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Autore: Claire Piece    30/08/2012    6 recensioni
Nell’oscurità della mia camera non me ne ero accorta, ma erano di un colore diverso da quello che avevo visto ore prima.
Ora era un vero colore, naturale.
Erano iridi rosse.
Fui capace di non spaventarmene e improvvisamente capii che nel fondo del pozzo non ci avrei trovato elementi naturali comuni, ma ci avrei trovato del sangue.
Lo vidi spostarsi lento, parlò ancora vicino e mormorando “ Ti spaventano vero?”
“No…” bisbigliai “Li trovo orrendamente pieni di verità.”
Mi riaccostai per cercare un nuovo bacio ma lui sorridendo sghembo si allontanò appena e sussurrò “ In parte hai colto nel segno. Ma tu non puoi minimamente immaginare quante verità vedano.” Mi fissò per molto, serio.
I capelli corvini e la maglia altrettanto nera, fecero risaltare come una luce quel cremisi dei suoi occhi. Li vidi iniettarsi di sangue mentre mi guardava, sembrò volermi divorare, ma forse non è questa la sensazione più giusta per dire cosa provasse e cosa volesse realmente fare in quel momento Beyond .
Continuò a fissarmi e io non abbassai lo sguardo, non avrei mai perso nemmeno un attimo di quegli occhi.
Tornò poi a parlare piano e con sofferenza tentava di trattenere un impulso irrefrenabile che lo voleva spingere a fare qualcosa, ma non capivo bene cosa. Disse sotto voce solo poche parole prima di andarsene “Povera cappuccetto rosso è finita dritta, dritta nella bocca del lupo.”

Nella vita di una ragazza senza problemi, se non quelli della sua età, appare un'improvvisa ombra che oscurerà il sole che rendeva la sua vita serena e con una positiva monotonia.
L'apparizione di un misterioso personaggio le farà cambiare idea.
Salve a tutti.
Questa è diciamo una fan fiction sperimentale.
Vorrei divertirmi ad approfondire il personaggio di Beyond Birthday e ci proverò scrivendo questa storia.
Da subito ringrazio chi leggerà e spero sia di vostro gradimento.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, L, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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L'immagine è di Digitalreplicant artista trovato su DeviantArt                                                                                   Nel giro di ben due giorni mi ritrovai a fare le cose più insolite per far passare il tempo e non pensare troppo alla situazione che si era sviluppata

                                                          Il Bivio

 

Piedi non abbandonatemi ora

Portatemi al traguardo

Il mio cuore si spezza per ogni passo che faccio

Ma spero che le uscite mi diranno che sei mio

Camminando per le strade della città

E’ per sbaglio o di proposito? [...]

A volte l’amore non basta quando la via diventa dura [...]

Scegli le tue ultime parole

Questa è l’ultima volta

Perché tu e io, siamo nati per morire.

 

                                                                 (Traduzione Born to Die di Lana Del Rey)

 

 

Nel giro di ben due giorni, mi ritrovai a fare le cose più insolite per far passare il tempo e non pensare troppo alla situazione che si era sviluppata.

D’altronde non succede tutti  giorni di passare da stati di completa incoscienza e di superficiale amore per delle apparenze, ad un veloce risveglio e presa di coscienza della gravità della cosa.

Ma nonostante tutto, nell’incastro di questi due elementi, ne era uscito uno strano risultato.

Se dovessi proprio definirli, li potrei chiamare solamente strani miscugli di sentimenti oppure come qualcosa di simile ad un’ampolla. Sì, come paragone rende abbastanza bene l’idea. A quelle ampolle di Natale che quando vengono agitate rilasciano galleggianti i fiocchi di neve. Potrei paragonare esattamente i miei il mio stato d’animo a quella neve in movimento e che prima o poi avrebbe toccato terra. Il mio problema è che, a differenza dell’ampolla dove la gravità fa cadere ondeggiante la neve sulla superficie, nel mio caso non aveva nessuna forza attrattiva che poteva portarla giù. Non c’era nessuna chiave che avrebbe  potuto sbloccare la mia situazione, al di fuori di quel maledetto messaggio che B mi disse mi avrebbe fatto recapitare per sapere cosa realmente avrei dovuto fare.

Ogni volta che ripensavo a quelle sue ultime parole, avevo voglia di ribellarmi,di non aiutarlo, di non fare nulla per lui. Io definirei meglio tutto questo con un non voler sapere cosa fare, il non volerlo più seguire nella sua pazzia. Ma la realtà e la verità, è che io morivo dalla voglia di sapere qualcosa di lui, avevo bisogno di scoprire che cosa nascondeva, di scoprire di cosa, in quei mesi, ero stata in balia.

Sì, ma come avrei potuto scoprire quello che volevo senza un aiuto?

Un aiuto che per lo meno fosse vicino e a stretto contatto con B.

B, per quello che conoscevo di lui, era l’essere più solo di questa terra. Non lo avevo mai notato con amici o conoscenti, lo avevo sempre visto relazionarsi in maniera educata con gli estranei. Anche  se quella potrei definirla finzione dato che stiamo parlando di B.

Alla fine di questi miei ragionamenti, che non avevano né capo né coda, mi ritrovato a scrutare, senza particolare attenzione, il libro di matematica sperando che da un momento all’altro comparisse Jesse dalla porta e che mi aiutasse sia nell’odiosa matematica, sia con B. Pensai che se fosse stata lì con me, in quel momento, probabilmente le avrei raccontato ogni cosa e sicuramente, dopo avermi dato della pazza, mi avrebbe detto di chiamare la polizia correndo.

Volsi il mio sguardo verso la finestra e iniziai a notare che le giornate cominciavano ad accorciarsi. Venni investita dalla malinconia, nemmeno l’estate fosse finita il giorno seguente.

Mi alzai dalla scrivania e mi misi a osservare, dall’alto del nostro appartamento, il mondo esterno.

Un serpeggiante gruppo di persone camminava per i marcia piedi e le auto scorrevano a fatica nel fiume del traffico. Sono sempre rimasta stupida da come questo paesaggio, così  grigio e monotono, potesse avere una così particolare attrattiva.

Ad un tratto i miei occhi vennero catturati dal blu di una felpa che avevo già visto e che risvegliò nella mia testa, il suono metallico delle aste di ferro che piombavano a terra sul pianerottolo di casa. Subito capii che si trattava di quel ragazzo incontrato due giorni prima. Sul marciapiede opposto a quello di casa mia, era intento a prendersi un hot dog nel mini chiosco di Henry Burns.  

Mi ritornò alla mente il suo sguardo mentre raccoglieva i suoi oggetti metallici. Ebbe su di me l’effetto di un gentile rimprovero misto all’apprensione.

Poi mi chiesi: Che questo ragazzo viva da queste parti? E’ già la seconda volta che lo vedo?

Udì poi lo scattare della serratura della mia camera e voltandomi sulla porta vidi fare capolino la mamma.

“Wow! Insolito che tu studi la matematica. La odi. Che succede Leo? Tutto a posto?” Mia madre, vestita ancora col suo completo elegante da lavoro, andò verso la scrivania e  sfiorò le pagine del libro di matematica.

Io sorrisi appena e le risposi “ Diciamo che per ora è solo un legame con Jesse in attesa che torni. Non ho molta voglia di pensare ultimamente, quindi mi butto sullo studio e poi all’inizio della scuola manca poco. Ho altra alternativa?” Abbassai gli occhi mentre giocherellavo con le mie dita.

La mamma mi guardò con un’aria leggermente rattristata poi mi si avvicinò e mi abbracciò forte. In quel momento l’abbraccio di mia madre calmò per un attimo la bufera di neve che avevo nell’ampolla del mio petto. E rimase in stand by anche quando a cena rividi finalmente mia madre e mio padre seduti insieme allo stesso tavolo, a parlare, perfino scherzare, proprio come quando ero bambina. Quella sera ricordo di aver sorriso molto. Non ricordavo di aver sorriso così tanto in vita mia.

Sentivo un senso di completezza con loro e di appagamento, che nemmeno B mi faceva più tanta paura. Beyond sembrò essere diventato un punto lontano, come se fosse finito in una torre su un’alta collina.

Chissà se B fosse stato un normale ragazzo, un normale amore…chissà se la mia vita avrebbe acquisito la tranquilla perfezione che sentivo di esigere?

Mi rammaricavo quando arrivava il momento di andare a dormire, perché con la scesa delle tenebre, l’arrivo della solitudine della mia camera, tornava puntualmente il pensiero di lui e arrivavano con altrettanto tempismo tutte le elucubrazioni che avevo fatto nella mia giornata.

E l’ampolla tornava di nuovo a scuotersi.

 

Il giorno seguente a colazione mi offrì di fare la spesa per il pranzo, dato che la mamma e il papà sarebbero stati entrambi occupati dal lavoro ed io volevo evitare il più possibile di rimanere sola in casa. Soprattutto se B, magari sconvolgendo i suoi piani, si fosse potuto presentare sulla porta di casa.

Così appena sia mia madre che mio padre uscirono, io con un sorriso rassicurante li salutai e mi misi subito a lavoro per riordinare la tavola dalla colazione, lavando le stoviglie che avevamo usato pochi istanti prima. Nell’aria potevo ancora sentire l’odore vanigliato dei pancakes e mi rimase impregnato sui vestiti anche quando uscii di casa.

Il profumo alla vaniglia si addiceva perfettamente alla t-shirt giallo pallido che indossai.

Chiudendo la porta di casa a chiave, notai sul pianerottolo, di nuovo quel ragazzo in felpa blu. Subito mi chiesi: Ma non ha altre maglie di colore diverso?

Ma sorvolai, dato che mi ero abituata male. A quello strano cambio di felpe di B.

Era fermo sul lato opposto alla mia porta e sembrava aspettare qualcuno, forse l’inquilino dell’appartamento accanto.

Con sguardo sfuggevole non gli diedi peso e decisi di scendere le scale. Inconsciamente non mi ricordai che anche B, giorni prima, aveva sceso quei gradini. Muovevo il mio corpo seguendo una specie di filo invisibile che speravo mi conducesse a lui. Lo scendere le scale quel giorno, fu come sentirmi legata a Beyond in maniera ingenua e irriflessiva.

Molto più riflessivo fu il mio percorso per raggiungere il market, che distava nemmeno un kilometro da casa.

Nella testa, quel ragazzo in maglia blu e il frastuono metallico del ferro,erano un tutt’uno.

Cosa ci faceva quel tipo, lì ad aspettare? Chi e cosa aspettava?

A quell’ora tutti, nel palazzo in cui vivevo, erano a lavoro o fuori per le vacanze, soprattutto i soggetti più giovani che abitavano in quel complesso.

Al ritorno verso casa, ero incastrata nei miei ragionamenti più che mai. Sarebbero potuti passarmi davanti animali parlanti o una banda a suonarmi nelle orecchie, ma niente, nulla  mi avrebbe distratto da quello che si contorceva nella mia testa.

Arrivata aprii il portone, presi decisa l’ascensore e digitando il tasto del piano feci una piccola scommessa con me stessa.

Se il tizio di prima, quando arrivo alla porta, è ancora lì. Gli parlo.

Mentre tenevo la spesa nelle mani, potevo sentire il mio cuore smuovere leggermente la carta marroncina della busta che conteneva i miei acquisti.

Non posso farci nulla sono curiosa e mi affascina il capire cosa c’è sotto a qualcosa che mi insospettisce, tanto da arrivare ad entusiasmarmi.

Le porte scorrevoli dell’ascensore si aprirono e appena misi piede sul mio piano, guardai dalla parte opposta alla mia porta di casa.

C’era, era ancora lì. Il ‘ragazzo blu’.

Non sollevò la testa per guardarmi, rimase nascosto sotto il suo cappuccio e con le mani incrociate davanti al petto.

Io andai sulla mia soglia e feci per inserire le chiavi nella serratura, finsi esitazione poi mi voltai scostandomi i capelli dietro l’orecchio e parlai.

“Senti? Tu, se non sbaglio, sei il ragazzo che l’altro giorno ha fatto quel rumore con le aste di ferro? Vero?” Dissi tranquillamente e seriamente interessata.

Lui alzò il viso, si scoprì dal cappuccio e venne verso di me. Ora potevo vedere meglio il suo volto mascolino, la sua cicatrice tra labbro superiore e guancia, che mi apparve più profonda di quel che ricordavo. E possedeva una ragguardevole statura.

“Sì, sono io. Però ce ne hai messo di tempo per notarmi?” La sua voce era chiara, pulita, non era molto profonda ma comunque assai maschile.

“E perché avrei dovuto notarti?”

“Perché io so con chi hai a che fare.” Disse serio e vidi trasparire dai suo occhi color ghiaccio una qualche forma di calore.

“Tu, sai che cosa?” Ero titubante, un estraneo piomba all’improvviso nella mia vita e afferma di sapere molto di più di quanto ne possa sapere io.

“Entriamo in casa, non voglio parlarne qui. Tranquilla non sono pericoloso, per lo meno io non ammazzo la gente.” Detto questo, con fare fluido e rilassato, si avvicinò a me che ero rimasta senza parole.

Lui conosceva qualcosa di B!

Non potevo perdere una possibilità del genere e  d’altronde come aveva appena detto lui, avevo già conosciuto qualcuno di molto più pericoloso e in grado di uccidermi.

‘Blu’, mi apparve talmente innocuo a confronto di B, che senza esitare spalancai la porta di casa. Poggiai la busta della spesa sul tavolo circolare in cucina e raggiunsi subito Blu, che era rimasto in piedi solo nel salotto.

“Accomodati.” Dissi indicandogli con la mano uno dei due divani che erano l’uno di fronte all’altro, separati da un tavolino di un legno beige e di uno stile molto semplice ed essenziale. Mio padre non è molto amante del design come mia madre.

Lui si sedette e si osservò intorno poi tornò a guardarmi.

“Così...tu devi essere il suo svago?” Disse con un modo leggermente dispregiativo, ma capii che non era nei miei confronti.

“Se vuoi definirmi così. Ma…” Ero esitante.

Ancora rispuntava a chiazze quella mia paura di non voler sapere.

La misi a tacere!

“ Ma tu cosa sai di lui? In che rapporti sei con lui?” Ingoiai come se avessi avuto un gomitolo in gola.

“Innanzitutto mi presento. Odio che le persone non possano rivolgersi a me come si deve.” Si grattò appena la testa spettinando un poco i suoi cortissimi capelli biondo cenere. “Mi chiamo Abel.” Feci per risponde e dirgli il mio nome ma mi precedette “ Leonor. Lo so, l’ho sentito dai tuoi genitori quando ti chiamavano, mentre ti tenevo sott’occhio. Dunque, da dove posso partire. Ah! Ecco. Mi hai chiesto in che rapporti sono con il pazzo. Possiamo definirlo un rapporto di odio e lavoro.” Poi crucciò le sopraciglia assumendo un’aria seccata “ Ma non quel lavoro che so di sicuro conosci anche tu.”

A quella sua affermazione sentii imbarazzo, vergogna e repulsione per me stessa.

Abbassai lo sguardo e restai in ascolto.

“Io l’ho assunto come detective. Rue Ryuzaki si fa chiamare. Che nome assurdo per uno che non è nemmeno giapponese. Ma scommetto che lui di questo non te ne abbia parlato minimamente. Eh, sì! Per lui è probabile che, nella mente bacata che si ritrova, tu abbia un posticino tutto particolare. Da principessina. Ma sai qual è la cosa divertente? E’ che io so che cos’è…” Abel prese a guardarsi le mani e poi di nuovo mi scrutò “Sai, giorni fa dopo aver ucciso mia cugina, l’ho individuato subito. Era lì, tra i curiosi che osservava se aveva fatto un ottimo lavoro.” Il tono di Abel diventava sempre più astioso.

Ad un tratto riemersero nella mia testa le immagini di due mesi prima, quelle dell’omicidio del maniaco davanti casa. Ricordai in maniera definita le espressioni compiaciute di B tra la folla.

Ebbi un brivido e continuai a sentire.

“Gli altri nello sciame di persone davanti casa di Backy, non se ne sono accorti, nemmeno la polizia, che la belva si aggirava tranquilla tra di loro. Ingenui. Ma io sì. Volevo ritrovarlo e  riempirlo di botte. Ma poi giorni più tardi le altre famiglie delle vittime mi contattano essendo io l’unico famigliare di mia cugina residente qui a Los Angeles. E mi chiedono se mi avebbe fatto piacere che le indagini in ‘privato’, le avesse potete svolgere questo Ryuzaki. Mosso dalla curiosità ho pensato – Va bene.- Poi ho voluto vedere chi fosse questo tizio. La cosa non mi aveva mai convinto. L’altro ieri mi sono appostato sotto casa di Bridesmaid. E chi vedo entrare nel complesso? Il tizio della folla di curiosi, ovviamente abbigliato come un ragazzino pulito e senza macchia, poi poco dopo una donna orientale. A guardarla sembra conoscere il fatto suo…” Abel prese una pausa, sembrò riflettere sulla particolarità di questa donna, poi continuò. “ Capisci cosa fa? Uccide le persone e poi finge di indagare per risolvere gli omicidi! E’ più schifoso di quanto potessi immaginare.”

Iniziai a percepire una sensazione sgradevole, avevo freddo e stavo sudando, ma il mio sudore somigliava più a una cascata d’acqua gelata, mi sembrò che il mio corpo si stesse per staccare dallo spirito. Ammirai Abel, perchè lui era stato molto più attento di me, aveva riconosciuto il male e ne stava alla larga come era giusto che fosse.

“Che cosa gli ha fatto?” Dissi con la voce che a stento era tremante, cercando di mantenere l’autocontrollo e non rischiare di collassare a terra.

“Avrei proprio voglia di dirtelo cosa ha fatto alla mia Backy. Ma per quanto io sia tentato di fare del male a te per colpire lui, non ho proprio voglia di raccontarlo. E’ straziante, angosciante.” Abel chinò il capo rattristato, doveva voler davvero bene a sua cugina.

“Mi dispiace…” Mormorai quasi fossi senza voce.

Abel drizzò la testa e addolcì il viso, per un istante la sua cicatrice sembrò sparirgli dal volto, aveva percepito la mia vergogna e costernazione.

Era anche colpa mia se lui aveva perso qualcuno che amava. Io avrei potuto fermarlo se solo avessi agito prima e in un qualsiasi modo.

“Non sentirti in colpa Leonor. Deve averti ingannato in qualche modo.”

In un attimo dall’amarezza e il disgusto passai all’ira. Mi salì una forte ondata di rabbia ed esplosi. “ No! Non mi ha ingannato. Lui mi faceva capire tutto. Mi procurava un’angoscia disumana! Mi ha fatto e mi fa sentire sporca come lui! Ti assicuro che è stato più che loquace con me.” Con gli occhi trafissi Abel.

Ero furente non perché stavo difendendo B, come accadde tempo prima, ma perché finalmente ero arrabbiata come si deve con lui, per quello che stava facendo scontare a me e ad altre persone.

“Ora dimmi. Che cosa devo fare? Voglio sapere e vedere tutto! Tutto! E tu sai come posso fare. Dimmelo Abel.” La mia voce si abbassò di poco ma era piena di collera.

Abel sorrise appena e leggermente disorientato dalla mia reazione. Forse si sarebbe aspettato che io mi fossi messa a piangere come una bambina e chiesto solo il suo perdono, ma io volevo andare oltre il perdono.

“ Bene. Io lavoro in uno stabilimento che produce materiali metallici, come il ferro. L’avrai notato dalle aste dell’altro giorno. Come ti ho detto, giorni fa ho seguito il pazzo e ho scoperto, con mia grande gioia, che questo Ryuzaki vive in un vecchio complesso lì vicino.

E’ distante, dalla fabbrica in cui lavoro, sì e no trecento metri. E’ vicinissimo ad un canale che scorre attaccato ai complessi industriali e dove di solito vengono scaricati i rifiuti…” Esitò e poi mi propose “ Io non ci sono mai entrato, non ne ho mai avuto la forza e il coraggio. Avrei potuto, ma non l’ho fatto. Perchè avrei rischiato di  ucciderlo con le mie mani e non voglio abbassarmi al suo livello, questo è sicuro. E’ già rischioso il fatto che io lo segua e non se ne sia ancora accorto. Ma se tu te la senti…” Io interruppì Abel velocemente.

“Ok! Ci sto, andrò io. Entrerò io in quel posto.” Ero seria e impercettibilmente turbata, ma entusiasta di poter fare qualcosa per Abel, per sua cugina, per Believe e per quella bambina di tredici anni, Quarter.

In più avrei avuto la verità su B, ne ero certa.

“Ok. Tra un paio di giorni ti verrò a prendere io. Facciamo il venti, giovedì, alle cinque di pomeriggio. Inizio a lavorare per le sei e la strada per arrivare è abbastanza lunga.”

Detto questo Abel si alzò dal divano e si diresse verso l’uscio, io feci lo stesso e lo accompagnai.

Mentre afferrava il pomello della porta si bloccò e si voltò a guardarmi.

“Sai, io questa cicatrice me la sono procurata difendendo Backy. Suo padre le stava per mollare una sprangata come le stesse barre di ferro con cui lavoro ora, solo che quella era più affilata. Io mi misi davanti a lei e lui mi lacerò mezzo labbro e la guancia.

I servizi sociali gliel’hanno tolta e l’avevano portata da noi...mia madre era così felice. Siamo diventati la sua vera famiglia. Non posso credere che sia finita nelle braccia di un altro mostro senza neanche accorgersene…” Abel aveva la voce intrisa di commozione “ Mi dispiace molto anche per te Leonor. Non ti meriti un mostro anche tu.” Con quelle parole, Abel mi lasciò.

Rimasi immobile mentre si chiudeva la porta.

Era vero non me lo meritavo, ma lo avevo voluto io.

 

Trascorse un giorno dalla chiacchierata che avevo avuto con Abel e ancora non riuscivo a capacitarmi che avrei scoperto e visto quello che volevo. Nonostante la paura mi afferrasse il cuore, facendomi sentire una stretta che mi bloccava il respiro, ero comunque determinata.

Ma quanta paura riuscivo a sentire? Se avessi avuto davanti di nuovo B, sarei riuscita a resistergli? A vedere davvero quello che era?

Tutto era così palese eppure sembravo ancora esserne incredula.

“Tesoro!” Ad un tratto sentii la mamma chiamarmi e avvicinarsi verso la mia camera, mentre io ero intenta a spazzolarmi i capelli davanti lo specchio del mio bagno.

Vidi dal riflesso, dietro le mie spalle, mia madre cercarmi all’interno della mia stanza, poi la chiamai per fargli capire dov’ero.

“Ah! Eccoti Leo. Tieni il tuo cellulare, l’hai lasciato in salone. E’ un paio di volte che squilla a vuoto, così ho pensato di portartelo.” La mamma mi porse il telefono che stava trillando e notai che la sua mano era più anellata del solito.

“Grazie mamma, Sarà Jesse, ora rispondo subito. Come mai tutti quegli anelli oggi?” Dissi sorridendo e tornando a specchiarmi verso la superficie riflettente.

E mentre lei si allontanava rispose “Oggi devo fare colpo su un cliente Vip!” Poi ridendo uscì dalla mia stanza lasciando la porta appena incassata, ma non del tutto chiusa.

Sbuffai, perché le avrò ripetuto una marea di volte che la porta mi piace venga chiusa.

Esaspertata, stufa di sentir suonare il cellulare, risposi.

Pensai: Cavolo! Oggi Jesse è davvero insistente!

“Sì, pronto! Jesse, ma che hai oggi? Perché mi chiami a ritmi assurdi?” Sbraitai in tono scherzoso.

- Parlo con Leonor White?- Dall’altro capo della comunicazione mi arrivò una voce bassa e suadente, ma così monotona.

“Sì. Co...con chi parlo?” Chiesi titubante e allontanandomi dal bagno alla mia camera.

- Mi presenterò poi…- Si arrestò facendo intuire che stesse riflettendo poi continuò - Anche se credo che lui ti abbia già parlato di me.- Questa volta sentivo una punta di sarcasmo nella sua voce camaleontica. Ma quella briciola di frase mi aprii un varco negli sconclusionati vaneggiamenti di B.

“Tu…sei L!” Dissi incredula.

Non lo conoscevo, non sapevo chi fosse e nel rivolgermi a lui esordii come se avessi finalmente trovato quell’entità di cui B mia aveva accennato, esisteva e  potevo aggrapparmici.

- Sì.- Secco.

“ Perché mi stai chiamando?” Non so per quale motivo, ma il solo sentirlo parlare aveva stimolato in me una voglia sfrenata di porgli domande e capire cosa voleva. Chi era.

- Perché sei in pericolo e perché devi essere protetta da Beyond Birthday.- L, mi disse il nome completo di B con estrema cautela come se volesse farmelo entrare nella testa lettera per lettera.

“Come hai fatto ad avere il mio numero? A sapere chi sono. E poi sono già a casa con un poliziotto coinvolto nelle indagini in questo caso di B. Che rischio potrei correre ora?”

-Diciamo che io so tutto di tutti e ho molti mezzi a mia disposizione.-

“Sei dell’FBI? Della CIA?”

-Un po’ più in alto.- Disse L con un tono impercettibilmente divertito, come per farsi beffa delle organizzazioni che avevo appena menzionato.

“E’ così pericoloso?”  Cambiai espressione da curiosa ad attonita. Ingoiai a vuoto in preda allo sgomento, mi sedetti sul letto con gli occhi appena socchiusi. B aveva smobilitato qualcuno di più potente e influente delle forze dell’ordine più comuni. E questo qualcuno aveva addiritura a che fare con lui.

- Sì. – Freddo. - Leonor, B non è solo un caso di un malato a livello psichico elevato. E’ molto peggio, perché ha una mente che con ottime capacità intellettuali. Come le aveva anche A, ma suppongo ti abbia parlato anche di questo…- Lo fermai.

“ No, non me ne ha parlato.” Finsi e mentii con un tono dispiaciuto, perchè volevo che mi parlasse proprio di quell’argomento.

Mi alzai, andai alla porta, la chiusi. Sentivo che mi stava per essere narrata una qualche verità e volevo sentirla nel silenzio e nella privacy più assoluta. Come quando si riceve un regalo importante e lo si vuole scartare da soli per godere al meglio l’attimo.

Mi risedetti sul letto e ascoltai le parole di L.

- Vedi, nel luogo dove B è cresciuto e ha passato la sua infanzia, c’è una forte selezione,  diciamo, mentale. Lui e A divennero molto amici e condividevano questa passione per la competizione intellettuale. Un giorno però A non ce l’ha fatta più a reggere questo peso e così si tolse la vita. Da allora B non ha fatto altro che odiarmi, perché ritiene che sia io la causa della morte di A, come se lo avessi motivato io al suicidio. Leonor, tutto quello che ora sta facendo e ha fatto B, sono il frutto di puerili ripicche e rivincite, mescolate alla vendetta. Capisci in che stato mentale si trova?-

“ Sì…” Affermai annuendo con la testa.

Nel tono di L c’era uno strano modo di approcciare quell’argomento, era glaciale e sterile, ma allo stesso momento c’era la cadenza di chi vuole farsi comprendere in maniera calma e fraterna.

Nonostante tutto però non riuscivo a credere che quella chiamata fosse solo riguardante la mia sicurezza, percepivo che c’era dell’altro sotto lo strato spesso delle parole di L.

Parlai senza filtri, esposi ciò che pensavo senza remore. Colsi che la persona sconosciuta con cui stavo parlando, era capace di apprezzare questo aspetto. E per di più me ne fidavo, forse la sua voce mi aveva giocato un bello scherzetto, ma sentivo di poterlo seguire. Che c’era un vortice dietro quel ricevitore, un vortice di totale protezione, che reclamava, pretendeva la mia fiducia e io gliela diedi senza troppe esitazioni.

“ Senti L, francamente. Ho capito molto bene la condizione di B, senza che tu me la descrivessi ora, me l’aveva lasciata presagire di poco, ma l’avevo afferrata. Ti sono grata solo del fatto che tu mi abbia raccontato questa storia di A, ma...” Sospirai “ Ma devo capire ancora questo strano nesso misterioso tra te e lui, tra i vostri nomi che sono semplici lettere e, cosa ancora più importante, perchè interpellare me se hai già i tuoi mezzi per fermarlo? Lo hai detto tu stesso. No? Alla fin fine questa chiamata sta diventanto solo un sunto sbrigativo della situazione di B e un banale constatare che sono in un guaio grosso come tutta Los Angeles.”

Il cellulare per pochi istanti rimase muto poi di nuovo le voce ruca di L pervase il mio orecchio.

- Non credevo fossi così arguta. Ha scelto proprio bene.- Constatò L con una vena di spirito.

“Oh, beh! Grazie. Ma a questo punto dimmi cosa mi devi dire. Ho capito che non sei il tipo che le manda a dire, ma che le dice e basta le cose. Che fai? Volevi vedere che tipo ero? Mi metti alla prova come fa lui?” Malgrado la tematica della nostra telefonata e la mia tensione, quell’L mi stava facendo stranamente divertire.

-Bene, andrò al sodo. Ma è vero che comunque la tua incolumità va tenuta altamente in considerazione.-

“Va bene, dimmi pure.”

- Voglio che tu faccia tutto come se niente fosse. Lo so che probabilmente ti sarai accorta che lui sta andando sempre peggio e che non vorresti seguirlo, ma voglio che tu esegua le sue richieste. Perchè so, che anche se di poco, ti a messo al corrente di qualcosa. Dobbiamo procedere in questo modo per poterlo fermare. Almeno secondo quello che ho in mente io di fare.- poi ancora prima che io aprissi bocca per parlare dei miei timori lui ricominciò – Non ti preoccupare sarai tenuta sotto controllo da dei  miei collaboratori, non ti succederà nulla di spiacevole.-

Rimasi in silenzio per qualche istante, risentivo l’ampolla riagitarsi nel mio petto.

- Provi pena per lui?- L mormorò quelle parole in maniera quasi sospettosa e molto indagatoria.

“No. Solo amore, ma voglio fermarlo.”

Questa volta il silenzio venne da sua parte ma seccamente lo interruppe con un tono incuriosito - Quindi è così l’amore.-

Il mio volto divenne concentrato e dalla mia bocca uscì “Ma chi sei tu veramente?”

Un secondo dopo udii il rumore gutturale della chiamata conclusa.

Rimasi interdetta per qualche istante, poi chiusi lo sportelletto del cellulare e mi adagiai, balazando un po’, sul letto e serrati gli occhi per cercare di fermare la solita bufera di neve che si scatenava  nel mio petto, ma che non riusciva ancora a congelare i miei sentimenti d’amore per lui.

Ora avevo ben due persone in grado di aiutarmi a capire chi fosse Beyond Birthday.

 

Il pomeriggio del venti agosto mi vestii con particolare attenzione, cercando di rimanere molto pratica, dato che il luogo in cui sarei andata non era certo un parco giochi.

Infilai un paio di jeans blu scuro e  una felpa con delle tasche particolari, infatti erano interne e la volli proprio per questa singolare caratteristica. Inserii il mio cellulare in una di queste tasche in modo da non farlo notare. Pensai che in una qualunque situazione in cui mi sarei potuta trovare in difficoltà, sarebbe stato meglio tenerlo al sicuro.

Allacciate le scarpe mi diressi verso l’uscita di casa, ma mio padre mi fermò mentre distrattamente, ancora col capo chino, leggeva il giornale seduto sul sofà.

“Dove stiamo andando oggi?” Disse con fare burlesco.

Avevo già preventivato che mi avrebbe fatto una specie di terzo grado e decisi di dirgli veramente con chi ero, in modo che se le cose si fossero messe male avrebbe saputo a chi rivolgersi.

“Vado a fare un giro con Abel. E’ un ragazzo che ho conosciuto in questi giorni mentre uscivo per fare le nostre solite spese.” Il mio modo di parlare fu spigliato e nel frattempo mi risistemai ben bene la maglia per sentire se avevo con me il cellualre. In vita mia non ho mai avuto così tanta apprenzione per un oggetto come quello, come in quel momento.

“Abel...” Boffonchiò mio padre sarcastico “ Va bene, ma ritorni per cena? Hai con te i numeri utili? Lo sai che tua madre mi ha infettato le sue crisi, ma sono davvero preoccupato anch’io.” Papà era un po’ più serio e stava per trasformandosi nel poliziotto Dawson White.

“Sì, ho tutto e torno per cena. Non ti preoccupare Abel è un tipo a posto.” Dissi sorridendo cercando di rassicurarlo e di calmare le sue preoccupazioni.

Quando scesi  sulla strada, sul marciapiede opposto, c’era Abel ad attendermi in una vecchia e nera Ford Mustang coupè 289.

“Hai avuto il lascia passare della mammina e del paparino?” Mentre salivo in macchina Abel sdrammatizzando, dissolvendo appena l’opprimente atmosfera che si creava tra me e lui grazie al fatto che io ero in relazione con B.

“Sì, ma solo del paprino. Gli ho appena detto che sto andando nella tana del lupo.” Io invece ero leggermente amara nel mio tono, ma lasciai comunque trapelare un mezzo sorriso.

Abel fece finta di sorvolare al mio commento caustico, sospirò appena e mise in moto. Sentii l’attempato motore della Mustang scuotermi.

Guardai Abel cercando una specie di incoraggiamento. Quel giorno indossava una semplice t-shirt a maniche corte grigia e dei pantaloni larghi e logori, adibiti probabilmente al lavoro.

“Tranquilla, sono sicuro che andrà bene.” Disse mentre con una manovra si immetteva sulla strada.

L’odore della vecchia pelle della Mustang mi faceva percepire la quantità del tempo che aveva vissuto e perfino la strada che percorrevamo sembrava vista con il filtro temporale della vecchia America degli anni sessanta.

C’era silenzio nell’auto solo il motore parlava, ma Abel interruppe quella quiete.

“Non ti chiederò come hai incontrato un tipo del genere, ma possibile che tu non ti sia mai accorta di quello che è?” Aveva un’espressione incredula mentre mi poneva quella domanda.

“Sorvolerò sul dirti le solite frasi: All’amor non si comanda, etc...ma forse tra una di queste fesserie, una mi si addice.”

“Quale?” Abel si voltò appena per guardarmi poi riproiettò i suoi occhi sulla strada, sistemando ben bene il braccio e la mano destra sul volante. Notai che aveva delle braccia molto tembrate dal lavoro pesante che faceva in quella fabbrica, data la sua notevole muscolatura.

“L’amore è cieco.” Dissi secca e compatendomi un po’.

Abel rimase confuso, non parlò e si morse appena il labbro, poi finì il nostro dialogo dicendo “ Sì, ma non puoi continuare ad essere cieca.”

Prendemmo l’uscita per l’autostrada e dopo trenta minuti finalmente arrivammo a destinazione.

Abel parcheggio davanti allo stabilimento in cui lavorava e mentre mi apprestavo a  scendere dalla macchina mi fermò prendendomi per il braccio.

“Scusami se sono così brusco. Ma sono arrabbiato e molto. Mi  ha tolto una tra le persone che amavo di più al mondo e non ci passerò mai sopra. Non voglio farla scontare a te, ma ora ne sei il riflesso e...” guardò in basso, sembrò osservare e interessarsi a qualche particolare dell’auto, ma in verità stava riflettendo attentamente. Mentre pensava sembrava che la sua cicatrice affondasse ancora di più nella carne.

Sollevò il capo “ Ascolta attentamente, ora ti lascerò il mio numero di cellulare. Io lo porto sempre con me anche a lavoro, da quando è successa questa cosa a Backy. Quindi appena hai fatto o appena si mettono male le cose chiamami. Ok?”

Io annuii decisa.

“Ora lui non c’è. Sta giocando a fare il detective privato con la tipa orientale tosta. Non ha un orario ben preciso di rientro. Quindi sbrigati, fai nella maniera più veloce possibile. Quando scendi dall’auto imbocca quella strada che da verso il fiumiciattolo, lo vedi?”

Annuii di nuovo senza dire una parola, guardando la direzione in cui Abel mi aveva indicato la strada, ero concentrata e attenta.

“Bene. Non potrai sbagliare il capannone è dismesso, è l’unico in questa zona. Posso solo augurarti che vada tutto bene. Anzi deve andare bene. Sii più veloce che puoi. Non voglio che succeda di nuovo.” Abel mi guardò dritto negli occhi e poi veloce mi diede il  suo numero di telefono che memorizzai nel mio cellulare.

 

Finalmente ero davanti all’imbocco della strada verso il capannone dismesso, ma l’ansia continuava a torturarmi lo stomaco. Mi voltai a osservare Abel che si stava allontanando verso la sua fabbrica.

Inspirai ed enspirai.

Buttare l’aria fuori mi diede coraggio,  ma mi sembrò di inizare ad incamminarmi in una specie di sentiero con un fondo profondo e nero come la pece.

In cinque minuti raggiunsi la mia meta.

Osservai l’esterno dello stabile corroso dal tempo e dal disuso, era scuro, sembrava quasi carbonizzato, ma non so se fosse frutto della luce del tramonto che facendo strani giochi la rendessero così tetra.

Poco distante dal complesso c’era un albero confinate alle rive del fiume, il canale d’acqua  era tutto forche limpido.

Il vecchio capannone, sul davanti, aveva un’entrata piùttosto grande, probabilmente veniva usata per i trasporti con mezzi  pesanti o roba del genere. Pensai subito che sicuramente doveva avere un qualche altro accesso a dimensione d’uomo e così fu. Girando sul lato sinistro vi trovai una porta, ma subito notai che era chiusa con un enorme lucchetto.

Effettivamente B, non avrebbe lasciato addentrare chiunque dentro al suo nascondiglio.

Presa dai nervi pensai a qualche altra alternativa e dopo aver fatto il giro completo dello stabile trovai un varco nel muro posteriore.

Era ben nascosto da delle sterpaglie e erbacce molto folte, ed era abbastanza piccolo da non notarsi. Nemmo lui lo avrebbe potuto scoprire, altrimenti lo avrebbe sicuramente chiuso, ma io date le mie esili dimensioni ci sarei passata tranquillamente.

Mi infilai dentro e strusciandomi a terra, facendo forza con i gomiti, mi trascinai all’interno di quella oscura struttura.

Con mio grande stupore, metre mi ripulivo alla ben meglio dal terriccio, scoprii che c’era il vuoto. Quella specie di fortezza ombrosa non aveva nulla al suo interno.

Mi arrivò immediata l’essenza di quel luogo, era così sgombro da qualsiasi forma di distrazione, perchè bisognava pensarci, era una specie di enorme tempio della mente umana.

Ma nonostante la sua vuotezza, sentivo sopra la mia testa, un alone nero e maligno  aleggiarmi addosso.

Continuavo a girare su me stessa e ad un tratto notai, infondo all’immenso stabile, una cabina. Una di quelle cabine adibite agli operai dove potevano dormire e mangiare arrivati all’ora della pausa.

Aprii la porta in vetro del vano e appena entrai si accesero in maniera automatica delle luci rosse. Per un attimo me ne spaventai, data la loro improvvisa comparsa, poi mi diedero solo fastidio. Davano quella sensazione di quando si ha la febbre molto alta.

Alla mia destra vidi un piccolo giaciglio, composto solo dalla struttura scarna di un letto e da un semplice materasso. Sulla parete di sinistra, poggiato su un tavolino sudicio e logoro, c’era un computer portatile con uno screensaver con la lettera B in stile gotico.

Andando avanti spinsi appena, con fare da ficcanaso e attento, un’altra porta...

 

Uno specchio di una forma rettagolare e tutto intorno c’erano ritagli di giornale e foto.

I brandelli di giornale erano tutti corrispondenti agli omicidi del caso chiamato Los Angeles Murder Cases, ma mancava solo quello del pazzo maniaco davanti casa. E le foto erano quanto di più abietto e macabro ci fosse al mondo.

Believe riverso a terra con dei segni sul petto fatti con una lama. Potevo riconoscere il colore freddo del suo corpo spento dalla morte.

Quarter senza i suoi occhi, gli erano stati infossati....

E la ‘Backy’ di Abel, senza più un braccio e senza una gamba.

Il sangue era da per tutto! Era il protagonista di quel collage fotografico di pessimo gusto. Erano tutte foto fatte dalla scientifica della polizia e lui le teneva in bella mostra, come un trofeo, nel suo bagno.

Appese sullo specchio sopra al lavello.

La luce rubiconda e quelle immagini trasformarono quel luogo in una vecchia stanza per lo sviluppo delle foto, l’unico elemento che stonava era che quelle foto erano orrore puro.

Andai in iperventilazione e sentii salirmi la nausea fin sopra la gola. Misi una mano tra naso e bocca, mi sembrava di percepire l’odore dei cadaveri e della carne viva, pur non avvertendo nessun tipo di odore, non c’era niente in quel posto solo la ceramica bianca che si tingeva di rosso vivo.

Appena entrata nel bagno i miei occhi vennero colpiti solo dalla nauseante opera artistica di Beyond. Non avevo avuto il tempo di osservare il resto.

Ma qualcosa dietro le mie spalle arrestò le mie acute reazioni a quella orrida vista.

Inspirai violentemente e non feci altro, non riuscii a voltarmi.

Sullo specchio vidi riflettere, dietro di me, due punti di luce ancora più fulvi dell’atmosfera che mi circondava.

Si avvicinavano a me e io non riuscivo a muovermi.

Ero impietrita.

Lentamente comparve, sotto i riflessi cremisi, B, con un’espressione cupa e superba, ma si notava che aveva qualcosa di malato.

“Ti piace? Lo so, manca quell’idiota che  mi stava quasi per rovinare i piani. Certo non meritava di finire lì.” Affermò tranquillamente ma con una punta di divertimento nella voce.

Non parlai, sbarrai gli occhi. Lo guardai con disprezzo e raccapriccio.

“Oh, Leo. Che sguardo truce per un visino come il tuo. Non voglio che il mio amore mi guardi così” B parlò mordace.

“E’ per questo che non mi hai fatto mai capire nulla? Avevi paura che ti avrei rigettato via come la cosa più abietta di questo mondo, vero? Tu hai fatto tutto questo, usato queste persone, per fare qualcosa a L. Non è vero?” Ero tremante e inorridita mentre indicavo le foto allo specchio.

In un istante mi ritrtovai la mano di B che artigliava con forza la mia mascella e con fare minaccioso, rabbioso, mi parlò a pochi centimetri dagli occhi. Le sue iridi porpora me li bruciarono.

“NON NOMINARLO! Non nominare L. Tu hai la più pallida idea di chi sia lui? No, che non lo sai. E’ un vigliacco che si nasconde da tutto e gli piace portare le persone ad ammazzarsi pur di farle diventare come lui!! OOOh...ma io gli proverò che non è così!”

Era infiammato da un qualcosa di indefinibile, furente, adirato, non sono termini appropriati. Lui era contaminato dalla pazzia fino al midollo, probabilemte provava cose che solo lui vedeva e pensava.

Ero immobile, intrappolata nella sua ragnatela. Tentavo di spingerlo via da me, ma con forza mi attirava verso di lui. Mi baciò con violenza e sentendo che non c’era nessuna risposta da parte mia, con uno sguardo freddo e leggermente impietosito fece scivolare la sua mano dalla mia mascella al mio collo.

La sua stretta e il mio volto sorpreso della ferrea presa furono una cosa sola.

Mentre mi strigeva la gola  mi sussurò “Sì, è vero non volevo farti vedere che persona sono. Speravo che tu mi capissi, speravo tu fossi stata la cosa migliore per me. Ma ora farò in modo che sia così per sempre...” lentamente portò anche la seconda mano al mio collo e strinse con ancora più foza anche con quella. “Leonor. Ti amo.” Sembrò uscirgli il mio nome come il sospiro di un innamorato. Fu una dichiarazione di amore vero e proprio, lo percepii nonostante  io non riuscissi a parlare, urlare o respirare. Dalla mia bocca uscivano solo lamenti strozzati e sentii le lacrime sgorgarmi dagli occhi.

Presi a cercare di staccare le sue mani dal mio collo, ma aveva una presa salda, sembrava essere nato per uccidere in quel modo. Poi tentai di allungare la mia mano ed arrivare alla tasca interna che conteneva il mio cellulare.

Devo chiamare Abel! Pensai.

Ma a quanto pareva quella agonia per me doveva durare all’infinito. Da una qualche parte di me arriva un lontano messaggio che chiedeva la fine, subito, e dall’altra mi chiedeva di fare qualcosa, di reagire meglio che potevo.

Iniziai a sentire le gambe cedere, le mani smettevano di fare resistenza e combattere quella morsa, smisero di cercare il cellulare, smisero di salvarmi.

Lentamente B, mi seguì a terra mentre pian piano mi spezzava il fiato con le sue stesse mani. Sembrava avere una particolare cura di me mentre mi uccideva.

Le palpebre mi iniziavano a pesare, i miei occhi vedevano a intermittenza l’immagine di B.

E prima che si chiudesero definitivamente, mi sembrò di aver visto una lacrima rossa, come il sangue che aveva sparso, solcare la guancia di B.

“Sto iniziando a non vederla più Leonor.” Così mi disse mentre la sua voce appena rotta dal pianto diveniva di velluto.

 

 

 

Ciao a tutti!

Eccomi qui dopo un po’ di tempo passato a combattere la varicella XD.

Ma posso assicurare che mi ha fatto pensare molto a questo capitolo ahahahaha, non potendo fare molto ho preso appunti tutto il tempo e ho letto come non mai.

Ora passo a chiedere scusa e perdono.

Sicuramente questo capitolo sarà di una noia mortale e magari il mio personaggio di Abel non sembrerà per nulla interessante.

Poi avrete notato che ho fatto qualche cambio alla trama della storia di Another Note, ma avevo voglia di folleggiare e poi alla fin fine è una Fan Fic e quindi ho sciallato un po’. Perdotemi se ho mancato qualche dettaglio o roba simile, ma non ho mai scritto una cosa così lunga nella mia vita da autrice di Fan Fic ahahahah.

So che il capitolo è un papiro di roba, ma per me era necessario che questa parte venisse letta tutta per inter,  mi sarebbe dispiaciuto spezzare il capitolo. Magari sarebbe risultato ancora più noioso.

Ringrazio chi mi recensisce e sostiene, chi mi inserisce nelle varie sezioni.

Grazie di cuore.

Spero di pubblicare il prossimo capitolo il più presto possibile.

Buon proseguimento. ^_^

 

Baci baci KiaraAma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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