Si torna al lavoro.
Le colleghe strippano, le cose non si trovano, già dall'ingresso sono colpita dalla vaga sensazione che in un mese la scuola si sia trasformata, invecchiata, e che la mia sezione non sia più mia. Un sospiro, mentre ad occhi chiusi mi sembra quasi di sentirli già i bambini che tra due settimane torneranno qui, a farmi urlare per un soffio di silenzio.
Poi per fortuna arriva un abbraccio, un bacio, un sorriso, un "come sono andate le vacanze? ma dai, Barcellona?" e si riparte.
Mi rimbocco le maniche e inizio a riaprire gli scatoloni, a sistemare il materiale, con la collega che "Se dipingiamo quattro grandi alberi alle finestre per le stagioni?"
Alla fine però torno a casa, da sola. E quando il panino finisce la mia mano rapida corre al pacchetto in fondo alla borsa. Lo so che lui non vuole, ma lui non c'è e questa è la settimana nera, quella in cui lui è a casa quando io sono a scuola, e se ne va al lavoro dieci minuti dopo il mio ritorno. Un bacio, un appunto, a volte un post-it attaccato al frigo. Oggi neppure quello, ho ritardato un minuto di troppo. Oggi è un'altra sera nera, nel cuore, nella mente e nel cielo, dove le stelle si lasciano sconfiggere da un velo di nubi. Ed è caldo. Una gatta che si struscia sulla gamba mi risveglia dal torpore dei miei vaneggiamenti e deliri. Il mio delirio da adulta angosciata.
CONCORSO
Perchè sono una precaria tra le tante, una che a parole si è arresa all'evidenza della vita, ma che in fondo al cuore, rigorosamente in silenzio, spera ancora di non arrivare alla pensione facendo la supplente. Ah, già, quale pensione? Lacrime e cenere senza neppure che me ne accorga, eppure sono già le dieci e ho rimasto solo un mozzicone spento nella sinistra, e il cellulare nell'altra mano. Non so quando l'ho preso in mano. Ma so cosa fare. So chi chiamare, come tu sai chi cercare quando i tuoi anni ti sembrano troppi da affrontare.
Non è una questione di sangue: E non li sento gli otto anni che ci dividono.
Io chiamo te quando devo staccare, dimenticare che sono grande, che gli anni passano, il lavoro logora, e le amiche da quando sono madri non parlano mai d'altro che dei loro figli, e non esiste nient'altro e non si può parlare d'altro. E tu chiami me se devi sfogarti, chiedere consiglio per capire le donne "perfette e maledette" o darti una prospettiva da fuori "perchè da fuori certe cose si vedono meglio". O magari solo per passare qualche ora a dire cazzate, a fingere di non pensare a lei, bella come il sole, dolce come miele, ma che sa di te e del tuo amore, eppure passa da un ragazzo ad un altro senza considerarti mai neppure di striscio. Potrei dirle che è una cretina perché si sta perdendo un ragazzo fantastico. Ma sono di parte, il mio giudizio non vale perchè ti voglio un gran bene. Allora dico a te che sei cretino e che devi trovartene un'altra. Lo so che non è facile, lo so che il cuore non si muove a comando. Ma vorrei vederti felice come io lo sono con lui. Te lo meriti. Una volta mi hai detto che lo invidi, che è un uomo fortunato, e che speri un giorno di trovare una matta come me con cui condividere il resto della vita. Avevi solo diciotto anni, e quella mattina eri stato il suo testimone.
Volevo ringraziarti per quelle parole, per stasera, per ogni volta, e volevo dirti che, anche se da qual giorno devo chiamarti ufficialmente "cognato", già da prima, e per sempre, tu sei mio "fratello".
Serata nera fino alla nostra chiacchierata al telefono.
Adesso i problemi restano, ma il cuore è più leggero. Grazie Roby.
D.