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Autore: sheishardtohold    31/08/2012    6 recensioni
E' una rivisitazione della storia di Callie ed Arizona dopo la fine della storia tra Callie ed Erica. Callie ed Arizona si incontreranno si al bar di Joe, ma la loro storia proseguirà in modo diverso. Inoltre Arizona non è neanche un medico (si scoprirà più avanti il suo lavoro). I personaggi, il loro modo di reagire è diverso rispetto a quello a cui siamo abituati.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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Callie, seduta al bancone di Joe, restava immobile. Lo sguardo perso nel nulla e un bicchiere di tequila in mano. L’ennesimo bicchiere di tequila in mano. Non aspettava nessuno –aveva smesso di aspettarsi qualsiasi cosa dalle persone. Restava semplicemente lì a pensare quanto la sua vita facesse schifo e a crogiolarsi in quell’atto di auto commiserazione. Si sentiva una fallita: in amore, nel lavoro, in amicizia – in amore, soprattutto in amore. Lei che, a trentacinque anni, aveva finalmente capito da che parte stava e che, dopo aver realizzato di essere lesbica –o per lo meno bisessuale- era stata scaricata brutalmente da Erica. La cosa più divertente era che la causa della fine di quella storia era stata Izzie Stevens, almeno in apparenza. Callie, mentre stava lì a pensare a come Erica l’aveva colpevolizzata per non essere abbastanza lesbica, si domandava se veramente Dio esistesse, o ce l’avesse con lei, o qualsiasi cosa si potesse avvicinare ad un’ipotesi simile. Com’era possibile che, nonostante avesse preso le difese di Izzie, tutto era andato a rotoli, ancora, per la seconda volta? Che gran presa per il culo. Avrebbe dovuto odiare quella donna che sembrava rovinarle la vita continuamente. Avrebbe potuto pensare ad uno scherzo del destino, se ci avesse creduto, ma lei credeva solo in Dio e nella sua fede, quindi dubitò solo di lui.
Era talmente assopita nei suoi pensieri da non rendersi conto degli sguardi che attirava, come una calamita. Era assopita da suoi pensieri, non abbastanza da ignorare quella voce.
“Hey” aveva detto. Semplice, breve. Solo una parola. “Hey”, e lei si era girata, come fosse certa che chiamasse lei. Callie aveva accennato solo un gesto con la testa, troppo stanca persino per un ciao. Era incerta se fidarsi di quella voce o rimanere nella sua indifferenza, nel suo odio verso il mondo, nella sua diffidenza per il genere umano.
“Tequila?” aveva aggiunto, cercando di iniziare una conversazione. In realtà, a Callie, quella frase parve più come un “non ti facevo tipa da tequila”, come se la conoscesse. Lei l’aveva ignorata, completamente, come se non avesse parlato. Decise per l’indifferenza, alla fine.
Arizona, la voce, restò seduta accanto a Callie, in silenzio. Bevve il suo drink, le lanciò qualche occhiata, provò ancora con un “non è serata a quanto pare” e poi si alzò per andarsene.
Callie la fermò per un braccio. Neanche lei sapeva cosa esattamente le era preso. Sicuramente non era per la voce che aveva attirato la sua attenzione all’inizio. Forse era per gli occhi, o per il modo in cui si muoveva – così piena di grazia, così leggera. Forse era proprio la leggerezza che a Callie mancava che l’aveva attirata. Comunque la fermò ed Arizona le sorrise mentre le labbra di Callie si aprirono in un timido “scusa, di norma non sono così.. fredda”.
“Ti va di fare un giro?” e Callie annuì, afferrando la mano che Arizona le aveva porto per aiutarla ad alzarsi. C’era qualcosa di rassicurante in quella faccia d’angelo coi capelli biondi e gli occhi azzurri come il mare.
 
Camminavano fianco a fianco. Callie si stringeva nel suo cappotto nel tentativo di sconfiggere l’aria invernale che le ghiacciava il naso e la costringeva a socchiudere gli occhi, mentre Arizona camminava tranquilla, quasi fosse una bambina che saltellava in un prato fiorito nel mese di maggio.
“Io sono un casino, la mia vita è un casino” aveva esordito Callie finendo in uno di quei suoi lunghi discorsi che somigliavano più a monologhi che ad altro “Tutto ciò che mi sta accanto cade in mille pezzi. Sembra che ogni cosa che tocchi, ogni persona che respiri la mia aria si intossichi. È tutto così fragile”. Arizona solo a quella parola aveva alzato gli occhi per guardarla in faccia, per guardare quale sarebbe stata l’espressione di Callie nel pronunciare quella parola. Fragile. Lei lo era, fragile, non “tutto il resto”. Arizona l’aveva capito da subito, ecco perché entrando in quel bar aveva scelto proprio Callie.
Ci fu un attimo di silenzio alla fine di quel lungo flusso di parole che travolse Arizona come un fiume in piena, e poi “Perché racconti ad una sconosciuta chi sei?”. Questo no, tra tutte le cose che aveva detto Callie – e che Arizona aveva avvertito dal primo istante – questo proprio non le era chiaro.
“Perché è più facile parlare di sé stessi con chi non si conosce. Nessuno cerca di trovare la soluzione ai tuoi problemi, come se io fossi stupida, come se non ci avessi mai pensato. Nessuno tenta di consolarti o di strapparti un sorriso – in fondo a te che t’importa della mia vita? Ma soprattutto non si hanno aspettative. Sono quelle che fottono la gente” e poi erano state ancora una volta inghiottite dal rumore della notte.
“Ti va se cerchiamo una gelateria aperta? Ho voglia di gelato” e Callie, con uno sguardo un po’ perplesso, continuava a vedere la bambina che c’era in Arizona, questa volta non più in un prato, ma sotto il sole di maggio.
Aveva fatto un cenno con la testa. Callie non era tipa di grandi parole, o meglio, c’era stato un periodo della sua vita in cui parlare le piaceva. “Le parole sono come le persone” diceva “Le parole sono importanti”. Poi aveva smesso di crederci. Nelle parole – nelle persone- e aveva cominciato a misurare tutto. Non sprecava più una sola sillaba se la cosa non le sembrava necessaria. Aveva cominciato a misurare le parole, la grandezza delle persone e i suoi sentimenti fino a diventare vuota.
“Buona sera, vorrei una coppetta al cioccolato. Media, tutto cioccolato” puntualizzò Arizona.
Bambina, pensò ancora tra sé e sé lasciandosi sfuggire un sorriso mentre restava immobile ad ascoltare la voce di Arizona che restava in sottofondo e la cullava. Forse anche lei si sentiva un po’ bambina ascoltando il suono di quella ninna nanna che le dava leggerezza, proprio com’era leggera Arizona nel muoversi, nel parlare, nel sorridere.
“Andiamo?” le chiese prendendola sotto braccio, mentre Callie si domandava come le venisse spontaneo atteggiarsi in quel modo. Si chiedeva come facesse a sentirsi a suo agio, o meglio, si chiedeva come facesse a sapere che Callie non si sarebbe ritratta ad una moina, ad una carezza.
“A cosa stai pensando?” le aveva chiesto Arizona sedendosi su una panchina all’ombra di un albero spoglio e secco. Callie aveva guardato prima l’albero, come a vedere il riflesso della sua anima, poi Arizona, che sembrava scavare nella coppetta per cercare l’ultimo residuo di cioccolato, rannicchiata su se stessa, con le gambe al petto. Aveva un’espressione così concentrata.
“Al discorso che ti ho fatto prima”.
Arizona era rimasta in silenzio a fissare la coppetta ormai vuota, con un’espressione mista tra il deluso e l’affamato. Sembrava chiedesse ancora gelato. Callie, per tutta risposta, si sentì quasi offesa. Arizona la stava snobbando, stava snobbando i suoi problemi –gravi problemi, enormi problemi – per una coppetta di gelato finita. Non poteva neanche dirsi delusa dal comportamento di Arizona, dato che la conosceva solo da qualche ora, però sentì dentro crescerle un fastidio.
“Come al solito, a nessuno importa degli altri” aveva pensato tra sé e sé e forse qualche aspettativa se l’era già creata.
Silenzio. C’era ancora silenzio. Era un silenzio di quelli pesanti, di quelli che senti così forte che ti fischiano le orecchie. Arizona restava seduta in posizione fetale con il naso all’insù, rivolto al cielo. Per un attimo a Callie sembrò che i suoi occhi brillassero come le stelle. Non nel modo poetico in cui lo intendono due innamorati guardando l’uno negli occhi dell’altro, no. Brillavano proprio, come se stesse per scoppiare in un pianto. Poi si mosse e Callie ebbe paura di restare da sola. Di nuovo. Non voleva. Per quanto cercasse di nascondere quella sua folle paura, per quanto non riuscisse ad ammetterlo ad alta voce, lei non era pronta a restare da sola. E così mise su una bilancia la sua paura ed i suoi limiti, lasciando vincere i secondi. Si spinse oltre il suo limite accennando un leggero colpo di tosse.
“E tu a cosa stai pensando?”
“Al discorso che mi hai fatto prima” rispose citando la sua stessa frase per poi guardarla negli occhi e sorridere. Per un secondo a Callie sembrò di vedere scivolare dagli occhi di Arizona una stella, così, veloce, come se stesse perdendo una lacrima. Poi capì che non se ne stava andando via.
Callie sentì il cuore accelerare di un paio di pulsazioni ed il respiro farsi un po’ più affannato. Lo conosceva bene il suo corpo, lei, che era un dottore.
“Sto pensando che le persone che parlano di sé tentano di descrivere chi vorrebbero essere, oppure sono peggio di quel che dicono” aveva detto Arizona, probabilmente accorgendosi dello strano cambiamento di Callie. Lei no, non era un medico, ma aveva intuito il respiro affannato dalla nube bianca che si era formata davanti alla bocca di Callie.
“Ed io a che tipo di persone appartengo?”
“Nessuna di queste” e poi d’istinto aveva allungato la mano sul viso di Callie, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Aveva lasciato che il dorso della sua mano e le sue dita scorressero piano sulla guancia di Callie come per voler toccare ogni millimetro della sua pelle. Come se le servisse per conoscerla meglio. Come se le servisse davvero. Come se già non la conoscesse. E Callie l’aveva lasciata fare, mentre sentiva i pezzi del suo cuore farsi più vicini, come se volessero tornare insieme e ricucirsi da soli sotto quel tocco. “Tu sei buona” aveva sussurrato piano Arizona, col tono di voce spezzato quasi di una commozione –una commozione reale.
Bambina, aveva pensato ancora Callie, questa volta per quel suo modo di amare così puro ed innocente.
“Da cosa l’hai capito che sono buona?”
“Dagli occhi” le rispose subito continuando a mantenere il contatto visivo. Era il blu del mare che si mischiava col nero dell’oblio. Chiaro, scuro. Luce, ombra. Erano il giorno e la notte che si inseguivano e giocavano a rincorrersi e solo a volte riuscivano a toccarsi –ad amarsi con un solo tocco.
“A cosa stai pensando?” aveva ripetuto Callie meccanicamente.
“Sto pensando alla tua bocca” Arizona aveva appena inumidito le labbra. “Sto pensando che voglio baciarti” e Callie aveva guardato la sua lingua muoversi sulle labbra di Arizona che improvvisamente tornavano morbide, dopo essere state toccate dal freddo rigido che le aveva screpolate. Callie non era abituata a questo –a qualcuno che restasse sospeso a mezz’aria ad aspettare una sua risposta prima di baciarla. Callie era abituata ad essere usata, o ad essere scartata a priori. Come poteva Arizona trovare tanto interessante una persona così vuota e sola e instabile? Ma più la guardava, più sembrava che gli occhi di Arizona parlassero per la sua voce e la sua bocca.
“C’è differenza tra l’essere vuoti e sentirsi vuoti”, le sembrava di aver sentito Arizona dire, mentre invece restava ferma nel suo respiro calmo che riscaldava le labbra umide di Callie.
“Perché non lo fai” si era lasciata sfuggire Callie senza nemmeno accorgersene. Aveva lasciato scivolare dalla sua bocca quelle parole senza riuscire a tenerle lì, strette tra i denti, incastrate nella gola. La sua frase parve più un’affermazione che una domanda. Arizona non esitò.
Il suo naso sfiorò quello di Callie, mentre chiudeva gli occhi e faceva scivolare le sue mani fredde sulle spalle di Callie, fino a quel momento riscaldate dal calore del cappotto. La schiena di Callie s’irrigidì, percorsa da un brivido ed Arizona sorrise dolce mentre continuava a baciarle le labbra. Callie teneva gli occhi aperti, sempre all’erta, nonostante avesse chiesto lei quel bacio. Arizona sentì il suo sguardo, il suo disagio, allontanandosi da quella bocca che tanto desiderava.
“Voglio portarti in un posto” aveva detto balzando in piedi, come se non fosse accaduto nulla “Vieni?” e le aveva porto la mano, facendola alzare da quella panchina.
 
L’aveva tenuta per mano tutto il tempo, anche in quel momento, mentre la chiave in ferro apriva una vecchia porta in legno. Buio, buio totale. A Callie piaceva stare al buio. Si sentiva a suo agio, per lo meno nessuno l’avrebbe vista, non perché sembrava invisibile agli occhi degli altri, quanto per la mancanza di luce. Al buio ogni oggetto perde forma, ogni persona è uguale ad un’altra.
“Aspetta qui” aveva detto lasciandola da sola in mezzo alla stanza. Quando Arizona aveva fatto scattare l’interruttore Callie si sarebbe aspettata tutto tranne che un’enorme stanza riempita solo da luci, specchi, alcuni riflettori, un telo bianco e in un angolo una scrivania in legno quasi a richiamare la porta d’ingresso. Sulla parete opposta della scrivania, una porta che si mimetizzava col bianco del muro.
“Andiamo?” l’aveva attirata a sé gentilmente, riprendendole la mano. Poi avevano percorso una breve rampa di scale. Quella Callie non l’aveva notata e neanche la camera stellata, nel vero senso della parola.
“Sembra di stare al planetario” aveva detto ad Arizona fissando il soffitto trasparente, come fatto di vetro. Ad Arizona quel commento non sembrò stupido, nè tanto meno infantile. Callie invece si sentì inappropriata, specialmente quando Arizona le rispose “Questo è il mio posto felice. Da piccola mio fratello mi portava qui di nascosto. Sai, all’epoca tutto questo non mi apparteneva.” Pausa, come se avesse tralasciato qualcosa “Questo posto significava così tante cose per me e Timothy, così ho deciso di comprarlo.”
Che voleva dire con “significava così tante cose”, si chiese Callie e, come sempre, Arizona soddisfò la sua curiosità senza bisogno di parole.
“È morto” disse a bassa voce sdraiandosi sul letto –un materasso che poggiava a terra ricoperto da lenzuola gialle ed una trapunta multi color. Fu la prima ed unica volta in cui Arizona sembrò fredda, distaccata e nello stesso tempo così piccola e fragile. Non come la bambina che gioca o la bambina che mangia il gelato –non come la persona leggera che era– ma come il cristallo che si pacca quando cade, o la neve che si scioglie appena tocca il suolo.
“Perché ci tenevi tanto a portarmi in questo posto?” Arizona la sentì sdraiarsi accanto a lei, mentre Callie le parlava a bassa voce, come per non voler disturbare qualcuno che dorme o gli stessi pensieri di Arizona, ora che sembrava così cupa. Erano vicine, non abbastanza per toccarsi. Callie voleva mantenere quella distanza invisibile che Arizona aveva creato.
“Perché voglio che ti fidi di me, voglio che capisci che non sono come le altre persone” Arizona rispondeva restando immobile a fissare il soffitto, le stelle e il cielo scuro che si stagliava imponente sopra la città e si mischiava alle luci e ai colori di Seattle. Callie aveva ritrovato in quella risposta la sicurezza che aveva perso in precedenza nel tono di voce di Arizona, nel suo sguardo triste.
“Allora raccontami di te” le aveva sussurrato all’orecchio, girandosi su un fianco e posando il peso su un gomito per mantenersi in equilibrio a guardarla parlare.
“Ho un dono, credo” stava già esitando. Callie credeva che non volesse ricadere tra quella gente che si descrive come vorrebbe essere.
“La gente dice che ho un dono e che sta nei miei occhi e nel mio sorriso. La gente dice che quando sorrido, insieme alla mia bocca ridono anche gli occhi ed ogni muscolo della mia faccia e questo fa stare bene chi mi guarda –anche se io non capisco come” aveva aggiunto a bassa voce, aggrottando le sopracciglia “Non lo so come si usa questo dono, ammesso che io ce l’abbia davvero” un’altra pausa, come per selezionare le cose più importanti “Non mi piace aggiustare le cose. Che sia una cosa piccola, o significativa o costosa, non ha importanza. Non mi piace aggiustare le cose –sono stanca di aggiustare cose” si era lasciata sfuggire e Callie aveva capito che non si riferiva solo agli oggetti, ma soprattutto alle persone. Forse Callie riusciva solo ora a comprendere la sua finta solitudine. Forse Callie aveva capito che, a furia di aggiustare cose, rapporti, persone, aveva lasciato perdere e aveva deciso di vivere –vivere e basta. Non importava quanto facesse male tagliare un rapporto. Le cose sarebbero state difficili all’inizio, poi, col passare del tempo, tutto sarebbe passato.
“Avresti già buttato mille volte questa” disse Callie estraendo dalla tasca una collana con inciso il suo nome per intero. Calliope, lesse Arizona ad alta voce e per la prima volta a Callie sembrò di avere il nome più bello del mondo. Non si spiegava come, in bocca ad Arizona, qualsiasi parola suonasse bene. Forse avrebbe dovuto dirglielo, ma, come sempre, preferì il silenzio alle parole. Rimase a guardarla, mentre si rigirava tra le mani la collana rotta.
Calliope, ripetè Arizona.
“Già, è il mio nome” disse sorridendo, come se stesse parlando ad una bambina e le stesse spiegando il segreto più profondo. Arizona ricambiò il sorriso ed annuì, lasciando in dubbio Callie, che non capiva se Arizona approvasse solo il suo nome o la guardasse come a dirle “okay, ho capito”.
“Arizona, il mio nome è Arizona” e solo in quel momento entrambe pensarono quanto fosse strano restare così vicine, sapere tutto e al tempo stesso non sapere nulla dell’altra –come i loro nomi. Alla fine erano solo quelli, nomi, che importanza potevano avere?
“Come lo stato”
“Come la nave” la corresse Arizona.
Una pausa, un silenzio interrotto solo dalle parole di Arizona “A cosa stai pensando?”
“Al tuo discorso, quello sulle persone che si descrivono come vorrebbero essere e quelle che sono peggio di quel che dicono” erano tornate a parlarsi fianco a fianco, sguardo fisso sul soffitto, mani incrociate sulla pancia. Per Callie era troppo imbarazzante parlare con una persona guardandola negli occhi, non reggeva il confronto. Arizona l’aveva capito e aveva rispettato il suo volere.
“E qual è il tuo verdetto?” le aveva chiesto sarcastica Arizona, accennando una risata ironica.
“Sei buona” entrambe rimasero in silenzio, nuovamente. A Callie quella frase uscì a fatica. Arizona, invece, ne fu del tutto sorpresa.
“Da cosa l’hai capito?” ed ora non era più solo la bocca di Callie a non rispondere ai suoi comandi, ma tutto il corpo. Callie si tirò su per guardare Arizona, per studiarne ogni singolo cambiamento espressivo e restando a fissarle le labbra rispose “Dagli occhi” riprendendo la stessa frase di Arizona. Aveva ragione la gente che diceva che Arizona aveva un dono – il dono del sorriso e degli occhi che brillano. Callie aveva visto il volto di Arizona illuminarsi, mentre le sue labbra si schiudevano in un’altra domanda –sempre la stessa che si ripeteva ogni due minuti tra loro, come una cantilena.
“A cosa stai pensando?” aveva messo le sue mani attorno alla nuca di Callie, che restava sospesa sopra di lei a guardarla estasiata. Anche se non lo sapeva, era questo il modo in cui stava guardando Arizona.
“Sto pensando al tuo corpo” Arizona aveva annuito seria, capendo la serietà della frase di Callie che parlava poco e dava così peso a quello che diceva. “Sto pensando che voglio toccarti” e ad Arizona non erano servite altre parole per capire che Callie intendeva la sua anima –voleva toccare la sua anima.
“Okay”
“Voglio..”
“Okay” l’aveva interrotta prima ancora di lasciarle terminare la frase “Calliope, io mi fido” e Callie l’aveva baciata con un’intensità che non credeva nemmeno di essere capace di esprimere, men che meno di provare. Si sentì soffocare quando le sue labbra entrarono a contatto con quelle di Arizona e non capiva se era per il bacio in se o per la valanga di emozioni che la stavano travolgendo. Era viva, si sentiva viva, mentre l’odore di Arizona si mescolava col suo e riempiva l’aria e i suoi polmoni e più ne respirava, più avrebbe voluto respirarne. Era l’odore della leggerezza, quella che caratterizzava Arizona e della fiducia. Callie non riusciva a spiegarsi come, in fondo, Arizona la sua anima l’avesse già toccata con quella frase –io mi fido. Erano parole che valevano più di un ti amo, specialmente dette da una bocca come quella di Arizona. Callie lo sapeva, labbra così non potevano mentire.
  
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