Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |      
Autore: HoranIsMyWorld    29/08/2012    0 recensioni
Lei ormai viveva così, era stato un cambiamento drastico ma ormai ci aveva fatto l' abitudine. Lui era stanco della vita monotona e noiosa che gli scorreva nelle vene. Lei aveva costruito un muro attorno a sè, così che le persone non potessero più entrare nella sua vita, così che lei non avrebbe più sofferto, così che lei non avrebbe fatto del male, così che lei non rimpianga la sua vita. Il suo muro era impossibile, inscavalcabile. .Ma si sà, non è tutto nelle nostre mani, è solo il destino che sceglie come mandare avanti le cose. Se farle andare bene o male, veloce o piano, dolcemente o straziante. E' solo lui che decide. Sei fortunato se ripara a tutte le ferite che ti ha inflitto, sfortunato se ancora le devi pagare.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                                                                                                         " You built up a world of magic
                                                                                            Because your real life is tragic"

 
                                                                                  Capitolo Primo

 Come ogni mattina da almeno sei anni, lei era li, seduta sulla riva ad ammirare il sole fare capolino da quella infinita distesa d'acqua. Le piaceva. Quel cielo dalle sfumature arancioni le dava un senso di quiete impareggiabile, la distraeva da tutti i problemi del mondo, come se ci fosse solo lei e l'alba, nient'altro.
Ogni mattina era così: si alzava diretta per la spiaggia e una volta arrivata si sedeva sulla solita collinetta di sabbia, ad aspettare soltanto lo spuntare del sole.
Era sempre da sola, alle tre di mattina la gente normale dormiva. Ogni volta che pensava alla persone che si perdevano quel meraviglioso spettacolo le spuntava un mezzo sorriso. Anche se era sola era contenta, non voleva condivedere quello spettacolo con nessuno, si ripeteva che era suo e nessuno poteva portarglielo via.
Ormai il sole era alto, si alzò e si mise a camminare sulla riva senza una meta ben precisa, le piaceva passeggiare con l' acqua gelida del mattino a stuzzicarle le caviglie e il leggero venticello che le scompigliava i capelli. Era tranquillizante e viaggiava, viaggiava con la fantasia come se fosse ancora una bambina, immaginando principi azzurri che sarebbero venuti a salvarla dal mondo crudele che la circondava. Guardò l'orologio e imprecò il tempo per essere corso così in fretta.
Salì sulla sua bicicetta rossa piena di ruggine e partì. Conosceva tutti in paese, ma ogni volta che passava non salutava nessuno, e se una persona le avesse augurato una buona giornata lei non avrebbe risposto. Non le interessava delle persone, ormai non più. 
Arrivata a destinazione lasciò la bicicletta attaccata alla staccionata "Jim?" chiamò. Si addentrò dentro il maneggio e la puzza di fieno le invase le narici "Ei, oggi sei in ritardo" le rispose l'uomo, nel vederlo lì, a spazzolare il suo prezioso cavallo Charles le spuntò un sorriso sincero "Sì, mi dispiace ma adesso vado subito a darmi una mossa" le rispose con ancora il sorriso sul volto. Infilò i suoi stivali di gomma e si preparò per i suoi ripetitivi lavori di ogni mattina "Parti dall box di Blue Jeans" annuì e incominciò a spalare quello che viene propriamente chiamato escremento di cavallo.
 
"Devi fare alcune consegne" disse l'omaccione passandogli un sacchetto con l'occorente ordinato dai clienti "Ok, vado, accontento il cliente e torno" il ragazzo annuì prendendo il saccheto e salendo in sella al suo scooter, ormai mal andato. Ormai era quello il suo lavoro: le persone non avevano voglia di usare le gambe per arrivare al supermercato così chiamavano, ordinavano e poi ricevevano tutto a casa. Facile e comodo per loro, ma di sicuro non per lui. Si presentò a tutte le porte col solito sorriso finto da venditore per prendere il denaro e poi partire ancora. Tornò al super-market con solo un unico pensiero per la testa: che fra poco sarebbe finalmente tornato a casa, davanti a una televisione e una birra, seduto sull suo comodo divano. Solo quello gli dava la forza di continuare.
 
"Ora posso cavalcare Rarety, vero?" disse implorante a Jim, aveva finalmente finito tutto i suoi compiti e non vedeva l' ora di cavalcare il 'suo' cavallo "Hai pulito tutti i box?" "Sì" "Hai dato da bere e da mangiare a tutti i cavalli?" "Sì, li ho anche spazzolati e lavati, e ho anche dato una spazzata al tuo ufficio e tagliato l'erba alta dietro al capannone" disse fiera. Jim le sorrise, sapeva che avrebbe fatto di tutto, e proprio tutto, solo per cavalcare "Bene, allora, adesso, vai a sellare Rarety" dalla sua bocca uscì solo un urletto strozzato, salttellò sul posto un paio di volte e poi lo abbracciò d'istinto "Grazie Jim, ti ho già detto che ti voglio bene?" lui sorrise spontaneamente a quel gesto affettuoso e anche al suo lato ancora bambino, nonostante i 18 anni compiuti "Sì, anche troppe volte" lei annuì, andò a predere il cavallo e gli posizionò sopra la sella, salì con destrezza e sorrise accarezzando il pelo morbido dell' animale sotto di lei. Aveva instaurato un rapporto con il suo cavallo così speciale che lo stesso animale non si faceva cavalcare da nessuno che non fosse la sua migliore amica.
"Dai Rarety, andiamo a fare un giro" il cavallo rispose con un debole nitrito prima di cominciare a trotterellare fuori dall maneggio, subito dopo, puntando ai campi ampi e aperti inziò a galoppare. Inutile dire che per entrambi, sia la 'padrona' che il suo amico, provavano una certa adrenalina e un piacevole senso di libertà pulsargli nelle vene. Era questo l' effetto, un senso di libertà che la portava su tuttaltro mondo, lei con solo il suo cavallo come suo migliore amico. Si fermarono su un altura. Da lì si vedeva tutta la valle "Guarda, lì c'è il campanile" indicò il punto in cui si trovava il grande edificio e parlando con il cavallo come si parla con una persona normale "Ancora non hanno riparato l'orologio, è ancora indietro di un'ora" fece una smorfia di disapprovazione mentre la sua amica nitriva, come in risposta "Sì, hai proprio ragione" si fece scappare qualche risolino. Continuò ad elencare ogni singolo edificio per almeno un' ora, seduta sotto il solito albero di mele. Ne raccoglieva sempre una o due per darla al cavallo. A una certa ora si decise che dovevano tornare.
 
"Buon proseguimento di serata, signori Cuper" salutò i propetari il ragazzo con un sorriso pienamente soddisfatto. E così un altro giorno era andato. Arrivò a casa, mise la chiave nella serratura e la fece scattare "Sono tornato" urlò entrando e subito richiudendosi la porta dietro. Nessuna risposta. I suoi genitori non erano ancora tornati. Lasciò il cappotto sull' appendiabiti e poggiò le chiavi sul mobile di legno all' entrata. Salì le scale con fatica, come se anche quello fosse uno sforzo inaccetabile per le sue gambe. Gettò i vestiti sporchi sul pavimento della sua stanza e si preparò per una doccia calda. 
Finalmente era seduto, sul suo comodo divano e le gambe appoggiate al tavolino, una birra in mano e nell' altra il telecomando, pronto a prendersi qualche ora di riposo prima dell' arrivo del suo amico, che l' avrebbe portato al solito locale, come tutte le notti. 
 
"Jim, hai preso le pillole oggi?" chiese all' uomo scendendo dal cavallo "Certo" le rispose lui sorridente. Rimesso il cavallo nell' apposito box scoccò un bacio sulla guancia di Jim e poi salì in sella alla sua bici. Sfrecciava per quelle stradine senza badare a quello che le passava attorno, voleva solo tornare a casa il più presto possibile per stendersi e dormire un pochino. Arrivata lasciò la bici sul portico ed entrò, sarebbe stata sola finchè non sarebbe andata a lavorare, è sempre stato così e ne era sollevata, avrebbe riposato in pace. 
 
Era tardi, pericolasamente tardi, se entro dieci minuti non si fosse fatta vedere poteva dire addio al lavoro. Per fortuna si era già lavata, indossò un pantalone beige una camicia a scacchi e le inmancabili all stars nere, legò i capelli in una coda alta con qualche ciocca mancante che le coprivano il viso e si mise al volante dell' auto rossa.
Fortunatamente il locale era vicino e così in cinque minuti era già nel vicolo buio dove si trovava la porta sul retro. Entrò e prese posto dietro al bancone del bar. Lì conosceva quasi tutti: i vecchietti grassi e ubriachi sempre appoggiati al bancone a ridere sotto la barba, l'uomo daffari che viene per divertirsi con le ragazze che ballano strette nei loro vestitini e poi i soliti due ragazzi. Uno dei due se ne andava in giro per il locale a fare amicizia, mentre l' altro se ne stava sempre seduto sul divanetto a guardarsi intorno, con il suo bicchiere di birra in mano. Non lo conosceva ma qualcosa le imponeva di non guardarlo, era puro mistero per lei e questo la intrigava, ma per la sua timidezza non era mai riuscita a parlargli, e anche un po' per il volersi isolare da tutto e tutti.
L' unica volta che lo aveva osservato da vicino era quando si era avvicinato per ordinare la birra alla sua collega Sarah: capelli corvini neri come la cenere, pelle un po' ambrata, labbra carnose, profilo perfetto. L' unico particolare che non era riuscita a vedere e che ne sarebbe stata felice erano gli occhi. Erano ancora un mistero per lei. E questo le portava un gran peso sullo stomaco. Scrollò la testa a quel pensiero, si doveva concentrare sulla clientela da soddisfare.
 
Si stava annoiando, terribilmente. Non voleva stare seduto tutto il tempo a bere, ma non voleva neanche avvicinarsi a qualcuno e parlare. E poiparlare con chi?! Con gli ubriaconi al bar? No, non avrebbe tirato fuori un discorso sensato neanche a pagarlo. Con le ragazze? Bhè, sì, poteva, ma stasera erano come invisibili, gli davano quasi la nausea in quei vestiti che non coprivano neanche metà corpo. Voltò lo sguardo al bar. Lei era sempre lì. Con la sua coda arruffata, sempre impegnata in qualcosa. Non poteva fare a meno di osservarla, aveva un qualcosa di misterioso che lo attraeva inspiegabilmente. L' unica volta che la aveva vista da vicino era quando aveva ordinato una birra alla sua collega. Era lì e la osservava. Capelli castano, sul biondo, pelle chiara e fisico snello. C'erano sempre due occhiaie sotto gli occhi, le aveva viste ma non si notavano granchè. Con questo sapeva che faceva le ore piccole. Però, l' unica pecca era che non aveva incrociato i suoi occhi, così non ne sapeva il colore, la profondità e la persona che vi ci avrebbe trovato dentro. Suo padre gli diceva sempre che gli occhi erano lo specchio dell' anima, così prima di conoscere una persona lui guardava gli occhi. Ma i suoi ancora no, non li aveva visti. E un terribile senso di vuoto gli riempì lo stomaco, possibile che fosse lei? Scrollò la testa per scacciare via tutti quei pensieri e avvicinò il bicchiere alla bocca.
 
La serata era stata pesante, una birra di qua, una vodka di là, e rifai tutto daccapo. Ci voleva anche che Sarah fosse andata via prima e così la aveva lasciata da sola a pulire tutto il bar. Si buttò pesantemente sul divano sbuffando. Aveva solo un'ora per riprendersi da tutto quel lavoro, doveva andare a vedere l' alba, era come un appuntamento al quale non poteva mancare, le fosse costata la vita. Mise la sveglia per un'ora dopo e si rannicchiò sul piccolo divano. 
 
Non era soddisfatto quella sera. Non gli era piaciuto andare lì. Non ne sapeva il motivo, forse perchè non aveva rimorchiato nessuna ragazza, forse perchè era troppo stanco, forse perchè era da solo anche se il suo amico era a qualche passo da lui, con qualche ragazza. Era tornato a casa da un pezzo, ma il sonno non lo pervase, anzi, si sentiva anche più attivo. 
 
Eccolo, lui era sempre lì, sempre in quasi perfetto orario per stupire i suoi occhi. Era meravigliata, come la prima volta. Il sole era come un migliore amico che non la abbandonava mai.
Passeggiava sulla riva, con i suoi occhiali da sole comprati da poco, li portava per la prima volta dopo l' acquisto. Fra poco avrebbe dovuto ancora sfacchinare per poi compiacersi perchè avrebbe cavalcato la sua amica. Si ricordava ancora la prima volta che la aveva vista e da allora era stato amore, amava i cavalli, ma più di tutti la 'sua' cavalla. A ripensarci le veniva spontaneo sorridere.
 
Si infilò la tuta da jogging, gli occhiali da sole ed era pronto per andare. Uscì facendo il minimo silenzio, visto che erano le sei di mattina e i suoi genitori dormivano ancora e non voleva svegliarli. Si diresse alla spiaggia. Aprì le braccia, come per voler abbracciare l' aria, e respirò profondamente l' aria salmastra. Cominciò a correre sulla riva. Niente per la testa,solo lui e la strada da correre. Ma è incredibile come il destino ti porti in tutt' altra direzione. Tu sei convinto di far jogging e invece il destino ti offusca la mente e ti fa sbandare. Tu sei convinto di star passeggiando tranquilla, da sola, ma il fato ti viene a sbattere.
Lei cadde col sedere sulla sabbia bagnata, trattenendo a stento un grido, smorzato da una smorfia di dolore, lui oscillò un po' prima di riprendersi, si guardarono. Lei non lo aveva riconosciuto, aveva gli occhiali e non più i capelli corvini, lui non la aveva riconosciuta, aveva gli occhiali e i capelli sciolti e lunghi sulle spalle "Allora, ti decidi a chiedermi scusa?!" iniziò lei scocciata, rimase sorpreso, pensava che da quel corpo fragile sarebbe uscita una voce acuta e stridula, invece no, era dolce ma allo stesso tempo prepotente, potente ma femminile "Non sono io che devo chiedere scusa, sei tu che guardavi per terra" rispose tranquillo ma irritato "Vabbè, lasciamo stare, ormai sono tutti uguali a questo mondo" disse lei sostenendo ancora il viso rigido e i pugni chiusi, se ne andò lasciandolo lì a pensare a quelle parole, cosa voleva dire? E adesso si metteva anche lei con i suoi misteri. Però non riusciva a non pensarci, continuava a chiedersi cosa volevano dire. Lei era delusa da se stessa per non aver tenuto testa e aver fatto come aveva sempre fatto, era scappata. Non era riuscita a tirar fuori niente di buono per lei. Sperava di non rivederlo mai più. Sperava di non rivederla mai più. 
Ma si sà, non è tutto nelle nostre mani, è solo il destino che sceglie come mandare avanti le cose. Se farle andare bene o male, veloce o piano, dolcemente o straziante. E' solo lui che decide. Sei fortunato se ripara a tutte le ferite che ti ha inflitto, sfortunato se ancora le devi pagare.
 
Eccomi, questa è la mia seconda FF. 
L' idea mi è venuta in mente mentre passeggiavo sulla spiaggia, e un po' anche guardando un film su dei cavalli, li ho voluti aggiungere perchè li adoro e ho deciso che dovevano far parte della storia.
Bè, spero che come inizio vi sia piaciuto, fatemi sapere :D
Un bacio :)
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: HoranIsMyWorld