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Autore: margheritanikolaevna    31/08/2012    6 recensioni
Ehilà, sono Adam Ross!Vi ricordate di me? No? Uff, dovevo immaginarlo: in fondo, mica sono Mac Taylor...
Comunque il capo è veramente tremendo con me in questo periodo e mi sa che se continua così finisce che mi licenzia per davvero, senza contare che Stella ieri mi ha dato il benservito: insomma, è un periodaccio!Così ho deciso di sfogarmi scrivendo un racconto su me e i miei colleghi, ma per non rischiare il posto ho chiesto alla mia amica Marg di pubblicarlo solo qui, rigorosamente in italiano e in terza persona, nella speranza che i miei colleghi non vengano mai a curiosare da queste parti. Mi raccomando: se mai doveste incontrare Mac, Stella, Don, Danny, Lindsay, Sid o Sheldon, vi prego - vi supplico - mantenete il segreto! Altrimenti mi crocifiggeranno in sala mensa e la colpa sarà vostra...
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Yo soy la reina de tus caprichos
 
 
Capitolo primo
 
Quando Flor Rodriguez andava da qualche parte, di solito la gente guardava le sue gambe lunghe, tornite e perennemente abbronzate; proprio come fece, con i suoi splendenti occhi celesti, il giovane poliziotto alto che Flor incrociò sulle scale d’ingresso dell’edificio della Polizia Scientifica di New York.
Poi le sbirciavano il seno, non grande ma prorompente; proprio come fece l’elegante uomo di colore (con tutta l’aria di un pezzo grosso, peraltro) che salì con lei in ascensore fino al trentaquattresimo piano e che, durante tutto il tragitto, non le staccò mai gli occhi di dosso, piegando le labbra in una smorfia che la fece rabbrividire.
Ancora, la gente ammirava i suoi capelli, che aveva lunghi, folti, naturalmente ondulati, di un nero così lucente da risplendere di sfumature bluastre: lo fecero anche le due donne che aspettavano l’ascensore e che, quando lei uscì, la squadrarono da capo a piedi con un’espressione - chissà perché - risentita.
Giunta a destinazione, Flor Rodriguez si guardò intorno piena di meraviglia.
Respirò a fondo, sgranando gli occhi scuri: il suo sogno finalmente si avverava! Più di ogni altra cosa aveva desiderato lavorare in quel posto: aveva studiato  e studiato, ma sapeva che per una come lei, di modesta famiglia portoricana del Bronx con sangue spagnolo nelle vene, quello stage nel più prestigioso laboratorio di polizia scientifica del paese era un desiderio quasi impossibile da realizzare. Perciò, quando l’avevano chiamata per comunicarle che, tra tutti gli studenti del suo corso, era stata scelta proprio lei, prima era rimasta muta per la sorpresa, poi aveva lanciato un urlo liberatorio e infine aveva trascinato sua nonna Sophia in un improvvisato giro di merengue nel bel mezzo del salotto di casa Rodriguez.
E ora, finalmente, il momento era arrivato.
Osservò il via vai dei tecnici di laboratorio che, nei loro camici bianchi, attraversavano l’ampio spazio luminoso e non fece caso ai tre detective  intenti a chiacchierare tra loro, dall’altra parte del corridoio.
Stella Bonasera stava raccontando, per l’ennesima volta, ai colleghi Danny Messer e Sheldon Hawkes - i quali l’ascoltavano ormai in stato pre-comatoso - di quanto fosse stata traumatica l’esperienza vissuta con il suo ex ragazzo Frankie e di come quell’evento l’avesse segnata nelle sue relazioni con gli altri.
 
***
 
Quando Flor Rodriguez andava da qualche parte, la gente le sbirciava sempre le gambe, poi il seno e, ancora, i capelli. Di regola, a questi sguardi seguiva sempre la stessa domanda: “E quella chi è?”.
 
***
“Sapete” proseguì Stella, con aria mesta “Cose del genere ti fanno sentire una nullità! Hai sempre l’impressione che la gente non ti consideri, che non ti ascolti …”.
“E quella chi è?” esclamò Danny all’improvviso, senza replicare alla collega ma anzi volgendo la faccia verso l’ascensore e dando, contemporaneamente, di gomito a Sheldon, il quale sollevò subito gli occhi sulla nuova arrivata.
Prima che Stella potesse aggiungere altro, i due si erano già lanciati incontro alla ragazza lasciandola lì impalata, tutta sola, in mezzo al corridoio.        
“Buongiorno, signorina! Possiamo aiutarla?” domandò Messer, con uno scintillio malandrino negli occhi blu.
“B-buongiorno” esordì timidamente Flor, stringendo al petto la borsa come se fosse una corazza “Sto cercando il detective Mac Taylor…”
“E ti pareva!” pensò Danny, lanciando al collega uno sguardo avvilito. Quello che il dottore gli rimandò, stringendosi nelle spalle, voleva dire: “Di che ti meravigli, amico mio? Sono i privilegi di chi comanda questa baracca!”.
 
***
Lindsay Monroe teneva tra la mani una katana giapponese con la lama lunga quasi un metro e affilata come un rasoio: era l’arma usata per un omicidio e lei e Danny stavano cercando di rilevare eventuali impronte digitali sull’elsa.
A un tratto, senza che nulla lasciasse presagire il suo gesto, la ragazza strinse più saldamente l’impugnatura e fece volteggiare la spada proprio sotto il naso del collega, che era accanto a lei e istintivamente sobbalzò, colto alla sprovvista.
“Allora, Danny” esclamò, socchiudendo gli occhi come un serpente a sonagli che sta per ingoiare un povero, innocente topolino “Com’è la nuova stagista? Carina, vero?”.
Danny Messer deglutì nervosamente e fissò la lama a pochi centimetri dalla sua faccia.
Poi tirò fuori dal suo vasto repertorio il più fantastico dei  sorrisi e, spostando alternativamente lo sguardo sul viso di Lindsay, sulla sua mano stretta intorno all’elsa e sulla spada, rispose: “Insomma, ehm… niente di che”.
 
***
“Sai Sheldon, mi dispiace per le tue scarpe nuove!” disse Stella Bonasera al collega, sollevando per un istante gli occhi dal microscopio col quale stava esaminando dei residui organici repertati su una scena del crimine poche ore prima.
L’uomo interruppe, a sua volta, il lavoro allo spettrometro di massa e le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Eh?” fece.
“No, sai, dovresti starci attento” proseguì lei, senza fare caso alla sua sorpresa “E poi avresti anche potuto scivolare”.
“Stella” disse Sheldon, sempre più sbalordito dall’atteggiamento della collega “Non capisco, ma che stai dicendo?”.
“Stamattina, quando avete visto quella ragazza” ribatté lei, con un sorriso tagliente “ho temuto che tu e Danny scivolaste sulla vostra bava…”.
 
***
Per tutta la giornata Adam Ross era rimasto chiuso nella sua stanza, inchiodato davanti al computer per cercare di eseguire alla perfezione l’ennesimo difficilissimo compito che quella mattina gli aveva assegnato - e per giunta col tono di chi non ammette esitazioni, fallimenti o dilazioni -  il suo capo, il tenente Mac Taylor.
Il ragazzo appoggiò la schiena alla poltroncina e allungò le braccia sopra la testa, stirando i muscoli indolenziti a causa della prolungata immobilità; sbuffò e sospirò.
Quell’uomo lo faceva impazzire: certo, era un eccellente investigatore, un uomo coraggioso e onesto fino al midollo, ma - rifletté Adam - dannazione, possedeva un peso specifico superiore a quello dell’uranio 238! Le rarissime volte in cui l’aveva visto sorridere era sicuro di aver udito un leggero rumorino metallico, come se gli ingranaggi arrugginiti posti agli angoli della sua bocca sottile si stessero rimettendo in moto a fatica dopo essere stati fermi troppo a lungo.   
Tra l’altro, con lui pareva avercela persino un po’: era sempre più duro che con tutti gli altri o, almeno, il giovane si era convinto che fosse così.
A lui mai un “grazie”, né una parola d’incoraggiamento.
Sapeva che aspirare a ricevere un complimento dall’ex maggiore dei marines era come chiedere la luna, ma almeno una pacca sulla spalla le volte - che c’erano state, bisognava riconoscerlo - in cui il suo apporto si era rivelato decisivo per risolvere un caso particolarmente complesso!
E invece, niente.
Il tecnico portò indietro la testa fin quasi a sdraiarsi sullo schienale della sua sedia.
Niente. Solo labbra serrate e severe, uno sguardo distaccato sovrastato dal temutissimo Sopracciglio Inquisitore (ormai divenuto tra i colleghi una sorta di creatura mitologica, quasi dotata di vita propria, il cui semplice inarcarsi bastava a far sì che Adam si sentisse come se nelle sue vene stesse soffiando un vento gelido e impetuoso) e un numero di parole appena sufficiente a comunicargli i suoi ordini; e questo quando gli andava bene.
Perché c’erano state anche occasioni in cui aveva avuto la disavventura di sperimentare su si sé la leggendaria collera di Mac Taylor: allora il detective aveva urlato così forte, sbattendo con violenza un incolpevole fascicolo sul piano di cristallo della sua scrivania, che Adam si era ritrovato a temere seriamente che gli occhi gli schizzassero fuori dalle orbite.
In quegli istanti, il ragazzo aveva tentato con tutte le sue forze di impedirsi di fissare la vena che gli si era gonfiata sulla tempia sinistra, ma non ci era riuscito. “Oddio!” ricordava di avere pensato, stringendosi nelle spalle nel vano tentativo di rimpicciolirsi fino a sparire “E se scoppia? Mi accuseranno pure di omicidio?”.
All’improvviso, un energico tamburellare alla porta fece sobbalzare il tecnico informatico e lo strappò bruscamente dai suoi pensieri; compì un movimento scomposto, lo schienale s’inclinò troppo e lui perse l’equilibrio finendo, senza nemmeno sapere bene come, a quattro zampe sul pavimento.
In quell’istante, la porta si aprì.
Adam sollevò gli occhi: vide sulla soglia un paio di eleganti scarpe nere col tacco a spillo, poi due squisite caviglie sottili seguite da altrettante ginocchia tornite, a loro volta sfiorate dall’orlo di un’aderente gonna nera. Ancora più su, una camicetta bianca (indumento che non gli parve mai meno innocente che in quel momento) e, proprio in cima,  un sorriso meraviglioso che illuminò a giorno l’ufficio in penombra e innalzò tutt’a un tratto la temperatura al livello “Sahara a mezzogiorno del 15 agosto”.
E due occhi scuri, dal taglio leggermente allungato, ombreggiati da folte ciglia ricurve. E seni all’insù, una vita che si assottigliava fino a un’estrema snellezza e poi si allargava di nuovo, mettendo in risalto la ricchezza dei fianchi. Non c’era nulla di flaccido, in lei, nulla di rilasciato; anzi, Adam sentì che c’era dentro quel corpo di marmo levigato una forza nascosta, trattenuta, come quella di un puma pronto a scattare.
Secondo un inspiegabile fenomeno fisico, all’istante il tecnico di laboratorio si coprì dalla testa ai piedi di sudore, mentre la gola gli si disseccò e si riempì di sabbia.
La ragazza sorrise interrogativa e Adam, per tutta risposta, se ne innamorò.
Lo seppe in un solo momento. In quel momento.
Se ne innamorò in una frazione di secondo.
Pazzamente.
Perdutamente.
Vanamente.
 

  
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