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Autore: DarkPenn    16/03/2007    5 recensioni
[Post Dirge of Cerberus] A volte la vita può cambiare in un attimo. Un breve momento di passione. Un pochino Angst. [Yuffentine]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cloud Strife, Tifa Lockheart, Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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QUANDO IL PASSATO FINISCE

QUANDO IL PASSATO FINISCE

 

 

 

Il tocco delle sue dita scioglie l’armatura di gelo che ha rivestito finora il mio corpo ed il mio cuore.

 

Vincent…” mormora lei, bramosa dei miei baci. Senza esitare rispondo al suo richiamo.

 

Sfioro le sue labbra con le mie, come ho fatto molte volte questa serata, da quando lei mi ha confessato i suoi sentimenti per me, lassù, all’osservatorio di Cosmo Canyon.

 

Non mi sembrava vero che i suoi sentimenti corrispondessero così bene ai miei.

 

Senza riuscire a trattenermi ulteriormente mi sono dichiarato a mia volta, ed il suo sorriso ha riscaldato per la prima volta da molti anni il mio animo.

 

Abbiamo cercato di far finta di niente davanti agli altri, ma ogni nostro sguardo, ogni nostro movimento tradiva la nostra bramosia reciproca: dopo aver affrontato Sephiroth, Kadaj ed i Deepground sapevamo molto bene che la nostra vita sarebbe sempre stata appesa ad un filo e che forse non avremmo avuto una seconda opportunità di stare insieme.

 

Restare chiusi in una bara per trent’anni insegna questo ed altro.

 

“Ti amo, Yuffie,” le dico ansimando, e lei sorride.

 

Ed allora, come un fulmine a ciel sereno, ho una visione di lei, l’altra.

 

Lucrecia Crescent.

 

L’unica donna che abbia mai amato.

 

Finora.

 

Stringo gli occhi per cacciare via quell’immagine, il suo sguardo che mi accusa silenziosamente di aver tradito la sua memoria.

 

Vorrei smettere di fare ciò che sto facendo, ma non riesco. Il mio corpo ormai funziona da solo.

 

Soffoco un gemito, che avrebbe potuto suonare di disperazione alle orecchie della mia amante, e rilasso i miei muscoli. Sotto di me, sento che Yuffie fa lo stesso.

 

“Oh, Vincent,” sospira baciandomi.

 

Trattengo le lacrime a stento.

 

Piango per Lucrecia, di cui ho tradito la memoria.

 

Piango per Yuffie, di cui ho tradito l’amore.

 

Sento la ragazza che amo stringersi a me ed accarezzarmi il capo, ed allora non riesco più a trattenermi.

 

Il sapore salato delle mie lacrime mi si confonde in bocca con quello fruttato della pelle e dei capelli di lei, mentre la abbraccio.

 

Yuffie crede che stia piangendo di gioia, così come sta facendo lei, ma invece piango di dolore.

 

 

“Cara Yuffie,

Quando leggerai queste poche righe io sarò già lontano da Cosmo Canyon. Mi dispiace lasciarti senza nemmeno darti un bacio d’addio, ma mi sono reso conto di non poter restare con te.

Non fraintendermi, io ti amo; ma ora ho bisogno di riflettere su me stesso, su di te, sul mio passato. Non cercarmi, so nascondermi molto bene. Sappi che un giorno tornerò da te, fosse anche solo per darti quel bacio che ti ho negato questa mattina.

Abbi cura di te.

Tuo

Vincent

 

Le mie lacrime cadono sulla carta della lettera e sulla vestaglia che indosso. Al mio risveglio ero convinta che avrei trovato il mio Vincent accanto a me, che ci saremmo scambiati un bacio del buongiorno, ma invece le mie dita hanno incontrato un singolo foglio, su cui erano vergate poche righe.

 

Come ha potuto…

 

Come ha potuto approfittare di me per poi andarsene così??

 

Grido con tutta la mia forza e faccio a pezzi la sua ultima lettera. Sfascio il comodino con un pugno, infischiandomene del dolore e del sangue che rimane sulle schegge di legno.

 

Vorrei solo che fosse ancora qui, quel bastardo, così potrei ucciderlo. Ora invece posso solo uccidere me stessa.

 

Quasi non mi accorgo neanche che Tifa è entrata correndo nella mia stanza, allarmata dalle mie grida.

 

Le sferro un pugno quando cerca di afferrarmi le braccia. Forse non ha ben capito che in questo momento non sono in vena di ragionare.

 

Il bruciore del suo schiaffo che mi raggiunge ad una guancia mi fa tornare in me. La guardo negli occhi, senza vederla attraverso il velo di lacrime che me li offusca.

 

“Yuffie,” mi dice. “Che diavolo è successo??”

 

Non mi importa se sulla soglia della camera si sono assiepati anche Cloud, Red e Barret. Le racconto tutto quello che io e Vincent abbiamo fatto questa notte, senza lesinare in particolari, e di come se n’è andato da quel bravo egoista qual è.

 

Quando finisco lei mi fissa come se avesse appena visto la nuova incarnazione di Jenova: non mi importa se ora mi considera una sgualdrina, voglio solo che se ne vada, che mi lasci sola per sempre. La mano destra comincia a farmi male, ma non mi importa nemmeno di questo.

 

 

Bravo, Vincent.

 

Mi hai usata e te ne sei andato quando ti ho dato tutto ciò che avevo di importante.

 

Sei contento, adesso?

 

Sei contento di avermi distrutta?

 

Ricomincio a piangere disperata raggomitolandomi su me stessa. Il sapore del mio sangue mi bagna le labbra mentre mordo con foga la mia stessa ferita.

 

Voglio dilaniare ogni parte di me che hai toccato, Vincent.

 

Ti odio per avermi fatto questo.

 

Mi odio per avertelo permesso.

 

Tifa mi ignora quando le chiedo di andarsene, prima minacciandola e poi implorandola, ma invece mi afferra per le spalle e mi costringe a smettere di lacerarmi la carne.

 

Cosa ne vuole sapere lei di come mi sento?

 

Lei non ha donato la propria verginità ad un bastardo che è scappato subito dopo come un ladro.

 

Affondo il volto tra i suoi voluminosi capelli, singhiozzando. Nonostante tutto mi stupisco di quanto la sua pelle sembri fresca e profumata anche se di primo mattino.

 

Ssh, Yuffie,” mi sussurra, dolcemente, mentre mi accarezza la testa. “Ora ci sono io, calmati.”

 

Forse è in risposta alle sue parole, o forse è semplicemente per la spossatezza, ma effettivamente sento l’ira che mi aveva avviluppato abbandonarmi e lasciare al suo posto una sensazione di vuoto privo di emozioni.

 

Mi sento morta. E’ come se, ora che mi sono finalmente calmata, io abbia realizzato che Vincent, andandosene, si sia portato via una parte del mio animo. Non mi sento nemmeno più triste o disperata. Solo desolatamente vuota.

 

Cloud, Barret e Red hanno il decoro di andarsene chiudendo la porta alle loro spalle.

 

Serro gli occhi e mi abbandono all’abbraccio di Tifa. Se fosse possibile, vorrei morire adesso, Leviathan. Ora che non sento nulla. Vorrei morire ora, prima che torni la disperazione.

 

Ma tu, Leviathan, non hai mai ascoltato le mie preghiere, e non lo fai nemmeno ora.

 

E lentamente sento la disperazione ritornare, sommergermi gli occhi con le sue lacrime e infrangermi il cuore in mille frammenti. La mia mano destra mi brucia tremendamente, dove le schegge di legno si sono infilate sotto la pelle e dove i miei denti hanno scavato dei solchi larghi e poco profondi.

 

Tifa mi fa scostare ed io ubbidisco come un burattino privo di fili. “Hai delle brutte ferite,” mi dice, dopo avermi esaminato la mano. “Aspettami, prendo del disinfettante ed una benda.

 

Resto immobile mentre lei va in bagno e torna con gli strumenti che cercava, e non dico una parola mentre mi toglie le schegge di legno con una forcina per capelli disinfettata con l’alcol.

 

“Ecco fatto,” conclude, stringendo bene la fasciatura. “Vedrai che in poco tempo non ti rimarranno nemmeno le cicatrici.

 

“L’unica ferita di cui mi importi non puoi curarla,” le dico, finalmente scuotendomi dal mio torpore. Tifa resta in silenzio e china il capo.

 

Tante belle parole e basta, eh, vecchia mia?

 

Pensi di potermi aiutare ma non puoi riuscirci, col tuo ragazzo meraviglioso che non è fuggito dopo la prima volta che siete stati a letto insieme.

 

Sono sola, Tifa. Sola e disperata. E non c’è nessuna fasciatura che potrà richiudere la ferita del mio cuore.

 

Mi accarezza la testa con un sorriso triste. “Lo so, Yuffie. Però so anche che non posso far finta di nulla, quando la mia migliore amica attraversa un momento come questo. Quindi, se non posso aiutarti a superare questa crisi, almeno permettimi di tenerti per mano.

 

Ricomincio a singhiozzare e le stringo una mano con la mia sinistra, quella sana. Nonostante tutto mi sento un po’ meglio, sapendo che avrò una donna come lei al mio fianco finché non avrò dimenticato Vincent.

 

La abbraccio di nuovo e lei mi stringe a sua volta, e restiamo così finché non sprofondo nuovamente nel sonno.

 

 

Seduto di fronte a Lucrecia ripercorro i ricordi della nostra vita insieme.

 

Il nostro primo incontro; il nostro primo bacio; tutte le volte che siamo stati felici insieme.

 

Poi apro gli occhi e vedo quel freddo cristallo di materia che ci separa inesorabilmente.

 

 

Cosa ti ho fatto, Lucrecia?

 

Vorrei stringere le mani a pugno e liberarti dalla tua prigione tanto simile al ghiaccio, ma so che sarebbe inutile. Ho già provato molte volte, ma non ho mai avuto successo.

 

 

Non puoi nemmeno sentire le mie parole ed i miei pensieri, Lucrecia. Perché resto qui allora?

 

Tu sei morta, come il Vincent Valentine che hai conosciuto. L’essere che sono adesso si vergogna ad avere i dolci ricordi dei momenti che hai passato con l’uomo che amavi.

 

Si vergogna di averti tradita di nuovo.

 

La luce che entra nella caverna si rifrange in mille rivoli sul cristallo che ti contiene e gioca sul tuo volto dando quasi l’impressione che tu sia viva.

 

Mi alzo in piedi, stancamente. So bene che quello che sto facendo è inutile, ma non posso fare a meno di comportarmi così, altrimenti…

 

Abbasso lo sguardo verso il pavimento della grotta, come se tu sapessi e mi odiassi per quello che ho fatto. Perché continuo a far soffrire le persone che amo, anche dopo la mia morte. Prima te, ed ora Yuffie…

 

Chissà come sta. Sono passati cinque mesi da quando me ne sono andato e non ho mai avuto notizie di lei. Ho pensato varie volte di tornare da lei, ma all’ultimo momento decidevo che era meglio non farmi più vedere. Non so se lo pensavo più per il suo bene o per il mio.

 

La vergogna che provo per aver ceduto a lei… Anzi, per la mia inesauribile indecisione che mi ha portato ad abbandonarla, è troppo forte. E poi dubito che sarei ben accetto, se ritornassi. Dopotutto trovo perfettamente logico che Yuffie non voglia più vedermi. Forse è quello che avresti fatto anche tu al suo posto, Lucrecia.

 

 

Però io fremo all’idea di tornare da lei.

 

Mi sento un po’ in imbarazzo a parlartene, Lucrecia, e se noi due fossimo qualsiasi altra persona probabilmente sorriderei. Però sento di potermi confidare solo con te. Forse dovrei pensare seriamente a voltare pagina, a mettere la parola fine alla nostra storia?

 

 

Sono veramente pronto a dirti addio, Lucrecia?

 

Ti guardo risplendere nella luce dell’alba. Per Leviathan, sei bellissima… Non c’è nessuna forza su questo pianeta o in questo universo che possa convincermi del contrario. Però… Non posso più dirtelo, ho sprecato la mia ultima occasione molto tempo fa.

 

Invece, a Yuffie posso ancora dirlo.

 

Mi asciugo il velo di lacrime dagli occhi. Il pensiero di lei ha avuto il potere di alleviare la mia pena. Avrei voluto che tu la conoscessi, sai, Lucrecia?

 

Sin da quando l’ho conosciuta non l’ho mai vista veramente abbattuta, tranne quando doveva salire sull’aeronave di Cid. Nemmeno quando abbiamo dovuto affrontare tuo figlio si è persa d’animo. Ho sempre pensato che la sua vivacità le derivasse dall’inesperienza, dall’ingenuità, che con il tempo avrebbe capito che la vita è solo un incubo doloroso che finisce troppo tardi. Eppure lentamente la sua allegria ha cominciato a contagiarmi. Non che mi abbia fatto diventare un animale da palcoscenico, ma da quando l’ho conosciuta ho cominciato a passare sempre meno tempo a rimuginare sul mio passato e sempre più tempo a vivere.

 

Non so dirti precisamente quando mi sono innamorato di lei, so solo che quando mi ha dichiarato il suo amore, io non ho potuto esimermi dall’ubbidire al mio cuore e confessarle ciò che provavo davvero.

 

Non ho nemmeno pensato a te, in quel momento. Mi sei venuta in mente solo più tardi, quando ormai il danno era compiuto, la tua memoria infangata. Ma non è stato per quello che me ne sono andato.

 

 

Torno a sedermi, pensieroso.

 

Forse solo tu puoi capirmi fino in fondo, Lucrecia, perché anche tu sei una peccatrice, come me.

 

Io non me ne sono andato perché ho tradito la tua memoria. Quello che non riuscivo a perdonarmi era che non ne ero affatto pentito.

 

Ti guardo di nuovo, come se potessi darmi una risposta. Dev’essere solo una mia impressione, oppure una variazione nell’inclinazione dei raggi del sole, ma mi sembra che tu ti sia mossa. Che la tua espressione ora sia più benevola.

 

Mi hai forse perdonato?

 

 

No, non sei tu che devi perdonarmi. Sono io che devo perdonare me stesso.

 

Per la prima volta da tanto tempo le mie labbra si incurvano in un sorriso. Sì, Lucrecia. Ora ho capito che non onorerò affatto la tua memoria consacrando a te la mia esistenza, come ho fatto finora, ma continuando a vivere. Altrimenti, sarebbe come se fossi davvero morto per mano tua.

 

Quando invece è per mano tua che sono rinato.

 

Ti guardo ancora una volta, scrutando ogni particolare di te come ho sempre fatto negli ultimi mesi, ma stavolta con una nuova luce nel mio sguardo.

 

“Grazie,” mormoro. “Grazie di tutto. Addio.”

 

Ti volto le spalle in un turbinio di stoffa rossa e lascio la caverna. La luce del sole mi riscalda la pelle ed è come se la vedessi per la prima volta.

 

Yuffie… sto tornando da te.

 

 

“Come sta?” mi chiede Cloud, appena sdraiatosi accanto a me. Ripongo il libro che sto leggendo e mi passo una mano sulla fronte, riordinando le idee. E’ stata una giornata pesante, con il locale e tutto il resto, ma dopotutto è giusto che anche lui sappia.

 

“L’ho trovata bene,” gli dico, tornando a guardarlo con un sorriso stanco. “E mi è sembrata anche più tranquilla del solito.

 

“Bene, sono contento che si sia ripresa,” risponde Cloud, annuendo, poi un silenzio pesante grava su di noi. So bene che dovremmo parlare di altro, che non sta bene discutere di una persona che non è presente, ma la portata di ciò che è successo alla mia amica è troppo grande per far finta di nulla.

 

“Sai, ha anche cominciato ad occuparsi degli orfani,” dico, cercando di rompere il ghiaccio. Cloud mostra di apprezzare il mio tentativo. “Scommetto che Denzel si è già preso una cotta per lei.

 

Rido di gusto. “Dai, Cloud! Lo sai che ormai fa coppia fissa con Marlene e lei non gli permetterebbe mai di guardare le altre ragazze!”

“Sì, ma so anche che ha undici anni, è praticamente impossibile che non si prenda una cotta per la sua responsabile.”

Annuisco. “Hai ragione… Credo proprio che tra poco dovrò consolare Marlene ed il suo cuore infranto.

 

Ridiamo insieme e ci calmiamo. Ora va meglio. Anche il pensiero che Yuffie ora sia in grado di badare ad altre persone mi rincuora. Solo Leviathan sa quanto le servirà questa dote, in futuro.

 

“Ancora non mi capacito di come una cosa del genere sia potuta accadere,” mi dice Cloud.

 

Bravo, elefante coi capelli da chocobo: siamo appena riusciti a pensare ad altro e tu riporti il discorso su quell’argomento.

 

“In fondo,” prosegue, “ci eravamo radunati a Cosmo Canyon solo per una rimpatriata tra amici, chi l’avrebbe mai detto che Vincent e Yuffie sarebbero diventati più che semplici amici…”

 

“Non so,” dico io frettolosamente. “Non siamo nella loro testa, quindi possiamo solo fare supposizioni inutili, che non servono a nessuno.

 

Il mio ragazzo capisce che forse ha esagerato, perché ammutolisce. Simulando un ampio sbadiglio mi dà un bacio e mi augura la buonanotte, prima di voltarmi le spalle e accoccolarsi nel letto. Io resto sveglia ancora un po’, cercando di riflettere, ma presto capisco che è inutile arrovellarsi tanto. Tutto ciò che posso fare è stare vicino a Yuffie, ed è quello che ho intenzione di fare.

 

Scivolo in un sonno pesante e senza sogni.

 

 

Mi siedo ansimante, le lenzuola, già stirate e piegate, appoggiate sulle ginocchia. “Ehi, Yuffie,” mi chiama una mia collega. “Sei sicura di stare bene?”

Nonostante l’affanno le sorrido e annuisco. Lei mi guarda come se vedesse una bestia rara, poi mi saluta e se ne va. Io finisco di riprendere fiato e mi alzo. La schiena mi fa un male d’inferno, ma non voglio far preoccupare nessuno, per cui continuo a lavorare.

 

D’un tratto un’ombra mi saetta accanto. “Non affaticarti!” mi esclama contro Denzel, strappandomi di mano le lenzuola. “Queste le posso portare io, signorina Yuffie.

Gli sorrido un po’ imbarazzata. “Ma no, Denzel, guarda che non ce n’è bisogno, sto bene!”

Il ragazzino però è risoluto. “No, no, signorina Yuffie. Devi stare a riposo, lo sai bene. E quindi io ti aiuterò.”

 

Alla fine mi arrendo. Gli cedo le lenzuola e lo conduco in lavanderia, dove Denzel mi aiuta, anche se forse dovrei dire che io aiuto lui, a riporle negli armadi. Quando abbiamo finito lui è più stanco di me, anche se cerca di non mostrarlo, da quel bravo ometto che è.

 

“Abbiamo fatto un ottimo lavoro,” gli dico, e lo vedo gonfiare il petto con soddisfazione. “Diventerai un ottimo responsabile dei tuoi compagni.

 

Lui ridacchia, ma ben presto mi accorgo che la sua attenzione è tutta concentrata su una certa parte di me. Sorrido comprensiva: in fondo, lo capisco bene. Anch’io ero così curiosa alla sua età.

 

“Signorina Yuffie,” mi dice titubante, ormai privo di tutta la baldanza che lo aveva contraddistinto poco fa, “ma… è vero che… insomma… che si muove?”

 

Io chiudo gli occhi, fingendo di essere pensierosa per un attimo, giusto il tempo di tenerlo un po’ sulle spine, poi torno a sorridergli e mi siedo su uno sgabello. “Vuoi sentire?” gli chiedo. Lui sembra non credere alle proprie orecchie. “D-davvero posso?”

 

Rido, facendogli cenno di avvicinarsi. “Certo che sì, basta che appoggi la mano. Non temere, non fai male a nessuno.”

 

Ancora indeciso, Denzel appoggia delicatamente la propria mano sul mio addome, poi si ritrae e comincia a saltellare sul posto urlando, pazzo di gioia. Anch’io accarezzo il mio ventre sorridendo, decisamente meno scalmanata di lui, quando sento il mio bambino muoversi.

 

Non dimenticherò mai quando l’ho scoperto. All’inizio non volevo crederci. Il fatto che avessi saltato il ciclo mi sembrava relativamente normale, dato che non ero mai stata molto regolare in queste cose, per cui ho avuto le prime avvisaglie con le nausee.

 

Non potevo accettare di essere incinta di un essere spregevole come Vincent Valentine, che mi aveva abbandonata per rincorrere le sue chimere. Per questo dovettero ricoverarmi all’ospedale.

 

Non potevano riempirmi di pillole per farmi stare calma perché così avrebbero nociuto al bambino, per cui ero sorvegliata giorno e notte. Eppure, anche in quei momenti… ho sempre continuato ad amarlo, nonostante lo odiassi.

 

Tifa è sempre stata accanto a me, durante questi lunghi mesi di gravidanza, tanto che più volte mi sono chiesta se con Cloud andasse tutto bene. Lei mi ha sempre detto di non preoccuparmi, che lui capiva, perciò dopo un po’ mi tranquillizzai ed accettai la presenza della mia amica accanto a me.

 

Dal canto suo, il biondino mi è venuto a trovare alcune volte e, soprattutto negli ultimi mesi in cui il mio pancione era ben visibile, spesso si chinava accanto a me e me lo accarezzava, emettendo strani versi che probabilmente dovevano servire a far divertire il bambino. In realtà ciò che hanno sempre solo ottenuto sono stati gli sguardi infuriati di Marlene che lo rimproverava e quelli imbarazzati di Tifa che faceva finta di non conoscerlo.

 

Sorrido mentre finalmente Denzel si calma. Sta parlando ad una velocità fuori dal comune, tanto che non riesco nemmeno a stargli dietro. Sotto le mie mani il bambino si ferma, come se si fosse calmato. Anche Denzel smette di parlare, ansimando per lo sforzo, e mi guarda come se si aspettasse una risposta.

 

Visto che forza?” gli chiedo, al che lui comincia di nuovo a gridare qualcosa sul fatto che anche lui vuole un figlio, che presto lo proporrà a Marlene e che non vede l’ora di accarezzare il suo pancione. Senza nemmeno attendere una mia reazione schizza fuori dalla stanza, sicuramente per comunicare la sua decisione alla fidanzata. Io rido di gusto: dovrei spiegargli che ad undici anni è meglio non avere un figlio, ma sono certa la stessa Marlene glielo farà sapere a dovere, a forza di urla e calci. Mi ricorda un po’ me alla sua età, quella ragazza…

 

Ora che siamo soli, il mio bambino ricomincia a muoversi, come se fosse contento di aver restaurato la sua intimità con la propria madre. I miei sorrisi sono tutti per lui.

 

Mio figlio… Se me lo avessero detto quattro anni fa non ci avrei creduto. Eppure ora mi sembra così normale sentirlo muoversi dentro di me, dormire di schiena per non fargli male, alzarmi da sdraiata con la schiena a pezzi, che non riuscirei nemmeno ad immaginare una vita senza di lui.

 

Dopo che fui ritornata in me, tanti mesi fa, quando ho scoperto di essere incinta, ho saputo che Tifa era molto preoccupata per una mia eventuale decisione di abortire. In fondo, ero la principessa di un regno, incinta e non sposata, ed il padre di mio figlio era diventato uccel di bosco subito dopo la nostra unica notte insieme.

 

Devo confessare a me stessa che ci ho veramente pensato, all’inizio; però ho subito scartato quell’opzione. Da quando avevo saputo di essere incinta, non ho mai smesso di amare quella piccola vita che cresceva dentro di me, e non era giusto che me ne liberassi soltanto perché odiavo suo padre con tutta me stessa.

 

Anche perché, ma questo l’ho capito solo dopo, non avevo mai smesso davvero di amare Vincent Valentine.

 

Da quando ho accettato questa semplice verità la mia salute ha ricominciato a migliorare: mi hanno dimesso dall’ospedale e ho potuto addirittura trovare lavoro come responsabile dell’orfanotrofio di Edge.

 

Vincent Valentine mi ha abbandonata: tutto l’odio del mondo non poteva cambiare questa verità, perciò tanto valeva prenderne atto e andare avanti.

 

E poi, avevo sempre saputo di non poter smettere di amarlo, nonostante tutto quello che mi aveva fatto.

 

Per mio padre, invece, è stata tutta un’altra storia.

 

Non appena è venuto a conoscenza di mio figlio ha richiesto imperiosamente che tornassi a Wutai, sebbene sapesse perfettamente che all’epoca non potevo lasciare l’ospedale. D’altronde lo capisco: l’erede del fulgido impero di Wutai era incinta senza che si fosse celebrato alcun matrimonio, ed il suo uomo, di cui non si conosceva pubblicamente l’identità, era sparito. Queste sono cose che turbano i padri, specialmente se quei padri si chiamano Godo Kisaragi.

 

Non appena fui in grado di sostenere il viaggio mi recai nella mia patria, accompagnata da Tifa e Cloud. Mio padre fu estremamente freddo con loro, ma quando fummo soli diede sfogo a tutta la sua ira, ricoprendomi di insulti; io non fiatavo, conscia che aveva ragione lui quando diceva che ero una poco di buono, che ero un’irresponsabile e che non avrei mai potuto governare un paese se mi fossi comportata così. Ma ero anche conscia che tutto quello che avesse detto non avrebbe cambiato il fatto che io amavo mio figlio e che sarei riuscita, con il suo consenso o meno, a vivere una vita soddisfacente mantenendo fede a tutti i miei impegni, a partire da quello di madre per finire con quello di Imperatrice.

 

Nemmeno quando mi chiese chi fosse il bastardo che mi aveva messa incinta persi la calma: risposi che per nessuna ragione glielo avrei detto, poiché non avrei messo in pericolo l’uomo che amo in nome della tradizione di Wutai, che prevedeva la messa a morte in contumacia di colui che avesse disonorato la famiglia imperiale.

 

Non si scompose più quando completai la ribellione a lui, sostenendo che avrei preferito vivere da stracciona con mio figlio piuttosto che a corte senza di lui, indipendentemente dalle misure che mio padre avesse messo in atto per convincermi del contrario. Alla fine, lui si limitò a congedarmi freddamente, dicendo che avrebbe dovuto pensare molto seriamente all’idea di disconoscermi. Io accettai la sua decisione con apparente stoicismo, anche se dentro di me ardevo di dolore all’idea che mio padre, l’uomo che per tanto tempo avevo osannato, mi stesse voltando definitivamente le spalle, e me ne andai dal suo palazzo. Solo sulla nave che ci riportò indietro raccontai tra le lacrime ai miei amici tutto ciò che era successo. Però ero ferma nella mia decisione, come lo sarei stata anche in futuro, finora: se mio padre avesse voluto disconoscermi, avrei accettato la cosa, proprio come ho fatto con l’abbandono di Vincent.

 

Vengo riscossa dai miei pensieri da un urlo di furore cieco. Nel corridoio Denzel sta correndo disperato, mentre Marlene, rossa in volto, lo insegue armata di una scopa brandita come oggetto continente.

 

Sospirando e gemendo, mi alzo dallo sgabello dove mi ero seduta e rispondo alle invocazioni di aiuto da parte di Denzel.

 

E’ un lavoro duro. Ma mentirei spudoratamente se dicessi di non adorarlo.

 

 

Edge… Sarà quasi un anno che non visito questo posto. Eppure non sembra cambiato. Sempre la solita città in costruzione.

 

Cammino tra la folla ma nessuno sembra accorgersi di me. D’altronde, è solo una persona specifica che sto cercando…

 

Che mi venga un dannatissimo accidente se quello non è Vincent Valentine!” esclama una voce rude alle mie spalle. Prima ancora di girarmi so già chi possa essere. Una mano mi si posa violentemente sulla spalla.

 

“Ciao Cid, ne è passato di tempo,” commento monotono, omettendo di fargli sapere che lui è l’ultima persona che vorrei incontrare ora.

 

Stranamente il rude e biondo pilota non ha la sigaretta in bocca.

 

“Brutto schifoso vampiro depresso che non sei altro!” mi apostrofa, abbracciandomi con trasporto. Io rimango immobile come una statua, aspettando che si calmi. Non appena allenta la presa mi ritraggo. “Anch’io sono felice di vederti,” rispondo, non tanto convinto. “Ora scusami, ma vado di fretta.”

 

“Ehi, ma, aspetta! Devo ancora raccontarti le ultime novità…!”

 

Mi dileguo tra la folla come ho imparato a fare durante il mio addestramento Turk ed in pochi secondi Cid è seminato. Sospiro di sollievo: ci sarà tempo per raccontare a lui e agli altri dove sono stato e cosa ho fatto. Ora devo assolutamente trovare Yuffie e chiederle di perdonarmi per ciò che è successo… E per trovarla, non posso fare altro che chiedere alla sua migliore amica, di sicuro più facilmente rintracciabile di lei.

 

Mi fermo stupito di fronte all’entrata del bar di Tifa, chiuso. Guardo l’etichetta riportante gli orari e faccio mente locale.

 

Eppure oggi non è il suo giorno di riposo, né questo è l’orario di chiusura. E’ forse possibile che Tifa non si senta bene…?

 

“Spiace anche a me che il locale sia chiuso,” mi dice un tizio sulla sessantina, uscendo da un negozio vicino. Lo squadro da capo a piedi e infine lo riconosco. E’ il vecchio Jimmy, il ferramenta del quartiere. Dubito che possa riconoscermi, mi avrà visto si è no due volte. Io invece sono stato addestrato a ricordare sempre molto bene i volti che vedo. “Ogni tanto esco a prendere una boccata d’aria ed entro lì per farmi un caffè,” continua il negoziante, gioviale. “Oltre che naturalmente per dare un’occhiata a Tifa. Quella donna è splendida, vero? Mi ricorda i bei vecchi tempi, quando ero giovane…”

 

“Sa cos’è successo?” lo interrompo, poco interessato all’esposizione delle sue memorie. Lui annuisce vigorosamente. “Certo che sì, non più tardi di due ore fa è arrivata un’ambulanza e hanno caricato una ragazzina di Wutai, che ogni tanto faceva dei lavoretti qui al locale. Non so cosa le sia preso, probabilmente… ehi, ma dove sta andando?? Che modi!”

 

Mi dimentico completamente di Jimmy, mentre corro alla massima velocità che mi è possibile verso l’ospedale, col cuore in gola.

 

Yuffie!

 

 

Arrivo trafelato nella hall dell’ospedale e ansimo all’incaricata del banco informazioni il nome della donna che amo.

 

“E’… nel reparto maternità,” dice lei, visibilmente stizzita a causa della mia fretta. Senza badare allo stordimento che traspare dal mio volto continua a parlare. “Lei è il padre del bambino?”

 

Padre…?

 

Allontanandomi lentamente biascico qualcosa del tipo “No, sono solo un amico,” e mi lascio alle spalle le sue proteste, dirigendomi meccanicamente verso il reparto maternità.

 

E così… Yuffie si è rifatta una vita, durante la mia assenza…

 

Dopotutto dovevo aspettarmelo: lei non è come me, non lo è mai stata. Una ragazza così piena di vita non avrà fatto fatica a dimenticarmi e a trovare un uomo che le stesse accanto, come non ho saputo fare io.

 

E così, dopo Lucrecia, sono riuscito a perdere anche Yuffie, a causa del mio stupido egocentrismo e della mia indecisione.

 

Sulle scale mi fermo, titubante. Forse sarebbe meglio se me ne andassi e non mi facessi nemmeno vedere. Forse la mia presenza non farebbe altro che irritare lei ed il suo compagno. Il futuro Imperatore Reggente di Wutai

 

Non mi rendo nemmeno conto di aver continuato a salire le scale e di essere finalmente arrivato nella corsia del reparto di maternità che mi era stata indicata. In fondo al corridoio vedo un uomo in camice bianco sorridente che accompagna un’altrettanto sorridente donna in stato interessante verso una stanza. Quello dovrebbe essere un luogo di gioia, ed invece il mio cuore è ricolmo di dolore. A parte quei due vedo solo un’altra persona ed il sangue mi si ghiaccia nelle vene.

 

Cloud è seduto, le braccia incrociate ed una gamba che vibra nervosamente sul pavimento. I suoi occhi azzurri sono concentrati e non mi ha ancora visto.

 

Resto immobile. E così si tratta di Cloud… Ed io che pensavo che lui e Tifa stessero bene insieme… Evidentemente sono molte le cose che mi sono perso, in questi mesi.

 

Finalmente mi nota e smette di tambureggiare con la gamba sul pavimento. “Ah, Vincent,” dice, gelido. “Sei tornato.”

 

Vorrei dirgli tante cose, nessuna delle quali amichevole, ma mi rendo conto che non avrei nessuna ragione per infuriarmi con lui e con Yuffie: sono io quello che se n’è andato, io quello che l’ha abbandonata, io che non c’ero quando lei doveva essere consolata. No. Non posso permettermi di essere infuriato con loro.

 

“Ciao, Cloud, ti trovo bene.” Il biondino resta un po’ spiazzato da una frase tanto banale detta da me, ma non sarei comunque riuscito a fare di meglio. Vedendo la freddezza lasciare spazio all’ira nei suoi occhi, decido di anticiparlo e di cambiare argomento. “Sono venuto qui appena ho saputo. Yuffie come sta?”

 

Cloud distoglie lo sguardo. “Non lo so, è ancora in sala parto. Tifa è con lei.”

 

Il silenzio che segue è pregno di significato per me. Mi sembra che Cloud mi stia dicendo “Tu invece non c’eri quando c’era bisogno di te. Spero ti sia divertito nel frattempo.”

 

“Beh, congratulazioni,” dico, infine, senza riuscire a nascondere l’amarezza nelle mie parole. L’altro mi guarda sorpreso, come se non si aspettasse che potessi dire qualcosa di così gentile. Il suo volto si tinge di rosso per la rabbia quando fa per parlare, ma all’improvviso una porta si spalanca e ne esce Tifa, avvolta in un camice verde chiaro, con una mascherina pure verde sulla bocca e le lacrime agli occhi.

 

Cloud, amore, è un maschietto!” esclama, senza nemmeno essersi accorta di me.

 

Io non mi ci raccapezzo più…Cloud, amore’…? Tifa sa di Cloud e Yuffie eppure… Ma che diavolo sta succedendo??

 

“Ha già un po’ di capelli in testa,” continua imperterrita la ragazza, entusiasta. “Proprio corvini! Tra poco potrà già farsi l’acconciatura del padre. Dovrebbe proprio vederlo VinVincent??”

 

Finalmente si è accorta di me. Io, dal canto mio, sono sempre più disorientato. L’acconciatura del padre? Perché Tifa non ha detto ‘la tua acconciatura, Cloud’ o qualcosa del genere?

 

Che ci fai qui??” sbraita lei, indicandomi, come se avesse appena visto un fantasma. Io cerco di non lasciar trasparire il mio smarrimento. “Sono venuto a trovare Yuffie…”

 

I due si guardano muti, come se stessero parlando telepaticamente per tagliarmi fuori dalla conversazione. In effetti, se Cloud non è il padre, Tifa avrebbe potuto continuare a chiamare il biondino ‘amore’ senza che la cosa suonasse assurda. Ma se non era lui il padre, allora chi…?

 

“Insomma,” sbotto, infischiandomene delle occhiatacce che ci vengono rivolte dagli altri ricoverati in maternità, a causa del nostro alto tono di voce. “Si può sapere chi è il padre??”

 

Vedo una furia cieca montare negli occhi dei miei due amici, che ora mi fissano attoniti. All’improvviso Tifa muove alcuni passi verso di me e mi assesta un violento schiaffo. Ora le lacrime nei suoi occhi non sono più di gioia, ma di rabbia.

 

“Brutto idiota, sei tu il padre!!”

 

Quella notizia mi colpisce con una forza molto maggiore degli schiaffi e degli insulti che la donna mi rivolge subito dopo, vanamente trattenuta da Cloud. Dal canto mio, io mi limito ad incassare, troppo stordito per reagire.

 

Io… padre…?

 

In effetti dovrebbero essere passati circa nove mesi da quella notte, quell’unica notte in cui io e Yuffie siamo stati insieme… E’ bastata solo quella a sconvolgere le nostre vite?

 

Ed io me ne sono andato subito dopo, a cercare me stesso lontano dall’unico posto in cui l’avrei potuto trovare. Ora capisco tutta l’ira che Tifa e Cloud mi hanno rivolto contro: ho ferito Yuffie in modo tanto grave che ai loro occhi non dovrei essere migliore di Sephiroth.

 

Solo ora calde lacrime cominciano a scendermi dagli occhi, mentre Cloud riesce finalmente a staccarmi Tifa di dosso.

 

Leviathan… quanto tempo ho perso! Quante occasioni di dirle che l’amavo! Quante carezze, quanti baci, quante dolci parole d’amore!

 

Non sono stato con lei quando il suo bambino… il nostro bambino si è mosso per la prima volta, quando soffriva per le nausee della gravidanza, ed infine quando ha dovuto essere trasportata in ospedale d’urgenza…

 

Mi siedo su una sedia, incapace di dire alcunché. Non mi stupirei se veramente Yuffie volesse vedermi morto, ora. O non volesse vedermi affatto. Forse è davvero il caso che me ne vada e non torni mai più, sperando che Tifa e Cloud mantengano il segreto sulla mia visita infausta.

 

Ma non appena mi alzo, la porta della sala parto si apre nuovamente ed esce Yuffie, in sedia a rotelle, con nostro figlio in braccio.

 

Ha l’aria molto stanca ed i suoi capelli sono appiccicati alla fronte a causa del sudore, ma il suo sguardo, rivolto al tenero fagottino tra le sue braccia, è sereno. Dalle coperte con cui nostro figlio è avvolto spunta un ciuffo di radi capelli neri.

 

Quando mi vede nei suoi occhi passano rapidamente lo stupore, l’incredulità, l’ira e infine una sorta di freddo odio. L’infermiera che spinge la sedia a rotelle non si è accorta di nulla e continua a sorridere a noi tre, pensando forse che io sia un parente giunto in visita. Forse proprio il padre. Ma non immagina di certo quale sia la verità.

 

“Si fermi,” dice Yuffie e l’infermiera obbedisce, senza smettere di sorridere. “Congratulazioni, è stata bravissima,” commenta, ancora inconsapevole del cataclisma che potrebbe avere luogo fra poco, “la lascio con i suoi amici.”

 

Dopo che la donna ha chiuso la porta della sala parto alle proprie spalle, restiamo soli. Yuffie mi fissa ora con un’espressione indecifrabile, ma sicuramente ostile. Cloud e Tifa si guardano, indecisi sul da farsi. Io invece non riesco a distogliere lo sguardo da quel ciuffo di capelli neri. Mio figlio emette un vagito.

 

“Tifa,” chiama Yuffie, al che la sua amica risponde prontamente. “Prendi il bambino, per favore.”

 

Con delicatezza le due donne si scambiano l’infante, e subito dopo la ragazza che amo si alza dalla sedia a rotelle, muovendo qualche passo malfermo verso di me.

 

“Yuffie…” abbozzo, ma le mie parole vengono troncate da un poderoso schiaffo. Vedere le lacrime che le rigano le guance mi trafigge il cuore con mille staffili di dolore. Tifa stringe mio figlio al seno e si allontana, come a volerlo proteggere. Cloud invece rimane immobile, pronto ad intervenire. Anche se dubito che ci dividerà tanto presto come quando è stata la sua ragazza a picchiarmi.

 

“Con che coraggio ti presenti qui ora, brutto bastardo?” mi sibila contro Yuffie. Non riesco a rispondere. Non c’è nessuna risposta, in effetti, che possa dare un senso a quello che ho fatto. “Ora che ho partorito sei tornato per scoparmi di nuovo?”

 

“Non è come pensi…” riesco a rispondere, anche se nemmeno io so da dove ne prendo la forza. “Io sono tornato perché…” Non riesco a terminare la frase.

 

Perché ti amo, vorrei dirti. Perché ho capito che per tutto questo tempo stavo correndo dietro ai fantasmi del mio passato, invece di concentrarmi sul mio presente e sul nostro futuro. Perché voglio chiederti di perdonarmi.

 

Ma non riesco a dire nulla di tutto ciò perché lei mi si getta contro, incurante della fatica del parto appena sostenuto, e comincia a tempestarmi il volto di violenti pugni. “Schifoso bastardo!” inveisce, mentre io non reagisco ai suoi colpi. “Dannato infame stronzo!”

 

Le gambe cedono sotto lo sforzo e si lascia cadere. Prontamente, nonostante tutto, la abbraccio chinandomi, in modo che non finisca per terra. Cloud fa un passo in avanti, pronto a separarci, ma esita.

 

“Yuffie, calmati,” le dico, mentre la mia amata si lascia andare ad un pianto disperato. “E perdonami, se davvero puoi. Ti amo.”

 

Lei mi stringe il mantello fra le mani, tremando e singhiozzando. Anch’io piango e non riesco più a parlare. Riesco solo a tenerla stretta, inginocchiato sul freddo pavimento dell’ospedale, cercando di confortarla come posso. Il lupo che conforta Cappuccetto Rosso.

 

Ho preso la mia decisione. Non appena Yuffie si sarà ripresa un minimo, lascerò la città e non mi farò più vedere. Lei non merita tutta la sofferenza che potrà causarle in futuro la mia presenza.

 

“Maledizione…” riesce a malapena a dire tra un singulto e l’altro. “Accidenti a me… anch’io… ti amo…”

 

Di colpo tutta la fermezza che mi avrebbe permesso di andarmene, nonostante fosse la cosa più dolorosa che potessi immaginare, evapora. La stringo tra le mie braccia, senza più trattenere le mie emozioni. Sorprendentemente Yuffie risponde al mio abbraccio con forza, come se fossi l’ultimo appiglio di fronte all’immane gorgo della disperazione.

 

“Ti prego, perdonami,” mormoro fra le lacrime. “Non ti lascerò mai più, mai più, lo giuro!”

 

“Sì,” riesce a malapena a rispondere lei. “Sì, ti perdono, Vincent, amore mio…”

 

Finalmente Tifa torna ad avvicinarsi, ancora titubante. Fra le sue braccia, mio figlio comincia a piangere. Deve aver fame.

 

A fatica io e Yuffie riusciamo ad alzarci sostenendoci l’un l’altra. Lei si asciuga le lacrime e le torna il sorriso sulle labbra; il sorriso con cui l’ho rivista per la prima volta dopo tanto tempo, così diverso da quello scanzonato e sbarazzino con cui la ricordavo, più maturo e sereno. La sorreggo mentre torna a sedersi sulla sedia a rotelle. Tende le braccia verso Tifa e subito questa le riconsegna il bambino. Per la prima volta riesco a vederlo in volto.

 

Capelli neri attorno al viso paffuto, e grandi occhi rossi. Ricomincio a piangere, ma stavolta di commozione.

 

Con un gesto delicato Yuffie si scopre un seno, non appena Cloud si è voltato con fare indifferente, e comincia ad allattare il bambino. I suoi occhi cremisi si chiudono in un’espressione estatica mentre comincia a succhiare il latte. Mi accorgo di stare sorridendo. Non sorridevo da mesi, se non da anni…

 

“Beh, allora deduco che voi due abbiate fatto pace,” esordisce Tifa con tono leggero, forse per scacciare tutta la tensione che si era accumulata nei pochi minuti passati dal mio arrivo.

 

Io e Yuffie ci scambiamo uno sguardo e riusciamo contemporaneamente ad emettere una stanca risata. “Sì,” risponde la madre di mio figlio, “ora è tutto a posto.”

 

All’improvviso vengo colto da un’ispirazione. So che devo sbrigarmi, altrimenti potrei perdere l’occasione adatta. “Non proprio,” interloquisco io. Sotto lo sguardo attonito di tutti i presenti, sorrido a Yuffie. “Vuoi sposarmi?”

 

Rimangono tutti a bocca aperta, poi la mia amata si lascia andare ad un ampio sorriso disteso, come se finalmente le avessi tolto un grave peso dall’anima. Annuisce. “Certo che lo voglio, signor Valentine.”

 

Sento come se il peso di tutti i miei anni di sofferenza fosse sparito all’improvviso. Accanto a me Tifa strilla di gioia e getta le braccia al collo di Cloud, mentre tutto attorno a noi la piccola folla di infermieri e ricoverati che si era radunata per curiosare applaude, infischiandosene del divieto di fare rumore.

 

Sì, mi dico, mentre osservo Yuffie accarezzare con un sorriso il volto di nostro figlio. Infine anche noi potremo avere un futuro, amore mio.

  
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