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Autore: Lauretta Koizumi Reid    31/08/2012    9 recensioni
"Allungò la mano sana e le sfiorò la pancia, stando attento a non svegliarla. La amava senza una ragione, la amava forse per i suoi occhi, per il bianco della sua pelle, perché era una bambina, una donna, un animale e un’umana."
E se in quella notte buia nella grotta, prima della battaglia, fosse successo... qualcosa... tra San e Ashitaka? Qualcosa che entrambi, però, intendono in modo diverso...una ninnananna di passione e istinto primordiale che spingerà Ashitaka nello sconforto e nella consapevolezza...
*AGGIORNATA E MODIFICATA (dire migliorata XD) il 06/12/14
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nel buio della grotta, Ashitaka non riusciva a dormire. La mano colpita dalla maledizione gli arrecava un dolore tremendo. Si toccò la fronte increspata di sudore freddo e cercò di trovare la posizione più comoda per dormire, tentando di ignorare quelle maledette fitte che non gli davano tregua.

Si voltò e vide San dormire tranquillamente, il respiro regolare che andava su e giù, il viso rilassato, avviluppata nella propria pelliccia bianca. Ashitaka si chiese tra se’ e se' che cosa ne sarebbe stato di loro due dopo quella notte.

Era in gioco una guerra, una guerra idiota di cui Ashitaka non afferrava il senso: sapeva che da quella guerra o si sarebbe ottenuta una distruzione totale per entrambe le parti, oppure, ancora peggio, essa non si sarebbe risolta, perchè entravano in gioco due realtà che per lui avrebbero dovuto convivere, non scontrarsi. Per questo, per quanto si sforzasse, non era capace di decidere. Stupido, a pensare questo? Non lo sapeva. Capiva solo che se ne avesse avuto le forze, non avrebbe mai lasciato che lei, San, la principessa dai lupi,mettesse in gioco la sua vita per combattere quella causa, e in più schierandosi dove la natura non aveva deciso di collocarla.

San era umana, umana, accidenti. Doveva stare con me, pensò il ragazzo in lacrime sporgendosi e avvicinando lentamente il proprio viso a quello di lei, dovevano andare via da là, loro due insieme, per vivere un’altra vita.

Allungò la mano sana e le sfiorò la pancia, stando attento a non svegliarla. La amava. L’aveva amata da subito, senza un senso, senza una ragione, la amava forse per i suoi occhi, per il bianco della sua pelle, per quelle forme generose che non aveva mai osservato in una donna del suo villaggio, perché era una bambina, una donna, un animale e un’umana. Avrebbe voluto che non fosse stata la principessa del lupi, ma la sua principessa, come nelle leggende che gli venivano narrate da piccolo.

Ma io sto morendo, concluse poi accasciandosi al suolo sulla schiena, e lei sarà sempre un animale.

Ashitaka non si accorse che San, con gli occhi socchiusi nella semioscurità, lo stava osservando. Quella mano così delicata sulla pancia l’aveva svegliata. Strani pensieri aleggiavano nella mente della ragazza, alcuni dei quali...divoranti. Non aveva mai provato nulla di simile prima d’ora.
Tutti gli umani le avevano fatto sempre orrore, benché a volte si rendesse conto, guardando un umano morire ai suoi piedi, che lei poteva appartenere a quel genere, che forse la sua vita poteva essere lì con loro: glielo testimoniava l’immagine riflessa nelle acque dei laghi, così diversa da quella di un lupo. Moro non aveva mai mentito sulle sue origini. Ma ogni volta scacciava via questi pensieri, perché gli umani sono crudeli e vogliono solo la nostra morte, e la morte della foresta.
Ma lui...era diverso. Ashitaka non era crudele.

Prima di tutto, nessuno in punto di morte aveva mai elogiato la sua bellezza. Nessun umano possedeva quella voce così dolce e così calda, specie quando si rivolgeva a lei. Non aveva mai sentito altro che insulti, maledizioni, minacce. Come poteva spiegare che quando l’aveva nutrito con la carne bocca a bocca, per un istante aveva desiderato restare lì, a contatto con il suo viso, con i suoi capelli, con le labbra che aveva solo appena toccato? Era come una fame molesta. Ma non era il suo stomaco a farle male. E non voleva solo le sue labbra, voleva tutto, ogni cosa . Come avrebbe fatto ad ottenerlo non lo sapeva, o forse sì. Segui l’istinto, le diceva sempre Moro. Egli sa.

Ashitaka, nel delirio del dolore e del sonno, non si rese conto di avere a cavalcioni San finchè non sentì il suo respiro infrangersi sulla pelle. Aprendo gli occhi vide il viso dei suoi sogni troppo vicino per resistere a quella tentazione che aveva già provato quando San l’aveva nutrito. Ma quel giorno era veramente troppo debole per tentare qualsiasi cosa. Provò a dire il suo nome, il perché stesse in quel modo sopra di lui, cosa avesse intenzione di fare, ma le sue parole furono soffocate da quello che sembrava essere un bacio in piena regola. San teneva saldamente la presa sulle labbra di Ashitaka senza pause, alternando morsi e leccate. Egli provò a scansarla. Ma la fitta della mano aumentò, e senza che avesse il tempo di controllarla, andò a schiacciare la testa della ragazza ancora di più contro di se’. Non ebbe il tempo di stupirsi, e la sua razionalità tramontò.
Ashitaka tentò di mettersi semiseduto per poterla abbracciare meglio. Erano abbracci forsennati, vigorosi, ogni centimetro della loro pelle ardeva di un fuoco disperato, e il sudore freddo di Ashitaka, causato prima dal dolore della mano, era del tutto scomparso.

- San.... - sussurrò Ashitaka, perché le mani della ragazza stavano scendendo pericolosamente dal petto alla vita.
Senza volerlo, o forse sì? egli calò velocemente i pantaloni diventati troppo stretti, mentre San, sollevando la gonna e senza nessun timore o esitazione, accolse Ashitaka tra le pareti del suo corpo verginale.
Non c’era esperienza quando Ashitaka si rese conto di essersi impossessato di lei, ne’ quando San iniziò istintivamente a spingere con foga, seguito dal ragazzo, che strinse i denti per non terminare troppo in fretta quella danza. C’era solo istinto. San iniziò a gemere e Ashitaka riprese un po’ del suo controllo, schiacciandole la bocca contro la sua spalla.
Moro era fuori dalla grotta, era già un miracolo se non aveva sentito la confusione precedente di ansiti e schiocchi di baci, ma se interveniva proprio ora, quando quelle onde di piacere diventavano sempre più ampie, si sarebbe buttato dal dirupo.

- Finisci... - fu il sussurro che sentì nelle orecchie da una voce rotta che Ashitaka non riconobbe come quella della ragazza, perché era sì irata e perentoria, ma quasi felice. Fu abbastanza. Per un secondo le loro grida soffocare echeggiarono per le pareti della grotto. Poi ci fu silenzio. Ormai Moro poteva venire a scuoiarlo, ma sarebbe morto con l’immagine di lei negli occhi, aggrappata al suo collo e con la testa rovesciata all’indietro.

Chiuse gli occhi, mentre San si staccò lentamente da lui, si rinfilò solo quella lercia camicia bianca e con espressione persa ma appagata, si addormentò. Dalla gonna ancora sollevata Ashitaka intravide un rivolo di sangue scorrere sulla gamba sinistra della ragazza.
“Cosa diavolo ho fatto? pensò Ashitaka rimettendosi i pantaloni, e decise di uscire fuori a colmare il suo debito di aria. Guardò l’orizzonte, ignorando Moro seduta accanto a lui come una sfinge bianca. Fa che avesse davvero dormito tutto il tempo?
- E adesso, umano, cosa credi di aver concluso?
Evidentemente no.
- Come? - replicò lui.
- Cosa credi di aver concluso con mia figlia?
Potrei farti tutto l’elenco, pensò ironicamente il ragazzo, ma decise di lasciar perdere.
- Ci hai sentiti?
- Direi di sì. Ma la tua espressione in questo momento è troppo arrogante. Pensi davvero che solo perché l’hai fatta tua, solo perché hai cancellato la sua integrità da figlia degli dei con il tuo sporco seme, con il tuo sesso maledetto, ora San sarà per sempre tua?
Ashitaka spalancò gli occhi inorridito.

- Io non sono sporco, e poi è stata San a volerlo! Io non l’avrei mai toccata, benché avessi voluto farlo da molto tempo!
- E non ti chiedi il perché?
- Perché cosa?
- Perché tu ti sei trattenuto e lei no?
- Mi ama! - sentenziò con aria grave.
Moro scoppiò in una risata temporalesca.
- Tu pensi di aver compiuto l’atto più umano che esista, Ashitaka, ma per noi animali quello non è un atto d’amore, e San non aveva mai potuto accoppiarsi con uno della sua specie!
- E quindi? - gridò Ashitaka.

- E quindi il suo è stato istinto, stupido che non sei altro! Mangiare, bere, unirsi! Non sono che sinonimi per noi!
- Sinonimi?
- Nient'altro che istinti di sopravvivenza. Non potrai cancellare con un atto di cinque minuti, la vita e le idee di vent’anni! Lei è un animale, tu un umano, lei non si è trattenuta perché per lei non è che un atto istintivo, mentre per te, e per voi umani, racchiude qualcosa di molto più importante. Spesso sento dire che vi trattenete per anni!
- Atto di dieci minuti. - precisò Ashitaka, mentre le ultime parole della Lupa gli davano i brividi.
- Lieto che tu non perda il tuo acume, umano. Stasera mi saresti anche simpatico, se non fossi tanto ingenuo.
- Io voglio allontanare San da tutto questo odio.
- Non ci riuscirai.
- Proverò lo stesso.
Ci fu una pausa di silenzio assordante. Moro d’improvviso sospirò, e disse con tutt’altro tono:
- Non vorrei che la mia amata figlia morisse. Non vorrei che voi umani foste così violenti. Se solo tu fossi arrivato prima, umano... goditi anche tu questa notte di riposo finchè puoi, perché San andrà in battaglia, tu proseguirai il tuo cammino verso la morte... e io pure. Ora vattene, vattene pure da lei.

Ashitaka corse verso l’interno della grotta, ricacciando indietro le lacrime. Guardò San raggomitolata solo in quella veste bianca e si inginocchiò vicino a lei.
-San? Non andare in guerra domani. Ti prego. Vieni via con me. Fammi morire con te.
San scosse la testa, nel sonno forse.
Ashitaka si distese nell’altra pelliccia e rimboccò la coperta alla ragazza. Sfiorò di nuovo la pancia di San con la mano e le disse “Ti amo” nell’orecchio.

San si destò aprendo gli occhi.
- Che cosa vuol dire?

Ma Ashitaka si era già addormentato.

  
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