La Morte.
Per la vecchia Adele la Morte prese l’aspetto di un
ragazzo basso e muscoloso, con la pelle scurita dal sole e le braccia tozze.
Adele non lo degnò di uno guardo, troppo presa dal
sugo che bolliva nel pentolino ramato. Nel forno si cuoceva l’arrosto.
Nell’altra pentola gli spaghetti attendevano il momento in cui si sarebbero
finalmente potuti congiungere a quello splendido ragù d’oca.
- Lavati le mani e mettiti a sedere, Sàsà. - disse
Adele, portandosi un mestolo di legno alla bocca.
Sàsà sorrise – Certo, mamma. È ragù d’oca, quello?
- Certo.
- Il mio preferito.
- Lo sapevo.
Il ragazzo rise e si diresse verso il bagno. Adele
gettò il sugo sulla pasta, controllò l’arrosto e stappò una bottiglia di vino.
Il sugo era ottimo. Sàsà era tornato a casa. Il vino era quello d’ultima
vendemmia.
Tutto era perfetto.
La vicina trovò Adele stesa a terra in una pozza di
vino e cocci di vetro verde. L’arrosto si era bruciato.
Sul muro era appesa la foto di un ragazzo.
Francesco vide la bella ragazza con le trecce bionde
e sorrise senza sapere che lei era la Morte.
Erano mesi che voleva parlare con la ragazza dalle
trecce bionde. Dalla prima volta che l’aveva vista sedersi nel suo stesso
vagone e tirare fuori un vecchio libro consunto: “Randagio è l’eroe”.
Voleva dirle che anche lui stava leggendo quel libro
e che era un libro bellissimo e che anche lei era bellissima e che forse
facevano persino la stessa università e che e che e che…
La ragazza con le trecce bionde si sedette accanto a
lui e sorrise – Randagio è l’eroe,
uhm?- disse inclinando leggermente la testa da un lato per vedere il titolo
inciso sulla copertina del libro che Francesco teneva fra le mani – Lo sto
leggendo anch’io. Tu dove sei arrivato?
- Al capitolo dodici.
- Davvero? Anch’io, sai?
Francesco e la ragazza con le trecce bionde
parlarono a lungo, molto a lungo.
Quando il treno arrivò al capolinea Francesco stava
sorridendo leggermente, il libro stretto tra le mani.
Tommaso decise che in fondo non ne era valsa la
pena. Non sul serio, in fondo.
Se gli avessero detto subito che sarebbe finito a
contare gli ultimi secondi che gli restavano da vivere in un buco di culo
dimenticato da Dio ad arrostire come un tacchino, beh, allora avrebbe girato i
tacchi e se ne sarebbe andato a fare il pulitore di cessi, tanti cari saluti e
grazie.
Valerio lo guardò – Bevi- sbottò spingendogli la
borraccia contro le labbra – e piantala di lamentarti, vecchio spacca cazzi.-
sotto i suoi guanti si sentiva il rumore delle ossa della Morte che si
muovevano.
Buttò giù l’acqua – Non mi stavo lamentando.
- Stavi pensando delle lamentele. Fai sempre quella
faccia lì quando pensi a tutte le cose di cui ti potresti lamentare.
- Quale faccia?
L’altro scrollò le spalle – Quella lì. - disse sbuffando.
- Ma vafanncul
oh
cristo la ferita!- guaì Tommaso
rotolandosi su un fianco, rendendosi conto che non poteva farlo (stupido
giubbotto anti-proiettili e anti-cazzi vari) tornando poi nella posizione in
cui era prima.
- Posso sapere dove cazzo sono i miei fottuti soccorsi?!-
strillò poggiandosi una mano sul fianco – Sono caduti in una buca?!
- Temo di sì.
Valerio era sempre serio quando diceva cazzate. A Tommaso venne
onestamente da ridere.
Il vento soffiò, portando la sabbia. Valerio gli
fece bere dell’altra acqua.
- Mi dispiace.
- Per cosa?
- Per non essere riuscito ad aiutarti, quella volta.
- Lascia perdere.
- Ho avuto paura. Sono andato nel panico.
- Stai zitto.
- Eri così pesante e così pallido, cristo, me lo
sogno tutte le notti, lo sai?
- Sono qui con te, ora.
- Già. - Tommaso guardò il cielo e annuì – Già. Sei
qui.
Ancora vento. Ancora acqua.
- Mi perdoni?
- Ti perdono.
Ancora vento, ancora acqua, una lacrima.
La borraccia cadde a terra. L’acqua scivolò tra la
sabbia e dissetò il deserto.
La squadra di soccorso arrivò circa cinque minuti
dopo.
La Morte si sedette accanto all’anziano nel
giardino, lasciando cadere le mille maschere che aveva indossato solo per
indossarne un’altra.
- Rosa?- domandò il vecchio guardandola.
- Certo amore.- sorrise Rosa, lisciandosi una piega
della gonna, un gesto che Anselmo aveva sempre amato.
- No. Non sei Rosa. Rosa è morta tanti anni fa. Me
lo ricordo, perché non ero lì.
- Come fai a essere certo che Rosa è morta se non
eri lì a guardarla morire?
- Non essere stato lì a guardarla è sempre stato il
mio più grande rimpianto. Sono stato tre giorni e tre notti al suo capezzale, a
piangere e a implorare la morte di portare via anche me. Ma la bastarda non è
venuta.
Rosa/Morte storse il naso – Avrà avuto sicuramente
altro da fare. È una gran lavoratrice, la morte.
- Già. Poi Rosa è morta durante un ponte
festivo. Ci sarà stato un sacco da fare,
non è vero?
- Un incubo, ti giuro.
Il vecchio le sorrise e la Morte capì di essersi
smascherata. La sua faccia doveva essere stata divertentissima, perché il
vecchio scoppiò a ridere. Le risate si trasformarono poi una sequela di colpi
di tosse e in un paio di bestemmie.
- Vedi, cara? T’ho cercata tanto e alla fine sei
venuta tu da me.
- Il realtà quella roba che hai appiccicata ai
polmoni è come una torta con su scritto il mio nome.
Anselmo rise ancora.
- Sei venuta a portarmi via, quindi?
- Esatto. Potrai rivedere Rosa e- Anselmo alza una
mano rugosa e contorta come una grossa radice.
- Risparmiati la favola, Morte. Non so un bambino,
né una di quelle gesucristanti teste di cazzo che credono che dopo c’è la
gioia, la felicità e i cori di checche con le ali. Mi sentirei sufficientemente
fortunato se non finissi all’inferno, ma accetterò volentieri qualunque cosa mi
propinerai. Basta che mi passi questa tosse.
Anselmo tossì ancora e Morte/Rosa si alzò sbuffando
– Quelli come te mi tolgono tutto il piacere della recitazione.
- Povera ragazza.
La badante trovò Anselmo sulla sedia la mattina
dopo. Sembrava più sereno del solito.