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Autore: Jaccquelyn    29/08/2012    34 recensioni
Ognuno vive a modo proprio, siamo noi a decidere cosa fare di noi stessi.
Eppure a volte questo non è possibile e vieni costretta a seguire dei severissimi codici.
Ma c'è sempre un modo per esprimersi, bisogna solo trovarlo.
Così, quando lo scopri, capisci qual'è il tuo ruolo nel mondo.
Ma cosa succede se ti fidi delle persone sbagliate?
Se tutta la tua esistenza viene scombussolata, con poche parole?
Nella vita reale, non in quella dei film, c'è davvero un lieto fine?
E c'è posto,in tutto questo, per l'amore?
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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‘Vivo in un piccolo paese sconosciuto dell’Inghilterra, Holmes Chapel. Sconosciuto a tutti tranne che agli abitanti, probabilmente non è neanche sulla cartina geografica, tanto a chi interessa? Non succede mai niente di emozionante. Siamo un paesino per bene, tutti fanno il proprio lavoro senza scandali. Niente di segreto, niente di nascosto. Le vecchie ti controllano dal balcone se sei in strada, i genitori se sei in casa. A scuola sono tutti educati.

                                                     

Facciamo schifo.

 

Mai mi è capitato di esaltarmi per qualcosa in sedici anni di vita. È fisicamente impossibile vivere così! Come si fa a essere amici di tutti? Come possono non esserci mai tragedie, scoop, pettegolezzi di cui parlare? Perché nessuno cerca di distinguersi dalla massa e fare un po’ di clamore, suscitare scalpore?’

 

Relazione finita. La consegno alla professoressa e torno al mio banco. Holmes Chapel. Cittadina noiosa, noiosissima, si direbbe. Beh, per chi non la conosce. E sembra che siamo veramente in pochi a conoscerla davvero e a gustarsi a fondo tutta la vita che c’è dentro. Tutti gli adulti sono convinti che sia il migliore paese del mondo, pulito dalle sozzerie degli adolescenti educati male. E gli adolescenti glielo fanno credere. Perché sono intelligenti, molto. Non lo dico solo perché sono una di loro, però. E’ la verità.

Se noi provassimo a disturbare questo grande cerchio vitale di questa piccola cittadina, succederebbe il fini mondo. Cosa farebbe il sindaco senza i suoi premi di paese più pulito d’Inghilterra? Cosa farebbero i vecchietti senza poter farlo diventare sempre più bello e sano con alberi e piante? E gli adulti in generale, senza avere un lavoro perfetto, dei figli perfetti e una vita perfetta in una cittadina perfetta?

Impazzirebbero.

Non possiamo strappare la gente dal proprio mondo, sarebbe barbaro e inappropriato, contando che è la nostra gente. Quindi continuiamo a farli vivere secondo la concezione di perfezione che si sono creati e non li disturbiamo. Mai.

Il nostro lavoro lo facciamo di notte, quando loro sono a dormire già da un pezzo per non fare ritardo il giorno seguente. Tutta la città va a letto alle nove di sera e per le nove e mezza non trovi più nessuno che è sveglio. A parte noi. Poi tutti si svegliano alle sette per intraprendere un’altra noiosissima giornata sempre uguale alle altre.

 

Ma noi no. Siamo diversi. Si, il giorno seguiamo il programma da manuale e facciamo i bravi, ma è la notte che la città si accende davvero, come non lo è mai con la luce del sole. È la notte che gli adolescenti vengono fuori a fare il proprio lavoro. È la notte che porta la magia.

Intendiamoci, non è così per tutti. Ci sono certi ragazzi che sono da manuale anche loro e andranno poi a seguire le orme dei genitori e forse sono anche in maggioranza.

Non che a noi interessi. Tanto è una cosa segreta, e deve rimanere tale.

 

-Dixon, attenta.- mi richiama la professoressa d’inglese, la Brown. Tutti si girano verso di me come se avessi commesso un reato, perché ineffetti non prestare attenzione a scuola è quasi un reato, qui. Non mi piace il mio cognome e odio essere chiamata con il mio cognome.. Dixon, Dixon, mi sa troppo di detersivo. Purtroppo non posso cambiarlo. Il mio nome invece potrei cambiarlo, anche se poi tutti mi indicherebbero per strada, ma non vorrei lo stesso. Eveleen mi piace. A Holmes Chapel c’è una sola Evellen. E sono io. Per questo mi piace. Gli amici però mi chiamano… aspetta, non possiamo usare soprannomi, ci distingueremmo troppo. Loro mi chiamano Leena.

-Si, professoressa. Scusate.- le rispondo educatamente, come è previsto che io faccia. Così, mi arriccio i capelli mori con le dita e lancio una breve occhiata al secondo banco, dove è seduto Buck, incrociamo lo sguardo per pochi secondi ma so a cosa sta pensando. Tranquilla Leena, ti sfogherai stasera. Si, lo farò di sicuro e al pensiero i miei occhi castani, poco più scuri dei capelli, iniziano a illuminarsi.

Anche Buck è l’unico a chiamarsi così in tutta Holmes Chapel. All’inizio scherzavamo su questo fatto ed è così che siamo diventati amici e lui mi ha invitato a far parte di loro. Sia benedetto quel giorno.

Comunque, Buck non si contraddistingue solo per il nome ma anche per la sua altezza. Gli arrivo a malapena al petto, che, inoltre, è davvero ben allenato. Infatti guardare i suoi occhi a mandorla è difficile, ma ne vale anche la pena grazie al verde di cui sono fatti. Nonostante tutto io continuo a prenderlo in giro perché Buck mi sembra tanto il nome che si dà in genere a un cane, ma quando lo faccio lui tira fuori la carta Dixon.

 

A scuola indossiamo un’uniforme, tutti uguale. I maschi pantaloni blu, camicia bianca e scarpe blu eleganti e verniciate. Le femmine gonna blu, camicia bianca, scarpe blu eleganti e verniciate e calze che arrivano al ginocchio che sembrano fatte di seta. Per quanto riguarda il periodo primaverile ed estivo. D’inverno le nostra calze sono più spesse ed entrambi i sessi aggiungono un pullover blu.

Siamo una massa uniforme di stessi ragazzi e ragazze che camminano nella scuola per studiare esattamente le stesse cose. Non sono permessi i commenti personali agli insegnanti, chi li aggiunge viene licenziato all’istante.

È successo, una volta.

 

Era il mio professore preferito, il professor Robinson. Si faceva chiamare per nome, Doug, e già questo era un enorme eccesso alla regola di base. Ma non è per questo che è stato licenziato. Era un professore di storia delle medie quindi doveva semplicemente seguire il programma e interrogare i ragazzi. Ma non faceva così.

Lui ci spronava a distinguerci. Diceva che non saremmo finiti da nessuna parte, continuando così. Dovevamo andare via per poter vivere davvero, perché in questo paese c’era tutto tranne che vita. Pensate che tutti questi grandi personaggi storici, disse una volta, abbiano fatto le loro grandi imprese rispettando l’orario della colazione e vestendosi come gli altri? Pensate davvero che sia rispettando le regole che lascerete il segno in questo mondo? Esprimetevi. Non uniformatevi alla massa e trovate la vostra vera persona.

Mi ha ispirato Doug. Esprimersi. Questa è la mia filosofia di vita, con loro. Durante il giorno purtroppo devo uniformarmi e cercare di non cacciarmi nei guai, perché i guai li porta la notte. Ma le parole di Doug mi rimasero impresse nella mente come pochissime altre cose.

 

Seguo la lezione senza veramente ascoltare e se la professoressa lo sapesse probabilmente rimarrebbe, come minimo, indignata. Ma poi la studierò pomeriggio, dalle tre alle cinque, nell’orario in cui si devono svolgere i compiti. Si devono fare e non puoi evitarlo semplicemente perché il lavoro di alcuni adulti, per fortuna non i miei genitori, è proprio quello di sorvegliarci mentre li svolgiamo. Non si può parlare, né mettere in pausa il cervello per cinque minuti.

Quando suona la campanella non mi scompogno e aspetto il mio turno per uscire dalle classe, poi mi dirigo verso la mensa, perché è scattata l’ora di pranzo. Tutti abbiamo dei posti assegnati, non possiamo sceglierli noi. I tavoli sono composti da venti posti e ogni classe ha un tavolo. Guarda caso, io non entro nel tavolo della mia classe e quindi sono stata assegnata al tavolo del quarto anno. Una del terzo tra diciannove del quarto.

Ma non mi preoccupo, perché dobbiamo mangiare in silenzio e poi abbiamo dodici minuti, prima di rientrare in classe, per mantenere una sana e composta conversazione. Di questo tavolo solo io e altre due persone, Aaron e Aaliyah, fanno parte di noi. Sono gemelli, ma non ho mai approfondito la loro conoscenza, anche se tutti e tre sappiamo di che pasta siamo fatti. Mi sorridono sempre. E come non ricambiare? Loro sanno distinguersi. È difficile che mi stia antipatico uno di noi, perché so che sono come me, infondo. Vogliono esprimersi.

Sono seduta tra Zayn e Ivy, oggi. C’era già il mio nome sulla sedia, dovevo occuparla afforza. Mangiamo tutti silenziosamente il nostro pudding e la nostra insalata scondita. La sala è talmente silenziosa che potrei far cadere il tappo di una penna e risulterebbe un rumore assordante. Dopo quattordici minuti suona una piccola campanella, meno forte di quella delle lezioni, che dà inizio ai nostri dodici preziosi minuti.

-Eveleen, dove studi oggi?- mi chiede Zayn. E’ un ragazzo in gamba, credo. Non è ‘reato’ studiare da altre persone perché si è comunque sorvegliati.

-A casa.- gli rispondo.

-Cambiamolo in ‘a casa tua, Zayn’.- ribatte lui. Non puoi avere una relazione con un ragazzo prima dei venti anni, quando hai undici mesi di tempo per trovare marito e sposarti. Però Zayn è sempre avventato con le ragazze. Non ne ha mai avuta una, ovviamente, ma si comporta come uno che ci sa fare parecchio. Ineffetti, penso anche che possa permetterselo, in un certo senso. Non ha la carnagione chiara e questo contrasta i suoi occhi che sono castani tendenti al giallo.

-D’accordo.- gli concedo. Perché tanto non mi cambia niente, non potremo comunque parlare o fare qualsiasi altra cosa che non riguardi lo studio.

Zayn mi sorride e si gira verso Louis, un suo amico, per parlare compostamente con lui. Io gli sorrido di rimando e mi giro verso il mio bicchiere, un mio grande compagno di conversazione, per aspettare che suoni la campana.

-Eveleen, tu che ne pensi?- mi chiede Isabel, la classica ragazza perfetta con capelli biondi, occhi azzurri e pelle da favola. Non ho seguito la conversazione e mi scoccia sorbirne il riassunto, quindi rispondo con un semplice: -Secondo me hai ragione tu.- che non può causarmi problemi. Lei si gira verso Celeste, la sua migliore amica uguale a lei, e le fa uno sguardo malizioso che sottintende Vedi? Ho sempre ragione, io.

 

Driiin Driiin Driiin. È suonata la campanella e si torna alle aule, tavolo per tavolo, senza fare confusione. Questa è la campanella del primo tavolo.

Driiin Driiin Driiin. Secondo tavolo. Mi mancano ancora dieci campanelle, aspettare è davvero straziante. Ma ovviamente lo faccio. E, suonata la mia campanella, mi alzo dalla sedia, la rimetto a posto e vado verso l’aula. C’è un ultima lezione dall’una alle due, poi possiamo andare a casa a riposare e dopo si fanno i compiti.

… No, poi dobbiamo andare a casa a riposare e dopo si fanno i compiti. Contando che sto sveglia per tutta la notte, avere un’ora di riposo il pomeriggio di certo non mi dispiace.

Aula di disegno. Non si può essere creativi neanche qui. Ti siedi, metti il grembiule, prndi una tela e cerchi di riprodurre al meglio quello che il professore appende alla lavagna. Alcuni sono proprio bravi, come Desmond che è uno di noi e ci è molto utile. Io faccio pena. Sono eccezionale solo in educazione fisica, nel resto vado bene –perché non si può andare male- e in arte me la cavo lo stesso grazie ai resoconti orali.

 

-Salve mamma, buon pomeriggio papà.- dico arrivata a casa ai miei genitori. Perché dobbiamo essere formali anche con loro, e rispettarli, soprattutto. –Terrie è tornata?- gli chiedo dopo. Terrie è mia sorella, ma non è una di noi. E’ troppo pericoloso per lasciarglielo fare. Le voglio bene. Anche se non quanto a loro. Perché è difficile voler veramente bene a qualcuno che non conosci e io non la conosco. Né conosco i miei genitori. Perché non posso. Con tutta la giornata programmata non ho il tempo di conoscere la mia famiglia, il che è alquanto deprimente.

-Si, è già in camera sua. Vai a dormire.- mi risponde papà, che sembra freddo grazie al suo aspetto ma se lo conosci scopri che è peggio delle tue aspettative. Annuisco e vado in camera. Ho una camera tutta mia, Terrie anche e i miei genitori la stessa cosa. C’è anche una camera in più nel caso ci dovesse essere un altro bambino. Poi basta. Perché anche volendo non si possono avere più di tre figli. Se scoprono che sei incinta ti fanno abortire, quindi si preferisce prevenire.

Mi metto sotto le coperte, nonostante sia estate, e mi addormento all’istante.

 

Un rumore acuto mi sveglia alle tre meno due minuti, per dirmi di prepararmi a studiare. Prendo i libri e vado a casa di Zayn, che non è lontana dalla mia.

Quando busso mi viene ad aprire lui con un sorriso, ma intravedo già una signora rigida dietro di lui, che sicuramente non è la madre. Sposto velocemente lo sguardo da lei e lo dirigo su Zayn, sorridendogli di ricambio. Poi mi conduce di sopra, mi fa entrare nella sua camera, fa entrare la signora e si richiude la porta alle spalle.

Ci mettiamo entrambi alla sua scrivania che è abbastanza grande da ospitare tutti i nostri libri e iniziamo a studiare, sotto lo sguardo attento della signora. Non tutti i guardiani, perché si chiamano così, sono rigidi. Alcuni scherzano anche con te. A bassa voce però, per non farsi sentire. Ma la grande maggioranza è come questa signora. Si siedono alle nostre spalle con la schiena eretta e le gambe accavallate. E ci guardano. Per tutto il tempo, in silenzio.

                     

L’unico lato positivo è che non ti vedono in volto, quindi ogni tanto io e Zayn ci scambiamo occhiate e sorrisi, giusto per combattere la monotonia. Ma non possiamo fare più di questo.

 

Dooon. Dooon. Dooon. Dooon. Quattro rintocchi di campana. Il tempo di studiare è finito che tu abbia terminato i tuoi compiti o meno.

Ora abbiamo un po’ di tempo per noi dove possiamo fare ciò che vogliamo –più o meno- senza però disturbare la quiete pubblica.

-Andiamo in piazza?- mi chiede Zayn.

-Si, prima passo da casa a posare i libri.- così mi accompagna in casa e di nuovo fuori, diretti alla piazza. La piazza si trova esattamente al centro di Holmes Chapel ed è abbastanza grande e piena di verde, con tanti fiori disposti strategicamente per disegnare un semi cerchio colorato. Dai balconi delle case intorno sono sporte tutte le vecchiette più fortunate. Più fortunate poiché in piazza si sentono i discorsi migliori, in genere.

Ma io e Zayn non abbiamo tanta voglia di parlare. Passeggiamo un po’, stiamo sdraiati sull’erba e ci scambiamo al massimo qualche battuta. Poi lui fa un gesto totalmente inaspettato sotto lo sguardo sconvolto delle vecchie. Prende un fiore blu e lo infila tra miei capelli con un sorriso. E da qui capisco che anche lui non ne può più di questa vita. Perché questo è come un gesto di ribellione, in un paese come questo.

E penso che, forse, ci sono molti più ragazzi di quelli che noi conosciamo che vogliono esprimersi. E noi dovremmo permetterglielo.

 

 

   
 
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