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Autore: aoko_90    30/08/2012    7 recensioni
Ve la introduco con una breve citazione sperando che questo vi incuriosisca.. :)
Cercava freneticamente la chiave scorrendo il mazzo tra le mani. Sbuffò pensando a quante volte si era ripromessa di eliminare le chiavi inutili, era così che ormai le definiva, o forse la definiva. Il suo sguardo si incupì al tocco dell’oggetto di metallo che più di tutti classificava tale. Perché la custodisse gelosamente ancora non riusciva a spiegarselo. La accarezzò nel vano tentativo di sentire più vicino e vivo quel dolce ricordo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eri Kisaki, Kogoro Mori, Ran Mori
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prendere o lasciare?


Cercava freneticamente la chiave scorrendo il mazzo tra le mani. Sbuffò pensando a quante volte si era ripromessa di eliminare le chiavi inutili, era così che ormai le definiva, o forse la definiva. Il suo sguardo si incupì al tocco dell’oggetto di metallo che più di tutti classificava tale. Perché la custodisse gelosamente ancora non riusciva a spiegarselo. La accarezzò nel vano tentativo di sentire più vicino e vivo quel dolce ricordo.

La sua voce come un eco lontano le risuonava nelle  orecchie. Era giovane, poteva ancora sentire la serenità che, in quegli anni,  riempiva il suo corpo e le sue giornate.

“Perché mai dovremmo fare una chiave colorata per l’appartamento?”

L’immagine di un uomo alto e longilineo si delineava lentamente. Poteva vederne i contorni, le sfumature e trovare le differenze che il tempo aveva portato sul suo volto.

“E’ la chiave del nostro appartamento Eri! Deve essere colorata, la faremo rossa. Rosso è il colore dell’amore, quello che ci lega da sempre..”

L’uomo la guardava sorridendo. La commessa li osservava con sguardo trasognato, sperando in cuor suo di avere un futuro roseo come quello dei suoi attuali clienti.

Sorrise alla porta, come se questa potesse in qualche modo risponderle. Lasciò andare il piccolo oggetto che tante emozioni le aveva suscitato e agguantò quella corretta, quella che apriva la serratura del suo ufficio. Quello stesso ufficio dove si era rifugiata quel giorno, quel maledetto giorno.

“Vado via e non torno più” aveva urlato. La sua bambina la guardava, le sue lacrime spingevano per uscire, la chiamava nella speranza di farle cambiar pensiero. Tutto inutile. Era stufa, stufa di quell’uomo, stufa delle sue scappatelle, stufa di Yoko Okino, stufa dei suo commenti sulla sua cucina, stufa! Quella era stata l’ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Se poi quel vaso fosse veramente traboccato questo era un mistero ancora irrisolto.

Un rumore secco e la porta si aprì. Entro nell’abitacolo sgranando gli occhi alla visione che le si parò di fronte. Il bel vaso che adornava l’ambiente era a terra, o per meglio dire, i suoi cocci erano sparsi sul costoso tappeto che l’acqua aveva bagnato. I petali dei fiori, che prima riempivano il bel soprammobile erano sparsi qua e la. Che fossero entrati i ladri? No, non avrebbe avuto senso.. un’altra idea prese piede nella sua mente lievemente scioccata. Chiuse la porta senza tanti complimenti e si diresse con non poca preoccupazione alla scrivania. Il suo tavolo di lavoro era in subbuglio, i documenti erano ovunque, o per meglio dire ciò che ne restava. Le sue povere e malcapitate carte ridotte in coriandoli. Ne afferrò una, trovando la prova che confermava la sua ipotesi. Un segno marcato e definito stralciava il foglio, si potevano distinguere le unghie del suo adorato Kogoro. Il suo gatto. Impose calma e tranquillità al suo tono, urlare non avrebbe fatto altro che spaventarlo maggiormente. Il temporale di poche ore prima doveva aver terrorizzato il povero felino che in preda alla paura aveva iniziato a correre su e giù per l’ufficio mandandolo in rovina. Come aveva fatto a non pensarci? Poteva essere andata solo così, o forse no?
Sconsolata iniziò a chiamare il suo “ adorato” gattino. Un lieve rumore preavvisò la presenza del piccolo animale che uscì mestamente da dietro la libreria. Tremava, era bagnato, l’acqua del vaso doveva essergli caduta parzialmente addosso, ed i gatti odiano l’acqua. L’immagine di quel piccolo Kogoro indifeso la fece addolcire, si avvicinò al gatto con molta lentezza, tentando di non spaventarlo. E’ proprio vero, a volte gli animali sono più intuitivi delle persone, o almeno di alcune. Si fece prendere dolcemente tra le braccia della padrona che iniziò lentamente ad asciugarlo e tranquillizzarlo. Si sedette alla sedia rivestita di pelle, quella stessa sedia su cui si era guadagnata la fama di “regina del foro”, e perse lo sguardo oltre la finestra. Non avrebbe saputo dire se stesse osservando realmente qualcosa o si stesse semplicemente abbandonando a quel momento di relax. Le immagini della giornata scorrevano velocemente nelle sue iridi chiare. Quella persona la corteggiava ormai da cinque mesi. Era un bell’uomo sulla 40ina, degli incredibili occhi verdi trovavano sede nel suo viso contornato da capelli ramati. Era distinto e affascinante. Godeva di un ottima fama. Era conosciuto come il miglior ingegnere edile di Tokyo, l’aveva conosciuto casualmente durante una semplice causa, che ovviamente aveva vinto. All’inizio pensò che le attenzioni fossero dovute alla smisurata indole gentile dell’uomo che mostrava riconoscenza per il risultato ottenuto, ma col tempo si era dovuta ricredere. E quel pomeriggio..l’aveva quasi baciata, ma lei con fare educato aveva declinato la proposta. Ma perché? Per un marito ingrato, scorbutico e cafone? Doveva ammetterlo, a volte era davvero una stupida.

Il suono del cellulare la destò da quei pensieri, il suo Kogoro si era addormentato accucciandosi sulle sue gambe. Fece attenzione a non svegliarlo, allungando il braccio per aprire la cornetta senza porre attenzione a chi fosse il mittente dell'improvvisa chiamata.

“Eri? Dove sei? “

Era Kogoro, quella voce l’avrebbe riconosciuta in qualunque momento e frangente.

“ Nell’ufficio.. perché?”

Aveva risposto cercando di non far trapelare i sentimenti che l’avevano animata in quell’ora.

“Arrivo!”

La linea cadde. Una risposta secca. Una risposta che non attendeva. Una risposta che portava in sé tante domande. Alzò lo sguardo per osservare il suo ufficio in condizioni a dir poco disastrose. Quell’uomo avrebbe dovuto vederla in quello stato. Eccola, di nuovo, era una stupida, si preoccupava del parere di quell’ idiota. Proprio non riusciva a farne a meno.

Il suono del campanello preannunciò l’arrivo del tanto gradito/ sgradito ospite. Con non poco rammarico si avviò verso la porta evitando gli ostacoli che trovava sul percorso. Un petalo, un misero petalo, il suo tacco perse stabilità facendola cadere miseramente a terra  e bagnando la  gonna a contatto col tappeto.

“Eri tutto bene? Cosa è stato questo rumore?”

La voce dell’uomo dietro la porta entrò nell’abitacolo. Sembrava allarmato, doveva sbagliarsi, non era da Kogoro quell'atteggiamento. Si alzò seccata, guardandosi nello specchio di fronte. I suoi capelli dopo la caduta si erano sciolti, avevano ceduto proprio come la loro proprietaria. Le mani erano arrossate, le scarpe abbandonate sul tappeto e la gonna stropicciata e fradicia.  Sbuffò sonoramente. Suono che raggiunse le orecchie del suo ospite. Finalmente raggiunse la porta aprendola con un colpo secco. L’uomo chiuse gli occhi per poi riaprirli, incredulo.

“ Eri.. ma cosa?”

La donna fece cenno col capo di entrare per poi chiudere la porta alle loro spalle. Dopo aver osservato con nostalgia la figura del suo ex marito di spalle si decise a parlare.

“Il gatto deve essersi spaventato durante il temporale e visto la mia assenza ha scatenato il putiferio. Mentre venivo ad aprire la porta sono scivolata ed il resto credo non sia necessario spiegarlo, sei pur sempre un detective vero?”

L’uomo sembrava essersi estraniato,non aveva colto la frecciatina lanciatagli dalla ex moglie. Guardava l’appartamento attentamente. Sembrava riflettesse su una questione di notevole importanza. Improvvisamente notò un lieve rossore sulle gote dell’ex marito che dandole totalmente le spalle la lasciò non poco di stucco.

“ Non è stato Kogoro il gatto, ma io! Ti ho vista in quel ristorante con quel bell’imbusto, ho pensato potesse essere un cliente e sono venuto a controllare. Sono entrato al buio e per sbaglio ho urtato il vaso facendolo cadere. Mi sono deciso ad accendere la luce ma non appena ho preso i tuoi documenti quel maledetto gatto mi si è avventato contro!”

Lo notava solo ora, dei profondi graffi adornavano la mano dell’uomo.
Sembrava volesse dire altro e decise di non bloccarlo.

“Sono tornato al ristorante, l’ho visto avvicinarsi al tuo volto, stavo per entrare, quando tu Eri l’hai allontanato. Sono andato in quella famosa ferramenta e ho fatto fare una cosa per te..”

Dalla sua mano spuntò una chiave rossa.

“Torna a casa Eri, ti prego!”

Le chiese dolcemente l’uomo. Quell’uomo che per quanto cafone, ubriacone, sbadato potesse apparire rimaneva sempre il suo Kogoro. Quello sbadato che le aveva mandato in subbuglio un appartamento, che le aveva mandato in subbuglio corpo ed anima.
Eri si diresse verso la scrivania senza proferire parola, sentiva i suoi occhi puntati addosso attendere impazientemente una risposta. Cercò il suo mazzo di chiavi e lo nascose nella mano. Si voltò verso il detective e dimezzando la distanza tra di loro gli mostrò la chiave, quella stessa chiave che lui le aveva amorevolmente duplicato.

“ Non avrei mai potuto gettarla via, mai. ”

*****

Entrò nella sua casa, quella vera, l’unica alla quale sentiva di poter assegnare quel possessivo,la mia casa. Trovò la sua bambina, ormai adolescente osservare silenziosamente la tv. Sembrava pensare a qualcosa.

“ Ran è tutto ok?” domandò con fare dolce.

“ Anni fa, in questa stessa giornata sei andata via, lasciandoci soli.” Rispose con fare atono.

“ Ed in questa stessa serata ho deciso di tornare.”

La ragazza si volto, trovando Eri sulla soglia di casa e Kogoro che reggeva due enormi valigie.
Ripensò all’arcobaleno visto qualche ora prima, ricordava di aver espresso tre desideri. Non che qualcuno le avesse mai detto che gli arcobaleni portassero fortuna, però lei in cuor suo ci aveva sperato.
Almeno il primo per quella volta si era avverato. Sua madre era tornata.
  
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