‘Vivo in un piccolo paese
sconosciuto dell’Inghilterra, Holmes Chapel. Sconosciuto a
tutti tranne che
agli abitanti, probabilmente non è neanche sulla cartina
geografica, tanto a
chi interessa? Non succede mai niente di emozionante. Siamo un paesino
per
bene, tutti fanno il proprio lavoro senza scandali. Niente di segreto,
niente
di nascosto. Le vecchie ti controllano dal balcone se sei in strada, i
genitori
se sei in casa. A scuola sono tutti educati.
Facciamo schifo.
Mai mi è capitato di
esaltarmi per
qualcosa in sedici anni di vita. È fisicamente impossibile
vivere così! Come si
fa a essere amici di tutti? Come possono non esserci mai tragedie,
scoop,
pettegolezzi di cui parlare? Perché nessuno cerca di
distinguersi dalla massa e
fare un po’ di clamore, suscitare scalpore?’
Relazione finita. La consegno alla
professoressa e torno al mio banco. Holmes Chapel. Cittadina noiosa,
noiosissima, si direbbe. Beh, per chi non
Se noi provassimo a disturbare
questo grande cerchio vitale di questa piccola cittadina, succederebbe
il fini
mondo. Cosa farebbe il sindaco senza i suoi premi di paese
più pulito d’Inghilterra?
Cosa farebbero i vecchietti senza poter farlo diventare sempre
più bello e sano
con alberi e piante? E gli adulti in generale, senza avere un lavoro
perfetto,
dei figli perfetti e una vita perfetta in una cittadina perfetta?
Impazzirebbero.
Non possiamo strappare la gente dal
proprio mondo, sarebbe barbaro e inappropriato, contando che
è la nostra gente.
Quindi continuiamo a farli
vivere secondo la concezione di perfezione che si sono creati e non li
disturbiamo. Mai.
Il nostro lavoro lo facciamo di
notte, quando loro sono a dormire già da un pezzo per non
fare ritardo il
giorno seguente. Tutta la città va a letto alle nove di sera
e per le nove e
mezza non trovi più nessuno che è sveglio. A
parte noi. Poi tutti si svegliano alle sette per
intraprendere un’altra
noiosissima giornata sempre uguale alle altre.
Ma noi no. Siamo diversi. Si, il
giorno seguiamo il programma da manuale e facciamo i bravi, ma
è la notte che
la città si accende davvero, come non lo è mai
con la luce del sole. È la notte
che gli adolescenti vengono fuori a fare il proprio lavoro.
È la notte che
porta la magia.
Intendiamoci, non è
così per tutti.
Ci sono certi ragazzi che sono da manuale anche loro e andranno poi a
seguire
le orme dei genitori e forse sono anche in maggioranza.
Non che a noi interessi. Tanto
è
una cosa segreta, e deve rimanere tale.
-Dixon,
attenta.- mi
richiama la professoressa d’inglese,
-Si,
professoressa. Scusate.- le rispondo educatamente, come
è previsto che io faccia. Così,
mi arriccio i capelli mori con le dita e lancio una
breve
occhiata al secondo banco, dove è seduto Buck, incrociamo lo
sguardo per pochi
secondi ma so a cosa sta pensando. Tranquilla
Leena, ti sfogherai stasera. Si, lo farò di sicuro
e al pensiero i miei
occhi castani, poco più scuri dei capelli, iniziano a
illuminarsi.
Anche Buck è
l’unico a chiamarsi
così in tutta Holmes Chapel. All’inizio
scherzavamo su questo fatto ed è così che
siamo diventati amici e lui mi ha invitato a far parte di loro. Sia benedetto quel giorno.
Comunque, Buck non si
contraddistingue solo per il nome ma anche per la sua altezza. Gli
arrivo a
malapena al petto, che, inoltre, è davvero ben allenato.
Infatti guardare i
suoi occhi a mandorla è difficile, ma ne vale anche la pena
grazie al verde di
cui sono fatti. Nonostante tutto io continuo a prenderlo in giro
perché Buck mi
sembra tanto il nome che si dà in genere a un cane, ma
quando lo faccio lui
tira fuori
A scuola indossiamo
un’uniforme,
tutti uguale. I maschi pantaloni blu, camicia bianca e scarpe blu
eleganti e
verniciate. Le femmine gonna blu, camicia bianca, scarpe blu eleganti e
verniciate e calze che arrivano al ginocchio che sembrano fatte di
seta. Per
quanto riguarda il periodo primaverile ed estivo. D’inverno
le nostra calze
sono più spesse ed entrambi i sessi aggiungono un pullover
blu.
Siamo una massa uniforme di stessi
ragazzi e ragazze che camminano nella scuola per studiare esattamente
le stesse
cose. Non sono permessi i commenti personali agli insegnanti, chi li
aggiunge
viene licenziato all’istante.
È successo, una volta.
Era il mio professore preferito, il
professor Robinson. Si faceva chiamare per nome, Doug, e già
questo era un
enorme eccesso alla regola di base. Ma non è per questo che
è stato licenziato.
Era un professore di storia delle medie quindi doveva semplicemente
seguire il
programma e interrogare i ragazzi. Ma non faceva così.
Lui ci spronava a distinguerci.
Diceva che non saremmo finiti da nessuna parte, continuando
così. Dovevamo
andare via per poter vivere davvero, perché in questo paese
c’era tutto tranne
che vita. Pensate che tutti questi grandi
personaggi storici, disse una volta, abbiano
fatto le loro grandi imprese rispettando l’orario della
colazione e vestendosi
come gli altri? Pensate davvero che sia rispettando le regole che
lascerete il
segno in questo mondo? Esprimetevi. Non uniformatevi alla massa e
trovate la
vostra vera persona.
Mi ha ispirato Doug. Esprimersi.
Questa è la mia filosofia di
vita, con loro. Durante il giorno
purtroppo devo uniformarmi e cercare di non cacciarmi nei guai,
perché i guai
li porta
Seguo la lezione senza veramente
ascoltare e se la professoressa lo sapesse probabilmente rimarrebbe,
come
minimo, indignata. Ma poi la studierò pomeriggio, dalle tre
alle cinque,
nell’orario in cui si devono svolgere
i compiti. Si devono fare e non
puoi
evitarlo semplicemente perché il lavoro di alcuni adulti,
per fortuna non i
miei genitori, è proprio quello di sorvegliarci mentre li
svolgiamo. Non si può
parlare, né mettere in pausa il cervello per cinque minuti.
Quando suona la campanella non mi
scompogno e aspetto il mio turno per uscire dalle classe, poi mi dirigo
verso
la mensa, perché è scattata l’ora di
pranzo. Tutti abbiamo dei posti assegnati,
non possiamo sceglierli noi. I tavoli sono composti da venti posti e
ogni
classe ha un tavolo. Guarda caso, io non entro nel tavolo della mia
classe e
quindi sono stata assegnata al tavolo del quarto anno. Una del terzo
tra
diciannove del quarto.
Ma non mi preoccupo,
perché
dobbiamo mangiare in silenzio e poi abbiamo dodici minuti, prima di
rientrare
in classe, per mantenere una sana e composta conversazione. Di questo
tavolo
solo io e altre due persone, Aaron e Aaliyah, fanno parte di noi. Sono gemelli, ma non ho mai
approfondito la loro conoscenza, anche se tutti e tre sappiamo di che
pasta
siamo fatti. Mi sorridono sempre. E come non ricambiare? Loro sanno
distinguersi. È difficile che mi stia antipatico uno di noi, perché so che sono come
me, infondo. Vogliono esprimersi.
Sono seduta tra Zayn e Ivy, oggi.
C’era già il mio nome sulla sedia, dovevo
occuparla afforza. Mangiamo tutti
silenziosamente il nostro pudding e la nostra insalata scondita. La
sala è
talmente silenziosa che potrei far cadere il tappo di una penna e
risulterebbe
un rumore assordante. Dopo quattordici minuti suona una piccola
campanella,
meno forte di quella delle lezioni, che dà inizio ai nostri
dodici preziosi
minuti.
-Eveleen,
dove studi oggi?- mi chiede Zayn. E’ un
ragazzo in gamba, credo. Non è
‘reato’ studiare da altre persone perché
si è comunque sorvegliati.
-A
casa.- gli
rispondo.
-Cambiamolo
in ‘a casa tua, Zayn’.- ribatte lui. Non puoi avere una
relazione con un ragazzo
prima dei venti anni, quando hai undici mesi di tempo per trovare
marito e
sposarti. Però Zayn è sempre avventato con le
ragazze. Non ne ha mai avuta una,
ovviamente, ma si comporta come uno che ci sa fare parecchio.
Ineffetti, penso
anche che possa permetterselo, in un certo senso. Non ha la carnagione
chiara e
questo contrasta i suoi occhi che sono castani tendenti al giallo.
-D’accordo.-
gli
concedo. Perché tanto non mi cambia niente, non potremo
comunque parlare o fare
qualsiasi altra cosa che non riguardi lo studio.
Zayn mi sorride e si gira verso
Louis, un suo amico, per parlare compostamente con lui. Io gli sorrido
di
rimando e mi giro verso il mio bicchiere, un mio grande compagno di
conversazione, per aspettare che suoni la campana.
-Eveleen,
tu che ne pensi?- mi chiede Isabel, la classica
ragazza perfetta con capelli
biondi, occhi azzurri e pelle da favola. Non ho seguito la
conversazione e mi
scoccia sorbirne il riassunto, quindi rispondo con un semplice: -Secondo me hai ragione tu.- che non
può causarmi problemi. Lei si gira verso Celeste, la sua
migliore amica uguale
a lei, e le fa uno sguardo malizioso che sottintende Vedi?
Ho sempre ragione, io.
Driiin
Driiin Driiin. È
suonata la campanella e si torna alle aule, tavolo per
tavolo, senza fare confusione. Questa è la campanella del
primo tavolo.
Driiin
Driiin Driiin. Secondo
tavolo. Mi mancano ancora dieci campanelle,
aspettare è davvero straziante. Ma ovviamente lo faccio. E,
suonata la mia
campanella, mi alzo dalla sedia, la rimetto a posto e vado verso
l’aula. C’è un
ultima lezione dall’una alle due, poi possiamo andare a casa
a riposare e dopo
si fanno i compiti.
…
No, poi dobbiamo andare a casa a
riposare e dopo si fanno i compiti. Contando che sto sveglia per tutta
la
notte, avere un’ora di riposo il pomeriggio di certo non mi
dispiace.
Aula
di disegno. Non si può essere creativi neanche qui. Ti
siedi, metti il
grembiule, prndi una tela e cerchi di riprodurre al meglio quello che
il
professore appende alla lavagna. Alcuni sono proprio bravi, come
Desmond che è
uno di noi e ci è molto utile. Io faccio pena. Sono
eccezionale solo in
educazione fisica, nel resto vado bene –perché non
si può andare male- e in
arte me la cavo lo stesso grazie ai resoconti orali.
-Salve
mamma, buon pomeriggio
papà.- dico arrivata a casa ai miei
genitori. Perché dobbiamo essere formali anche con loro, e
rispettarli,
soprattutto. –Terrie è
tornata?- gli
chiedo dopo. Terrie è mia sorella, ma non è una
di noi. E’ troppo
pericoloso per lasciarglielo fare. Le voglio bene.
Anche se non quanto a loro. Perché
è
difficile voler veramente bene a qualcuno che non conosci e io non
-Si,
è già in camera sua. Vai a
dormire.- mi
risponde papà, che sembra freddo
grazie al suo aspetto ma se lo conosci scopri che è peggio
delle tue
aspettative. Annuisco e vado in camera. Ho una camera tutta mia, Terrie
anche e
i miei genitori la stessa cosa. C’è anche una
camera in più nel caso ci dovesse
essere un altro bambino. Poi basta. Perché anche volendo non
si possono avere più
di tre figli. Se scoprono che sei incinta ti fanno abortire, quindi si
preferisce prevenire.
Mi
metto sotto le coperte, nonostante sia estate, e mi addormento
all’istante.
Un
rumore acuto mi sveglia alle tre meno due minuti, per dirmi di
prepararmi a studiare.
Prendo i libri e vado a casa di Zayn, che non è lontana
dalla mia.
Quando
busso mi viene ad aprire lui con un sorriso, ma intravedo
già una signora rigida
dietro di lui, che sicuramente non è
Ci
mettiamo entrambi alla sua scrivania che è abbastanza grande
da ospitare tutti
i nostri libri e iniziamo a studiare, sotto lo sguardo attento della
signora.
Non tutti i guardiani, perché si chiamano così,
sono rigidi. Alcuni scherzano
anche con te. A bassa voce però, per non farsi sentire. Ma
la grande
maggioranza è come questa signora. Si siedono alle nostre
spalle con la schiena
eretta e le gambe accavallate. E ci guardano. Per tutto il tempo, in
silenzio.
L’unico
lato positivo è che non ti vedono in volto, quindi ogni
tanto io e Zayn ci
scambiamo occhiate e sorrisi, giusto per combattere
Dooon.
Dooon. Dooon. Dooon. Quattro rintocchi di campana. Il
tempo di studiare è finito che tu abbia terminato i tuoi
compiti o meno.
Ora
abbiamo un po’ di tempo per noi dove possiamo fare
ciò che vogliamo –più o
meno- senza però disturbare la quiete pubblica.
-Andiamo
in piazza?- mi
chiede Zayn.
-Si,
prima passo da casa a posare i
libri.- così
mi accompagna in casa e di
nuovo fuori, diretti alla piazza. La piazza si trova esattamente al
centro di
Holmes Chapel ed è abbastanza grande e piena di verde, con
tanti fiori disposti
strategicamente per disegnare un semi cerchio colorato. Dai balconi
delle case
intorno sono sporte tutte le vecchiette più fortunate.
Più fortunate poiché in
piazza si sentono i discorsi migliori, in genere.
Ma
io e Zayn non abbiamo tanta voglia di parlare. Passeggiamo un
po’, stiamo
sdraiati sull’erba e ci scambiamo al massimo qualche battuta.
Poi lui fa un
gesto totalmente inaspettato sotto lo sguardo sconvolto delle vecchie.
Prende
un fiore blu e lo infila tra miei capelli con un sorriso. E da qui
capisco che
anche lui non ne può più di questa vita.
Perché questo è come un gesto di
ribellione, in un paese come questo.
E
penso che, forse, ci sono molti più ragazzi di quelli che noi conosciamo che vogliono esprimersi. E
noi dovremmo permetterglielo.