa che ci accomuna, Spirit, una cosa che manca ai mie collaboratori: siamo papà!”
Mio padre emise un verso di stupore.
“A riguardo” continuò incalzante lo Shinigami. “So che hai il vizio, sperando di destare in lei il brio che si confà ad una vera arma, di portare la tua bambina con te quando svolgi mansioni per me. Tuttavia, stavolta devo pregarti di non farlo, e lo faccio non come tuo maestro, ma come un padre a un altro padre. In quel posto, infatti, devi controllare due bambini, non uno. Infatti, oltre al presunto erede di quel clan di maestri d’armi di cui ti dicevo prima, mi hanno segnalato una seconda presenza inusuale in quelle 4 mura. Tuttavia, dai dati a me forniti, si tratta di un caso molto delicato, un caso che mi fa mangiare i gomiti all’idea di non poter affrontare data la delicatezza che occorrerà, ma con il mio figlioletto in questo stato non mi posso muovere. Però so che tu potrai avere il tatto richiesto, caro Spirit, e ti affido la missione a cuor leggero..”
Mio padre tossicchiò, serio.
“Ok, ho capito..che hanno fatto a quella povera creatura, sentiamo..”
Lo Shinigami ridacchio senza gioia.
“Vedo che hai capito perfettamente, come supponevo. Non si sa bene cosa gli è stato fatto, ma di certo non deve aver visto zucchero e balocchi, dato lo stato in cui mi dicono riversa. Da quello che mi è arrivato,ti leggo la sua cartella coi dati, so che è un maschietto, di circa 6 anni come i nostri figli. Capelli quasi bianchi e occhi rossastri, quindi sicuramente albino, direi. Poi..oh, appassionato di musica, bene..”
“Beh non mi sembra insolito, francamente, Shinigami..” sentenziò mio padre, confuso.
Lui rise di nuovo in quel modo, senza gioia, un riso amaro.
“Se fosse tutto qui si. Ma ho dell’altro..qui dice anche: carattere chiuso, tendente alla misantropia e al mutismo. Molto scorbutico, scostante e..talvolta violento.
Mio padre espirò.
“Ah ecco, ora si ragiona..e che dice il personale dell’istituto?”
“Dicono che non sanno cosa fare e che francamente finché mangia, dorme, e lascia stare gli altri bambini, per loro può restare lì dov’è..”
“Che brava gente, non c’è che dire, invidia agli struzzi..e i pargoli?”
“I pargoli, grazie a dio, non sanno cosa sia l’omertà. Hanno fornito le coordinate che speravamo di ricevere. Alcuni hanno semplicemente appreso dai veterani il culti dell’ evitazione, per cui si comportavano solo come già si faceva, ma alcuni di loro avevano davvero avuto a che fare con lui. Comunque, di riflesso o meno, tutti i bambini di quel posto lo hanno etichettato alla stessa maniera: il mostro.”
“Il mostro?! Ma è un bambino, santo cielo!” sbottò mio padre, irato.
“A quanto par loro no, evidentemente. Alcuni di quei saggi pargoletti hanno raccontato cose molto interessanti. Un paio di loro hanno fornito questo raccontino:
- noi qua mettiamo in guardia chi viene da fuori di stargli lontano. Finisce sempre male, chi è scemo tanto da andare a rompergli le scatole. Quello non è normale..”
“Che cattiveria gratuita..” ringhiò papà.
“Forse, ma questo altro aneddoto credo chiarirà l’incomprensione tra te e i monelli in questione. Uno di loro, uno dei grandi, ha detto al mio uomo queste parole:
-i piccoli non sanno niente, non c’è motivo, se stanno lontani di spaventarli. Però io l’ho visto, e non sono né cieco né pazzo, e me ne frego se le suore dicono che ho immaginato tutto: io l’ho fatto arrabbiare, un pomeriggio, perché gli ho toccato lo stramaledetto pianoforte, anche se aveva detto che non lo dovevamo fare. Io l’ho fatto, e lui è andato fuori di testa, e ha tirato fuori..quei grossi coltelli storti. Non lo so come ha fatto, e non mi interessa saperlo, però ho i segni sul corpo a mo’ di testimone, non mi invento mica le cose, io. Le suore dicono che ho travisato le cose, che deve aver usato dei comuni taglierini, che non poteva avere dei cosi simili da nessuna parte perché avevano guardato e che io per la paura ho visto male, ma non è vero! Quei coltellacci..quei coltellacci li possono cercare dove gli pare, mica li trovano. Perché non li nasconde, né li porta addosso. Quei cosi..sono le sue braccia! Tanto è che poi li hanno cercati, ed erano spariti. Però esistono, lo giuro, e mi hanno tagliato, diavolo, e il sangue era per terra! Quello.. è un mostro, deve stare lontano dalle persone..normali.”
Fece una pausa, in cui regnò il silenzio.
“Io dopo questo mi sono decisamente chiarito le idee, e tu?”
Mio padre respirò a fondo un paio di volte, poi rispose.
“Bene..è un arma, dunque. E ai loro occhi si, è effettivamente passabile per  un mostro. Un attimo però..coltellacci storti..no,non mi dire che è..”
“Si, a parer mio si, è quasi certamente una falce, proprio come te. Motivo in più per passare a te il testimone, caro amico..”
“Certo..” disse piano mio padre. “So cosa fare, direi....”
 “Assolutamente. Tu sei una falce molto più sviluppata e completa di lui, gli potrai mostrare che nella vostra natura nulla è sbagliato. Tu sei padre, e lui potrà vedere che lo sei nonostante la tua natura. E infine tu sei un adulto formato e finito, e conduci una vita dignitosa e appagante come, so di certo, lui sogna di condurre..ah ecco, magari spererei che la sua non fosse tanto spregevole e perversa come lo è la tua..”
Mio padre tossì.
“Ok, ricevuto, lascia fare a me. E’ in oltre chiaro il motivo per cui non vuoi che porti mia figlia: lui, essendo nato fuori dai tuoi confini, non sa cosa siano le armi, e quasi sicuramente ripudia sé stesso, per questo è violento e misantropo. Se mia figlia lo vedesse, il suo odio per sé stessa crescerebbe ancora, sbaglio?”
Shinigami annui.
“No, confermo. Quel povero bambino riversa in uno stato molto simile a quello di tua figlia. Tuttavia, a differenza di lei, che ripudia se stessa per colpa tua..”
Mio padre tossì di nuovo.
“..Lui ripudia sé stesso per paura. Fa piano, Spirit, occorre tatto a badili. Nel peggiore dei casi..potrebbe reagire molto male.”
Mio padre annui.
“Bene, salutami tua moglie e la tua piccola. Fammi sapere, e buon lavoro!”
Mio padre si allontanò dal vetro, e prese a riflettere. Io dal canto mio, ero decisamente stranita. Quel bambino..quel bambino era una piccola falce, come me! Le mie lame..io non avevo paura delle mie lame, né di quelle di quel cialtrone di mio padre, ovviamente. Lui invece..chissà che paura ne aveva, non sapendo niente! Poverino..
Mi si annodò la gola. Se solo Shinigami non mi avesse vietato di andare con papà.
Serrai i pugni. Uomini maledetti, sanno tutto loro, decidono tutto loro..
Mi morsi il labbro. Che fare? Non avevo intenzione alcuna di stare lì a farmi comandare dagli uomini, dovevo far qualcosa. Si, io dovevo aiutare quel bimbo!
Quel pomeriggio, poi, mio padre prese la macchina, e si diresse nel posto indicato dallo Shinigami. Ma non era solo. Nell’auto, infatti, ben nascosta sotto ai sedili..c’ero anche io.
Arrivammo quasi subito, grazie al cielo. Mi si era addormentato tutto premuta sotto al sedile. Aspettai nel mio nascondiglio che mio padre bussasse al portone di legno del grigio e freddo orfanotrofio umano, attesi che gli aprissero, e mentre distratto dalla conversazione, mio padre chiuse la porta dandogli le spalle, schizzai fuori dall’auto, mi tuffai e riuscì ad entrare per un soffio. Dentro la scarsa luce mi giocò favorevole e riuscì a seminarlo facilmente.
Era decisamente lugubre, come posto, pensai con la pelle d’oca, mentre passeggiavo per i corridoi chiedendomi dove poteva essere quel bimbo.
Ogni cosa aveva un’aria fredda e sterile, e nell’aria aleggiava un forte odore di chiuso e di vecchio. Nei corrodi c’erano degli armadi davanti ad ogni porta, probabilmente per i cappotti dei bambini che andavano a fare lezione, e ogni tanto uno di loro dava dei sonori colpi di assestamento che mi facevano fare dei salti di un metro ogni volta. Faceva un freddo cane, e la luce fioca non concedeva molta visibilità. Contando che nessuno sapeva che ero lì e che io non sapevo dove andare, se mi fossi persa probabilmente sarei morta di certo. Un pensiero che mi dava la calma interiore di un ermellino isterico.
Dopo un paio di svolte in quei dannati corridoi agghiaccianti, mi prese lo sconforto, e iniziai a piangere. Che scema, ero stata! Avventurarmi in un postaccio simile da sola senza dire niente a nessuno per uno che manco conoscevo! Mio padre, poi, probabilmente lo aveva già preso e portato via, e io stavo solo girando a vuoto per niente..
“Aiuto..” mormorai, la voce arrochita dal pianto. “Aiutatemi, per favore..”
Poi, in quel silenzio spettrale, mi giunse all’orecchio un suono fioco. Mi fermai, e tesi l’orecchio. Veniva da un po più avanti. Camminai svelta ma senza fare rumore, per paura di passar via la stanza da dove veniva. Poi, finalmente, da dietro una grossa porta, lo sentì chiaro. Un suono dolce, calmo..
Posai l’orecchio alla porta. Era musica. La musica di un..
“Pianoforte!” squittì. “Se trovo chi lo suona, posso chiedere aiuto..”
Senza esitare, girai la maniglia, e aprì la porta.
La stanza era la buio, e c’era silenzio. La musica era sparita.
Mi interdissi. Veniva da li, non mi ero sbagliata. Entrai.
Era una piccola stanza, con la moquette per terra soffice come l’erba. Le pareti erano grigie, ma avevano su dei disegni fatti col gesso. Dei disegni strani, astratti. Molto belli, per quello, ma strani, proprio come lo erano i miei quadri preferiti, i quadri di Van Gogh.
Poi, in un angolo, vidi il riflesso di un candeliere in argento posato su un lucidissimo pianoforte a cosa. Ecco da dove veniva la musica! Accanto, vidi dei fiammiferi. Potevo avere la luce!
Mi ci fiondai su, afferrai lo sgabello e ci salì sopra per raggiungerlo, ma appena le mie dita sfiorarono l’argento del candeliere, dal nulla, venne una voce:
“Non toccarlo..”
Mi gelai lì sul posto. La voce veniva da dietro di me. Chi era, adesso?
“Io..io non volevo fare niente, giuro! Volevo solo accendere la luce.”
“Perché..” chiese la voce.
Io respirai a fondo, agitata.
“Mi sono persa, e devo trovare.. il mio papà.”
Bleah, che affanno! Odiavo dire quelle parole..
Dei passi dietro di me. Oddio, si avvicinava!
“Io non volevo entrare, chiedo scusa, io..”
“Se vuoi le candele, prendile , ma scendi subito dal mio pianoforte..”
Me lo aveva soffiato praticamente nell’orecchio. Era proprio dietro di me, posato alla mia schiena. Cacciai un urlo da record, e dallo spavento, perso l’equilibrio. Avrei sbattuto contro il pianoforte con la fronte, ma qualcosa frenò la mia caduta. Mi guardai attorno, stupita. Ero a mezz’aria, sorretta da qualcuno. Poi, senza preavviso, fui sollevata di peso e rimessa in piedi. Sentì delle mani sfiorami. La presa era salda, ma il tocco su di me delicatissimo.
“Oddio..grazie..” mormorai. Sa dio perché, non sentivo più tanto timore. Chi mi aveva parlato, doveva essere anche quello che mi aveva presa la volo e salvata prima che cadessi e mi facessi male. Di conseguenza..non poteva avere cattive intenzioni. Almeno, ci speravo.
Dal buio, poi, vidi il candeliere venir via dalla sua posizione sopra il piano e venire verso di me. Poi, una fiamma saettò dal buio, e una per una accese le candele. La stanza si illumino, e mi permise di vedere il viso del mio salvatore.
Per un secondo, mi si fermò il cuore, ma non per paura: per la meraviglia.
Davanti a me, a sorreggere il candeliere, c’era un bambino. La luce delle candele illuminava il suo viso pallido come il latte, ornato da candidi capelli lunghi quasi fino alle spalle accomodati in svariati ciuffi ribelli, e le fiamme facevano splendere come rubini i suoi occhi, rossi come l sangue. Ai più avrebbe fatto paura, credo. Io però lo trovavo bellissimo. Era come quei quadri: strano, ma incantevole.
Poi, mentre lo guardavo estasiata, mi fulminò un pensiero: pianoforte, capelli bianchi, occhi rossi..era lui!
“Tu.. sei la falce!” mormorai concitata.
Lui aggrottò la fronte, confuso.
“Come mi hai chiamato?”
Io indietreggiai. Cavoli, lo Shinigami aveva detto tatto, maledizione..
“Ah..no, niente, scusami..”
Lui mi guardò soppesandomi per qualche istante, poi inarcò le sopracciglia e mi porse le candele.
“Tieni, vai da tuo padre, adesso..”
Io annui, e presi il candelabro. Lui mi guardò un altro paio di secondi, poi si voltò,e si diresse verso il piano, e iniziò a pulire le mie impronte dallo sgabello e le ditate sulla cassa di risonanza. Io ero sinceramente confusa. La descrizione dello Shinigami era sbagliata, e alla grande.
In quel frangente, quel bambino avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, niente e nessuno lo tratteneva. Eravamo soli, in quella stanza, e nessuno sapeva che ero lì. Eppure..mi aveva lasciata stare. Anzi, aveva impedito che mi facessi male. Ma allora perché? Perché il dossier diceva che era violento? Perché quei bambini dicevano che era pericoloso, che li aveva tagliati, che era..un mostro. Io conoscevo la sua natura, non ne nutrivo timore. Ma a non averlo saputo, non avrei mai detto che fosse un’arma demoniaca. Era apparentemente, sorvolando sull’albinismo..un bambino comunissimo.
Mentre navigavo in questo pensieri, d’un tratto partì la musica dal pianoforte, e mi ridestai. Lui era là, seduto sullo sgabello, e suonava.
Suonava come mai in vita avevo udito suonare, una musica tintinnante, schietta, ritmata..travolgente. Mi ritrovai a tenere il tempo coi piedi, e le mie dita iniziarono a tamburellare contro al mio fianco. Era un ritmo che ti strisciava sotto pelle, ipnotico. Lui mi vide con la coda dell’occhio, e sogghignò.
“Oh ma guarda..hai buon orecchio, ragazzina..”
Io sussultai, e mi ricomposi in fretta. Non era da me simile atteggiamento. Lui rise.
“ma anche tanto bell’amido, eh? Su, hai tempo una vita per imbalsamarti..”
“Io non sono imbalsamata! Solo.. non sta bene, ecco..”
“Non sta bene ballare ascoltando buona musica? E dove sta scritto?, sentiamo..”
“Beh io..io non lo so, ma..”
Lui saettò con le dita sui tasti, e fu come se il mio sangue bollisse. Quella musica..era elettrizzante!”
“Non puoi fare niente, questa roba, se sente il sangue giusto, ci si infila e si incastra nel tuo DNA..”
Io deglutì. Che musica era mai, quella?
Mi avvicinai piano. Lui mi osservò.
“Se non lo tocchi.. ti puoi avvicinare, se vuoi. Ma non toccarlo, ok?”
Io annui con vigore, e mi avvicinai. Osservai le dita di quel bambino schizzare di tasto in tasto come se la sua pelle l’avorio fossero calamitati. La musica si affievoliva, poi aumentava, poi andava calando, e poi ancora su di nuovo. Ero presa come non mai, rapita da quel suono che sentivo vibrare dentro, fino all’anima. Era come se un fuoco bruciasse dentro di me, mi sentivo viva. Lui, mentre suonava, ogni tanto mi buttava un’occhiata, come se mi stesse studiando. Alla fine della canzone, applaudì entusiasta.
“Sei fantastico, la tua musica è la cosa più bella che abbia mai sentito!”
Lui mi fece un cenno di gratitudine col capo.
“Grazie infinite, ma non è mio, il merito. Il merito è del jazz..”
“Jazz?” mormorai io.
Lui annui.
“L’unica musica al mondo che fa questo alle persone, è il jazz, piccola. Sappilo, d’ora in poi, se ti capiterà di sentire il sangue bollire, quando senti una musica strana. Se il sangue bolle..è jazz!”
Io sorrisi, ed annui. Lui fece altrettanto, e fece schioccare le dita. Era ufficiale, mi piaceva un sacco! Al diavolo i marmocchi di quel posto, e i loro stupidi preconcetti. Quel bambino era un mito, secondo me.
“Che bravo, sei..” mormorai, avvicinandomi ancora, ammaliata dai tanti bianchi e neri. “Piacerebbe anche a me saper suonare ..il jazz. E’ difficile?”
Lui denegò.
“Una volta capito il ritmo, le dita sanno dove andare a trovare le note giuste..”
Io annui. Allungai una mano verso un tasto.
“Capisco..questo che suono fa, un do?”
Un secondo, un battito di ciglio. Non saprei neanche dire se ero riuscita a vederla arrivare, né da dove. Tuttavia, era la, liscia e lucente: una lama, giusta giusta sotto al primo bottone della mia camicetta, a un pelo dal mio collo.
“Ehi..no..” esalai, tenendo bene in alto il mento, per non tagliarmi.
“Ti avevo avvisata,no? nessuno..tocca..il mio..pianoforte!”
Io ero confusa. Era una reazione esagerata al massimo! Che era capitato? Eravamo tranquilli, un secondo prima, parlavamo sereni, pochi istanti prima..perchè?
“Perché..perchè fai così?” mormorai.
Lui respirava a fondo, senza guardarmi.
“Lo stavi per toccare..” ringhiò.
“Non lo avrei rotto..”
“Io te lo avevo detto che non lo dovevi fare..”
“Non succedeva niente, se lo toccavo..”
“E’ MIO, CHIARO? NESSUNO DEVE AVVICINARSI AL MIO PIANOFORTE, NON Mi SEMBRA DÌ CHIEDERE LA LUNA! NON VOGLIO CHE VENGA TOCCATO, FINE DEL DISCORSO..”
“IL TO PIANOFORTE O TE, NON VUOI CHE LA GENTE TOCCHI, EH? SECONDO ME E’ SOLO UN CAPRO ESPIATORIO, IL TUO STRAMALEDETTO PIANOFORTE!”
Mi puntò gli occhi rossi addosso come dei fanali, scioccato a morte. Io respiravo a fondo, furiosa. Era chiaro, quale fosse il problema, ai mie occhi.
“Che..cosa?” disse lui.
Io grugnì.
“Tu con la scusa del piano, tiri su un muro attorno a te! Stai le ore a suonarlo non solo perché ti piace, ma per tenere su il tuo altarino di balle! I bambini credono che ti incavoli solo quando toccano il tuo pianoforte, e che tiri fuori le lame solo in quell’occasione, ma non è vero! Ti capita tutte le volte che perdi la calma, che ti spaventi o sei eccitato per qualcosa. Correggimi se sbaglio, ovviamente..”
Lui mi fissava come se dopo anni di ascolto di una lingua sconosciuta, io fossi arrivata lì parlando la sua.
“Come..come sai..” mormorò.
“Lo so perché..perchè in pare sono come te. Anche io..posso farle venire fuori, se voglio..”
A dirlo, mi ritrovai a sperare che non chiedesse di dimostrarlo. La vista delle mie lame mi era insopportabile.
Lui aprì un po la bocca, sbalordito.
“Tu..sei come me?”
Io denegai.
“Non del tutto, solo per metà. Tu sei nato arma da umani, per cui sei un arma pura. Io sono figlia di una maestra d’armi.. e di un arma.”
Che nausea..
“..e di conseguenza, sono arma solo a metà..”
Lui allontanò piano la lama dalla mia gola, e la osservò. Lo feci anche io.
“Bella..e grande, per l’età che hai. Diventerai bello grosso, da grande..”
“Sono..un’arma?”
Io annui.
“Quindi sono nato..sono nato..per uccidere, giusto?”
“Solo se devi, logicamente..”
Lui denegò con forza, allontanando la sua stessa lama da sé.
“io non voglio..io non voglio uccidere..io non voglio questo..”
“No, calmo, non hai capito niente..”
“IO NON VOGLIO UCCIDERE NESSUNO, IO NON SONO..UN MOSTRO!”
“Calmati, ti fai male se le agiti troppo..”
Aveva preso a falciare l’aria, come sperando che la sua stessa lama si staccasse dal suo braccio. Alcune volte, si sfiorò il viso. Lo dovevo fermare..
“Fermati, ti fai male..”
“STAI LONTANA DA ME!” urlò, in preda al terrore e alla collera.
“Basta, fermo, adesso..INSOMMA fermati, ho detto!”
Allungai la mano, e afferrai la sua lama, a mani nude. Lui rimase li, senza parole, osservando la scena impietrito.
 “Datti una calmata, adesso, chiaro? E fammi finire..”
“Come hai fatto..le lame dovrebbero..”
Io sbuffai.
“le tue lame sono la metà di quelle..di mio padre..mi viene facile tenerle con le mani, sono abituata, non mi taglio..”
Lui mi fissò attonito.
“Allora..allora non erano bugie. Tu..tu sai veramente..cosa sono..”
Io sospirai.
“CERTO CHSI, e se invece di fare tutto questo caos mi lasciassi spiegare, lo capiresti anche tu!”
Lui trasalì un po, stupito. Poi sbuffò, e annuì.
“Ok..spiegamelo..”
“Per?” dissi io, puntigliosa.
Lui borbottò, snervato.
“..favore, ok?”
Io annui.
“Ok, ehm..ah beh, in primis, metti via le lame, che ora non servono..”
Lui si morse un labbro, imbarazzato.
“Ah..ecco..vanno via da sole, dopo un po’..”
“No, devi saperle mandare via tu, altro che da sole! Ok..prendi un bel respiro, e cerca di rilassarti..”
Lui mi guardò un po scettico, ma prese bene il respiro, e chiuse gli occhi.
“Ok..ora butta fuori piano l’aria..”
Lui espirò piano. Con uno bagliore, la lama andò lentamente svanendo, e torno la manina candida del bambino. Lui era senza parole.
“Oddio..non ci aveva mai messo così poco!”
“Logico, tu evidentemente avevi sempre impiegato un secolo a calmarti. Le lame non fanno via, finché sei sotto pressione, sappilo!”
Lui annui, attento.
“Ok, ora dimmi perché.. perché sono nato così? Nessuno a casa mia è così, e i miei e le altre persone del mio paese hanno sempre avuto paura..di quelle maledette lame. Dimmi perché..per favore..”
Io annui, sorridendo dolcemente. Era un leone feroce, vero, ma ancora cucciolo. Il mostro tanto temuto, aveva più paura dei suoi artigli delle sue stesse prede. Passarono svelte un paio d’ore, mentre raccontavo al quella piccola falce impaurita l’origine della sua straordinaria natura. Mentre ascoltava, sentivo e vedevo scemare in lui il timore, sostituito dalla ragione e dal senso logico. Alla fine, ero certa che una nuova conoscenza di sé stesso gli fosse nata dentro. Un nuovo io, in poche parole.
“Ok, fammi vedere se ho capito..” disse, leccandosi le labbra e cercando le parole. Io annui, decisa.
“Allora..Io non sono, come tutte le armi degne di questo nome, una creatura malvagia, anzi. Io sono destinato, se lo voglio, alla difesa delle persone innocenti. Io non sono unico al mondo, così, ce ne sono tantissimi, di bambini come me che possono trasformarsi. Io..io posso, se seguirò un buon allenamento nella scuola del capo di tuo padre, diventare padrone delle..delle mie lame, e posso smettere di aver paura di esse e di far male a qualcuno, con esse. E poi..ah si, è anche possibile che un..ah si, un maestro d’armi un giorno mi impugni come arma completa, una volta che avrò imparato a trasformare tutto il mio corpo come il tuo papa..senza però fare schifo come lui..giusto?”
Io annui entusiasta.
“Hai capito perfettamente, bravissimo!”
Lui rise, soddisfatto.
“Cavolo..se questa roba è vera..non è niente male, come programma! Imparare a domare le mie lame..diventare un’arma demoniaca perfetta. Beccarmi un maestro d’armi e diventare un guerriero contro i nemici dello..ah mi scappa il nome, scusa..”
“..Shinigami, sommo Shinigami!” dissi io.
“Quello! Beh, ragazzina, è ufficiale: se quello che dici è vero..ci sto!”
Io saltai su, in preda alla gioia.
“Oh non te ne pentirai, e so che diventerai il migliore!”
“Beh è scontato, se tu rimarrai con me, anche io so che non avremmo rivali. Io e te diventeremo i migliori!” Disse lui, saltando insieme a me.
Io lo guardai.
“Io..e te?”
Lui annui, sorridendomi.
“Si, tu ed io. Io non avuto niente dalla vita, prima che arrivassi tu. Tu mi hai capito come nessuno aveva fatto mai, e di questo avrò grazie in eterni, per te. Mi hai aiutato a capire chi sono, ed è un altro bel debito anche questo. E poi..hai dato senso alla mia vita. Beh mi sembra palese.. ho un debito a vita con te. Perciò, per sdebitarmi, vorrei diventare la tua arma.. se mi vuoi..”
Ero senza parole. Era una proposta bellissima, ed ero quasi sul punto di accettare, quando mi ricordai di un dettaglio.
“Non posso. Io..io non sono una maestra d’armi completa. Io..sono nata arma. Non credo..che potrò tenere un’arma..”
Lui rimase interdetto. Poi, immusonito, tornò al pianoforte.
“Allora non se ne fa niente, rimango qua a fare il mostro..”
Io lo guardai sbigottita.
“Ma no! tu hai un futuro davanti, diventerai fortissimo..
“Non senza di te! Se non posso avere te come maestra..allora nessuno mi avrà come arma.”
Io lo guardai, senza sapere come replicare.
“No dai, ascolta, io..”
“Lo vuoi davvero, piccola falce?”
Mi voltai. Papà era davanti alla porta della camera del bambino. Era serio, quasi arrabbiato. Ops..
“Oh..ciao..papà”
Il bambino sgranò gli occhi, e corse verso di me.
“Lui..lui è il tuo papà?”
Io annui. Lui prese a guardarlo con aria ammaliata. Lo capivo, credo. Papà era la prova tangibile di come una falce come lui poteva diventare. Beh, sorvolando le porcherie era  vero, non era malaccio come esempio, aveva ragione lo Shinigami..
“Allora? Ti ho fatto una domanda..”
Il bambino sussultò. Poi, lentamente,annui.
“Si..è ciò che voglio..”
Mio padre annui.
“Bene. Come tua scelta, non seguirai i corsi di addestramento delle armi demoniache, ma non rimarrai qui, tranquillo. Verrai spostato in un istituto nel nostro paese, dove potrai sviluppare indisturbato le tue doti insieme ad altre giovani armi come te. La domanda di trasferimento è già stata inoltrata e firmata, ti posso portare via anche adesso, se vuoi. Grazie per aver fatto compagnia a mia figlia, comunque. Maka, cammina, andiamo a casa, tua madre era preoccupatissima, piccola monella..”
Io guardai mio padre, poi il bambino. Mi sentivo a terra da matti. Lo avevo lusingato per niente..
Mentre camminavamo nel corridoio, il bambino mi prese la mano.
“non sono arrabbiato con te, tranquilla. Io sto bene così, in fondo. Mi basta andare via da qui e sapere che dove andrò..sarò trattato come giusto che sia, e non come un animale. Tu però ogni tanto, vieni a trovarmi, ok? Voglie vedere cosa combini..”
Io annui, e mi salirono le lacrime. Che odio..se solo quel maledetto di mio padre non fosse stato un’arma..se non avessi preso da lui..se avessi preso da mamma come volevo..maledizione, odiavo la mia natura, la odiavo davvero! Io non volevo essere arma, io volevo essere maestra d’armi. Lui sarebbe stato al sicuro con me, E io con lui, forse, avrei imparato a fidarmi degli uomini. Perché lui sarebbe diventato un uomo, ma sarebbe stato diverso dagli altri, lo sentivo dentro, come il jazz. Saremmo diventati grandi insieme Io sarei stata la sua maestra d’armi e lui il mio partner..maestra d’armi..la sua maestra d’armi!
“Maka!”
Riscossa a forza dai miei pensieri, guardai mio padre, e poi il punto che stava fissando. Mi si sbarrarono gli occhi. La mia mano, nella mano del bambino, aveva preso a spigionare una luce stranissima.
“Papà..che sta succedendo?” chiesi.
“Oh piccola..sei tu! È la tua..anima!”
Si, ora che lo diceva, la sentivo anche io. La mia anima stava vibrando dentro di me. Ma non capivo..perchè?
“Perché?” mormorai.
Mio padre sospirò, poi sorrise.
“Beh..hai visto, piccola mia. Su, lascialo andare, adesso..”
Piano, lasciai la presa attorno alla mano del bambino. Lui mi guardava stranito, confuso.
“Che significa? Che vuol dire che ho vinto?”
Mio padre sorrise, ma sembra decisamente sconsolato. Poi, d’un tratto, divenne serio, e avanzò brusco verso il bambino.
“vediamo di mettere in chiaro due cose, dunque..” ringhiò. “Quello che mia figlia ha fatto per te, moscardino, è più raro che unico, guai se ci sputi sopra anche solo per scherzo, chiaro? Da te voglio il massimo, e la massima serietà. T’avverto.. fai un passo falso, mancale di rispetto, azzardati a sfiorarla con un dito armato di intenti malsani..e io ti apro come una scatola di sardine..intesi?!
Il bambino per una manciata di secondi fissò mio padre come stralunato. Poi assunse uno strano sguardo sprezzante, e lo allontanò schifato.
“Ah non rompere. Secondo te, solo perché tu sei un porco, lo devo per forza essere io pure? No, bello, cambia aria! Lei per me è un tempio, guai a chi la tocca. Io ho rispetto per le donne.. a differenza di certi porci che fanno le porcate davanti alla propria bambina..”
Mio padre rimase di sale. Io dal canto mio, avevo una gran voglia di riempire quel bambino di baci. Era..un..mito!
“Ehi..” disse poi il bambino rivolto a me. “A me non va di andare in un altro manicomio come questo, a dire il vero, seppure pieno di mini armi, come me..Non è che potrei, ecco.. stare con te?”
Mio padre trasalì come folgorato. Ma prima che potesse replicare, lo battei sul tempo.
 “Certo! vieni a casa con me, niente istituti, così studieremo insieme! Rimarrai con me fino all’inizio della scuola, poi immagino che divideremo uno degli appartamentini lì vicino per gli studenti, eh?”
“Ok..basta che non mi tocca vedere il vecchio porco all’opera, ok? Ah, a proposito..”
E si voltò verso mio padre.
“Che intendi con “quello che ha fatto mia figlia”?”
Mio padre lo guardò torvo.
“Mia figlia ha surclassato la sua natura di arma per dar sfogo a quella della maestra d’armi, caro il mio sbruffoncello, e lo ha fatto per te! Non immagini neanche quanto sia difficile fare una cosa simile..”
Lui mi guardò stupito. Eravamo in due. Come avevo potuto fare..una cosa simile?
In macchina, al ritorno, non facemmo che discutere del nostro futuro. Mio padre era verde di rabbia, riflesso nello specchietto retrovisore.
“Cavolo..quanto debiti devo ancora tirare su con te, eh? Anche la tua natura, hai schiacciato, per me..Uff, odio essere in debito, è..è così da perdente, è..è poco..fico, ecco..”
“Fico?” dissi, confusa.
Lui annui.
“Si, ma non darti pensiero, mi sdebiterò. Vedrai che da qui a un anno, non mi riconoscerò nemmeno. Vedrai..sarò l’arma più fica di sempre!”
Io sorrisi.
“E io sarò la maestra d’armi più fica di sempre!”
Lui emise un verso di disappunto.
“Ah..beh avrai un pacco di lavoro da fare, bella mia. Come si suol dire: fichi si nasce. E io, modestamente..”
“Pavone! Io non ti reputo poi così fico..”
“Ah, a chi la racconti? mi stavi sbavando dietro, prima, mentre suonavo, piccola..”
“Per la musica, mica per te, megalomane!” sbottai.
“Ah già, vero, hai detto che detesti gli uomini, giusto..ehi!”
Mi guardò interrogativo.
“Io sono un uomo. Com’è che non mi detesti?”
Io feci spallucce.
“Perché tu..tu sei diverso.”risposi.
“Diverso..in male o in bene?”
“In bene, scemo!” dissi ridendo.
Lui si morse il labbro.
“Senti..mi devi promettere una cosa, e devi essere sincera. Mi devi promettere..che non avrai mai segreti con me, voglio che tu ti fidi di me, ok? In cambio, prometto che ti starò sempre vicino, avrò sempre cura di te, e non permetterò a nessuno di toccarti neanche con un dito.”
Io lo guardai. Mi era sorto un dubbio.
“Hei, dimmela tu ora una cosa..perchè vuoi proprio me, come maestra d’armi?”
Lui mi guardo, e sorrise.
“Perché tu, dopo tanto tempo..mi hai guardato, parlato, perfino toccato..senza avere paura di me.”
Qualcosa mi saltò nello stomaco, come il guizzo di un pesce. Che cosa triste..
“No” risposi, la gola annodata. “No, io e te non avremmo mai segreti, ti dirò tutto. Ti prometto che mi fiderò sempre di te e..non avrò mai paura..di te..mai!”
“Brava! Ora si che parli da fica, piccola..”
 “E piantala di chiamarmi piccola. Io ho un nome!”
Lui si interdisse.
“Vero..non ci siamo ancora presentati!”
Io lo guardai stupita. Poi sorrisi, e gli porsi una mano.
“Che testa..sono la tua maestra d’armi, e non sai nemmeno come mi chiamo. Maka, comunque, Maka Albarn.”
“Beh, Maka, io sono la tua arma, e nemmeno tu sai il mio nome..”
Io arrossì. Era vero..
Lui rise.
“Rilassati, vivrai il doppio. Comunque il mio nome è Suol Eater Evans, ma è lungo una settimana, e mi rompe, per cui.. chiamami solo Soul, ok?”
“Ok..Soul” dissi piano. Soul annui.
“Era da un pezzo che non sentivo pronunciare il mio nome.. Ripetilo..”
Io risi.
“Dai, per favore..”
“Ok, va bene..Soul.”
“Maka!” esclamò lui, ridendo.
“Soul!” risposi io, le lacrime dal gran ridere.
Maka..
Soul..
Maka..
Soul..
“Maka..Maka!”
“Mh..Soul?”
“No, sono kid..avanti, svegliati, Maka!”
Io pari gli occhi. Ero distesa in un letto nell’infermeria della Shibusen. Ma come..
“Era ora, dormigliona, hai dormito tutta la sera e tutta la notte. Se non venivo a svegliarti, mi sa che dormivi anche tutta la mattina, eh?”
Dormito? Avevo..avevo dormito?
“Mi..mi sono addormentata?” chiesi, ancora confusa.
Kid annui.
“Tutti ci siamo addormentati, Black Star ci ha mandati al tappeto! Meno male che dovevi essere tu quella che doveva prolificarsi mandandoci in coma. Dopo averci raccontato si te e Soul, è partito con le sue leggendarie avventure e ci ha spediti dritti in braccio a Morfeo. Che baggiano..”
“Ah..capisco. beh grazie di avermi svegliato, kid..”
“A dire il vero, mi sono svegliato poche ore fa anche io. Ti ho lasciato dormire, dato che eri esausta. E poi..lui ha detto che se qualcuno si azzardava a svegliarti, lo facevi a fettine..”
Io risi piano.
“Ah si..Suol sa che la mattina sono un po orsa, ma..Soul!”
Me ne ero resa conto solo allora. La mia mano.. la mano che teneva quella di Soul..era vuota!
Scattai in piedi. Mi guardai intorno. A parte kid, ero sola..
“Dov’è Soul?” chiesi.
Kid mi voltò le spalle, e andò verso l’uscita. Lo fermai, brusca.
“Rispondimi!” ringhiai.
Lui mi guardò con aria esasperata, sposto la mia mano dalla sua spalla, e aprì i portino dell’infermeria. Poi, prese il mio polso e mi trascinò fuori, e mi spinse nel corridoio. In fondo ad esso, davanti all’entrata del giardino, visi Soul. Era in piedi, col suo solito giubbotto in pelle nera da motociclista mancato, col suo cerchietto nero tra i capelli argentei, le mani nelle tasche dei jeans e il sorriso strafottente ben marcato sul viso. Si, impossibile confondermi: era proprio il mio Soul.
“Hei, ce ne hai messo di tempo a riemergere dal sonnellino, eh? Mi hai fatto preoccupare.. piccola.” disse, ridendo.
Le lacrime presero a scendere come calde cascate dai miei occhi. Spiccai la corsa verso di lui. Ma quando mancavano pochi metri, la dottoressa Medusa, mi bloccò.
“Aspetta! Rischi di fargli male, le sue ferite non sono ancora guarite del tutto!”
Io frenai di colpo. Le avevo scordate.. le sue ferite.
“Oh mi faccia il piacere..” sentenziò Soul, annoiato. “Ma le pare che un acciuga senza sale come Maka possa scalfire un muro di cemento armato come me? Carica pure quanto ti pare, fringuello..”
Io lo guardai, e senza smettere di piangere, scoppiai a ridere. Un secondo dopo, gli volai tra le braccia, e le cose più belle di sempre mi pervasero: La vibrazione della sua anima, il calore del suo abbraccio, la sicurezza della sua persona, il suo profumo..
Senza sapere bene perché, forse ubriaca di quelle sensazioni che amavo tanto, sussurrai: “Ti amo, Soul..”
Lui mi guardò sgomento, poi sorrise.
“Brava..” mormorò.
Lo allontanai brusca.
“Bra..brava? che accidenti di risposta è “brava”?”
Mi stavo già quasi pentendo di aver detto alcunché..
Lui fece spallucce.
“Beh, perché no? io non ci sono mai riuscito e non riuscirò mai a dirti una cosa simile, quindi..brava!”
“Ah si? E perché non ci riesci, sentiamo..”
Soul assunse un espressione sofferente.
“Che palle, Maka.. è una cosa smielata, non da me..”
“Beh chissene! Non mi puoi piantare tutto qui con un “brava” e levare le tende..farei la figura dell’idiota!”
Soul sbuffò.
“Com’è che sono sempre io il fesso che finisce in debito, qua? Uff..ok, facciamo così, che mi riesce pure meglio, mi sa..”
E senza preavviso, mi baciò. Per un attimo, ebbi quasi paura che la mia anima prendesse fuoco. Fu come la prima volta che ascoltai il jazz suonato da Soul.. amplificato di un milione di volte.
Quando mi lasciò andare, non sapevo neanche dov’ero.
“Eh si.. l’ho sempre detto:  fichi si nasce. E da buon fico, le parole non mi servono a molto..”
Io lo guardai.
“Non sei fico..sei un montato di testa..”
“Sinonimi..” mormorò sghignazzando. “Il “brava” comunque, lo confermo. Sei diventata fica a mia insaputa, eh? Trovare il coraggio di dire quella frase non è da tutti. C’è gente, pensa, che non ne ha il fegato, hanno..tipo paura, si..”
Io gli posai un dito sulla bocca per zittirlo, e stavolta fui io a baciarlo. Poi sorrisi, e gli mormorai.
“Io non ho paura..”
 
FINE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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