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Autore: lilac    12/03/2007    13 recensioni
One-shot ambientata nel periodo pre-cyborg. Per la prima volta in vita sua Vegeta si trova ad osservare la luna piena. I saiyan sono ancora i figli prediletti della luna? Forse. Ma i saiyan non hanno padri, né madri, né figli...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I Personaggi, i luoghi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale di Dragon Ball, non mi appartengono ma sono di proprietà di Akira Toriyama che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.



Sonata al chiaro di luna


I saiyan sono ancora i figli prediletti della luna?
Forse, Ma i saiyan non hanno mai avuto padri, né madri, né figli ...



C’era stato un tempo in cui il cielo e il mare erano un’unica oscurità. Un pozzo nero dove anche il buio dei suoi occhi si perdeva, dove il suo sguardo andava ad abbeverarsi come un assetato nelle notti senza luna. Poi compariva lei, radiazione brillante ed evanescente , pallida e sfuggente nelle sue forme morbide. Lo osservava da lontano come una madre che si scopre ad aver timore del proprio figlio, incapace di nascondere il proprio biasimo e il proprio rimpianto. Bastava che i loro sguardi si incrociassero per pochi istanti perché un’energia rabbiosa, atavica e terribile, crescesse in lui e rompesse gli argini della sua forza come un fiume in piena. Non si erano mai guardati per poco più di un momento. Non si era mai fermato a guardare il mare, che ad ogni onda rifletteva argenteo lo sguardo su di lui benevolo, o il cielo, intriso di quel chiarore freddo che oscurava le stelle, né il mondo coperto da quel velo di luce diafana che svelava le cose come attraverso uno specchio. Per lui la luna non aveva avuto sguardi benevoli di madre. Pochi istanti in cui quella luce chiara lo invadeva disperata e si tingeva di rosso, come il sangue, come la rabbia. La sua e quella di lei, che non poteva sottrarsi al suo sguardo, e assisteva impotente alle mostruosità perpetrate in nome suo dai suoi figli… Quel tempo era passato ormai.

Il dolce suono della risacca scandiva i suoi pensieri, ogni onda lambiva un recesso della sua mente come a solleticare le corde di uno strumento logorato dall’uso, il luogo in cui una melodia risuonava da tempo immemorabile sempre le stesse note. Poteva quasi sentire il gelido tocco dell’acqua anche attraverso gli stivali, la sabbia che franava sotto di lui ad ogni lieve assalto lo costringeva a serrare i muscoli. Da ore ormai se ne stava lì, consumando la resistenza del suo imperturbabile cipiglio, cullando la sua collera al ritmo regolare del rifrangersi dei flutti come fosse un bambino da addormentare. La luna piena lo guardava beffarda dall’alto di un cielo nero, senza stelle. Un tempo si sentiva vivo al solo sfiorarla con lo sguardo, ora era lei, la luna, che sembrava brillare di vitalità nella luce dei suoi occhi. Anche questo gli aveva tolto Kakaroth. Una stupida appendice, l’ultimo legame esteriore che avrebbe mai potuto vantare con la razza saiyan. Un segno distintivo che era energia vitale in lui, in notti come quella. Quel segno che le genti nell’universo riconoscevano come presagio di morte, a cui si inchinavano terrorizzati implorando pietà. Ora sarebbe potuto passare per uno squallido terrestre, per quel che gliene importava. Avrebbe potuto far esplodere quel’insulso sasso biancastro soltanto alzando un dito… per quel che gliene importava… Ma quel tempo era passato ormai. Ora era l’oro il colore di cui bramava potersi inondare. Era l’oro il colore del potere, del primato. E Kakaroth gli aveva tolto anche questo.

Un pugno si serrò fino a sanguinare. Qualche goccia di liquido scuro scivolò sulla linea del polso contratto in uno spasmo e cadde mischiandosi all’acqua salata. Immagini nitide si affastellavano davanti ai suoi occhi. Un cielo nero come quello, ma senza luna, un guerriero dorato, gli occhi colore azzurro del cielo terrestre, che razza di beffa! La sua coscienza che svaniva e riappariva tra il verde dei boschi. E un altro paio di occhi azzurri.
La Terra, il pianeta Azzurro, dove il cielo e il mare non erano un’unica oscurità…
Una serie di onde cominciarono a prendere vita sempre più inquiete, e creste di spuma bianca apparvero all’orizzonte cavalcate dal vento. Vento che pareva sgorgare direttamente dal centro dei suoi pensieri e si irradiava intorno a lui creando mulinelli di sabbia. Non si rese neanche conto di quella nota stonata in quell’attimo di armonia che pareva eterna, lo sguardo imperturbabile rivolto ai vortici d’acqua tutt’intorno, come si scansassero terrorizzati di fronte alla sua ira, e all’impalpabile pioggia di goccioline che cadeva leggera giocando coi riflessi di luce. Lasciò quell’isoletta così come vi era arrivato, volando più veloce degli echi del suo sfogo e della sua frustrazione, dopo aver seminato di nuovo il terrore su poveri esseri ignari del motivo di tanta collera…

Bulma si girava e rigirava nel letto ormai da qualche ora, la fronte imperlata di sudore e il respiro affannato per il caldo che la opprimeva. La leggera brezza che entrava dalla finestra spalancata e gonfiava le tende non sembrava arrecarle nessun sollievo, così come l’ennesimo sorso dalla bottiglia d’acqua sul comodino che avidamente aveva consumato quasi fino all’ultima goccia. La luna piena gettava una luce insolita sulle pareti candide della sua stanza e le impediva di chiudere gli occhi, come se in quelle strane ombre proiettate sul muro sperasse da un momento all’altro di scorgerne una familiare, che tante volte in quelle ultime settimane aveva aspettato invano.
Come ad esaudire un suo desiderio, quella sagoma scura si materializzò di fronte a lei silenziosa, un muto sguardo reciproco dissipò in un attimo tutto il disagio accumulato per giorni. Si drizzò a sedere sul letto, noncurante del movimento che aveva scostato lievemente il lenzuolo e lasciava scoperto uno dei suoi seni. Lo sguardo di lui si posò avido su di lei, che con un moto di ritrosia si ritrovò a coprirsi involontariamente e ad arrossire. Vegeta si avvicinò lentamente a lei liberandosi dei vestiti, sogghignando appena per quel gesto pudico che considerò totalmente fuori luogo. Quell’impercettibile espressione sul volto di lui sortì come l’effetto di destarla da un sogno “Dove sei stato in questi ultimi cinque giorni?”
Vegeta scostò le lenzuola con un gesto rapido e deciso, ignorando la domanda di lei. La osservò per quello che a Bulma parve un tempo interminabile, con un’espressione impassibile sul volto, poi le fu sopra.
“Dove sei stato ti ho chiesto!” fu l’unica resistenza che Bulma riuscì ad opporgli vagamente indispettita e confusa. “Possibile che non…”
Le parole si persero nel bacio che le diede lui, brusco, avido, eppure quasi disperato, come di un assetato nel deserto, prossimo alla morte, che riesce a tuffarsi nell’acqua fresca di un’oasi. Si abbandonò totalmente a quel bacio che aveva un tenue sapore di salsedine, e alle mani di lui che scivolavano sul suo corpo altrettanto avide, altrettanto ansiose.
Non la guardò più negli occhi, staccò le labbra dalle sue e scese a baciarle il collo.
“Vegeta…” Mormorò lei, cercando di ricordare il motivo per cui era preoccupata, per cui voleva vederlo.
“Sta zitta!” Furono le parole che udì da lui, che con le labbra percorreva il solco dei suoi seni e si liberava dell’ultima, fragile barriera fra i loro corpi. Lo sentì esitare per una frazione di secondo, lo sguardo posato sul suo ventre. Sorrise tristemente, intuendo i pensieri di lui. Ancora prima di convincersene aveva già parlato, spinta da un’urgenza ancora più pressante della logica “Se è un maschio lo chiamerò Trunks… Se è femm…”
“Sta zitta!” La bloccò lui tornando a cercarla avidamente.
Quelle furono le ultime parole che gli sentì pronunciare quella notte, e per molti mesi a venire.

Fece l’amore con lei così come l’aveva raggiunta, in silenzio, attingendo con bramosia a tutto quello che aveva da dargli, assaporando ogni momento, ogni centimetro di quella pelle candida bagnata dalla luce lunare, perdendosi nella profondità insondabile di quell’azzurro, che non era azzurro la notte, con la luna piena; muovendosi piano, con ancora l’eco di quella melodia in testa che suonava da tempo immemorabile le stesse note. Per un po’ annullò tutti i suoi pensieri al ritmo di quella melodia, smise di cercare, finse di illudersi che in lei avesse ritrovato per magia tutto quello che aveva sempre perso. Per un po’ fece di lei il suo più grande bisogno. Si concesse quell’ultimo sbaglio, la prima e l’ultima volta che il principe dei saiyan fu tanto indulgente con se stesso.
Aveva un obiettivo, solo un altro maledetto obiettivo da raggiungere. Kakaroth, i cyborg, quel ragazzo venuto dal futuro, venivano tutti dopo in ordine di tempo, e non c’era più molto tempo. Quell’insulso pianeta verde e… azzurro… veniva dopo…

Bulma non dormì quella notte. Quella mattina molto presto era affacciata al balcone della sua camera osservando distrattamente il cielo ancora scuro. Pochi minuti prima una navicella della sua ormai nutrita scuderia era decollata per una direzione sconosciuta, l’eco del boato dei motori era ancora nitido nella sua mente. Non aveva smesso di tremare da quando le pareti della sua stanza erano state scosse dal violento spostamento d’aria, come se serbare il ricordo di quella partenza in modo fisico lo rendesse più reale. Gli occhi appena velati di lacrime, le uniche che anche la consapevolezza non aveva potuto frenare.
“Stupido testone!” Imprecò tra sé e sé.
L’aveva saputo fin dall’inizio, aveva cercato di illudersi che quello che gli aveva dato sarebbe bastato, ma non ci aveva mai creduto veramente. Troppe volte era riuscita a sondare le profondità del suo animo, a suscitare in lui un impercettibile moto di sincerità negli occhi, ma troppe volte quello sguardo era ricaduto negli abissi da cui non faceva ritorno.
Sorrise amaramente al pensiero di quel bambino, che nasceva in un tempo di guerra, che nasceva senza un padre. Sorrise immaginandolo coi suoi stessi occhi, il suo stesso sguardo corrucciato, col suo stesso orgoglio, quello che non mancava neanche a lei. E per la prima volta sentì qualcosa di simile alla speranza. Osservò la luna che era prossima al tramonto, ignara che qualcun altro osservava in quello stesso momento quella stessa luna, il suo lato oscuro, con pensieri del tutto diversi, eppure anch’essi vagamente somiglianti a un qualcosa che poteva essere speranza…


fine



NOTA: Questa storia non è propriamente una song-fic, ma è stata fortemente ispirata dalla Sonata per pianoforte n° 14 di Beethoven, chiamata anche Chiaro di Luna; nonché dalla versione originalissima di quest'opera dei Viper, gruppo brasiliano sconosciuto ai più^^, dal titolo Moonlight. Mi sembrava doveroso fare una sorta di credit, o qualcosa che gli assomigli, per rispetto verso le mie fonti di ispirazione^^

  
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