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Autore: flautista_pearl    31/08/2012    8 recensioni
L’organizzazione nera era stata sconfitta; i piani degli uomini in nero furono sventati ed uno per uno i membri vennero catturati dall’FBI, dalla CIA e dalla polizia ‒ Chianti è stata condannata all’ergastolo ‒ o si si suicidavano come era successo con Gin e Vodka; tuttavia Bourbon era ancora a piede libero come Vermouth e… il “Boss”.
Cosa succederebbe se l'organizzazione cessasse di esistere? Che cosa succederà a Conan, ovvero Shinichi, e ad Ai?
Un finale che ho ideato fin nei minimi dettagli.
[Spoiler! per chi non sappia chi sia Bourbon e per i fatti accaduti fino al caso Mistery Train]
La lettura potrebbe risultare noiosa per chi non conosca Irene Adler e Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare.
Questa è la mia prima fanfic su Detective Conan perciò mi farebbe piacere cosa ne pensiate.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Detective Boys, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Ai Haibara, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Detective Conan

 

Vivere l’infanzia negata, recitare ti amo

 

 

L’organizzazione nera era stata sconfitta; i piani degli uomini in nero furono sventati ed uno per uno i membri vennero catturati dall’FBI, dalla CIA e dalla polizia ‒ Chianti è stata condannata all’ergastolo ‒ o si suicidavano come era successo con Gin e Vodka; tuttavia Bourbon era ancora a piede libero come Vermouth e… il “Boss”; Conan, ovvero Shinichi, ancora non aveva scoperto chi era quella persona, ma aveva scoperto che era un uomo che proviene dagli Stati Uniti. Shinichi insieme ad Ai, agli agenti dell’FBI ‒ Jodie Starling, James Black, Andre Camel e Subaru Okiya ovvero Shuichi Akai ‒ avevano reperito in una ex-base dell’organizzazione degli uomini in nero, un parcheggio sotterraneo del quartiere di Beika, un computer contenente tutti i dati all’antidoto APTX4896 e ai loro piani di omicidi, rapine e progetti; ma soprattutto ai membri dell’organizzazione. L’unico non presente nel portatile era il cosiddetto “Boss”. Cioè, sì c’era, ma la sua cartella non lo descriveva in modo approfondito, ma era più che essenziale. Hanno scoperto che “quell’uomo” proveniva dagli Stati Uniti, così si spiegava anche la presenza dell’FBI in Giappone, ma innanzitutto hanno trovato nel documento anche una sua foto. Perciò si poteva benissimo dire che l’organizzazione era senza scampo.
La piccola Ai Haibara, per meglio dire Shiho Miyano, lavorava giorno e notte analizzando i dati raccolti e trovare l’antidoto all’apotoxina da lei creata precedentemente. E dopo un mese in cui lavorò instancabilmente nel laboratorio del professor Agasa, ma non saltando la scuola, poté dire: «Ce l’ho fatta».
 
 
Il giorno dopo corse all’agenzia investigativa di Kogoro Mori e suonò il campanello.
«Arrivo», disse una voce ovattata. «Ah, sei tu Ai».
«Be’ che ti aspettavi, Shinichi Kudo?», domandò lei divertita.
«Ran e Goro sono andati a risolvere un caso, ma io non ci volevo andare. Mi sono preso un raffreddore e non volevo fare la fine dell’altra volta».
Ai ricordò quel che era successo come se fosse ieri: invece di prendere la medicina per il raffreddore prese l’antidoto sperimentale dell’apotoxina e si trasformò in Shinichi. Poi quando l’effetto del secondo antidoto stava per interrompersi, e quindi ritornare Conan Edogawa davanti agli occhi di Ran, lei agì tempestivamente e l’addormentò con un ago soporifero.
«Allora, dimmi Ai, perché sei qui?», domandò lui sistemandosi sul divano a leggere Il segno dei quattro di Arthur Conan Doyle da cui deriva il suo nome.
«Oh, be’… credo che ti piacerà. Ho qui dentro una cosa che ti aiuterà moltissimo», Ai estrasse dalla sua tasca dei pantaloncini un flaconcino di vetro contenete due pillole. Conan immediatamente scattò in piedi lasciando cadere il libro, si sistemò meglio gli occhiali sul naso e strappò dalle mani di Ai la bottiglietta.
«Non dirmi che è…», disse Conan esaltato, «… è l’antidoto». Ai annuì semplicemente.
«E lo posso prendere subito?», chiese Conan titubante, esaminando ancora una volta il contenuto della boccetta come se fosse oro.
«Be’… ti conviene prenderlo alla fine della scuola così nessuno desterà sospetto; almeno non prima della recita di fine anno», rispose Ai in tono ovvio.
«Perché ti conviene? Ci conviene!», disse Conan con fermezza.
Ai sospirò e si avvicinò alla finestra dell’agenzia investigativa, incrociando come sempre le braccia al petto. «Perché mentre lavoravo ci ho pensato e sì, insomma… dopo non saprei che fare. Vorrei decidere alla fine della scuola. Dopo la recita forse ti saprò dare una risposta».
Un rumore fece sobbalzare Conan e cacciò la boccetta dell’antidoto nella tasca dei suoi pantaloni. La porta si era aperta e Ran entrò con dietro Goro che aveva un’aria malinconica.
«Cos’è successo?», chiese Conan a Ran sottovoce. Goro s’infilò dentro la cucina e tornò con due bottiglie di Sherry. Ai trasalì.
«Non è riuscito a risolvere il caso», sussurrò Ran. «Oh, ciao Ai. Perché non ti fermi a cena da noi?».
«Ehm… mi piacerebbe molto. Ma il dottor Agasa mi sta aspettando», rispose Ai. «Ah, Ran! Credo che Conan ti dovrebbe dire una cosa», aggiunse ghignando.
«Cosa dovrebbe dirmi?», chiese Ran curiosa avvicinandosi al bambino. «Non vi siete mica messi insieme?», ipotizzò contenta.
«M-ma n-no!», balbettò Conan in preda all’imbarazzò e scoccò uno sguardo truce ad Ai.
«E allora si può sapere cosa mi dovete dire?», domandò incrociando le braccia sotto il seno.
«Be’, fra meno di una settimana arriverà Shinichi dagli Stati Uniti», rispose Ai ammiccando.
«Cosa?!», gridarono all’unisono Conan e Ran. A quest’ultima gli occhi le diventarono lucidi.
« Be’, ci vediamo. Conan ripassa la parte, l’ultima volta alle prove non hai dato il meglio di te. Eri come dire… pessimo», aggiunse uscendo.
Appena la porta dell’agenzia investigativa si chiuse, si sentì Conan dire ad alta voce: «Ha parlato la regina delle fate. Almeno lei ha una parte dignitosa. Ma Bottom…»
 
 
Ai, dopo cena, non riusciva letteralmente a dormire. Non sapeva se riprendere la sua vera identità, quella di Shiho Miyano, e cercarsi un lavoro o mantenere quella di Ai Haibara, la dolce studentessa delle elementari e vivere l’infanzia negata. Ma al momento aveva anche altri pensieri per la mente, doveva pensare alla recita scolastica: Sogno di una notte di mezza estate in cui impersonava la regina delle fate, la bella e affascinante Titania. Non l’aveva scelta lei la parte, era stata decisa da tutta la classe perché pensavano che Ai avesse la maturità adatta a impersonare quel personaggio tanto importante. Poi Mitsuhiko si è proposto per il ruolo di Oberon, l’autoritario re delle fate e sposo di Titania; Ai pensava che si fosse candidato per provare la sensazione di essere suo marito ‒ anche se per finta. Genta voleva interpretare Puck, noto anche col nome di Robin Goodfellow il folletto dispettoso, e Ayumi la bella Elena, nella speranza che Conan scegliesse la parte di Demetrio o perlomeno quella di Lisandro. Conan non era molto interessato nella scelta dei personaggi e così si è dovuto beccare Bottom. Nessuno lo voleva interpretare, di certo apparire davanti ai propri genitori sul palcoscenico con una testa d’asino non era proprio un gran spettacolo. Ma Conan non badava ai suoi genitori, che erano negli Stati Uniti, ma a Ran. Infatti, chiese immediatamente alla maestra se poteva interpretare un altro personaggio; domandò persino di interpretare una fata. Ma la maestra era irremovibile. Così si dovette imparare la parte, ma alle prove era veramente pessimo. Quello che faceva non era recitare ma dire parole senza un minimo di enfasi. Ma una cosa che gli aveva detto Ai lo fece cambiare.
«Se continui di questo passo, il nostro Nick Bottom invece di essere un tipo allegro e presuntuoso sarà un tipo noioso», disse Ai con noncuranza l’ultimo giorno di prove. «Fallo almeno per Ran. Credo che vorrebbe vedere un formidabile Conan Edogawa, non è così Shinichi Kudo?».
«Be’… ma prova tu a portare una testa d’asino», sbottò Conan. «Preferisco di gran lunga le ali di stoffa. Comunque hai pensato a quella cosa?», sussurrò per non farsi sentire da Ayumi, Mitsuhiko e Genta.
«Allora, lo farai per Ran?», chiese Ai, ignorando la domanda di Conan. «Non ti conviene fare una pessima figura. Quando sarà finita la scuola, prenderai l’antidoto e le racconterai tutto. Di sicuro non pensava che Shinichi potesse recitare così male. Quindi in questi due giorni che ti restano prima dello spettacolo, impegnati!», lo esortò.
Conan rimase spiazzato, dato che non aveva mai pensato che una volta finito quest’anno di scuola avrebbe dovuto raccontare tutto a Ran e si decise quindi di mettercela tutta. No, che non ci pensava ‒ anzi ci pensava dal primo giorno in cui si ritrovò nel corpo di un bambino di sette anni ‒ ma non aveva messo in considerazione che una volta tutto, lei avrebbe collegato Conan a Shinichi. E fare una figuraccia davanti a Ran sapendo che da lì a poco avrebbe saputo che lui era Shinichi non era proprio uno spettacolo.
 
 
I due giorni che precedevano lo spettacolo Conan si impegnò al massimo, dando fondo a tutta la sua determinazione. La sua recitazione stava migliorando ora dopo ora: il Bottom noioso dell’inizio diventò allegro e vanitoso. Anche la parte in cui cantava migliorava nonostante fosse stonato peggio di una campana: non aveva mai provato quella scena a scuola.
Ai venne il giorno prima della recita per sentire Conan cantare, in un certo senso cantare: urlava a squarciagola le parole senza intonazione, ma almeno era meglio dell’inizio.
«Non va bene. A Il merlo, becco giallo e piuma nera, il tordo, la leggiadra capinera, il vispo cardellino, dal gaio pennacchino e ancora Il fringuello, il passero, l’allodola… devi ‒ e sottolineo devi ‒ fare le pause! E poi non devi respirare a chi si metterebbe ma a discutere. La frase dopo: deve essere un sussurro etereo. Quante volte te lo devo dire?», lo incalzò Ai.
Conan, cercando di mettersi a mente i consigli dell’amica per la settima volta, si raddrizzò e inspirò, e mentre si concentrava sulla modulazione della voce, attaccò: «Il merlo, becco giallo e piuma nera, il tordo, la leggiadra capinera, il vispo cardellino, dal gaio pennacchino…».
«Quale angelo mi sveglia dal mio letto fiorito?», disse Ai nelle vesti di Titania in un sussurro impercettibile.
«Il fringuello, il passero, l’allodola, il semplice cuculo grigio la cui nota più di un uomo sente e non osa rispondere “no”. E difatti chi si metterebbe a discutere con un uccello così sciocco? Chi darebbe la smentita a un uccello che fa tutto il tempo “cucù”?».
Ai non proferì parola. Era sorpresa della recitazione di Conan, migliorata in così poco tempo.
«Basta così», dichiarò Ai poggiando il copione sul tavolo, lasciando Conan in piedi al centro della stanza un po’ stupito. Ai si mise la borsa sulle spalle e andò verso la porta d’ingresso.
Conan ripresosi dal comportamento della sua amica la fermò in tempo prima che potesse aprire la porta. «Ma non finiamo la scena?», chiese.
Ai rimase un attimo attonita. Si guardò il polso stretto nella presa di Conan, poi rispose: «Be’, la vedrai domani, la mia recitazione», e sorrise, aprì la porta e se ne andò lasciando Conan sulla soglia.
Ai mentre si dirigeva verso la casa del professor Agasa si guardò il polso più volte e si chiese se fosse stato un male non aver provato la scena almeno una volta prima dello spettacolo.
 
 
Erano le sei meno un quarto e la recita sarebbe cominciata quindici minuti dopo. Ai era seduta davanti allo specchio, già vestita in un abito stile impero rosa pallido con le ali di seta di un bianco candido con riflessi rosati e a cingergli il capo una coroncina di alloro e fiori di ciliegio. Contemplava la propria figura allo specchio e non poteva credere a come Ayumi ci tenesse a questo spettacolo. Lei aveva fatto la coroncina di alloro e fiori di ciliegio e anche le alucce di stoffa. Le aveva fatte a tutte le fate e aiutò anche nel costume di Bottom ritoccando la testa d’asino.
Ai si prestava a mettere le scarpette bianche, quando Ayumi entrò nel camerino con indosso un abito azzurro.
«Mancano dieci minuti!», gridò di gioia la piccola Ayumi correndo verso Ai, ma fermandosi appena la raggiunse: le stava osservando i capelli.
«Hai messo male la corona d’alloro», l’ammonì prendendo la spazzola e pettinando i capelli di Ai poi le mise la coroncina, questa volta come voleva lei: leggermente in basso dietro. «Ecco fatto!», disse mentre la guardava attraverso lo specchio.
Ma Ai non l’ascoltava, era assorta nei propri pensieri. Ancora non poteva credere che tra meno di dieci minuti sarebbe iniziato lo spettacolo e che una volta finito avrebbe dato una risposta a Conan. Ma non sapeva quale dargli. Voleva tornare Shiho Miyano o condurre la vita come Ai Haibara e dimenticare il proprio passato? Non lo sapeva ma una cosa era certa: doveva dire quella cosa, prima che lui ritorni Shinichi Kudo.
 
 
Lo spettacolo era cominciato e si percepiva benissimo che tutti i bambini erano più che agitati dietro le quinte. Ayumi continuava a inspirare e espirare aria, Mitsuhiko si ripassava la parte a mente cercando di coprirsi il viso tutto rosso ma invano e Genta stava mangiando un pacchetto di patatine alleviando così l’ansia. L’unica che riusciva a restare calma era Ai che non era affatto preoccupata dello spettacolo ma per quello che sarebbe successo dopo lo spettacolo. Era seduta in un angolino con la testa china e le mani serrate sulle gambe decisa a non angosciarsi. Almeno durante lo spettacolo glielo avrebbe detto.
«Non fare quella faccia!», disse Conan ad Ai. «Pensa a me, piuttosto. Sono un asino!».
Forse l’intenzione di Conan era quella di rallegrare Ai, comunque ci riuscì perché sul suo volto si dipinse un dolce sorriso.
«Tra poco tocca te!», esclamò Conan porgendo la mano a Ai che l’afferrò e si alzò. Sussurrò un piccolo grazie e andò verso le quinte; Conan la vide finché non entrò sul palco. Si sedette nell’angolino dove prima si era seduta la sua amica, finché non venne il suo turno.
A metà della recita il cuore di Ai cominciò a battere all’impazzata: la scena che non aveva mai provato con Conan era arrivata.
Era sdraiata al centro del palco ed era cosparsa di petali. Cercava disperatamente di placare i battiti del suo cuore, ma invano. Temeva che gli spettatori potessero sentire il suo cuore martellare, ma nessuno fiatò.
Sentì poi Conan attaccare: « Il merlo, becco giallo e piuma nera, il tordo, la leggiadra capinera, il vispo cardellino, dal gaio pennacchino».
Ai si diede forza e aprì gli occhi. Si trovò davanti Conan con la testa d’asinello, ma non le venne per niente in mente di mettersi a ridere. No, Ai sorrise.
«Quale angelo mi sveglia dal mio letto fiorito?», domandò in un sussurrò etereo mettendosi a sedere.
Conan continuò a cantare: «Il fringuello, il passero, l’allodola, il semplice cuculo grigio la cui nota più di un uomo sente e non osa rispondere “no”. E difatti chi si metterebbe a discutere con un uccello così sciocco? Chi darebbe la smentita a un uccello che fa tutto il tempo “cucù”?».
Aveva finito di cantare e Ai lo stava per dire. Inspirò a fondo mentre si concentrava sull’intonazione della voce e nel tono più sincero e innamorato che trovò gli disse: «Ti prego, gentile mortale, canta ancora! Il mio orecchio s’è innamorato del tuo canto e il mio occhio è rapito dalla tua figura. La forza della tua bellezza mi costringe al primo sguardo a dirti, anzi a giurarti, che t’amo».
Gliel’ha detto. T’amo. E lei non recitava affatto. Aveva infatti gli occhi un po’ lucidi. Mentre diceva quelle parole aveva deciso.
«Mi sembra, signora, che ne abbiate scarsa ragione, ma tanto, a dire la verità, oggigiorno ragione e amore non vanno tanto d’accordo ed è un vero peccato che non ci sia un uomo onesto che li faccia tornare amici. All’occasione so anche fare lo spiritoso», rispose Bottom camminando intorno a Titania.
«Sei saggio quanto bello», affermò lei.
«Non direi, ma se avessi abbastanza spirito per uscire da questo bosco, ne avrei qual tanto che serve».
«Non desiderate di uscire da questo bosco!», lo implorò Ai.
Conan rimase sorpreso dalla sua interpretazione, sembrava che non recitasse. Sembrava realtà. O era realtà?
«Che tu lo voglia o no rimarrai qui», proseguì Ai. «Io sono uno spirito di rara qualità. L’estate è al mio servizio, e t’amo. Perciò vieni con me. Metterò fate al tuo servizio che ti porteranno gioielli presi in fondo al mare e canteranno per te che dormi su un giaciglio di fiori. Raffinerò la tua natura grossolana, ti muoverai come uno spirito nell’aria. Fiordipisello, Ragnatela, Bruscolo e Senape!».
 
 
Lo spettacolo era finito. E Ai gliel’ha detto. La forza della tua bellezza mi costringe al primo sguardo a dirti, anzi a giurarti, che t’amo. Che tu lo voglia o no rimarrai qui. Io sono uno spirito di rara qualità. L’estate è al mio servizio, e t’amo. Perciò vieni con me.
Ai sperava che avesse capito, che non stava recitando. In fondo era un detective e questo forse era il caso più palese che avesse mai affrontato.
Si tolse la corona d’alloro e l’appoggiò sulle gambe. Prese la spazzola dal ripiano e cominciò a pettinarsi i capelli. Sospirò e cercò di togliersi le ali senza romperle quando qualcuno aprì la porta del camerino: era Conan che si voltò all’istante.
«Scusami!», strillò il bambino mentre le sue orecchie diventarono scarlatte.
Ai sorrise. «Non mi stavo spogliando se è questo che stai pensando, detective».
«Oh! Be’…», Conan si girò. «Volevo chiederti… stavi recitando?».
Ai rimase un momento sorpresa. Poi rispose: «Sei un detective. Dovresti saperlo?».
«Non…L'amore è una questione emotiva… e che non è per nulla compatibile con la razionalità!», ribatté. «Comunque, ho un’altra domanda che tu sai».
«No», replicò secca.
«No… cosa?».
«No. Non ridiventerò Shiho Miyano. Vorrei scordare il mio passato e vivere la mia infanzia. La mia infanzia negata. Essere una bambina delle elementari nei panni di Ai Haibara è il mio più grande desiderio. Perciò non chiedermi di prendere l’antidoto», gli chiese sorridendo, anche se quello era un sorriso dall’aria mesta.
«Oh! Avrei dovuto prevederlo», sorpreso Conan pensava veramente che volesse diventare adulta. «Be’, perché non vieni? Ci sono tutti i genitori. Perfino i miei».
«Dimentichi che i miei sono morti. E in ogni caso vorrei restare qui», disse specchiandosi.
«Come vuoi», ribatté, chiudendo la porta dietro di sé.
Ai si guardava allo specchio assorta nei suoi pensieri. Lei non ce l’aveva una famiglia, tutta colpa dell’organizzazione degli uomini in nero. Prima i suoi genitori, Atsushi e Elena, poi sua sorella Akemi. Ben presto il suo volto fu rigato da lacrime. Cercò di trattenere i singhiozzi ma non ce la fece. Aveva soffocato per troppo tempo le ingiustizie che le erano capitate. Ora la sua famiglia era il dottor Agasa e sarebbe diventata una bambina qualsiasi. Avrebbe frequentato le elementari, le medie e infine il liceo insieme a Ayumi, Mitsuhiko e Genta. E poi avrebbe condotto la vita da sola senza dover essere una marionetta nelle mani di un’organizzazione di loschi criminali. No, sarebbe diventata libera.
Non sarebbe più legata a Conan: lui avrebbe preso l’antidoto, lei no. E così, come scrisse Conan Doyle, Irene Adler fuggì da Sherlock Holmes. Ma questa volta era il detective a scappare.
Si alzò asciugandosi le lacrime e si diresse verso la porta che aprì. Doveva andare verso il palco dalla sua famiglia. Dal dottor Agasa, da Ayumi, da Mitsuhiko, da Genta, da Ran e da Conan.
Conan
Se lo ritrovò davanti alla porta quando l’aprì e Ai rimase paralizzata.
«Sapevo che prima o poi saresti uscita», disse ammiccando.
«Conan…», non completò la frase che cominciò a singhiozzare silenziosamente.
Il bambino la circondò tra le sue braccia: si era aperta come con sua sorella Akemi; rimasero così per dei minuti in cui Conan cominciò ad accarezzare i capelli dorati di lei.
«Ah! Eravate qua!», gridò Ayumi con tono rimproverante.
Ai e Conan si staccarono. La bambina si girò per non farsi vedere da Ayumi e si asciugò le lacrime.
Quando si voltò venne investiva da una chioma castana: Ayumi la stava abbracciando ed ora era lei che stava piangendo.
«L-lo sai che C-conan vuole p-partire per gli S-stati uniti?», disse tra i singhiozzi.
Ai lanciò uno sguardo interrogativo a Conan, il quale cominciò a muovere la bocca: dopo.
 
 
Conan era partito per gli Stati Uniti insieme ai signori Kudo e l’aeroporto diventò un fiume di lacrime. Ran, Mitsuhiko, Genta, Ayumi piansero; perfino Goro versò una lacrima, dopotutto si era affezionato a un ficcanaso nelle sue indagini. Solo il professor Agasa e Ai non piansero. Il primo sapeva benissimo che poi sarebbe ritornato nei panni del detective liceale del est, Shinichi Kudo per non dare nell’occhio. Avrebbe preso l’antidoto una volta all’estero poi sarebbe ritornato.
E Ai sapeva che Conan Edogawa era sparito per sempre. E niente sarebbe riuscito a riportarlo indietro.
Sherlock Holmes era fuggito. Non Irene Adler, non Ai.
Salutarono Conan con la mano, gridando: «Ciao!», oppure, «Ci vediamo presto».
Ma Ai nella mente pensava solo addio. Quell’avventura era finita per sempre. E forse Ai un giorno rimpiangerà i giorni in cui l’organizzazione nera era a piede libero, o forse no.
Dopo un paio di giorni arrivò l’aereo dagli Stati Uniti in cui c’era Shinichi Kudo. Ed eccolo sbucare dalla scala mobile. Ran fu la più veloce e gli saltò al collo.
Il detective barcollò e cercò di allentare la presa dell’amica ma invano. «Ran mi soffochi!».
La ragazza sciolse l’abbraccio e le sue guance le si imporporarono, si fece da parte in modo che gli altri potessero salutarlo. Ma era visibilmente contenta.
Heiji abbracciò l’amico come se non l’avesse visto per mesi, anche se sapeva benissimo che era il piccolo mocciosetto con gli occhiali, quindi cercò di recitare la sua parte.
«Voi dovete invece essere gli amichetti di Conan? Mi ha parlato tanto di voi», disse Shinichi radioso ai bambini.
«Davvero Conan ti ha parlato di noi? E che ha detto?», domandò Ayumi curiosa.
«Be’… che siete dei bravi ragazzi e che non dovete mai smettere di fare i detective e di non preoccuparvi. Ah! Ha detto anche che se avete dei problemi nei vostri casi non esitate a chiedermi consiglio».
«Allora Conan sta bene!», commentò Ayumi. «Speriamo che i nuovi compagni non siano cattivi».
«Già», mormorarono Genta e Mitsuhiko mesti.
«Be’, se la caverà», cercò di rallegrarli Ai. «Comunque, bentornato. Sherlock Holmes!», disse Ai porgendo la mano a Shinichi.
«Grazie, Sherry!».
Nessuno capì quel gesto, solo il professor Agasa che sapeva il nome in codice di Ai.
Ma dopo, quando Shinichi raccontò tutto a Ran e a Kogoro, anche loro compresero perché Sherry.
E anche i bambini vennero a conoscenza del segreto tra Conan e Shinichi. Il liceale non voleva che sapessero la verità. Ma Ai disse una cosa che lasciò Shinichi a bocca aperta: «Non eri tu che dicevi che ciò di cui abbiamo davvero bisogno è la verità?».

   
 
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