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Autore: Ginny_theQueen    02/09/2012    8 recensioni
Non ha per niente senso, è prettamente frutto di una notte insonne, ma spero che vi piaccia.
Il professor Chase lo ringraziò calorosamente e, molto educatamente, lo invitò dentro. Alla risposta affermativa del ragazzo, Annabeth lo trascinò di peso in camera sua, seguita dallo sguardo ammonitore del padre che voleva dire, siamo nella stanza affianco, andateci piano.
Percabeth ♥
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'OTP: seaweed brain'
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Annabeth odiava volare in aereo.
Questo suo disprezzo non era causato tanto dal viaggio in sè -non che soffrisse di vertigini o avesse paura di volare, per quello bastava Thalia- ma dal fatto di sentirsi particolarmente disarmata.
Lo era, pensó Annabeth, in quel momento. Completamente disarmata, alla mercè del mostro più insignificante. Priva del suo adorato pugnale, fedele compagno di avventure -nonché unico ricordo che possedesse della persona importante che glielo aveva donato anni fa-, Annabeth si sentiva disarmata.
Stupidi check in, si lamentó mentalmente.
Ma facciamo un passo indietro.
La scuola quest'anno era terminata due settimane prima del solito. Visto
che Annabeth si era trasferita a tempo indeterminato a New York per monitorare i procedimenti della ricostruzione dell'Olimpo (e anche se non l'avrebbe mai ammesso, per stare vicino ad un certo figlio di Poseidone che viveva nei paraggi), la sua famiglia aveva deciso di passare insieme a lei quelle due settimane, prima che la ragazza andasse al Campo Mezzosangue.
Cosí  il giorno dopo la fine della scuola, Annabeth si era vista piombare nel suo appartamento a NYC il padre, la matrigna e i due fratellini, pronti per una fantastica settimana in Florida.
E quindi ecco Annabeth, al termine di quella settimana, su un aereo in procinto di atterrare all'aeroporto John F. Kennedy, che si lamentava degli stupidi sistemi di sicurezza degli aeroporti americani -e del resto del mondo- che non le permettevano di portare con sè un semplice pugnale.
Potreste chiamarla paranoica, ma quando sei una mezzosangue, non sai mai quando possa spuntare un mostro. E Annabeth odiava essere colta di sorpresa.
Fortunatamente era andato tutto liscio, nessun attacco e nessun avvenimento di particolare stranezza, per la gioia della sua matrigna che poco sopportava l'anormalità della figlia acquisita.
Dopo aver recuperato i bagagli, i Chase uscirono dall'aeroporto con l'intenzione di salire su un taxi che li avrebbe portati all'appartamento di Annabeth, ma il JFKennedy è uno degli aeroporti più trafficati del mondo, e c'era ben poca speranza di trovare un taxi libero. Rassegnata, l'allegra famiglia si fermó all'ombra appena fuori l'uscita degli arrivi, sperando nella venuta di una macchina gialla, i famosi taxi newyorkesi.
Sbuffando, Annabeth prese a guardarsi intorno e fece vagare lo sguardo tra la folla, finchè i suoi occhi non si focalizzarono su una testa spettinata di capelli neri appartenente ad un ragazzo che le sorrideva a trentadue denti.
"Percy!" si ritrovó ad urlare Annabeth correndogli incontro.
Quando fu tra le braccia del suo ragazzo, rispose al suo sorriso e gli diede un veloce bacio sulle labbra (avrebbe preferito anche qualcosa di più, ma sapeva che la sua famiglia la stava guardando).
"Hey."
"Ciao amore," ripose lui.
"Che ci fai qui?"
"Ti salvo. O meglio, vi salvo dall'incubo di aspettare un taxi per ore sotto il sole caldo di giugno, Sapientona."
"Apprezzo il gesto, Testa d'alghe."
Si concesse un attimo di guardarlo negli occhi, quegli occhi verdi che vedeva tutte le notti nei suoi sogni. Dei, stavano insieme da nove mesi ormai, ma Annabeth si perdeva ancora nell'abisso profondo che erano i suoi occhi.
Si strinse di più a lui e poggiò la testa nell'incavo del suo collo, per respirare un po' del suo profumo.
"Mi sei mancato," sussurró.
"Anche tu. Dai, fammi salutare la tua famiglia. Tua madre mi odia già, preferirei che almeno tuo padre non sviluppi sentimenti ostili nei miei confronti."
Il loro scambio di battute era durato circa un minuto. Percy la riaccompagnó dove la sua famiglia la stava aspettando, e dopo i primi convenevoli, il semidio afferró due valigie e le caricó nel cofano della sua Prius. Salirono tutti in macchina -Percy al volante, il signor Chase sul sedile anteriore, con dietro la signora Chase, Matthew e Annabeth con in braccio Bobby- e anche se stavano un po' stretti, partirono.
I bambini presero a raccontare del bellissimo viaggio in Florida e Percy si mostró fintamente interessato, scambiandosi sorrisetti ed occhiate consapevoli con Annabeth mediante lo specchietto retrovisore.
Una volta entrati nel traffico della città, la ragazza domandó a Percy se avesse ricevuto novità dal Campo.
"No," rispose lui "Comunque, tu hai notato qualcosa di sospetto? Incontrato mostri?"
Avevano sconfitto Crono ad agosto, ma parti del suo esercito vagavano ancora per gli Stati Uniti.
"Fortunatamente no."
"Sogni particolari?"
Beccandosi un'occhiata particolare da parte del signor Chase si corresse, "Intendo, parti di profezie, incontri qualche dio, eventi che devono ancora accadere, sogni particolari da semidei?" enfatizzó l'ultima parte guardando Frederick Chase.
Annabeth esitó.
Percy cercó il suo sguardo nello specchietto, ma lei lo evitó.
"Che è successo?"
La ragazza abbassó gli occhi.
"Mi devo preoccupare?"
Niente.
Ci furono circa cinque minuti di silenzio, in cui Percy tenne gli occhi fissi sulla strada e perfino i bambini non fecero baccano, avendo captato il cambiamento di umore della sorella.
Annabeth voleva sprofondare. Non era capace di mentire a Percy. Doveva farle proprio quella domanda? Non voleva parlargliene.
E non per la presenza della sua famiglia mortale, ma perchè non aveva intenzione di raccontargli cosa aveva sognato due notti prima.
Era stato tante volte argomento di litigio, ma dopo la battaglia finale com Crono era diventato come un tabù per loro.
"Annabeth."
La voce di Percy si era fatta più seria ed insistente.
"Lo sai che dobbiamo raccontarci queste cose. Se le ignoriamo per la paura di affrontarle finiamo nei guai più del solito, il che è già un record."
All'ennesimo silenzio della ragazza, Percy spense il motore -avendo provvisoriamente parcheggiato la macchina in uno spazio riservato- scese dall'auto e aprì la portiera posteriore, ignorando completamente gli sguardi incerti della famiglia di lei.
Serissimo, la prese per i polsi e la costrinse a guardarlo.
Mi conosce, pensó Annabeth.
Fissandolo dritto negli occhi, sapeva che presto o tardi avrebbe ceduto.
"Chi?"
Lei cercó di abbassare lo sguardo, improvvisamente rossa in viso.
"Ah. Credo di aver capito... Luke?"
Asciugó le lacrime silenziose che avevano cominciato a solcare il viso della ragazza con un bacio.
"Non fa niente. Ma... Annabeth? Se fosse qualcosa di importante me lo diresti, vero?"
Le accarezzó dolcemente una guancia prima di tornare al posto di guida.
Il resto del viaggio passò in completo silenzio, gli unici suoni erano causati dai videogiochi di Bobby e Matthew.
Percy parcheggiò davanti all'appartamento della sua ragazza e aiutò a scaricare i bagagli. Il professor Chase lo ringraziò calorosamente e, molto educatamente, lo invitò dentro. Alla risposta affermativa del ragazzo, Annabeth lo trascinò di peso in camera sua, seguita dallo sguardo ammonitore del padre che voleva dire, siamo nella stanza affianco, andateci piano.
 
Senza cerimonie, fece sedere Percy sul letto e gli si posizionò in braccio. Passò le mani tra i suoi capelli, accarezzandoli, e poggiò la testa sulla sua spalla, gesto indicante che non aveva voglia di parlare, voleva solo sentirlo vicino a lei in quel momento.
 
"Sai Annabeth, non credo di averti mai detto veramente che mi dispiace per quello che è successo con Luke. Insomma, prima non facevamo altro che litigare, e poi non ne abbiamo più parlato. So che era come un fratello per te, e immagino che dopo aver già perso Thalia, vedere lui tradire il Campo, tradire gli Dei, tradire te deve essere stato un brutto colpo. Ero accecato dall'odio, e -lo ammetto- dalla gelosia. Parte di me sapeva che profondamente eri -o quantomeno eri stata- innamorata di lui. E lui doveva tenerci davvero tanto a te. Sei stata tu quella che lo ha risvegliato; hai creduto fino in fondo che da qualche parte, nel suo corpo lui ci fosse ancora. E avevi ragione. Tu hai sempre ragione, perchè sei una saccente figlia di Atena. È grazie a te che abbiamo vinto. A te e al suo sacrificio. Ha commesso molti errori, ma alla fine è morto da eroe e lo ammiro per ció che ha fatto. Ma ci sarà una parte di me che lo detesterà. Come in questo momento, mentre ti vedo piangere pensando a lui.
Non posso dire che ti capisco, perchè non ho mai perso un amore. E non cercare di mentirmi: so che lo hai amato, perchè anche la tua profezia diceva che avresti perso un amore per qualcosa peggiore della morte. Ma posso immaginare come sarebbe perdere te, e al solo pensiero ti chiedo scusa se ho affrontato questa questione come -"
Il monologo di Percy fu interrotto dall'improvvisa urgenza delle labbra di Annabeth sulle sue.
Non provò nemmeno a resisterle per continuare a parlare, gli era mancata sul serio.
 
Dopo qualche minuto, staccò le labbra da quelle della ragazza per guardarla negli occhi, ma lei aveva altre intenzioni. Continuò a lasciare una scia di baci sul mento e sul collo, per poi sussurrargli un grazie umido all'orecchio. Percy le asciugò le ultime lacrime dal viso e poi sorridendole, l'abbracciò. La tenne stretta per farle sentire che lui era lì, e che ci sarebbe sempre stato nel momento del bisogno.
 
"Annie ci aiuti a -"
La porta si spalancò, e Bobby e Matthew erano sulla soglia.
"Ewwwwwwwwwwwww!" gridarono all'unisono.
"Papà, Annabeth e il suo fidanzato si stanno abbracciando!" lo dissero come se fosse la cosa più schifosa del mondo.
Apparve la signora Chase, "Dai bambini, lasciateli stare... ci penso io a mettere a posto," mandò un sorrisetto imbarazzato ai due -ancora abbracciati- e richiuse la porta.
 
"Che grandissima figura di merda!" si alzò in piedi Percy, sciogliendo l'abbraccio.
Annabeth stava finalmente ridendo.
"Dai, pensa se fossero entrati qualche minuto prima, mentre pomiciavamo... quello sarebbe stato imbarazzante!"
"Non voglio nemmeno pensarci..." improvvisamente sbiancò.
"Percy?" chiese incerta Annabeth, avvicinandosi e prendendogli una mano tra le sue.
Lo strattonò.
"Mi sto preparando psicologicamente alla mia morte."
"Perchè? Mostri in arrivo?" chiese lei giocosa.
"Peggio, Annabeth. Molto, molto peggio."
"Cosa c'è di peggio che morire uccisi da un mostro, Perce?"
"Moriri uccisi dalla furia di tua madre."
Alla ragazza sfuggì un risolino.
"Non puoi avere eterna paura di mia madre, insomma... presto o tardi dovrà accettare il fatto che ti amo e che ho scelto te. Non puoi avere questa fobia perenne ogni volta che ci troviamo da soli in una stanza."
"La fai facile tu, mica ha minacciato te."
"Come no... comunque, vuoi rimanere per cena?" cambiò argomento Annabeth.
"Vorrei amore, ma mamma mi aspetta, e credo che a Paul serva la macchina..." rispose lui, sinceramente dispiaciuto.
"Ok, sarà per la prossima..."
Gli si avvicinò e gli diede un lungo bacio sul collo.
"Devi vincere questa cosa," gli sussurrò contro l'orecchio.
Per tutta risposta, Percy le prese il viso tra le mani e la baciò con foga, sentendola sorridere sulle sue labbra. Si staccarono per riprendere fiato e Percy le diede un ultimo bacio.
"Dai, ti accompagno alla porta."
I due uscirono dalla stanza e Annabeth annunciò "Percy se ne sta andando!" così che la famiglia potesse venire a salutarlo.
Già fuori la porta di casa, dopo aver detto arrivederci a tutti, le chiese "Domani andiamo a pranzo fuori? Una cosa semplice, solo io e te, giusto per stare un po' insieme..."
"Certo, Testa d'alghe," gli rispose lei sorridendo.
"Ti passo a prendere alla mezza allora. Ciao amore."
Chiuse la porta e guardò il suo ragazzo entrare in macchina ed andarsene.
Dei, se ne era innamorata. Come aveva fatto a crescere così? Solo qualche anno prima era un bambino che non sopportava, col quale litigava sempre. E ora? Beh, era diventato un ragazzo aitante, del quale non poteva più fare a meno.
Sorrise tra sè e sè. Era vero: Percy era diventato la parte più bella della sua vita.

Annabeth odiava volare in aereo.
Questo suo disprezzo non era causato tanto dal viaggio in sè -non che soffrisse di vertigini o avesse paura di volare, per quello bastava Thalia- ma dal fatto di sentirsi particolarmente disarmata.
Lo era, pensó Annabeth, in quel momento. Completamente disarmata, alla mercè del mostro più insignificante. Priva del suo adorato pugnale, fedele compagno di avventure -nonché unico ricordo che possedesse della persona importante che glielo aveva donato anni fa-, Annabeth si sentiva disarmata.
Stupidi check in, si lamentó mentalmente.
Ma facciamo un passo indietro.
La scuola quest'anno era terminata due settimane prima del solito. Visto che Annabeth si era trasferita a tempo indeterminato a New York per monitorare i procedimenti della ricostruzione dell'Olimpo (e anche se non l'avrebbe mai ammesso, per stare vicino ad un certo figlio di Poseidone che viveva nei paraggi), la sua famiglia aveva deciso di passare insieme a lei quelle due settimane, prima che la ragazza andasse al Campo Mezzosangue. Cosí il giorno dopo la fine della scuola, Annabeth si era vista piombare nel suo appartamento a NYC il padre, la matrigna e i due fratellini, pronti per una fantastica settimana in Florida.

E quindi ecco Annabeth, al termine di quella settimana, su un aereo in procinto di atterrare all'aeroporto John F. Kennedy, che si lamentava degli stupidi sistemi di sicurezza degli aeroporti americani -e del resto del mondo- che non le permettevano di portare con sè un semplice pugnale.
Potreste chiamarla paranoica, ma quando sei una mezzosangue, non sai mai quando possa spuntare un mostro. E Annabeth odiava essere colta di sorpresa.

Fortunatamente era andato tutto liscio, nessun attacco e nessun avvenimento di particolare stranezza, per la gioia della sua matrigna che poco sopportava l'anormalità della figlia acquisita.

Dopo aver recuperato i bagagli, i Chase uscirono dall'aeroporto con l'intenzione di salire su un taxi che li avrebbe portati all'appartamento di Annabeth, ma il JFKennedy è uno degli aeroporti più trafficati del mondo, e c'era ben poca speranza di trovare un taxi libero. Rassegnata, l'allegra famiglia si fermó all'ombra appena fuori l'uscita degli arrivi, sperando nella venuta di una macchina gialla, i famosi taxi newyorkesi.

Sbuffando, Annabeth prese a guardarsi intorno e fece vagare lo sguardo tra la folla, finchè i suoi occhi non si focalizzarono su una testa spettinata di capelli neri appartenente ad un ragazzo che le sorrideva a trentadue denti.

"Percy!" si ritrovó ad urlare Annabeth correndogli incontro. 
Quando fu tra le braccia del suo ragazzo, rispose al suo sorriso e gli diede un veloce bacio sulle labbra (avrebbe preferito anche qualcosa di più, ma sapeva che la sua famiglia la stava guardando).
"Hey."
"Ciao amore," ripose lui.
"Che ci fai qui?"
"Ti salvo. O meglio, vi salvo dall'incubo di aspettare un taxi per ore sotto il sole caldo di giugno, Sapientona."
"Apprezzo il gesto, Testa d'alghe."

Si concesse un attimo di guardarlo negli occhi, quegli occhi verdi che vedeva tutte le notti nei suoi sogni. Dei, stavano insieme da nove mesi ormai, ma Annabeth si perdeva ancora nell'abisso profondo che erano i suoi occhi.
Si strinse di più a lui e poggiò la testa nell'incavo del suo collo, per respirare un po' del suo profumo.
"Mi sei mancato," sussurró.
"Anche tu. Dai, fammi salutare la tua famiglia. Tua madre mi odia già, preferirei che almeno tuo padre non sviluppi sentimenti ostili nei miei confronti."
Il loro scambio di battute era durato circa un minuto. Percy la riaccompagnó dove la sua famiglia la stava aspettando, e dopo i primi convenevoli, il semidio afferró due valigie e le caricó nel cofano della sua Prius.

Salirono tutti in macchina -Percy al volante, il signor Chase sul sedile anteriore, con dietro la signora Chase, Matthew e Annabeth con in braccio Bobby- e anche se stavano un po' stretti, partirono.
I bambini presero a raccontare del bellissimo viaggio in Florida e Percy si mostró fintamente interessato, scambiandosi sorrisetti ed occhiate consapevoli con Annabeth mediante lo specchietto retrovisore.
Una volta entrati nel traffico della città, la ragazza domandó a Percy se avesse ricevuto novità dal Campo.

"No," rispose lui "Comunque, tu hai notato qualcosa di sospetto? Incontrato mostri?"
Avevano sconfitto Crono ad agosto, ma parti del suo esercito vagavano ancora per gli Stati Uniti.
"Fortunatamente no."
"Sogni particolari?"
Beccandosi un'occhiata particolare da parte del signor Chase si corresse, "Intendo, parti di profezie, incontri qualche dio, eventi che devono ancora accadere, sogni particolari da semidei?" enfatizzó l'ultima parte guardando Frederick Chase.
Annabeth esitó.
Percy cercó il suo sguardo nello specchietto, ma lei lo evitó.
"Che è successo?"
La ragazza abbassó gli occhi.
"Mi devo preoccupare?"
Niente.
Ci furono circa cinque minuti di silenzio, in cui Percy tenne gli occhi fissi sulla strada e perfino i bambini non fecero baccano, avendo captato il cambiamento di umore della sorella.
Annabeth voleva sprofondare. Non era capace di mentire a Percy. Doveva farle proprio quella domanda? Non voleva parlargliene.E non per la presenza della sua famiglia mortale, ma perchè non aveva intenzione di raccontargli cosa aveva sognato due notti prima.
Era stato tante volte argomento di litigio, ma dopo la battaglia finale com Crono era diventato come un tabù per loro.

"Annabeth."
La voce di Percy si era fatta più seria ed insistente.
"Lo sai che dobbiamo raccontarci queste cose. Se le ignoriamo per la paura di affrontarle finiamo nei guai più del solito, il che è già un record."

All'ennesimo silenzio della ragazza, Percy spense il motore -avendo provvisoriamente parcheggiato la macchina in uno spazio riservato- scese dall'auto e aprì la portiera posteriore, ignorando completamente gli sguardi incerti della famiglia di lei.Serissimo, la prese per i polsi e la costrinse a guardarlo.

Mi conosce, pensó Annabeth.
Fissandolo dritto negli occhi, sapeva che presto o tardi avrebbe ceduto.
"Chi?"
Lei cercó di abbassare lo sguardo, improvvisamente rossa in viso.
"Ah. Credo di aver capito... Luke?"
Asciugó le lacrime silenziose che avevano cominciato a solcare il viso della ragazza con un bacio.
"Non fa niente. Ma... Annabeth? Se fosse qualcosa di importante me lo diresti, vero?" 

Le accarezzó dolcemente una guancia prima di tornare al posto di guida.
Il resto del viaggio passò in completo silenzio, gli unici suoni erano causati dai videogiochi di Bobby e Matthew.
Percy parcheggiò davanti all'appartamento della sua ragazza e aiutò a scaricare i bagagli. Il professor Chase lo ringraziò calorosamente e, molto educatamente, lo invitò dentro. Alla risposta affermativa del ragazzo, Annabeth lo trascinò di peso in camera sua, seguita dallo sguardo ammonitore del padre che voleva dire, siamo nella stanza affianco, andateci piano.
 
Senza cerimonie, fece sedere Percy sul letto e gli si posizionò in braccio. Passò le mani tra i suoi capelli, accarezzandoli, e poggiò la testa sulla sua spalla, gesto indicante che non aveva voglia di parlare, voleva solo sentirlo vicino a lei in quel momento.
 
"Sai Annabeth, non credo di averti mai detto veramente che mi dispiace per quello che è successo con Luke. Insomma, prima non facevamo altro che litigare, e poi non ne abbiamo più parlato. So che era come un fratello per te, e immagino che dopo aver già perso Thalia, vedere lui tradire il Campo, tradire gli Dei, tradire te deve essere stato un brutto colpo. Ero accecato dall'odio, e -lo ammetto- dalla gelosia. Parte di me sapeva che profondamente eri -o quantomeno eri stata- innamorata di lui. E lui doveva tenerci davvero tanto a te. Sei stata tu quella che lo ha risvegliato; hai creduto fino in fondo che da qualche parte, nel suo corpo lui ci fosse ancora. E avevi ragione. Tu hai sempre ragione, perchè sei una saccente figlia di Atena. È grazie a te che abbiamo vinto. A te e al suo sacrificio. Ha commesso molti errori, ma alla fine è morto da eroe e lo ammiro per ció che ha fatto. Ma ci sarà una parte di me che lo detesterà. Come in questo momento, mentre ti vedo piangere pensando a lui. Non posso dire che ti capisco, perchè non ho mai perso un amore. E non cercare di mentirmi: so che lo hai amato, perchè anche la tua profezia diceva che avresti perso un amore per qualcosa peggiore della morte. Ma posso immaginare come sarebbe perdere te, e al solo pensiero ti chiedo scusa se ho affrontato questa questione come -"
Il monologo di Percy fu interrotto dall'improvvisa urgenza delle labbra di Annabeth sulle sue.
Non provò nemmeno a resisterle per continuare a parlare, gli era mancata sul serio.
 
Dopo qualche minuto, staccò le labbra da quelle della ragazza per guardarla negli occhi, ma lei aveva altre intenzioni. Continuò a lasciare una scia di baci sul mento e sul collo, per poi sussurrargli un grazie umido all'orecchio. Percy le asciugò le ultime lacrime dal viso e poi sorridendole, l'abbracciò. La tenne stretta per farle sentire che lui era lì, e che ci sarebbe sempre stato nel momento del bisogno.
 
"Annie ci aiuti a -"
La porta si spalancò, e Bobby e Matthew erano sulla soglia.
"Ewwwwwwwwwwwww!" gridarono all'unisono.
"Papà, Annabeth e il suo fidanzato si stanno abbracciando!" lo dissero come se fosse la cosa più schifosa del mondo.
Apparve la signora Chase, "Dai bambini, lasciateli stare... ci penso io a mettere a posto," mandò un sorrisetto imbarazzato ai due -ancora abbracciati- e richiuse la porta.
 
"Che grandissima figura di merda!" si alzò in piedi Percy, sciogliendo l'abbraccio.
Annabeth stava finalmente ridendo.
"Dai, pensa se fossero entrati qualche minuto prima, mentre pomiciavamo... quello sarebbe stato imbarazzante!"
"Non voglio nemmeno pensarci..." improvvisamente sbiancò.
"Percy?" chiese incerta Annabeth, avvicinandosi e prendendogli una mano tra le sue.
Lo strattonò.
"Mi sto preparando psicologicamente alla mia morte."
"Perchè? Mostri in arrivo?" chiese lei giocosa.
"Peggio, Annabeth. Molto, molto peggio."
"Cosa c'è di peggio che morire uccisi da un mostro, Perce?"
"Morire uccisi dalla furia di tua madre."
Alla ragazza sfuggì un risolino.
"Non puoi avere eterna paura di mia madre, insomma... presto o tardi dovrà accettare il fatto che ti amo e che ho scelto te. Non puoi avere questa fobia perenne ogni volta che ci troviamo da soli in una stanza."
"La fai facile tu, mica ha minacciato te."
"Come no... comunque, vuoi rimanere per cena?" cambiò argomento Annabeth.
"Vorrei amore, ma mamma mi aspetta, e credo che a Paul serva la macchina..." rispose lui, sinceramente dispiaciuto.
"Ok, sarà per la prossima..."
Gli si avvicinò e gli diede un lungo bacio sul collo.
"Devi vincere questa cosa," gli sussurrò contro l'orecchio.
Per tutta risposta, Percy le prese il viso tra le mani e la baciò con foga, sentendola sorridere sulle sue labbra. Si staccarono per riprendere fiato e Percy le diede un ultimo bacio.
"Dai, ti accompagno alla porta."
I due uscirono dalla stanza e Annabeth annunciò "Percy se ne sta andando!" così che la famiglia potesse venire a salutarlo.
Già fuori la porta di casa, dopo aver detto arrivederci a tutti, le chiese "Domani andiamo a pranzo fuori? Una cosa semplice, solo io e te, giusto per stare un po' insieme..."
"Certo, Testa d'alghe," gli rispose lei sorridendo.
"Ti passo a prendere alla mezza allora. Ciao amore."
Chiuse la porta e guardò il suo ragazzo entrare in macchina ed andarsene.
Dei, se ne era innamorata. Come aveva fatto a crescere così? Solo qualche anno prima era un bambino che non sopportava, col quale litigava sempre. E ora? Beh, era diventato un ragazzo aitante, del quale non poteva più fare a meno.
Sorrise tra sè e sè. Era vero: Percy era diventato la parte più bella della sua vita. 




Angolo Autrice: salve a tutti! Questa è la prima fanfic che pubblico in questo fandom, spero che vi sia piaciuta. Onestamente non so nemmeno io cosa avevo in mente mentre la scrivevo, ma dopo aver passato la notte sveglia per completarla, ho capito che dovevo pubblicarla! 
Un bacio e alla prossima, 

Ginny_theQueen ♥

   
 
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