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Autore: Eternal_Blizzard    31/08/2012    2 recensioni
Hakuryuu e Tsurugi. Due nomi, due ragazzi dai caratteri allo stess tempo così simili e così diversi. Sappiamo della loro disavventura al God Eden quando la Raimon si trovò costretta ad affronare prima la Unlimited Shing e poi il Team Zero, ma... il tempo passato insieme sull'isola, prima di divenire SEED a tutt gli effetti, come l'avevano trascorso? L'astio che Hakuryuu pare provare nei confronti di Tsurugi, dove trova origine?
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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«Passa, che aspetti?» rise un ragazzetto dai capelli bianchi e abbastanza folti sulla testa, ma dalla cui metà inferiore scendevano più scuri, tendenti al grigio, allungandosi fino a circa metà della schiena, mossi. Dopo quella sua domanda retorica, il pallone gli tornò tra i piedi, così che lui potesse rapidamente correre verso la porta avversaria dribblando egregiamente tutti i difensori che gli si paravano davanti ed infine, pronto di fronte al portiere, tirava con potenza, segnando uno splendido goal.
«Grande, hai segnato anche stavolta, Hakuryuu!» esultavano i compagni di squadra. Alcuni alzavano le mani al cielo, contenti, altri letteralmente gli saltavano al collo, abbracciando il loro migliore attaccante.
«Quanto stiamo?» domandò allora il ragazzino, voltandosi a guardare un bambino di poco più piccolo che teneva il tabellone con i punteggi, a bordo campo. Il piccolo, timidamente, avanzò di qualche passo tendendo le braccia in avanti per mostrare meglio il tabellone al più grande, che si sporse in avanti stringendo gli occhi per vedere bene. «Ah, cinque a zero» disse solo, guardando poi un suo compagno di squadra. «E quanto manca?»
«Uhm…» quello si guardò l’orologio che teneva al polso, facendo spallucce. «Mancheranno un paio di minuti» dichiarò, mentre l’altro annuiva. Sospirò.
«Beh, ormai non recuperate… e dubito che riusciate a fare un goal. Ci fermiamo, per oggi?» domandò sorridente agli avversari, alzando una mano e dandogli le spalle subito dopo, intenzionato ad andarsene.
«Fischia!» intimò con tono duro qualcuno, additando il ragazzino che oltre a tenere il punteggio in mano aveva anche un fischietto legato al collo da usare a mo’ di arbitro per decretare inizio e fine di primo e secondo tempo, fuorigioco ed eventualmente i falli. Hakuryuu si fermò, sorpreso dall’arroganza di quella voce, cosa che lo spinse a voltarsi per verificare a chi appartenesse. Nei suoi occhi rossi si rifletté un ragazzino, probabilmente della sua età, dai capelli blu quasi interamente all’aria con una specie di coda di cavallo – poteva definirsi tale? – che gli spuntava da poco più sopra la nuca. Quando gli occhi dorati di lui incontrarono i suoi, sentì che c’era qualcosa di diverso, rispetto ai suoi compagni di squadra. Ancora con gli occhi troppo aperti, piegò un angolo della bocca in un mezzo sorriso, quasi compiaciuto.
«Cosa speri di ottenere?» domandò sinceramente incuriosito da quel tipo, che non mostrò il minimo segno di espressione sul suo volto, se non un accenno d’irritazione.
«Segnerò. Io riuscirò a segnarvi un goal» decretò freddamente, senza distogliere lo sguardo da quello dell’altro.
«E cos’è che ti fa credere di riuscirci in due minuti, se non ce l’hai fatta in tutta una partita?» sghignazzò. I bambini dietro quel tipetto iniziavano ad annuire, dando ragione al ragazzino dai capelli bianchi. Si levò un vociare intenso, del quale si capivano solo poche frasi brevi come “è vero” oppure “non può farcela”.
«Silenzio!» sbraitò allora quello dai capelli blu, indurendo tono ed espressione. «Vedrai. Vedrete tutti» ringhiò. Sbalordito, Hakuryuu allargò il sorriso. «Bene, voglio proprio vedere!» ridacchiò, tornando al suo posto per poi annuire in direzione del baby-arbitro, che fischiò. La palla passò dai piedi dello sfidante a quelli dell’altra punta della sua squadra, per poi tornare in un batter d’occhio tra i suoi. «Mah, sembri veloce, ma non credere di impressionarmi» sbeffeggiò l’albino. L’altro schioccò la lingua irritato, ma non vi diede troppo peso, scattando in avanti. Non ci volle molto prima che Hakuryuu gli si parasse davanti bloccandogli la strada, ma fu ancor meno il tempo che l’avversario impiegò a smarcarsi e correre verso la porta, lasciando di stucco quello con gli occhi ramati.
«Allora? Non avresti dovuto come minimo farmi perdere il possesso di palla?» domandò ironico, ghignando appena riuscì a superare anche gli ultimi difensori. Prese un bel respiro e, soddisfatto, alzò la gamba per caricare il calcio; pochi secondi e sarebbe finita la partita, ma almeno sarebbe riuscito a mantenere la testa alta facendo quel tanto agognato goal.
Goal che però non arrivò come previsto.
Aveva già immaginato la scena davanti ai suoi occhi, quel ragazzino: faceva scendere rapidamente il piede, fendendo l’aria come se quello fosse una spada ed avrebbe colpito il pallone, andando a mirare all’angolo in alto a sinistra della porta. Da quel che aveva potuto vedere, il portiere avversario tendeva spesso a lanciarsi dalla parte opposta senza nemmeno verificare dove il giocatore avesse intenzione di tirare; per sua fortuna c’erano dei buoni difensori a proteggerlo. Comunque, dopo che il piede avesse incontrato il pallone, quello sarebbe schizzato con una velocità straordinaria verso il suo obbiettivo, fermandosi solo al contatto con la rete.
Invece tutto ciò non accadde perché sì, era vero che il piede era sceso potentemente arrivando a colpire in pieno il pallone, ma di fronte ad esso, tra lui e il suo goal sicuro, si era frapposto un secondo piede, quello di Hakuryuu. Lo scontro durò solo pochi istanti e il pallone venne premuto via dalla posizione in cui si trovava andando a volare in alto, verso il cielo. Prima che potesse ricadere toccando terra, però, si sentirono i tre fischi che decretavano la fine della partita.
«Che stupido…» sbuffò Hakuryuu, grattandosi la testa mentre la scuoteva. «Ho fatto proprio male a sottovalutarti, avrei dovuto fermarti al primo contrasto… Ti chiedo scusa, se non mi sono subito impegnato» gli disse, porgendogli una mano e mostrando un lieve sorriso. Il bambino di fronte a lui però non lo guardò nemmeno, tenendo gli occhi sgranati sul pallone che rotolava ai suoi piedi dopo l’impatto col suolo. Chiuse la bocca che aveva tenuto aperta per lo stupore di quel contrasto e schioccò la lingua, voltandosi di scatto, andandosene senza la minima intenzione di stringere la mano a quel tipo.
«Ehi! Non puoi ignorare così Hakuryuu!» sbraitò uno dei suoi compagni, che però venne bloccato da un gesto della mano dell’albino, sorridente.
«Almeno mi dici come ti chiami?» domandò, incuriosito da quel ragazzino tanto scontroso quanto talentuoso.
Non rispose subito, lui, ma si fermò. Aggrottò le sopracciglia, incassando la testa tra le spalle. «Tsurugi» sibilò, per poi riprendere a camminare, senza voltarsi.

«Ehi, Tsurugi!» chiamò Hakuryuu correndo incontro al ragazzo, sorridendo spavaldo. «Ce la facciamo una partita, anche oggi?» domandò elettrizzato all’idea. Aveva in mente una tecnica micidiale che avrebbe dato filo da torcere ad ogni portiere esistente sul pianeta – a sua detta – e ci teneva a provarla con lui.
«Se proprio non hai niente di meglio da fare…» sospirò seccato il ragazzo dai capelli blu, lanciando uno sguardo rapido a quello che gli aveva appena proposto l’allenamento. Era passato già un anno, da quando si erano conosciuti in quella partita vinta cinque a zero per la squadra di Hakuryuu e da allora si erano avvicinati parecchio. Non che fossero diventati migliori amici, di quelli inseparabili e che non vedevano l’ora di passare del tempo insieme, assolutamente, ma erano l’uno il diretto rivale dell’altro. Si confrontavano sul campo, chi vinceva sfotteva l’altro e gli rinfacciava la sconfitta fino alla sua rivincita, passandosi quindi il testimone del vincitore. Nonostante questo, però, tra loro vigeva un muto rispetto reciproco, che probabilmente non avrebbero mai esternato, ma di cui entrambi erano ben consci.
«Spero solo di non distruggerti come feci la prima volta che ci scontrammo…» derise l’albino, ridendo per la vittoria che, dopo dodici mesi o poco più, continuava a fargli pesare come fosse del giorno prima.
«Ma chiudi il becco!» sbottò Tsurugi. Per fortuna non era un tipo che arrossiva facilmente, altrimenti quello sarebbe stato il momento adatto perché il suo pallore divenisse meno evidente. Schioccò la lingua e poi ghignò. «Era solo il mio primo giorno qui al God Eden. In quest’anno dovresti aver visto come ti tengo testa, no?» replicò. Hakuryuu storse le labbra, riflettendoci, e poi annuì con un sospiro.
«D’accordo… ma adesso basta con le chiacchiere e giochiamo!» comandò, correndo a prendere un pallone e calciandolo verso l’amico-rivale, che lo stoppò con il petto. «Quegli alberi…» indicò quattro alberi posizionati rispettivamente due alla sua destra e due alla sua sinistra, «ci faranno da porte. Va bene?» sorrise sghembo.
«Secondo te è un problema?» ghignò di rimando Tsurugi, sicuro di sé, correndo poi verso la porta che “spettava” al ragazzo coi capelli bianchi. Corsero, calciarono, si rubarono l’un l’altro il pallone con scivolate e contrasti, segnarono diverse volte ciascuno. Non seppero dopo quanto, per la mancanza di un orologio con loro, ma dopo un po’ – il sole aveva iniziato a tramontare - si fermarono, stanchi. Tsurugi rimase in piedi, ansimando, mentre Hakuryuu, respirando altrettanto pesantemente, gli si sedette vicino, attento a riprendere bene il fiato.
«Ti vedo stanco» sbeffeggiò il blu inarcando un sopracciglio, guardandolo. L’altro rise.
«Piuttosto, quanto abbiamo fatto?» domandò mentre osservava Tsurugi mettersi a sedere lì accanto a lui.
«Sei a cinque per te» ammise con una punta di acidità nella voce. Gli seccava ammetterlo, ma aveva di nuovo vinto quel tipo dagli occhi rossi, dannazione. Schioccò la lingua, pronto a ricevere i soliti sfottò del compagno, ma aggrottò le sopracciglia quando, dopo diversi minuti buoni, non li sentì arrivare. Si voltò, aspettandosi di vedere la solita espressione da “sono-meglio-io” che li accomunava, ma rimase a bocca aperta quando lo vide fissare il cielo, con espressione corrucciata in viso. L’osservò storcere più volte le labbra ed aggrottare le sopracciglia. Non seppe se chiedergli subito cos’avesse che non andava o se far finta di nulla. Rimase in silenzio mentre tentava di decidersi se domandare o no e, forse per sua fortuna, fu Hakuryuu stesso a toglierlo dall’impiccio.
«Secondo te io sono forte?» domandò, spostando le iridi cremisi dall’arancione del cielo al giallo dorato degli occhi del compagno, che inarcò un sopracciglio.
«Per favore» sbuffò contrariato. «Se non fossi forte pensi forse che mi terresti testa?» chiese di rimando e l’altro abbassò il capo, guardando prima le gambe di lui, poi i propri piedi. Tsurugi era forte, era vero. Era arrivato su quell’isola da solo un anno, mentre lui vi era stato portato qualche ancor prima, e da quel momento si erano sempre allenati insieme per migliorarsi e superarsi. Naturalmente avevano fatto gli stessi tipi di allenamenti. Duri. Estenuanti. Allenamenti per diventare dei perfetti SEED ed eseguire al meglio gli ordini del Fifth Sector, portando il calcio a delle nuove vette sotto i comandi dell’Holy Emperor.
Hakuryuu lì sull’isola era uno dei giocatori più forti, fino all’anno prima. Sapeva giusto di un altro ragazzino, che viveva in mezzo alla foresta, forte quanto lui, ma non ci aveva mai parlato, avendolo visto solo ogni tanto di sfuggita. Quindi, escludendo quel figlio della natura o quel che era, rimaneva lui, come più forte?
No. C’era Tsurugi.
Era vero che ancora riusciva a batterlo, ma in un anno la sua media di goal era aumentata solo di uno, mentre quella dell’altro di ben cinque. Gli dava sempre più filo da torcere e teneva il passo con lui come fosse la cosa più naturale del mondo. Questo poteva significare solo che progrediva più veloce di lui, no? E allora perché? Perché avevano selezionato lui per quella squadra e non Tsurugi?
«Vogliono che io sia il capitano di una squadra» decretò. «Di quelle interamente sotto il controllo del Fifth Sector, dico» sospirò, lascinaodis cadere all’indietro, così che la sua schiena incontrasse l’erba del prato. Tsurugi lo guardò fissare il cielo con sguardo inespressivo ed abbozzò un mezzo sorriso.
«E non è forse un bene? Vorrà dire che hanno riconosciuto la tua abilità di SEED» fece spallucce. Davvero non riusciva a decifrare l’espressione dell’albino; ottenere il “rispetto” di quelli che stavano in alto era fondamentale, in quel posto. Se volevano farlo capitano sarebbe dovuto esserne felice, oppure la vedeva così solo lui?
«Mh… Tu come stai messo, con l’avatar?» domandò poi, riposando lo sguardo sul compare, che si spostò una foglia cadutagli in quel momento sulla coscia.
«L’ho evocato l’altro giorno. È una specie di cavaliere» informò senza trasporto. «Tu invece? Sei riuscito a tirarne fuori uno, alla fine?» chiese con lo stesso tono, ma l’altro non rispose.
Era tutto sbagliato.
Indubbiamente era forte e pochi potevano competere con lui, allora perché? Perché assegnare a lui, che nemmeno aveva il suo avatar, la guida di una squadra di SEED, quando c’erano ragazzi come Tsurugi che miglioravano a vista d’occhio? Non era meglio far rivestire a lui un ruolo di tale importanza, forse? Non che gli facesse piacere ammetterlo, ma cominciava a sentirsi inferiore al ragazzo dai capelli blu, ed iniziava ad esserne invidioso. Tsurugi era riuscito ad evocare e controllare – controllare – il suo avatar in quanto? Non più di un qualche mese. Lui invece, nonostante ci si allenasse da molto più di qualche mese ancora non riusciva a materializzarne uno, venendo quindi costretto a passare interi pomeriggi in quella stanza delle torture che loro chimavano “camera di allenamento”, dove riceveva pallonate in faccia, nello stomaco o in quelasiasi altro posto gli uomini del grande capo volessero lascirgli il segno. Serviva per imparare, dicevano.
«Perché sei qui, Tsurugi?» continuò a domandare, guardando le nuvole che volavano leggere sopra di loro.
«Per lo stesso tuo motivo. Per diventare un SEED» rispose ovvio.
«No, Tsurugi» lo guardò allora l’albino, serio. «Per quale motivo sei qui?» ripetè, suscitando un sospiro seccato dell’altro, che scosse il capo, rimanendo in silenzio. Non glielo avrebbe spiegato. Eppure non era la prima volta che glielo chiedeva, ma puntualmente rimaneva in silenzio, chiudendosi in se stesso. Con un sorriso amaro in volto, tornò con gli occhi al cielo. «Io non me lo ricordo, perché. Sono qui e basta» sussurrò, socchiudendo gli occhi. Passarono qualche minuto in silenzio, ma poi Hakuryuu s’illuminò, tirandosi a sedere di scatto. «Tu hai da poco compiuto dodici anni, vero? Beh, tra poco sarà il mio, di compleanno… che ne dici se come regalo rispondessi alla mia domanda, invece che startene semrpe zitto?»
«Hakuryuu… Se non ti ho mai risposto a quella, ci sarà un motivo, no?» soffiò, ma l’altro non desistette.
«Sarà l’ultima cosa che ti chiederò. Poi potrai stare zitto quanto vorrai» promise. Tsurugi fece per ribattere, ma ogni volta l’albino insisteva, così finì per accettare, seppur controvoglia.
«Adesso andiamo, che abbiamo gli allenamenti» comandò il ragazzo dagli occhi dorati, alzandosi. Si avviò senza nemmeno aspettare il compagno che, scuotendo la testa quasi rassegnato, lo seguì.

Era passata una settimana – o meglio, otto giorni – dalla promessa che Hakuryuu si era fatto fare da Tsurugi e, finalmente, il giorno della riscossa era arrivato. Non fidandosi del ragazzo, dopo gli allenamenti qutidiani l’albino l’aveva gentilmente intimato a seguirlo, il giorno prima, in una radura dove avevano giocato un paio di volte. Lì gli aveva ricordato del suo imminente compleanno e quindi del regalo che doveva ricevere e, mentre il vento alzava i petali dei fiori facendoli volare tutti intorno a loro, l’altro aveva annuito con un’espressione evidentemente scocciata. Se non fosse stato per il dolore tremendo ai muscoli, Hakuryuu avrebbe trovato quella scena anche piacevole, tra i petali e la faccia irritata di Tsurugi.
Per quel giorno si erano dati appuntamento, una volta sbrigate tutte le loro faccende, in quella stessa radura del giorno precedente e così, Hakuryuu vi si era diretto immediatamente una volta concluso l’addestramento. Aspettò diverso tempo, ma al posto di Tsurugi, vi capitò un altro ragazzo.
«Hakuryuu? Che ci fai qui da solo?» domandò quello, inclinando il capo, ma l’altro scosse la testa ed agitò una mano, sorridendogli.
«Niente, non preoccuparti, Nitta. Sto aspettando Tsurugi» spiegò. L’altro parve decisamente stupito.
«Ma come, non lo sai? Tsurugi se n’è andato!» gli disse avvicnandosi. «Pare che una certa scuola voglia iniziare una rivoluzione contro il Fifth Sector, quindi l’Holy Emperor ha ordinato che Tsurugi vi si infiltrasse per distruggerla!» spiegò, per poi guardare l’ora e scappare, salutando rapidamente l’albino. Quest’ultimo era rimasto con gli occhi sgranati e la bocca socchiusa, incredulo. Che stupido era stato. Si era illuso di essere ancora più forte di Tsurugi nonostante in quella semplice e breve settimana lui fosse riuscito a superarlo e vincerlo. Non ci aveva voluto credere, aveva preferito chiudere gli occhi di fronte all’evidente realtà. “È un giorno fortunato”, si era detto. Un giorno fortunato che poi si era ripetuto altre due, tre, quattro volte. Era ovvio che avessero chiamato lui, per fare da capitano ad una semplice squadra di SEED. Tenevano Tsurugi pronto per ogni evenienza, ed infatti evitare lo scoppio di una rivoluzione, era ben più importante e difficile, che fare da capitano. Per quello l’avevano detto a lui e non a Tsurugi. Tsurugi, che era più forte di lui.
Rise. Rise, rise e rise ancora. Non era vero. Tutto quello, non era minimamente vero. Se solo si fosse impegnato seriamente, avrebbe fatto nero Tsurugi. Esatto, era semplicemente quello che gli mancava; il dovuto impegno. Oh, ma gliel’avrebbe dimostrato. La verità era che Tsurugi se n’era reso conto prima di lui: per quello aveva lasciato l’isola, per paura. Sapeva che, quando avesse deciso di fare sul serio, gli avrebbe dato una sonora batosta e per quello era scappato. Altro che sedare la rivolta. Era solo un codardo.
“La squadra che guiderai, sarà la Unlimited Shining” gli avevano detto. “Diventerete i SEED più forti, quindi non dovrete mai perdere. Se lo faceste, non avreste davvero motivo per vivere ancora” avevano aggiunto.
Eh sì. Avevano riconosciuto il suo valore. L’avevano chiamato non perché era secondo a Tsurugi, ma perché gli era superiore. Non c’era altra spiegazione. Si sarebbe impegnato ogni santo giorno e l’avrebbe distaccato, quel codardo.
Sarebbero stati a tutto un altro livello, e gliel’avrebbe dimostrato.


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Che fatica- Però che carina la nuova impaginazione (?) di EFP, mi paice un casino! *^* Questo mi invoglia a postare più spesso *A* (Sono bacata, lo so, ma è l'una e mezza, sono esausta e sono dolorante all'occhio da giorni, perdonatemi).
Meh. Non c'è da dire molto.. solo, ho voluto scrivere (in realtà l'ho scritta esattamente nove giorni fa... dopo aver visto il film subbato in inglese, alle tre e mezza di notte, ma ok) di Hakuryuu e Tsurugi quano stavano al god eden, perché... beh, non ne dicono molto, nel film. C'è solo Hakuryuu che accusa Tsurugi di essere scappato, che dice che lui non parlava mai di se stesso e che poi gli dice che ora sono su livelli differenti. E... niente, l'ho interpretato così .3.
Piccola curiosità (?): ho voluto dire dei petali dei fiori tutti intorno a loro perché chi ha visto il film avrà notato (o magari no) che quand appare Hakuryuu e loro due si guardano, ci sono tuuutti petali che svolazzano intorno all'albino. Ebbene, io all'inizio li avevo ignorati, ma vadendo il film con il commento dei doppiatori, del produttore e del creatore... beh, ho scoperto che era una cosa voluta, perché aveva detto che quando si erano separati, quei due, la scena che avevano in mente erano loro circondati da quei petali, quindi ho voluto dargli ascolto.
Ora smetto di blaterare, al solito, che sono anche stanchetta. Spero vi piaccia >< E ringrazio tutti quelli che hanno letto, recensito e messo ta le ricordate/preferite le mie altre fic. Grazie davvero! ><

Ryka
  
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