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Il
Bivio
Piedi non abbandonatemi ora
Portatemi al traguardo
Il mio cuore si spezza per ogni passo che
faccio
Ma spero che le uscite mi diranno che sei
mio
Camminando per le strade della città
E’ per sbaglio o di proposito? [...]
A volte l’amore non basta quando la via
diventa dura [...]
Scegli le tue ultime parole
Questa è l’ultima volta
Perché tu e io, siamo nati per morire.
(Traduzione Born to Die di Lana Del Rey)
Nel
giro di ben due giorni, mi ritrovai a fare le cose più insolite per far passare
il tempo e non pensare troppo alla situazione che si era sviluppata.
D’altronde
non succede tutti giorni di passare da
stati di completa incoscienza e di superficiale amore per delle apparenze, ad
un veloce risveglio e presa di coscienza della gravità della cosa.
Ma
nonostante tutto, nell’incastro di questi due elementi, ne era uscito uno
strano risultato.
Se dovessi
proprio definirli, li potrei chiamare solamente strani miscugli di sentimenti
oppure come qualcosa di simile ad un’ampolla. Sì, come paragone rende
abbastanza bene l’idea. A quelle ampolle di Natale che quando vengono agitate
rilasciano galleggianti i fiocchi di neve. Potrei paragonare esattamente i miei
il mio stato d’animo a quella neve in movimento e che prima o poi avrebbe
toccato terra. Il mio problema è che, a differenza dell’ampolla dove la gravità
fa cadere ondeggiante la neve sulla superficie, nel mio caso non aveva nessuna
forza attrattiva che poteva portarla giù. Non c’era nessuna chiave che
avrebbe potuto sbloccare la mia
situazione, al di fuori di quel maledetto messaggio che B mi disse mi avrebbe
fatto recapitare per sapere cosa realmente avrei dovuto fare.
Ogni volta
che ripensavo a quelle sue ultime parole, avevo voglia di ribellarmi,di non
aiutarlo, di non fare nulla per lui. Io definirei meglio tutto questo con un
non voler sapere cosa fare, il non volerlo più seguire nella sua pazzia. Ma la
realtà e la verità, è che io morivo dalla voglia di sapere qualcosa di lui,
avevo bisogno di scoprire che cosa nascondeva, di scoprire di cosa, in quei
mesi, ero stata in balia.
Sì, ma
come avrei potuto scoprire quello che volevo senza un aiuto?
Un
aiuto che per lo meno fosse vicino e a stretto contatto con B.
B, per
quello che conoscevo di lui, era l’essere più solo di questa terra. Non lo
avevo mai notato con amici o conoscenti, lo avevo sempre visto relazionarsi in
maniera educata con gli estranei. Anche se quella potrei definirla finzione dato che
stiamo parlando di B.
Alla
fine di questi miei ragionamenti, che non avevano né capo né coda, mi ritrovato
a scrutare, senza particolare attenzione, il libro di matematica sperando che
da un momento all’altro comparisse Jesse dalla porta e che mi aiutasse sia
nell’odiosa matematica, sia con B. Pensai che se fosse stata lì con me, in quel
momento, probabilmente le avrei raccontato ogni cosa e sicuramente, dopo avermi
dato della pazza, mi avrebbe detto di chiamare la polizia correndo.
Volsi
il mio sguardo verso la finestra e iniziai a notare che le giornate
cominciavano ad accorciarsi. Venni investita dalla malinconia, nemmeno l’estate
fosse finita il giorno seguente.
Mi
alzai dalla scrivania e mi misi a osservare, dall’alto del nostro appartamento,
il mondo esterno.
Un
serpeggiante gruppo di persone camminava per i marcia piedi e le auto
scorrevano a fatica nel fiume del traffico. Sono sempre rimasta stupida da come
questo paesaggio, così grigio e monotono,
potesse avere una così particolare attrattiva.
Ad un
tratto i miei occhi vennero catturati dal blu di una felpa che avevo già visto
e che risvegliò nella mia testa, il suono metallico delle aste di ferro che
piombavano a terra sul pianerottolo di casa. Subito capii che si trattava di
quel ragazzo incontrato due giorni prima. Sul marciapiede opposto a quello di
casa mia, era intento a prendersi un hot dog nel mini chiosco di Henry Burns.
Mi ritornò
alla mente il suo sguardo mentre raccoglieva i suoi oggetti metallici. Ebbe su
di me l’effetto di un gentile rimprovero misto all’apprensione.
Poi mi
chiesi: Che questo ragazzo viva da queste
parti? E’ già la seconda volta che lo vedo?
Udì poi
lo scattare della serratura della mia camera e voltandomi sulla porta vidi fare
capolino la mamma.
“Wow!
Insolito che tu studi la matematica. La odi. Che succede Leo? Tutto a posto?”
Mia madre, vestita ancora col suo completo elegante da lavoro, andò verso la
scrivania e sfiorò le pagine del libro
di matematica.
Io
sorrisi appena e le risposi “ Diciamo che per ora è solo un legame con Jesse in
attesa che torni. Non ho molta voglia di pensare ultimamente, quindi mi butto
sullo studio e poi all’inizio della scuola manca poco. Ho altra alternativa?” Abbassai
gli occhi mentre giocherellavo con le mie dita.
La
mamma mi guardò con un’aria leggermente rattristata poi mi si avvicinò e mi
abbracciò forte. In quel momento l’abbraccio di mia madre calmò per un attimo
la bufera di neve che avevo nell’ampolla del mio petto. E rimase in stand by
anche quando a cena rividi finalmente mia madre e mio padre seduti insieme allo
stesso tavolo, a parlare, perfino scherzare, proprio come quando ero bambina. Quella
sera ricordo di aver sorriso molto. Non ricordavo di aver sorriso così tanto in
vita mia.
Sentivo
un senso di completezza con loro e di appagamento, che nemmeno B mi faceva più
tanta paura. Beyond sembrò essere diventato un punto lontano, come se fosse
finito in una torre su un’alta collina.
Chissà
se B fosse stato un normale ragazzo, un normale amore…chissà se la mia vita
avrebbe acquisito la tranquilla perfezione che sentivo di esigere?
Mi
rammaricavo quando arrivava il momento di andare a dormire, perché con la scesa
delle tenebre, l’arrivo della solitudine della mia camera, tornava puntualmente
il pensiero di lui e arrivavano con altrettanto tempismo tutte le elucubrazioni
che avevo fatto nella mia giornata.
E
l’ampolla tornava di nuovo a scuotersi.
Il
giorno seguente a colazione mi offrì di fare la spesa per il pranzo, dato che
la mamma e il papà sarebbero stati entrambi occupati dal lavoro ed io volevo
evitare il più possibile di rimanere sola in casa. Soprattutto se B, magari
sconvolgendo i suoi piani, si fosse potuto presentare sulla porta di casa.
Così
appena sia mia madre che mio padre uscirono, io con un sorriso rassicurante li
salutai e mi misi subito a lavoro per riordinare la tavola dalla colazione,
lavando le stoviglie che avevamo usato pochi istanti prima. Nell’aria potevo
ancora sentire l’odore vanigliato dei pancakes e mi rimase impregnato sui vestiti
anche quando uscii di casa.
Il
profumo alla vaniglia si addiceva perfettamente alla t-shirt giallo pallido che
indossai.
Chiudendo
la porta di casa a chiave, notai sul pianerottolo, di nuovo quel ragazzo in
felpa blu. Subito mi chiesi: Ma non ha altre
maglie di colore diverso?
Ma
sorvolai, dato che mi ero abituata male. A quello strano cambio di felpe di B.
Era
fermo sul lato opposto alla mia porta e sembrava aspettare qualcuno, forse
l’inquilino dell’appartamento accanto.
Con
sguardo sfuggevole non gli diedi peso e decisi di scendere le scale.
Inconsciamente non mi ricordai che anche B, giorni prima, aveva sceso quei
gradini. Muovevo il mio corpo seguendo una specie di filo invisibile che
speravo mi conducesse a lui. Lo scendere le scale quel giorno, fu come sentirmi
legata a Beyond in maniera ingenua e irriflessiva.
Molto
più riflessivo fu il mio percorso per raggiungere il market, che distava
nemmeno un kilometro da casa.
Nella
testa, quel ragazzo in maglia blu e il frastuono metallico del ferro,erano un
tutt’uno.
Cosa ci
faceva quel tipo, lì ad aspettare? Chi e cosa aspettava?
A
quell’ora tutti, nel palazzo in cui vivevo, erano a lavoro o fuori per le
vacanze, soprattutto i soggetti più giovani che abitavano in quel complesso.
Al
ritorno verso casa, ero incastrata nei miei ragionamenti più che mai. Sarebbero
potuti passarmi davanti animali parlanti o una banda a suonarmi nelle orecchie,
ma niente, nulla mi avrebbe distratto da
quello che si contorceva nella mia testa.
Arrivata
aprii il portone, presi decisa l’ascensore e digitando il tasto del piano feci
una piccola scommessa con me stessa.
Se il tizio di prima, quando arrivo alla
porta, è ancora lì. Gli parlo.
Mentre tenevo
la spesa nelle mani, potevo sentire il mio cuore smuovere leggermente la carta
marroncina della busta che conteneva i miei acquisti.
Non
posso farci nulla sono curiosa e mi affascina il capire cosa c’è sotto a
qualcosa che mi insospettisce, tanto da arrivare ad entusiasmarmi.
Le
porte scorrevoli dell’ascensore si aprirono e appena misi piede sul mio piano,
guardai dalla parte opposta alla mia porta di casa.
C’era,
era ancora lì. Il ‘ragazzo blu’.
Non
sollevò la testa per guardarmi, rimase nascosto sotto il suo cappuccio e con le
mani incrociate davanti al petto.
Io
andai sulla mia soglia e feci per inserire le chiavi nella serratura, finsi
esitazione poi mi voltai scostandomi i capelli dietro l’orecchio e parlai.
“Senti?
Tu, se non sbaglio, sei il ragazzo che l’altro giorno ha fatto quel rumore con
le aste di ferro? Vero?” Dissi tranquillamente e seriamente interessata.
Lui
alzò il viso, si scoprì dal cappuccio e venne verso di me. Ora potevo vedere
meglio il suo volto mascolino, la sua cicatrice tra labbro superiore e guancia,
che mi apparve più profonda di quel che ricordavo. E possedeva una
ragguardevole statura.
“Sì,
sono io. Però ce ne hai messo di tempo per notarmi?” La sua voce era chiara,
pulita, non era molto profonda ma comunque assai maschile.
“E
perché avrei dovuto notarti?”
“Perché
io so con chi hai a che fare.” Disse serio e vidi trasparire dai suo occhi
color ghiaccio una qualche forma di calore.
“Tu, sai
che cosa?” Ero titubante, un estraneo piomba all’improvviso nella mia vita e
afferma di sapere molto di più di quanto ne possa sapere io.
“Entriamo
in casa, non voglio parlarne qui. Tranquilla non sono pericoloso, per lo meno
io non ammazzo la gente.” Detto questo, con fare fluido e rilassato, si
avvicinò a me che ero rimasta senza parole.
Lui
conosceva qualcosa di B!
Non
potevo perdere una possibilità del genere e
d’altronde come aveva appena detto lui, avevo già conosciuto qualcuno di
molto più pericoloso e in grado di uccidermi.
‘Blu’,
mi apparve talmente innocuo a confronto di B, che senza esitare spalancai la
porta di casa. Poggiai la busta della spesa sul tavolo circolare in cucina e
raggiunsi subito Blu, che era rimasto in piedi solo nel salotto.
“Accomodati.”
Dissi indicandogli con la mano uno dei due divani che erano l’uno di fronte
all’altro, separati da un tavolino di un legno beige e di uno stile molto
semplice ed essenziale. Mio padre non è molto amante del design come mia madre.
Lui si
sedette e si osservò intorno poi tornò a guardarmi.
“Così...tu
devi essere il suo svago?” Disse con
un modo leggermente dispregiativo, ma capii che non era nei miei confronti.
“Se
vuoi definirmi così. Ma…” Ero esitante.
Ancora rispuntava
a chiazze quella mia paura di non voler sapere.
La misi
a tacere!
“ Ma tu
cosa sai di lui? In che rapporti sei con lui?” Ingoiai come se avessi avuto un
gomitolo in gola.
“Innanzitutto
mi presento. Odio che le persone non possano rivolgersi a me come si deve.” Si
grattò appena la testa spettinando un poco i suoi cortissimi capelli biondo
cenere. “Mi chiamo Abel.” Feci per risponde e dirgli il mio nome ma mi precedette
“ Leonor. Lo so, l’ho sentito dai tuoi genitori quando ti chiamavano, mentre ti
tenevo sott’occhio. Dunque, da dove posso partire. Ah! Ecco. Mi hai chiesto in
che rapporti sono con il pazzo. Possiamo
definirlo un rapporto di odio e lavoro.”
Poi crucciò le sopraciglia assumendo un’aria seccata “ Ma non quel lavoro che
so di sicuro conosci anche tu.”
A quella
sua affermazione sentii imbarazzo, vergogna e repulsione per me stessa.
Abbassai
lo sguardo e restai in ascolto.
“Io
l’ho assunto come detective. Rue Ryuzaki si fa chiamare. Che nome assurdo per
uno che non è nemmeno giapponese. Ma scommetto che lui di questo non te ne
abbia parlato minimamente. Eh, sì! Per lui è probabile che, nella mente bacata
che si ritrova, tu abbia un posticino tutto particolare. Da principessina. Ma
sai qual è la cosa divertente? E’ che io so che cos’è…” Abel prese a guardarsi
le mani e poi di nuovo mi scrutò “Sai, giorni fa dopo aver ucciso mia cugina,
l’ho individuato subito. Era lì, tra i curiosi che osservava se aveva fatto un
ottimo lavoro.” Il tono di Abel diventava sempre più astioso.
Ad un
tratto riemersero nella mia testa le immagini di due mesi prima, quelle
dell’omicidio del maniaco davanti casa. Ricordai in maniera definita le
espressioni compiaciute di B tra la folla.
Ebbi un
brivido e continuai a sentire.
“Gli
altri nello sciame di persone davanti casa di Backy, non se ne sono accorti,
nemmeno la polizia, che la belva si aggirava tranquilla tra di loro. Ingenui.
Ma io sì. Volevo ritrovarlo e riempirlo
di botte. Ma poi giorni più tardi le altre famiglie delle vittime mi contattano
essendo io l’unico famigliare di mia cugina residente qui a Los Angeles. E mi
chiedono se mi avebbe fatto piacere che le indagini in ‘privato’, le avesse potete svolgere questo Ryuzaki. Mosso dalla
curiosità ho pensato – Va bene.- Poi ho voluto vedere chi fosse questo tizio.
La cosa non mi aveva mai convinto. L’altro ieri mi sono appostato sotto casa di
Bridesmaid. E chi vedo entrare nel complesso? Il tizio della folla di curiosi,
ovviamente abbigliato come un ragazzino pulito e senza macchia, poi poco dopo
una donna orientale. A guardarla sembra conoscere il fatto suo…” Abel prese una
pausa, sembrò riflettere sulla particolarità di questa donna, poi continuò. “
Capisci cosa fa? Uccide le persone e poi finge di indagare per risolvere gli
omicidi! E’ più schifoso di quanto potessi immaginare.”
Iniziai
a percepire una sensazione sgradevole, avevo freddo e stavo sudando, ma il mio
sudore somigliava più a una cascata d’acqua gelata, mi sembrò che il mio corpo
si stesse per staccare dallo spirito. Ammirai Abel, perchè lui era stato molto
più attento di me, aveva riconosciuto il male e ne stava alla larga come era
giusto che fosse.
“Che
cosa gli ha fatto?” Dissi con la voce che a stento era tremante, cercando di
mantenere l’autocontrollo e non rischiare di collassare a terra.
“Avrei
proprio voglia di dirtelo cosa ha fatto alla mia Backy. Ma per quanto io sia
tentato di fare del male a te per colpire lui, non ho proprio voglia di
raccontarlo. E’ straziante, angosciante.” Abel chinò il capo rattristato,
doveva voler davvero bene a sua cugina.
“Mi
dispiace…” Mormorai quasi fossi senza voce.
Abel
drizzò la testa e addolcì il viso, per un istante la sua cicatrice sembrò
sparirgli dal volto, aveva percepito la mia vergogna e costernazione.
Era
anche colpa mia se lui aveva perso qualcuno che amava. Io avrei potuto fermarlo
se solo avessi agito prima e in un qualsiasi modo.
“Non
sentirti in colpa Leonor. Deve averti ingannato in qualche modo.”
In un
attimo dall’amarezza e il disgusto passai all’ira. Mi salì una forte ondata di
rabbia ed esplosi. “ No! Non mi ha ingannato. Lui mi faceva capire tutto. Mi
procurava un’angoscia disumana! Mi ha fatto e mi fa sentire sporca come lui! Ti
assicuro che è stato più che loquace con me.” Con gli occhi trafissi Abel.
Ero
furente non perché stavo difendendo B, come accadde tempo prima, ma perché
finalmente ero arrabbiata come si deve con lui, per quello che stava facendo
scontare a me e ad altre persone.
“Ora
dimmi. Che cosa devo fare? Voglio sapere e vedere tutto! Tutto! E tu sai come
posso fare. Dimmelo Abel.” La mia voce si abbassò di poco ma era piena di
collera.
Abel
sorrise appena e leggermente disorientato dalla mia reazione. Forse si sarebbe
aspettato che io mi fossi messa a piangere come una bambina e chiesto solo il
suo perdono, ma io volevo andare oltre il perdono.
“ Bene.
Io lavoro in uno stabilimento che produce materiali metallici, come il ferro.
L’avrai notato dalle aste dell’altro giorno. Come ti ho detto, giorni fa ho
seguito il pazzo e ho scoperto, con mia grande gioia, che questo Ryuzaki vive
in un vecchio complesso lì vicino.
E’
distante, dalla fabbrica in cui lavoro, sì e no trecento metri. E’ vicinissimo
ad un canale che scorre attaccato ai complessi industriali e dove di solito
vengono scaricati i rifiuti…” Esitò e poi mi propose “ Io non ci sono mai
entrato, non ne ho mai avuto la forza e il coraggio. Avrei potuto, ma non l’ho
fatto. Perchè avrei rischiato di
ucciderlo con le mie mani e non voglio abbassarmi al suo livello, questo
è sicuro. E’ già rischioso il fatto che io lo segua e non se ne sia ancora
accorto. Ma se tu te la senti…” Io interruppì Abel velocemente.
“Ok! Ci
sto, andrò io. Entrerò io in quel posto.” Ero seria e impercettibilmente
turbata, ma entusiasta di poter fare qualcosa per Abel, per sua cugina, per
Believe e per quella bambina di tredici anni, Quarter.
In più
avrei avuto la verità su B, ne ero certa.
“Ok.
Tra un paio di giorni ti verrò a prendere io. Facciamo il venti, giovedì, alle
cinque di pomeriggio. Inizio a lavorare per le sei e la strada per arrivare è
abbastanza lunga.”
Detto
questo Abel si alzò dal divano e si diresse verso l’uscio, io feci lo stesso e
lo accompagnai.
Mentre
afferrava il pomello della porta si bloccò e si voltò a guardarmi.
“Sai, io
questa cicatrice me la sono procurata difendendo Backy. Suo padre le stava per
mollare una sprangata come le stesse barre di ferro con cui lavoro ora, solo
che quella era più affilata. Io mi misi davanti a lei e lui mi lacerò mezzo
labbro e la guancia.
I
servizi sociali gliel’hanno tolta e l’avevano portata da noi...mia madre era
così felice. Siamo diventati la sua vera famiglia. Non posso credere che sia
finita nelle braccia di un altro mostro senza neanche accorgersene…” Abel aveva
la voce intrisa di commozione “ Mi dispiace molto anche per te Leonor. Non ti
meriti un mostro anche tu.” Con quelle parole, Abel mi lasciò.
Rimasi
immobile mentre si chiudeva la porta.
Era
vero non me lo meritavo, ma lo avevo voluto io.
Trascorse
un giorno dalla chiacchierata che avevo avuto con Abel e ancora non riuscivo a
capacitarmi che avrei scoperto e visto quello che volevo. Nonostante la paura
mi afferrasse il cuore, facendomi sentire una stretta che mi bloccava il
respiro, ero comunque determinata.
Ma
quanta paura riuscivo a sentire? Se avessi avuto davanti di nuovo B, sarei
riuscita a resistergli? A vedere davvero quello che era?
Tutto
era così palese eppure sembravo ancora esserne incredula.
“Tesoro!”
Ad un tratto sentii la mamma chiamarmi e avvicinarsi verso la mia camera,
mentre io ero intenta a spazzolarmi i capelli davanti lo specchio del mio
bagno.
Vidi
dal riflesso, dietro le mie spalle, mia madre cercarmi all’interno della mia
stanza, poi la chiamai per fargli capire dov’ero.
“Ah!
Eccoti Leo. Tieni il tuo cellulare, l’hai lasciato in salone. E’ un paio di
volte che squilla a vuoto, così ho pensato di portartelo.” La mamma mi porse il
telefono che stava trillando e notai che la sua mano era più anellata del
solito.
“Grazie
mamma, Sarà Jesse, ora rispondo subito. Come mai tutti quegli anelli oggi?”
Dissi sorridendo e tornando a specchiarmi verso la superficie riflettente.
E mentre
lei si allontanava rispose “Oggi devo fare colpo su un cliente Vip!” Poi
ridendo uscì dalla mia stanza lasciando la porta appena incassata, ma non del
tutto chiusa.
Sbuffai,
perché le avrò ripetuto una marea di volte che la porta mi piace venga chiusa.
Esaspertata,
stufa di sentir suonare il cellulare, risposi.
Pensai:
Cavolo! Oggi Jesse è davvero insistente!
“Sì,
pronto! Jesse, ma che hai oggi? Perché mi chiami a ritmi assurdi?” Sbraitai in
tono scherzoso.
- Parlo
con Leonor White?- Dall’altro capo della comunicazione mi arrivò una voce bassa
e suadente, ma così monotona.
“Sì.
Co...con chi parlo?” Chiesi titubante e allontanandomi dal bagno alla mia
camera.
- Mi
presenterò poi…- Si arrestò facendo intuire che stesse riflettendo poi continuò
- Anche se credo che lui ti abbia già parlato di me.- Questa volta sentivo una
punta di sarcasmo nella sua voce camaleontica. Ma quella briciola di frase mi
aprii un varco negli sconclusionati vaneggiamenti di B.
“Tu…sei
L!” Dissi incredula.
Non lo
conoscevo, non sapevo chi fosse e nel rivolgermi a lui esordii come se avessi
finalmente trovato quell’entità di cui B mia aveva accennato, esisteva e potevo aggrapparmici.
- Sì.-
Secco.
“
Perché mi stai chiamando?” Non so per quale motivo, ma il solo sentirlo parlare
aveva stimolato in me una voglia sfrenata di porgli domande e capire cosa
voleva. Chi era.
-
Perché sei in pericolo e perché devi essere protetta da Beyond Birthday.- L, mi
disse il nome completo di B con estrema cautela come se volesse farmelo entrare
nella testa lettera per lettera.
“Come
hai fatto ad avere il mio numero? A sapere chi sono. E poi sono già a casa con
un poliziotto coinvolto nelle indagini in questo caso di B. Che rischio potrei
correre ora?”
-Diciamo
che io so tutto di tutti e ho molti mezzi a mia disposizione.-
“Sei
dell’FBI? Della CIA?”
-Un po’
più in alto.- Disse L con un tono impercettibilmente divertito, come per farsi
beffa delle organizzazioni che avevo appena menzionato.
“E’
così pericoloso?” Cambiai espressione da
curiosa ad attonita. Ingoiai a vuoto in preda allo sgomento, mi sedetti sul
letto con gli occhi appena socchiusi. B aveva smobilitato qualcuno di più
potente e influente delle forze dell’ordine più comuni. E questo qualcuno aveva
addiritura a che fare con lui.
- Sì. –
Freddo. - Leonor, B non è solo un caso di un malato a livello psichico elevato.
E’ molto peggio, perché ha una mente che con ottime capacità intellettuali.
Come le aveva anche A, ma suppongo ti abbia parlato anche di questo…- Lo
fermai.
“ No,
non me ne ha parlato.” Finsi e mentii con un tono dispiaciuto, perchè volevo
che mi parlasse proprio di quell’argomento.
Mi
alzai, andai alla porta, la chiusi. Sentivo che mi stava per essere narrata una
qualche verità e volevo sentirla nel silenzio e nella privacy più assoluta.
Come quando si riceve un regalo importante e lo si vuole scartare da soli per
godere al meglio l’attimo.
Mi
risedetti sul letto e ascoltai le parole di L.
- Vedi,
nel luogo dove B è cresciuto e ha passato la sua infanzia, c’è una forte
selezione, diciamo, mentale. Lui e A
divennero molto amici e condividevano questa passione per la competizione intellettuale. Un giorno però A non ce
l’ha fatta più a reggere questo peso e così si tolse la vita. Da allora B non
ha fatto altro che odiarmi, perché ritiene che sia io la causa della morte di A,
come se lo avessi motivato io al suicidio. Leonor, tutto quello che ora sta
facendo e ha fatto B, sono il frutto di puerili ripicche e rivincite, mescolate
alla vendetta. Capisci in che stato mentale si trova?-
“ Sì…” Affermai
annuendo con la testa.
Nel
tono di L c’era uno strano modo di approcciare quell’argomento, era glaciale e
sterile, ma allo stesso momento c’era la cadenza di chi vuole farsi comprendere
in maniera calma e fraterna.
Nonostante
tutto però non riuscivo a credere che quella chiamata fosse solo riguardante la
mia sicurezza, percepivo che c’era dell’altro sotto lo strato spesso delle parole
di L.
Parlai
senza filtri, esposi ciò che pensavo senza remore. Colsi che la persona
sconosciuta con cui stavo parlando, era capace di apprezzare questo aspetto. E
per di più me ne fidavo, forse la sua voce mi aveva giocato un bello
scherzetto, ma sentivo di poterlo seguire. Che c’era un vortice dietro quel
ricevitore, un vortice di totale protezione, che reclamava, pretendeva la mia
fiducia e io gliela diedi senza troppe esitazioni.
“ Senti
L, francamente. Ho capito molto bene la condizione di B, senza che tu me la
descrivessi ora, me l’aveva lasciata presagire di poco, ma l’avevo afferrata.
Ti sono grata solo del fatto che tu mi abbia raccontato questa storia di A,
ma...” Sospirai “ Ma devo capire ancora questo strano nesso misterioso tra te e
lui, tra i vostri nomi che sono semplici lettere e, cosa ancora più importante,
perchè interpellare me se hai già i tuoi mezzi per fermarlo? Lo hai detto tu
stesso. No? Alla fin fine questa chiamata sta diventanto solo un sunto
sbrigativo della situazione di B e un banale constatare che sono in un guaio
grosso come tutta Los Angeles.”
Il
cellulare per pochi istanti rimase muto poi di nuovo le voce ruca di L pervase
il mio orecchio.
- Non
credevo fossi così arguta. Ha scelto proprio bene.- Constatò L con una vena di
spirito.
“Oh,
beh! Grazie. Ma a questo punto dimmi cosa mi devi dire. Ho capito che non sei
il tipo che le manda a dire, ma che le dice e basta le cose. Che fai? Volevi
vedere che tipo ero? Mi metti alla prova come fa lui?” Malgrado la tematica
della nostra telefonata e la mia tensione, quell’L mi stava facendo stranamente
divertire.
-Bene,
andrò al sodo. Ma è vero che comunque la tua incolumità va tenuta altamente in
considerazione.-
“Va
bene, dimmi pure.”
-
Voglio che tu faccia tutto come se niente fosse. Lo so che probabilmente ti
sarai accorta che lui sta andando sempre peggio e che non vorresti seguirlo, ma
voglio che tu esegua le sue richieste. Perchè so, che anche se di poco, ti a
messo al corrente di qualcosa. Dobbiamo procedere in questo modo per poterlo
fermare. Almeno secondo quello che ho in mente io di fare.- poi ancora prima
che io aprissi bocca per parlare dei miei timori lui ricominciò – Non ti
preoccupare sarai tenuta sotto controllo da dei
miei collaboratori, non ti succederà nulla di spiacevole.-
Rimasi
in silenzio per qualche istante, risentivo l’ampolla riagitarsi nel mio petto.
- Provi
pena per lui?- L mormorò quelle parole in maniera quasi sospettosa e molto
indagatoria.
“No.
Solo amore, ma voglio fermarlo.”
Questa
volta il silenzio venne da sua parte ma seccamente lo interruppe con un tono
incuriosito - Quindi è così l’amore.-
Il mio
volto divenne concentrato e dalla mia bocca uscì “Ma chi sei tu veramente?”
Un
secondo dopo udii il rumore gutturale della chiamata conclusa.
Rimasi interdetta
per qualche istante, poi chiusi lo sportelletto del cellulare e mi adagiai, balazando
un po’, sul letto e serrati gli occhi per cercare di fermare la solita bufera
di neve che si scatenava nel mio petto,
ma che non riusciva ancora a congelare i miei sentimenti d’amore per lui.
Ora
avevo ben due persone in grado di aiutarmi a capire chi fosse Beyond Birthday.
Il
pomeriggio del venti agosto mi vestii con particolare attenzione, cercando di
rimanere molto pratica, dato che il luogo in cui sarei andata non era certo un
parco giochi.
Infilai
un paio di jeans blu scuro e una felpa
con delle tasche particolari, infatti erano interne e la volli proprio per
questa singolare caratteristica. Inserii il mio cellulare in una di queste
tasche in modo da non farlo notare. Pensai che in una qualunque situazione in
cui mi sarei potuta trovare in difficoltà, sarebbe stato meglio tenerlo al
sicuro.
Allacciate
le scarpe mi diressi verso l’uscita di casa, ma mio padre mi fermò mentre
distrattamente, ancora col capo chino, leggeva il giornale seduto sul sofà.
“Dove
stiamo andando oggi?” Disse con fare burlesco.
Avevo
già preventivato che mi avrebbe fatto una specie di terzo grado e decisi di
dirgli veramente con chi ero, in modo che se le cose si fossero messe male avrebbe
saputo a chi rivolgersi.
“Vado a
fare un giro con Abel. E’ un ragazzo che ho conosciuto in questi giorni mentre
uscivo per fare le nostre solite spese.” Il mio modo di parlare fu spigliato e
nel frattempo mi risistemai ben bene la maglia per sentire se avevo con me il
cellualre. In vita mia non ho mai avuto così tanta apprenzione per un oggetto
come quello, come in quel momento.
“Abel...”
Boffonchiò mio padre sarcastico “ Va bene, ma ritorni per cena? Hai con te i
numeri utili? Lo sai che tua madre mi ha infettato le sue crisi, ma sono
davvero preoccupato anch’io.” Papà era un po’ più serio e stava per
trasformandosi nel poliziotto Dawson White.
“Sì, ho
tutto e torno per cena. Non ti preoccupare Abel è un tipo a posto.” Dissi
sorridendo cercando di rassicurarlo e di calmare le sue preoccupazioni.
Quando
scesi sulla strada, sul marciapiede
opposto, c’era Abel ad attendermi in una vecchia e nera Ford Mustang coupè 289.
“Hai
avuto il lascia passare della mammina e del paparino?” Mentre salivo in
macchina Abel sdrammatizzando, dissolvendo appena l’opprimente atmosfera che si
creava tra me e lui grazie al fatto che io ero in relazione con B.
“Sì, ma
solo del paprino. Gli ho appena detto che sto andando nella tana del lupo.” Io
invece ero leggermente amara nel mio tono, ma lasciai comunque trapelare un
mezzo sorriso.
Abel
fece finta di sorvolare al mio commento caustico, sospirò appena e mise in
moto. Sentii l’attempato motore della Mustang scuotermi.
Guardai
Abel cercando una specie di incoraggiamento. Quel giorno indossava una semplice
t-shirt a maniche corte grigia e dei pantaloni larghi e logori, adibiti
probabilmente al lavoro.
“Tranquilla,
sono sicuro che andrà bene.” Disse mentre con una manovra si immetteva sulla
strada.
L’odore
della vecchia pelle della Mustang mi faceva percepire la quantità del tempo che
aveva vissuto e perfino la strada che percorrevamo sembrava vista con il filtro
temporale della vecchia America degli anni sessanta.
C’era
silenzio nell’auto solo il motore parlava, ma Abel interruppe quella quiete.
“Non ti
chiederò come hai incontrato un tipo del genere, ma possibile che tu non ti sia
mai accorta di quello che è?” Aveva un’espressione incredula mentre mi poneva
quella domanda.
“Sorvolerò
sul dirti le solite frasi: All’amor non
si comanda, etc...ma forse tra una di queste fesserie, una mi si addice.”
“Quale?”
Abel si voltò appena per guardarmi poi riproiettò i suoi occhi sulla strada,
sistemando ben bene il braccio e la mano destra sul volante. Notai che aveva
delle braccia molto tembrate dal lavoro pesante che faceva in quella fabbrica,
data la sua notevole muscolatura.
“L’amore
è cieco.” Dissi secca e compatendomi un po’.
Abel
rimase confuso, non parlò e si morse appena il labbro, poi finì il nostro
dialogo dicendo “ Sì, ma non puoi continuare ad essere cieca.”
Prendemmo
l’uscita per l’autostrada e dopo trenta minuti finalmente arrivammo a
destinazione.
Abel
parcheggio davanti allo stabilimento in cui lavorava e mentre mi apprestavo
a scendere dalla macchina mi fermò
prendendomi per il braccio.
“Scusami
se sono così brusco. Ma sono arrabbiato e molto. Mi ha tolto una tra le persone che amavo di più
al mondo e non ci passerò mai sopra. Non voglio farla scontare a te, ma ora ne
sei il riflesso e...” guardò in basso, sembrò osservare e interessarsi a
qualche particolare dell’auto, ma in verità stava riflettendo attentamente.
Mentre pensava sembrava che la sua cicatrice affondasse ancora di più nella
carne.
Sollevò
il capo “ Ascolta attentamente, ora ti lascerò il mio numero di cellulare. Io
lo porto sempre con me anche a lavoro, da quando è successa questa cosa a
Backy. Quindi appena hai fatto o appena si mettono male le cose chiamami. Ok?”
Io
annuii decisa.
“Ora
lui non c’è. Sta giocando a fare il detective privato con la tipa orientale
tosta. Non ha un orario ben preciso di rientro. Quindi sbrigati, fai nella
maniera più veloce possibile. Quando scendi dall’auto imbocca quella strada che
da verso il fiumiciattolo, lo vedi?”
Annuii
di nuovo senza dire una parola, guardando la direzione in cui Abel mi aveva
indicato la strada, ero concentrata e attenta.
“Bene.
Non potrai sbagliare il capannone è dismesso, è l’unico in questa zona. Posso
solo augurarti che vada tutto bene. Anzi deve andare bene. Sii più veloce che
puoi. Non voglio che succeda di nuovo.” Abel mi guardò dritto negli occhi e poi
veloce mi diede il suo numero di
telefono che memorizzai nel mio cellulare.
Finalmente
ero davanti all’imbocco della strada verso il capannone dismesso, ma l’ansia
continuava a torturarmi lo stomaco. Mi voltai a osservare Abel che si stava
allontanando verso la sua fabbrica.
Inspirai
ed enspirai.
Buttare
l’aria fuori mi diede coraggio, ma mi
sembrò di inizare ad incamminarmi in una specie di sentiero con un fondo
profondo e nero come la pece.
In cinque
minuti raggiunsi la mia meta.
Osservai
l’esterno dello stabile corroso dal tempo e dal disuso, era scuro, sembrava
quasi carbonizzato, ma non so se fosse frutto della luce del tramonto che
facendo strani giochi la rendessero così tetra.
Poco
distante dal complesso c’era un albero confinate alle rive del fiume, il canale
d’acqua era tutto forche limpido.
Il
vecchio capannone, sul davanti, aveva un’entrata piùttosto grande,
probabilmente veniva usata per i trasporti con mezzi pesanti o roba del genere. Pensai subito che
sicuramente doveva avere un qualche altro accesso a dimensione d’uomo e così
fu. Girando sul lato sinistro vi trovai una porta, ma subito notai che era
chiusa con un enorme lucchetto.
Effettivamente
B, non avrebbe lasciato addentrare chiunque dentro al suo nascondiglio.
Presa
dai nervi pensai a qualche altra alternativa e dopo aver fatto il giro completo
dello stabile trovai un varco nel muro posteriore.
Era ben
nascosto da delle sterpaglie e erbacce molto folte, ed era abbastanza piccolo da
non notarsi. Nemmo lui lo avrebbe potuto scoprire, altrimenti lo avrebbe
sicuramente chiuso, ma io date le mie esili dimensioni ci sarei passata
tranquillamente.
Mi
infilai dentro e strusciandomi a terra, facendo forza con i gomiti, mi
trascinai all’interno di quella oscura struttura.
Con mio
grande stupore, metre mi ripulivo alla ben meglio dal terriccio, scoprii che
c’era il vuoto. Quella specie di fortezza ombrosa non aveva nulla al suo
interno.
Mi
arrivò immediata l’essenza di quel luogo, era così sgombro da qualsiasi forma
di distrazione, perchè bisognava pensarci, era una specie di enorme tempio
della mente umana.
Ma
nonostante la sua vuotezza, sentivo sopra la mia testa, un alone nero e
maligno aleggiarmi addosso.
Continuavo
a girare su me stessa e ad un tratto notai, infondo all’immenso stabile, una
cabina. Una di quelle cabine adibite agli operai dove potevano dormire e
mangiare arrivati all’ora della pausa.
Aprii
la porta in vetro del vano e appena entrai si accesero in maniera automatica delle
luci rosse. Per un attimo me ne spaventai, data la loro improvvisa comparsa, poi
mi diedero solo fastidio. Davano quella sensazione di quando si ha la febbre molto
alta.
Alla
mia destra vidi un piccolo giaciglio, composto solo dalla struttura scarna di
un letto e da un semplice materasso. Sulla parete di sinistra, poggiato su un
tavolino sudicio e logoro, c’era un computer portatile con uno screensaver con
la lettera B in stile gotico.
Andando
avanti spinsi appena, con fare da ficcanaso e attento, un’altra porta...
Uno
specchio di una forma rettagolare e tutto intorno c’erano ritagli di giornale e
foto.
I
brandelli di giornale erano tutti corrispondenti agli omicidi del caso chiamato
Los Angeles Murder Cases, ma mancava
solo quello del pazzo maniaco davanti casa. E le foto erano quanto di più abietto
e macabro ci fosse al mondo.
Believe
riverso a terra con dei segni sul petto fatti con una lama. Potevo riconoscere
il colore freddo del suo corpo spento dalla morte.
Quarter
senza i suoi occhi, gli erano stati infossati....
E la ‘Backy’
di Abel, senza più un braccio e senza una gamba.
Il
sangue era da per tutto! Era il protagonista di quel collage fotografico di
pessimo gusto. Erano tutte foto fatte dalla scientifica della polizia e lui le
teneva in bella mostra, come un trofeo, nel suo bagno.
Appese
sullo specchio sopra al lavello.
La luce
rubiconda e quelle immagini trasformarono quel luogo in una vecchia stanza per lo
sviluppo delle foto, l’unico elemento che stonava era che quelle foto erano
orrore puro.
Andai
in iperventilazione e sentii salirmi la nausea fin sopra la gola. Misi una mano
tra naso e bocca, mi sembrava di percepire l’odore dei cadaveri e della carne
viva, pur non avvertendo nessun tipo di odore, non c’era niente in quel posto
solo la ceramica bianca che si tingeva di rosso vivo.
Appena
entrata nel bagno i miei occhi vennero colpiti solo dalla nauseante opera
artistica di Beyond. Non avevo avuto il tempo di osservare il resto.
Ma
qualcosa dietro le mie spalle arrestò le mie acute reazioni a quella orrida
vista.
Inspirai
violentemente e non feci altro, non riuscii a voltarmi.
Sullo
specchio vidi riflettere, dietro di me, due punti di luce ancora più fulvi dell’atmosfera
che mi circondava.
Si
avvicinavano a me e io non riuscivo a muovermi.
Ero impietrita.
Lentamente
comparve, sotto i riflessi cremisi, B, con un’espressione cupa e superba, ma si
notava che aveva qualcosa di malato.
“Ti
piace? Lo so, manca quell’idiota che mi
stava quasi per rovinare i piani. Certo non meritava di finire lì.” Affermò
tranquillamente ma con una punta di divertimento nella voce.
Non
parlai, sbarrai gli occhi. Lo guardai con disprezzo e raccapriccio.
“Oh,
Leo. Che sguardo truce per un visino come il tuo. Non voglio che il mio amore
mi guardi così” B parlò mordace.
“E’ per
questo che non mi hai fatto mai capire nulla? Avevi paura che ti avrei
rigettato via come la cosa più abietta di questo mondo, vero? Tu hai fatto
tutto questo, usato queste persone, per fare qualcosa a L. Non è vero?” Ero
tremante e inorridita mentre indicavo le foto allo specchio.
In un
istante mi ritrtovai la mano di B che artigliava con forza la mia mascella e
con fare minaccioso, rabbioso, mi parlò a pochi centimetri dagli occhi. Le sue
iridi porpora me li bruciarono.
“NON
NOMINARLO! Non nominare L. Tu hai la più pallida idea di chi sia lui? No, che
non lo sai. E’ un vigliacco che si nasconde da tutto e gli piace portare le
persone ad ammazzarsi pur di farle diventare come lui!! OOOh...ma io gli
proverò che non è così!”
Era
infiammato da un qualcosa di indefinibile, furente, adirato, non sono termini
appropriati. Lui era contaminato dalla pazzia fino al midollo, probabilemte provava
cose che solo lui vedeva e pensava.
Ero
immobile, intrappolata nella sua ragnatela. Tentavo di spingerlo via da me, ma con
forza mi attirava verso di lui. Mi baciò con violenza e sentendo che non c’era
nessuna risposta da parte mia, con uno sguardo freddo e leggermente impietosito
fece scivolare la sua mano dalla mia mascella al mio collo.
La sua
stretta e il mio volto sorpreso della ferrea presa furono una cosa sola.
Mentre
mi strigeva la gola mi sussurò “Sì, è
vero non volevo farti vedere che persona sono. Speravo che tu mi capissi,
speravo tu fossi stata la cosa migliore per me. Ma ora farò in modo che sia
così per sempre...” lentamente portò anche la seconda mano al mio collo e
strinse con ancora più foza anche con quella. “Leonor. Ti amo.” Sembrò uscirgli
il mio nome come il sospiro di un innamorato. Fu una dichiarazione di amore
vero e proprio, lo percepii nonostante io non riuscissi a parlare, urlare o
respirare. Dalla mia bocca uscivano solo lamenti strozzati e sentii le lacrime
sgorgarmi dagli occhi.
Presi a
cercare di staccare le sue mani dal mio collo, ma aveva una presa salda, sembrava
essere nato per uccidere in quel modo. Poi tentai di allungare la mia mano ed
arrivare alla tasca interna che conteneva il mio cellulare.
Devo chiamare Abel!
Pensai.
Ma a
quanto pareva quella agonia per me doveva durare all’infinito. Da una qualche
parte di me arriva un lontano messaggio che chiedeva la fine, subito, e dall’altra
mi chiedeva di fare qualcosa, di reagire meglio che potevo.
Iniziai
a sentire le gambe cedere, le mani smettevano di fare resistenza e combattere
quella morsa, smisero di cercare il cellulare, smisero di salvarmi.
Lentamente
B, mi seguì a terra mentre pian piano mi spezzava il fiato con le sue stesse
mani. Sembrava avere una particolare cura di me mentre mi uccideva.
Le
palpebre mi iniziavano a pesare, i miei occhi vedevano a intermittenza l’immagine
di B.
E prima
che si chiudesero definitivamente, mi sembrò di aver visto una lacrima rossa,
come il sangue che aveva sparso, solcare la guancia di B.
“Sto
iniziando a non vederla più Leonor.” Così mi disse mentre la sua voce appena rotta
dal pianto diveniva di velluto.
Ciao a tutti!
Eccomi qui dopo un po’ di tempo passato a combattere la
varicella XD.
Ma posso assicurare che mi ha fatto pensare molto a questo
capitolo ahahahaha, non potendo fare molto ho preso appunti tutto il tempo e ho
letto come non mai.
Ora passo a chiedere scusa e perdono.
Sicuramente questo capitolo sarà di una noia mortale e magari il
mio personaggio di Abel non sembrerà per nulla interessante.
Poi avrete notato che ho fatto qualche cambio alla trama della
storia di Another Note, ma avevo voglia di folleggiare e poi alla fin fine è
una Fan Fic e quindi ho sciallato un po’. Perdotemi se ho mancato qualche
dettaglio o roba simile, ma non ho mai scritto una cosa così lunga nella mia
vita da autrice di Fan Fic ahahahah.
So che il capitolo è un papiro di roba, ma per me era necessario
che questa parte venisse letta tutta per inter, mi sarebbe dispiaciuto spezzare il capitolo.
Magari sarebbe risultato ancora più noioso.
Ringrazio chi mi recensisce e sostiene, chi mi inserisce nelle
varie sezioni.
Grazie di cuore.
Spero di pubblicare il prossimo capitolo il più presto
possibile.
Buon proseguimento. ^_^
Baci baci KiaraAma