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Autore: Hypnotic Poison    18/03/2007    15 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Twelve – This ain’t a song for the broken-hearted

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ichigo aprì gli occhi di colpo, scattando subito seduta ed esalando un gemito a labbra strette l’istante successivo, non appena il suo corpo prese coscienza di essere effettivamente sveglio e tuonò di tutti i dolori causati dal giorno precedente. Lei cercò di non badarci mentre, soffiando tra i denti, si alzava afferrando la vestaglia e si avviava verso il piano inferiore, il seno indolenzito che reclamava di essere alleviato.
Era sicuramente più tardi di quanto fosse ormai abituata ad alzarsi, e dalla luce che trapelava dalle finestre poteva dedurre che fosse molto più tardi: un misto di nervosismo e gratitudine le gorgogliarono in petto, seguito subito dopo dal familiare impeto a tenere a bada le proprie emozioni.
Non avrebbe saputo dire se fosse stato più difficili a tredici anni, nel pieno sbocciare delle tempeste ormonali dell’adolescenza, o in quel momento a ventuno, a quasi cinque mesi dall’inizio della maternità e una manciata di settimane dal suo matrimonio.
Quel mal di testa che sentiva crescere non era sicuramente solo dovuto alla tensione muscolare.
Scese le scale a piedi nudi e sentì il cuore continuare a sfarfallarle in petto per dieci motivi differenti nel vedere Shirogane seduto al tavolo, il portatile aperto davanti a sé ma Kimberly in braccio, a cui stava parlottando sottovoce in inglese.
« Buongiorno, » Ichigo realizzò che si dovette sforzare per non far traballare il suo sorriso, « A che ora si è svegliata? »
« Alle cinque, » Ryou lanciò un’occhiata assonnata e pungente alla bimba appollaiata sulla sua gamba, « Non ha voluto saperne di riaddormentarsi fino alle sette. »
La rossa sospirò e poggiò i palmi sullo schienale della sedia in fronte a lui, ben sapendo che non sarebbe riuscita ad alzarsi se si fosse seduta: « Avresti dovuto darmi il cambio. »
L’americano la guardò scettico: « Avevi bisogno di recuperare. »
Ichigo cercò di ripagarlo con un’occhiata storta, ma un ennesimo concertino di fitte ovunque le fece cambiare idea; con un sibilo marciò verso la macchinetta del caffè, versandosene più del solito.
« È stato un disastro, » mormorò, passandosi più volte la mano sul viso per indursi a svegliarsi del tutto, « D’accordo, siamo più adulte e più consapevoli, ma al tempo stesso è molto più faticoso. Per me poi… »
Ryou lasciò con cura Kimberly nell’ovetto e la raggiunse veloce, abbracciandola da dietro.
« Oggi pensa a riposarti, » le mormorò, sfiorandole il collo con il naso, « Poi… potrei avere un’idea. »
Ichigo corrugò la fronte, assaporando la bevanda per lei sempre un po’ troppo amara, e gli lanciò uno sguardo poco convinto: « Le ultime tue idee hanno causato importanti scompensi ormonali nella sottoscritta, prima con le orecchie e la coda da gatto, poi con nostra figlia. »
« So funny, » Ryou la punzecchiò con un dito nel fianco, costringendola a voltarsi e poi rubandole un sorso di caffè, provocando un lamento scocciato, « Ma ammetto che non sarai una fan. »
« Shirogane, ti prego, » esalò lei, piagnucolosa, « Niente indovinelli. »
Lui le lasciò un bacio sul naso: « Lo faccio per il tuo bene. Altrimenti so che la tua testolina continuerebbe a pensarci tutto il giorno. »
« Perché, credi che così non lo farò?! »
« Non se ti distraggo con la promessa di un’intera giornata sul divano e del gelato. »
« Per chi mi hai preso? » rimbrottò, riacciuffando la tazza di caffè ma senza riuscire a nascondere il sorrisetto che le stava nascendo spontaneo, cui Ryou rispose con uno altrettanto supponente mentre le dava un buffetto sul naso: « For a lazy kitty cat. »
 
 
 
 
« Se ogni volta va così, non finiremo mai. »
Pharart lanciò un’occhiata d’avvertimento a Kert, mezzo stravaccato sul divano accanto a lui.
« È vero e lo sai benissimo anche tu, » continuò l’alieno dagli occhi dorati, accennando con il mento alla camera in fondo al corridoio, « Il prossimo plenilunio è tra un mese, non possiamo continuare ad aspettare che riesca a tenersi in piedi per più di cinque minuti. »
« Le capacità di Espera sono acutizzate sulla Terra, » commentò piatto Zaur, in piedi davanti ai monitor, « Non sappiamo con esattezza il motivo, forse la presenza stessa della Luna o il legame ancestrale con il nostro pianeta d’origine la rendono più sensibile. Inoltre, lo sforzo di ieri sera ha gravato molto sul suo fisico già provato. »
Kert fece schioccare la lingua: « È stata un’idea del cazzo farla venire. Se non è capace di fare ciò per cui è stata intrufolata sulla nave, che senso ha? Non fa altro che distrarre Rui e metterci i bastoni tra le ruote. »
Pharart gli diede di gomito con insistenza: « Non è che tu sei tutto incolume, sai, » occhieggiò con veemenza il taglio che il compagno ostentava sulla guancia, merito di quel dannato colpo di fortuna di Kisshu poco prima che se ne andassero, « Signor eroe del campo di battaglia. »
L’altro gli ringhiò contro: « Almeno io potevo continuare altre sei ore. »
Il biondo fece un verso di incredulità: « Allora proviamo a vedere cosa succede se tu diventi una specie di sifone d’energia. »
« Oh, ma da che parte stai? »
« Non si tratta di parti, » Zaur li guardò appena da sopra la spalla, « Ma di mantenere coesione in una situazione già difficile. »
Kert strinse la mascella in uno scatto di fastidio: « Vedi che provi solo il mio punto. Non sarebbe necessario tutto questo se le cose fossero un pelino differenti. »
« Non sarebbe necessario se tu non fossi una vecchia scarpa acida. »
« Vuoi indietro tutti i cazzotti che non ti sei preso in Accademia, Pharart? »
« E rischiare di rovinare ancora di più il tuo bel faccino? Non potrei mai. »
« Mi chiedo perché non stiate mai zitti. »
Dall’altra parte dell’andito, dove fortunatamente il brusio del parlottare era abbastanza smorzato anche per uditi più fini, Rui scostò gentilmente i capelli di Espera dal suo viso, sussurrandole parole di conforto e accarezzandole la schiena mentre il corpicino magro veniva tormentato dai conati.
« Non c’è bisogno che rimani, » sospirò lei, prendendo un respiro tremolante dopo l’ennesimo sforzo del suo stomaco, « Me la cavo da sola. »
« Non dire sciocchezze, » la rimproverò sottovoce lui, « Non si sta soli quando si sta male. »
« Non sto male, » ribatté, mettendosi seduta e passandosi il dorso della mano sotto la frangetta sudata
Rui si limitò ad alzare un sopracciglio, guardando con decisione il pallore accentuato del suo viso.
Lei sbuffò e poggiò la nuca contro al muro: « Mi odiano, di là. »
« Sei così stanca che anche i tuoi poteri sbagliano, » la consolò, continuando a passare le dita tra i lunghi capelli neri, « Non è assolutamente vero. »
« Tranne che per Kert. »
Rui sospirò stancamente, spostandosi così da esserle seduto a fianco: « Perché ti concentri solo su di lui? Lo devi lasciar perdere. Lo sai che non cambierà mai. »
« Lo so, ma… è tuo fratello, » gemette Espera, aprendo i palmi in grembo, « Vorrei poterci andare d’accordo, anche per il tuo bene. E sta diventando esasperante, dopo tutto questo tempo. »
« Ehi, non fare tanto la martire, io lo sopporto da ventun anni. »
L’aliena rise, posando la testa contro la sua spalla, e lui ne approfittò per lasciarle un bacio sulla sommità della testa.
Gli avvenimenti della sera precedente erano sospesi tra di loro, come in un tacito accordo di non varcare ancora il confine di quel discorso, di quella verità rivelata. Non c’era stata nemmeno occasione di tentare di parlarne, però; Espera, svenuta durante la battaglia, non si era ripresa per tutto il resto della notte ma era caduta in un sonno profondo e agitato che l’aveva avvolta in un sottile strato di sudore. Al risveglio, era stata appena in grado di alzarsi dal letto per correre in bagno e rivoltarvi i contenuti dello stomaco; nessuno di loro aveva avuto il coraggio di chiederle davvero cosa fosse successo, come si fosse sentita.
Di affrontare il fatto che una profezia vecchia di millenni fosse molto più che una semplice storiella.
Rui inspirò il profumo dei suoi capelli e continuò ad accarezzarle la schiena con fare tenero mentre l’aliena tentava di regolare il respiro.
Dopo. Ci avrebbe pensato dopo.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Tra i vari poteri esibiti dall’alieno, Purin era specialmente contenta che Taruto fosse capace di generare barriere d’energia protettiva che, se calibrate in una certa maniera, erano in grado di attutire i suoni, visto quanto inevitabilmente lei e l’alieno finivano per schiantarsi contro ogni angolo della sua camera quando…
Sì, beh, forse aveva passato troppo tempo con Kisshu, ma non le sovveniva termine migliore di quando pomiciavano.
Sospirò sottile mentre la premeva contro la scrivania e lei s’inarcava contro di lui, facendo sgusciare al contempo una mano sotto la maglietta per sfiorargli la pelle calda del torace.
Dopotutto, benché ai suoi fratellini Taruto stesse evidentemente simpatico, erano anche quattro adolescenti particolarmente gelosi e protettivi verso la loro sorella maggiore, e coglierla in flagrante in quella maniera non avrebbe giovato a nessuno.
Il ragazzo le morse piano un labbro mentre accartocciava il tessuto della sua maglietta all’altezza delle sue costole, lì nella curva che sembrava fatta apposta per la sua mano, soffiando piano per mantenere un minimo di autocontrollo. Un’impresa titanica, quando la biondina praticamente gli sollevava tutta la maglietta per stringersi a lui e accarezzarlo con calore.
Neanche tre settimane, si ripeté testardo, mentre la mano sinistra non si fermava dallo scendere lungo la coscia di Purin, stringerla nel percorso al contrario, tu sei pazzo, è troppo presto, non si può, non la posso forzare…
Lei mugolò in maniera così convinta, quando passò a baciarle il collo e in tutta risposta fece scivolare la punta delle dita poco oltre il bordo dei suoi pantaloni, che ogni singola cellula del suo corpo gli diede del deficiente.
Il letto all’occidentale della biondina gemette dolorosamente quando ci cascarono sopra, Purin che incastrò le gambe tra quelle di lui per averlo il più vicino possibile e lui che cedette e le scostò la maglietta per sfiorarle un seno, facendola inarcare contro di sé.
Forse si meritava un premio anche solo per quelle misere settimane.
« Taru-Taru… » il sospiro della ragazza gli arrivò roco all’orecchio mentre continuava ad esplorarle la mascella, il collo, le clavicole con la bocca, « Ma tu… »
« Sì, » rispose di botto lui, per poi fermarsi all’improvviso e alzare la testa di scatto, corrugando la fronte, « Cioè, no! Non ho mai… ma vor… però se tu… »
Un altro pensiero gli attraversò la mente e gli colorò il volto di scarlatto, mentre la ruga tra le sopracciglia si aggravava: « … e… tu? »
Purin arricciò le labbra, divertita dal suo evidente imbarazzo pur accorgendosi del calore che le arrossì naso e guance, e spostò gli occhi sulle labbra di lui: « No… » sussurrò, « Per - »
Lo squillo insistente del cellulare della biondina l’interruppe, facendoli sobbalzare entrambi dalla sorpresa. Taruto represse un ringhio ed ebbe la tentazione di pregarla di ignorarlo, già contrariato dalla mancanza del corpo morbido contro al suo mentre lei si divincolava per afferrare il telefono.
« Nii-san? No, stavo… dimmi tutto, » Purin scivolò all’indietro un po’ di più per mettersi seduta, risistemandosi la maglietta e incastrando il cellulare tra orecchio e spalla, « … okay? »
L’alieno inspirò profondamente e si mise in ginocchio in fronte a lei, stringendo i pugni sulle gambe mentre tentava di riprendere il controllo di sé. Osservò incuriosito le cinque espressioni diverse che le attraversarono il bel viso, ancora piacevolmente arrossato, mentre la biondina annuiva vigorosamente e si torturava il labbro inferiore con un dito.
Lo stesso labbro su cui lui si stava concentrando così deliziosamente finché quel rompiscatole di Shirogane – maledetto – non li aveva interrotti.
Sperò solo che l’americano avesse una dannatissima, buonissima ragione.
« Ma certo! » trillò Purin, quasi saltando, « È un’ottima idea! Vi aspetto anche subito! »
Taruto non riuscì a evitare di sgranare gli occhi, stupefatto, in una domanda silenziosa, ma lei non sembrò neanche notarlo.
« D’accordo! Okay, a dopo! »
Non fece in tempo a concludere la telefonata che praticamente si lanciò giù dal letto, saltellando eccitata sul posto e scatenando nell’alieno un moto di affetto che, almeno, spense un poco il fastidio che provava per quell’interruzione.
« Mbeh?! »
Lei continuò a saltellare, canticchiando contenta: « Finalmente mi sta a sentire! » esclamò, rilanciandosi sul letto in uno svolazzo di capelli biondi, « Non ammetterà mai che avevo ragione, ma io lo sapevo che a forza di suggerirglielo e tartassarlo mi avrebbe ascoltato! »
« Ma che stai… ? »
Purin gli rivolse un sorrisone a trentadue denti: « Ti ricordi quando dicevo a Ryou nii-san che dobbiamo riprenderci un po’ la mano? »
«Ssssì… e quindi? »
« E quindi preparati a venire atterrato, Taru-Taru. »
 
 
 
 
Retasu dovette cedere al suo senso di colpa e ammettere che non ricordava l’ultima volta che aveva messo piede nel dojo della famiglia Fon.
O in una palestra, per quel che valeva.
Così come doveva cedere ai fatti che trapelavano dalla telefonata di Ryou, con cui le aveva radunate tutte nello spazio d’allenamento della biondina per un caloroso suggerimento, già paventato dopo il primo confronto con i Geoti ma soprattutto a fronte dello scontro di due giorni prima: riprendere coscienza dei loro poteri ora che erano più adulte e con anni di tranquillità alle spalle, e sfruttare al massimo la presenza degli Ikisatashi non solo come compagni d’armi, ma anche come veri e propri personal trainer più avvezzi di loro nell’arma bianca.
E per quanto poteva dirne Retasu, sicuramente anche molto (molto) più allenati di lei.
« Benvenuti, benvenuti! » Purin accolse il gruppetto con estrema energia, quasi scardinando la porta scorrevole che dava sulla stanza principale, « Non vedo l’ora di iniziare! Avete sentito il nii-san, da oggi in poi si suda! »
« Seriamente? » Minto sbuffò e incrociò le braccia al petto, mentre saliva i gradini d’ingresso, « L’unica che ha bisogno di rimettersi in forma qui è Ichigo. »
La rossa le lanciò un’occhiata truce, ma era visibilmente troppo stanca per poter replicare a tono e si limitò a rivolgerle anche una linguaccia, cui la mora rispose scuotendo la testa esasperata.
« Non si tratta solo di allenarsi, » spiegò monotono Pai, « È chiaro che il combattimento corpo a corpo non è il vostro forte. Visto che, invece, i nostri nemici sembrano farvi affidamento, e viste le limitazioni dei vostri poteri, è importante che anche voi ci riprendiate la mano. »
Zakuro si limitò ad alzare un sopracciglio: « Chiedi a tuo fratello se non è il nostro forte. »
Kisshu la guardò storto, tenendosi comunque a distanza di sicurezza: « Sempre un piacere. Vuoi riprovarci? »
« Non parlare così alla onee-sama. »
« Ha iniziato lei. »
Purin sghignazzò e saltellò eccitata sul posto: « Così finalmente potrò insegnarvi qualcosa anche io! Ho sempre voluto iniziarvi alle arti marziali. »
Ryou si scambiò un’occhiata leggermente preoccupata con Pai, poi commentò: « Direi che magari prima sia meglio rafforzare le basi, Purin. Addominali, braccia, cardio… »
Minto sbuffò altezzosa, mentre sia Ichigo che Retasu si scambiarono un’occhiata sconsolata.
« Era più divertente quando ci veniva naturale… »
« Io te l’ho sempre detto che il metabolismo cambia. »
« Aizawa, perché non ti metti tu a dirigere le operazioni allora, visto che sei così brava? »
« Non iniziate a litigare… »
« Ma… quindi incominciamo oggi? Cioè – adesso? »
Pai rivolse un’occhiata piena di comprensione, con una punta di perdono, verso Retasu e i suoi abbattutissimi occhioni blu: « Meglio cominciare prima e andarci gradualmente, con costanza. »
« Forza, corsetta di riscaldamento! Dieci giri intorno al dojo! Ora sono la sensei di tutti! »
Purin afferrò Retasu e Zakuro da sotto il braccio e cominciò a trascinarle senza pietà verso l’uscita, vociando al contempo sopra la spalla:
« Voi tre, non pensate di prendervela comoda! Sarete anche super fisicati ma qui si lavora! »
Pai guardò nuovamente Ryou, questa volta con gelida sopportazione nelle iridi viola, e il biondo pilotò strategicamente il passeggino di Kimberly in fronte a sé, estraendo il portatile da una delle borse lì appese.
« Sappi che questa è motivazione di divorzio, » brontolò Ichigo, lanciandogli un’occhiata seccatissima.
« I already go to the gym, ginger. »
« Bla, bla, bla, non era nella buona e nella cattiva sorte? »
« Ti avevo avvertita che non saresti stata una fan della mia idea, ma ciò non toglie che sia una buona idea. »
« Ichigo, dai. »
Lei sbuffò di nuovo sonoramente e si fece trascinare via da Purin, tornata indietro a recuperare le ultime due Mew Mew mancanti. Taruto non poté non soffermarsi con lo sguardo sulla testa bionda che continuava a saltellare, sprizzando energia e allegria da ogni poro anche contro l’evidente riottosità delle amiche, mentre anche i tre Ikisatashi si avviavano verso l’esterno del dojo.
Né riuscì ad evitare di trattenersi qualche istante in più sulle forme toniche che spuntavano dai pantaloncini al ginocchio e dalla canottiera che copriva a malapena la fascia intorno al seno, come se non fosse ormai la fine di settembre, come se il calore che lui stesso aveva saggiato poco prima l’avvolgesse sempre e…
« Che è quella faccia? »
Digrignò i denti quando Kisshu gli passeggiò accanto con un sorrisetto divertito.
« Niente. »
La risposta praticamente sputata a bocca serrata non fece che allargare il ghigno del fratello maggiore.
« Mmmm, non dirmelo. Qualcuno è stato interrotto in un momento un po’ troppo… intenso. »
Taruto ringraziò anni di addestramento che gli impedirono di conficcare un pugnale dritto nel bulbo oculare di quel deficiente. Purtroppo per lui, però, non avrebbe mai imparato a controllare le proprie reazioni fisiologiche, irritandosi ancora di più quando si rese conto che stava dando a Kisshu tutta la certezza a cui era interessato solamente con il rossore che gli risalì fino alla punta delle orecchie:
« Ti devi fare i cazzi tuoi. »
« Dai, ma io sono qui per aiutarti, » replicò il verde, dandogli una spallata, « Sapessi quanto mi ha fatto penare la tortorella, sono pienamente comprensivo. »
Taruto lanciò una veloce occhiata preoccupatissima verso la mewbird, ben conscio del suo volatile caratterino e della poca pazienza verso certe uscite del fidanzato.
« Ma sei deficiente?! » mormorò « E poi  non voglio saperle certe cose! »
« Cooooome no, » continuò a prenderlo in giro Kisshu, muovendo le sopracciglia con fare ammiccante, « Sono consigli da esperto! Non vorrai mica rischiare di fare una figuraccia. »
Il fratello minore strinse le dita in un pugno: « Ho la scusa giusta per menarti, non farmelo fare. »
Il verde rise divertito e sprezzante al contempo, incrociando le braccia dietro la testa mentre faceva qualche passo all’indietro: « Ah, pivello, voglio vederti provarci. »
 
 
 
 
« Devo chiamare l’avvocato e preparare le pratiche di divorzio? »
Ichigo non alzò gli occhi quando Ryou la prese dolcemente in giro dall’uscio, ma continuò a cullarsi sulla sedia a dondolo e ad accarezzare la peluria biondo-rossiccia di Kimberly, ben attaccata al suo seno.
« Hai un avvocato? »
L’americano sorrise e le si avvicinò lentamente: « Tecnicamente, ne ho uno per gli affari privati e qualcuno per gli affari delle aziende. »
« Sbruffone. »
Ryou emise un sospiro divertito, le si inginocchiò accanto e lasciò prima un bacio sulla testolina della figlia, poi sulla fronte a lei.
« Non voglio che ti strapazzi, » le mormorò tra i capelli, « Voglio solo che tu sia pronta. »
« Lo so, » Ichigo cercò la sua mano e gliela strinse, portandosela contro la guancia, « Però potevi trovare un’allenatrice meno energetica di Purin. »
« Credo che Pai abbia già in mente qualcosa, non so se tu sia disposta a preferirlo. »
La rossa emise solo uno strano vagito che lo fece ridere ancora di più mentre si accomodava sul bracciolo della poltrona e continuava a tenere il naso tra le ciocche rubino che sapevano di shampoo alla lavanda.
« Quando sarà finita, » sussurrò Ichigo dopo un po’, dando un buffetto leggero sul naso della bambina che già cominciava a socchiudere le palpebre, « Ci meritiamo una vacanza. Solo noi tre. »
« Ti porto dove vuoi. Basta che convinca tu Shintaro che non sono io la cattiva influenza che ti tiene lontana dall’università. »
La moglie gli passò Kimberly e lo guardò con sdegno: « Insomma, Shirogane, dillo che mi detesti! »
Ryou rise e si alzò per cominciare a passeggiare per la stanza, picchiettando con cautela la schiena della bimba: « I would never. »
« Tu hai una vendetta contro di me. Per il mio conto aperto al Caffè. »
« Ginger, ma se hai la linea diretta con il mio conto in banca. E le mie carte di credito. E ti pago comunque uno stipendio. »
Ichigo aggrottò così tanto la fronte, mentre incrociava le braccia, che la piega tra le sopracciglia sembrò diventare due volte più profonda: « Smettila. Mi fai sentire una cacciatrice di dote. »
Il biondo adagiò la figlia nel lettino, poi si affrettò per tornare da lei, avvolgendole le braccia intorno alla vita: « Tecnicamente, in quanto mezza felino… »
« Shirogane! »
Lui rise a labbra strette e le baciò di nuovo la fronte, prendendola per mano e conducendola fuori dalla stanza della bimba. Ichigo lo seguì con calma, strusciando il viso contro al suo braccio.
« Sono così stanca, » mormorò, e seppe che lui comprendeva appieno che non si stava riferendo solo a quel momento o al suo fisico, « Ed è tutto appena cominciato. »
« Lo so, » Ryou si fermò in mezzo al corridoio in penombra e le prese il viso tra le mani, « Dicevo sul serio, prima. Non esagerare, o rischi di farti male. »
Lei non riuscì a nascondere una smorfia all’ultima affermazione: « Vacanza con spa. E babysitter. Due settimane, come minimo, » deviò, tentando di suonare rilassata.
L’americano rise sottovoce di nuovo, sfiorando il naso contro al suo: « What about our proper honeymoon? »
Ichigo percepì il familiare tramestio al ventre, tra il tema e la lingua: « Per quella il minimo è un mese. Da soli. »
« Vedi che stai diventando svelta a capirmi, » Ryou scese a sfiorare il naso contro il suo collo, inalando il suo profumo, « Insistere funziona, con te. »
« Ti stai riferendo all’inglese o al nostro matrimonio? »
Lui si raddrizzò per l’istante che bastava a guardarla con un’occhiata prima di stupore, poi di divertita offesa che la fece ridere di cuore.
« Donna crudele, » ritornò poi a mormorarle contro la spalla, abbracciandola più stretta per la vita, « Mi riferisco a tutto, comunque. »
Ichigo sospirò e ricambiò la stretta: « Vorrei che la smettessi di sentirti in colpa, » sussurrò contro il suo petto, « Lo so che non è perfetto e ho più paura di te, ma non è colpa tua. Tu hai fatto solo quello che dovevi fare, non mi devi niente. E poi vorrei essere un po’ egoista ed essere la sola a preoccuparmi mentre tu mi dici di non fare la sciocca ragazzina e mi parli del bene superiore. »
Ryou sbuffò piano e si scostò per afferrarle di nuovo il viso: « L’unica maniera che ho di proteggerti, Ichigo, è assicurarmi che tu sia pronta. »
La rossa gli accarezzò una guancia e si tirò sulle punte dei piedi per guardarlo negli occhi: « E io devo assicurarmi che voi due siate protetti. »
Lo baciò prima che lui potesse aggiungere altro; indossava indosso solo una comoda camicia da notte con dei bottoni sul davanti che le arrivava a malapena a metà coscia, e i palmi caldi di Ryou non ci impiegarono troppo a intrufolarvisi sotto per poi scostarla del tutto. La strinse e la spinse in alto, e Ichigo quasi fece le fusa contro la sua bocca mentre incrociava le gambe intorno alla sua vita e si lasciava trasportare verso la loro stanza.
« Ti amo da impazzire, » mormorò lui non appena la stese sul letto, stringendola con più possessività del solito e strappandole un gemito roco, « Da sempre. »
Ichigo fu svelta a liberarlo dei propri vestiti, continuando a baciarlo come se non riuscisse a farne a meno.
« Per sempre, » sussurrò piano, prima di spingerlo dentro di sé come a sottolinearlo.
 
 
 
 
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Detestava aspettare. Detestava non avere nulla da fare, perdere tempo, attendere il momento giusto.
I momenti giusti non capitavano per caso, venivano creati.
Bisognava agire, giocarsela, sfidare la sorte con dedizione e costanza. Puntare sempre al massimo.
Era così che aveva sempre vissuto.
Passò nuovamente il panno sopra la sua arma, giusto per non rimanere con le mani in mano e sentirsi ancora più inutile di quanto già non facesse.
L’aveva sempre saputo, lui, che quella avrebbe solo portato guai, e ora gli stava pure rovinando ciò che avrebbe dovuto essere un grande momento di gloria. Per lui. Per tutti. Un’occasione irripetibile, il più grande onore che avrebbe mai potuto essergli concesso.
E invece suo fratello, il suo migliore amico, colui con il quale avrebbe dovuto condividere tutto ciò e che aveva accettato come suo comandante, non faceva che correre dietro le gonne di quella sciocca, superflua, patetica femmina.
Sapeva che era crudele, ma una parte di sé avrebbe preferito che quell’unione, così tanto decantata e voluta e destinata, fosse stata solamente uno schema politico, neanche così estraneo alla complessa società della sua Terra; forse suo fratello si sarebbe rincretinito meno. Forse non sarebbe stato altrettanto felice, ma sarebbe stato più al sicuro.
Invece no – l’ardore che Rui aveva sempre provato nei confronti di Espera era sempre stato limpido, genuino e inossidabile.
Così schifosamente da manuale.
Anche se Kert si domandava cosa sarebbe successo una volta che tutte le carte fossero state messe in tavola.
Forse tutta la cortina di quell’amore esagerato si sarebbe aperta abbastanza per rischiarare un po’ le menti.
Gli era impossibile capire come taluni si facessero abbindolare così tanto da quel sentimento folle, che lui quasi aveva imparato a disprezzare. Non che ne avesse ricevuto mai quantità di particolare significanza, anche e soprattutto da chi avrebbe dovuto essere a ciò preposto, ma era sopravvissuto benissimo anche senza, lui; senza la testa riempita di chiacchiere e frivolezze, senza tutto quel calore dei racconti.
Lui, il primogenito, tanto atteso, colui che avrebbe guidato la strada verso il continuo miglioramento della loro famiglia e che sarebbe servito da esempio per tutti gli altri eredi come i loro antenati per loro – poi messo da parte all’arrivo del fratellino, così… speciale.
Non aveva mai incolpato Rui, no di certo: il fratello, alla fine, era stato l’unico ad amarlo sul serio, a seguirlo con fedeltà, a cercarlo in ogni momento significativo, fin da quando gli aveva stretto l’indice paffuto al loro primo incontro. Si erano giurati lealtà eterna, loro due; si erano promessi che mai niente si sarebbe frapposto tra di loro, men che meno le sciocche insinuazioni della madre o i rimproveri sbilanciati del padre.
I ricordi della loro infanzia erano quelli che conservava con maggiore riverenza, perché quelli di quando, nonostante tutto, si era sentito davvero felice.
Quando ancora non era stato messo faccia a faccia con i grandi schemi a cui avrebbe dovuto attenersi.
La loro vita era stata pianificata ancor prima che uscissero dal grembo materno. Avrebbero dovuto tenere alto l’onore della millenaria casata dei Tha e servire Gaia e tutti i suoi abitanti, affinché continuasse a essere il luogo perfetto dove vivere.
La loro famiglia si era sempre fatto emblema di ciò, contribuendo allo sviluppo economico e sociale del pianeta, instaurando legami importanti con l’intricata rete di poteri, e promuovendo le arti, la cultura, le tecnologie.
Con il solo, piccolo particolare che la maggior parte degli eredi maschi si era sempre dedicata all’arte della guerra.
La conquista di Gaia era in realtà stata molto pacifica; chi credeva a certe cose – lui no di certo – aveva sempre invocato la grazia divina per aver infine guidato il loro popolo su un pianeta così prospero, inabitato solamente da specie “animali” con cui gli esuli terrestri avevano subito stabilito un rapporto di mutua coabitazione. Dopo l’esperienza del Pianeta Blu, d’altronde, i progenitori di Gaia avevano posto l’attenzione fin da subito sulla lotta ai cambiamenti climatici e l’assoluta protezione dell’ecosistema del pianeta.
Anche lo sviluppo del piccolo pianeta stesso era avvenuto con pochi conflitti, durante l’espansione sulla sua superfice, con qualche punto di tensione durante il consolidamento dei centri abitativi più importanti e le decisioni finali su forma di governo, autorità centrali, e così via. La creazione di un esercito era stata quasi naturale, un contingente ben addestrato per servire più come forza di protezione locale che per fratture intestine.
Ma una volta assestatisi su Gaia, i governanti avevano rivolto l’occhio di nuovo verso le stelle: il sistema cui apparteneva la loro nuova casa era di dimensioni relativamente piccole, e dopo poche migliaia di anni la già avanzata tecnologia geota aveva mostrato qualche pianetino capace di sopportare delle forme vitali. Le forze armate erano diventate quindi anche utili anche all’esplorazione spaziale e all’espansione dell’influenza di Gaia, necessaria soprattutto con la rapida crescita della popolazione.
La famiglia Tha, in particolare, fin dall’origine si era consacrata con fedeltà a contribuire membri all’esercito; lui e Rui, ovviamente, non avrebbero potuto fare altrimenti – non era mai neanche stato oggetto di discussione che, una volta assicurato il loro ingresso all’Accademia, il grande e principale sistema scolastico che comprendeva l’insegnamento di tutte le discipline necessarie al corretto funzionamento della società, divise per percorsi specifici a seconda delle età e dei livelli di studio, avrebbero intrapreso con onore la strada per diventare ufficiali.
Kert aveva cinque anni quando l’entrata all’Accademia aveva sancito la sua prima separazione dalla famiglia; era infatti costume che gli studenti lasciassero le loro case per trasferirsi tra i vari palazzi che componevano la Scuola, anche per abituarli all’indipendenza. Non era certo obbligatorio, ma caldamente raccomandato tra le famiglie più in vista, e i Tha, come al solito, non avrebbero sicuramente sfigurato. Kert l’avrebbe sempre ricordato come un momento di grande riscatto, essere finalmente lontano dalle grinfie di sua madre, ma anche di grande solitudine, per la lontananza dal fratellino e da tutto ciò che gli era noto.
Per non parlare poi di quanto quel primo anno gli fosse in realtà sembrato un inferno.
Le sveglie ancora prima dell’alba, a volte più per gli scherzi dei compagni più grandi che per necessità; le corse infinite tra le colline umide di rugiada attorno alla capitale seguite da docce poco più che tiepide; i pasti non sempre caldi se non si spaccava il secondo; le miriadi di lezioni, i professori esigenti, la totale disciplina richiesta in ogni momento.
Ma Kert si era impegnato, come mai aveva fatto prima. Per dimostrare il suo valore, per ottenere una migliore considerazione dai suoi genitori, per esibire quanto anche lui, seppur non protagonista di nessuna vecchia filastrocca, meritasse di essere apprezzato. Riconosciuto. Sostenuto.
Aveva imparato a sconfiggere il sonno, ad assicurarsi la cena calda, a brillare durante i corsi senza tralasciare il divertimento, a costruire e solidificare veri rapporti di affiatamento.
Aveva conosciuto Zaur durante il suo secondo anno; l’alieno dagli occhi neri aveva due anni in più di lui, e come da tradizione gli alunni più grandi erano incoraggiati a sostenere ed aiutare i più piccoli, anche per incentivare il senso di appartenenza. Non che Zaur fosse particolarmente loquace o espansivo; non amava raccontare né di sé né della sua famiglia, forse anche per le innumerevoli voci che giravano sulla vera natura e forza dei suoi poteri. Ma a Kert non importava, né gli era particolarmente di interesse che Zaur fosse così capace: a lui bastava avere trovato un amico fidato, qualcuno su cui era sicuro di poter contare.
L’anno seguente, anche Rui era entrato puntuale in Accademia. Il fratello maggiore aveva dovuto ammettere sentimenti contrastanti: da una parte, era stato felice di poter di nuovo trascorrere larghi lassi di tempo con il fratellino, aldilà dei permessi e delle festività concesse, e di poter di nuovo condividere con lui le tappe fondamentali. Dall’altra parte, il sottile risentimento che provava nei confronti dei genitori per l’evidente disequilibrio nei rapporti con i figli lo portava a temere che, di nuovo, la loro attenzione si sarebbe concentrata maggiormente su Rui, nonostante tutto il suo impegno e i suoi risultati negli ultimi due anni.
Si era imposto di non preoccuparsene: era futile incaponirsi e concentrarsi troppo su quello che pensavano i suoi; lui sapeva quanto valeva, e aveva tutto il potenziale per dimostrarglielo. Ci avrebbero rimesso loro, non lui. E aveva trovato persone che lo ammiravano, davvero, per ciò che era. Sarebbe bastato quello.
Il loro quartetto inossidabile si era formato lì: lui, Zaur, Rui e Pharart, il biondissimo alunno dello stesso anno di Rui, l’unico che proveniva da una delle città minori, tra le campagne verdi del pianeta.
Divennero inseparabili, divennero l’anima dei loro rispettivi anni, ma divennero anche gli studenti migliori dell’Accademia.  
Divennero anche un quartetto particolarmente apprezzato dal resto del corpo studentesco.
Quando, tra i quindici e i vent’anni, si ritrovarono tutti e quattro finalmente all’ultimo rango di Accademia, i momenti di libertà erano aumentati parimenti ai carichi dei loro doveri, e ogni attimo di respiro era passato a fare combriccola, vagando per la capitale e respirandone i profumi diversi – e soprattutto beandosi delle occhiate languide che ricevevano spesso e volentieri.
La separazione più rigida tra maschi e femmine all’Accademia, nonché la moltitudine di differenti percorsi che dividevano gli studenti, facevano sì che i momenti di svago diventassero con facilità feste e ritrovi in cui la socializzazione prendeva una piega piuttosto fisica. Pharart, coi suoi capelli biondi, gli occhi verdissimi e il carattere aperto ed esuberante, diventava facilmente il centro dell’attenzione; Zaur, nonostante fosse il più schivo di tutti e il meno loquace, mostrava due magnetici occhi neri che sembravano calamite per ragazze. Altre ancora si perdevano dietro la coppia di fratelli, sognando alternativamente gli occhi blu di Rui e quelli dorati di Kert, incorniciati entrambi da una massa di caratteristici capelli grigi-azzurri.
Ma se Kert accoglieva volentieri le richieste di quelle ragazze, chi sognava Rui doveva accontentarsi solo dei propri vagheggi.
Il minore dei Tha, infatti, non aveva mai avuto occhi che per Espera, la più giovane delle Seles, sei sorelle appartenenti a un altrettanto influente e antica famiglia che si era intrecciata alla loro per eoni. L’incontro tra i rispettivi pargoli era stato naturale, ovviamente.
Lo scoppio di quell’amore folle, per Kert, casualmente propizio.
Espera non gli era mai andata a genio, né capiva come il fratello avesse perso così tanto la testa per lei. Certo, era una delizia per gli occhi, la più bella delle sei, lo ammetteva pure lui, con gli occhi blu del colore della notte e lunghissimi capelli neri che le sfioravano la vita e splendevano di riflessi bluastri. 
Ma Espera era anche potente – la sola della generazione odierna dei Seles a governare un set di abilità molto particolari che andavano aldilà dei poteri dei geoti. E, apparentemente, anche il soggetto di una fantomatica profezia che la connetteva alla notte e alla Luna, l’antico satellite terrestre.
E visto che Rui aveva una affinità non indifferente con l’acqua, non era certo stato un caso che il loro affiatamento fosse stato così sostenuto da entrambe le famiglie. Ciò era bastato perché Kert iniziasse ad ideare congetture, soprattutto con le tante volte in cui aveva sentito i genitori parlare orgogliosamente della questione, amareggiati invece che il figlio maggiore fosse nato sotto la protezione dell’Aria, che non fosse stato lui il prescelto.
All’inizio, aveva cercato di convincersi che si stava sbagliando, che non c’era assolutamente niente sotto, che la sua era solamente sciocca gelosia perché, man mano che crescevano, Rui cominciava a voler passare sempre più tempo con la ragazza e meno con gli amici. Si era tenuto le sue idee per sé, per amore del fratello, così sinceramente innamorato; gli anni erano passati, veloci, impegnativi, duri.
Era al suo penultimo anno del livello finale dell’Accademia, al cui compimento sarebbe stato decretato un ufficiale dell’Esercito, quando i mormorii avevano preso a correre veloci tra i corridoi della scuola e i vicoli della città: i contatti con i loro antichi compatrioti erano stati ristabiliti, su un lontanissimo pianeta chiamato Duuar che aveva tentato una riconquista della Terra, e ora il Consiglio Supremo avrebbe voluto fare lo stesso.
Sfruttare al massimo la tecnologia di Gaia per ritornare a casa e alleviare lo sforzo che il pianeta compiva per sostener l’intera popolazione geota.
Il maggiore dei Tha aveva creduto e sperato fin da subito in quei pettegolezzi. Sapeva che la sua famiglia avrebbe fatto di tutto per parteciparvi, sapeva che lui avrebbe dovuto parteciparvi e ne sarebbe stato estremamente fiero. Sarebbe stata la sua grande occasione di rivalsa. Sarebbe stato il suo grande scopo.
Ma non era successo nulla. Le voci erano scemate così com’erano comparse; un anno era passato, Kert aveva terminato il suo percorso di studi, ed era tornato nel grande palazzo di famiglia.
E la routine era ricominciata, trascinandolo nel malumore e nella noia, giorno dopo giorno. I panni da perfetto rampollo di famiglia gli andavano stretti, così come riusciva a mal sopportare gli impegni obbligatori a cui lo trascinavano perché era così che andava.
Fulgido esempio tutte, le settimanali cene con l’intera famiglia Seles, a turni nelle rispettive residenze. Per “celebrare i ragazzi,” come ricordava ogni diamine di volta sua madre, con quel suo sottile sorrisetto soddisfatto che Kert tanto detestava. Il che non faceva altro che accrescere la sua confusione sul perché avrebbe dovuto parteciparvi pure lui, visto che i rapporti tra lui ed Espera si mantenevano in bilico su una gelidissima cortesia, almeno da parte sua.
Non che non avesse mai realizzato l’ovvio, certo, che i suoi genitori si auspicassero che anche lui mostrasse una preferenza per una delle altre cinque ragazze. Gli andavano più a genio della più giovane, sicuro: la saggezza di Egle lo stupiva; le chiacchiere di Erizia lo divertivano, e così le baruffe tra Aretusa ed Eriteide, come infine le battute di Erica. E aveva ponderato anche di rintanarsi in qualche angolino buio con un paio di loro, ma non era mai scattato niente di particolarmente interessante, e lui stesso non era intrigato dall’instaurare complesse e codificate relazioni.
E soprattutto non avrebbe mai, mai, mai dato tutta quella soddisfazione a sua madre.
Erano passati così altri quattro anni, durante i quali lui si era dedicato ad affinare i suoi poteri e le sue abilità mentre aspettava che anche Rui e Pharart completassero il loro percorso all’Accademia.
Ricordava ancora con ogni minimo particolare la mattinata calda e afosa in cui aveva finalmente accettato che forse qualcuno, tra le stelle, ce l’aveva davvero con lui.
Una lettera, sigillata con uno stemma dorato che tutti conoscevano molto bene, aveva interrotto le poche chiacchiere della colazione, la prima in famiglia dopo tanto tempo, a poche settimane dalla cerimonia di commiato ufficiale di Rui. Era stato loro padre a leggerla per primo, come di consueto; il silenzio sbalordito che era seguito aveva catturato la loro attenzione.
« È incredibile, » aveva mormorato Lorann Tha, prima di scoccare un’occhiata stupefatta ai figli e alla moglie, schiarirsi la gola, e leggere ad alta voce, « “Riconosciuti i meriti accademici e le capacità innate, nonché le costanti opere dell’illustrissima casata dei Tha a favore del miglioramento del nostro pianeta, il Consiglio Supremo di Gaia investe Rui Tha della carica di Comandante della spedizione per la riconquista  del pianeta Terra, nostra antica patria. A fronte, inoltre, della loro distinzione all’interno dell’Accademia, designiamo alla missione anche Kert Tha, Zaur Naktya, e Pharart Kyurai, che a lui faranno riferimento. Dettagli aggiuntivi sulla missione e suoi relativi preparativi verranno affrontati in una dedicata sessione riservata del Consiglio, programmata a giorni due dalla consegna di questa missiva. Confidiamo che il contenuto della nostra rimanga confidenziale fino al momento opportuno. Con l’autorità di cui siamo investiti e sotto la protezione degli Dei” … e ci sono le firme dei dodici Consiglieri. »
Kert ricordava ancora come la colazione che aveva gustato fino a quel momento fosse diventata cenere nella sua bocca. Aveva continuato a fissare oltre la spalla di suo padre mentre i suoni si facevano più attutiti, mentre sua madre scattava in piedi e correva ad afferrare la lettera per verificare con i propri occhi che il marito non stesse allucinando. Aveva ignorato pervicacemente le iridi di Rui, che avevano tentato di incrociare il suo sguardo con incredula impazienza.
Non erano state solo chiacchiere, allora, tutti quegli anni prima, il Consiglio aveva davvero organizzato qualcosa. E ora suo fratello era stato chiamato a guidare la missione. Suo fratello minore. Fresco fresco di Accademia.
Di nuovo scelto al posto suo.
La propria nomina gli pareva un contentino banale.
« Ma è meraviglioso, » la voce di sua madre gli era arrivata più stridula che mai alle orecchie, « Entrambi i nostri figli designati dal Consiglio stesso a… e tu, Rui, così giovane! »
Con la coda dell’occhio, Kert avrebbe giurato che suo fratello avesse avuto anche il coraggio di arrossire: « Non capisco… »
« Non c’è niente da capire, figliolo, ti abbiamo sempre detto che le tue capacità vanno oltre ciò che immagini. »
Kert aveva fatto di tutto per tenere la bocca chiusa, rifiutandosi di guardare Rui finché il fratello aveva desistito e si era alzato di fretta, borbottando qualcosa sul parlare con Espera. Era stato abbastanza per far alzare pure lui da tavola e farlo marciare fuori alla ricerca della sbronza più veloce.
Pharart l’aveva intercettato qualche ora dopo, seduto a bordo del fiume che tagliava esattamente a metà la capitale. Era già stato messo al corrente della situazione, ed era così capace di contagiare gli altri con il suo entusiasmo che era riuscito a far riscuotere un po’ il maggiore dei Tha. Chi era comandante importava poco, gli aveva ricordato, non quando l’incarico loro assegnato era di tale portata e soprattutto perché sarebbero stati loro quattro a portarlo a termine, insieme, come da quattordici anni a quella parte.
E lui ci aveva creduto. Ancora una volta, si era impegnato con tutto sé stesso nei quasi diciotto mesi che c’erano voluti per prepararsi.
La vigilia della partenza gli aveva però donato un altro tassello di quel complicato puzzle.
Non si era neanche lamentato troppo quando gli era stato comunicato che la celebrazione d’arrivederci si sarebbe tenuta a casa dei Seles, ormai assuefatto a quelle circostanze e soprattutto finalmente esaltato dalla prospettiva che da lì a poche ore avrebbe viaggiato tra le stelle per raggiungere il Pianeta Blu, ponendo una distanza incredibile tra sé e tutti quei vincoli. Una volta stufo di ascoltare i giri di parole degli invitati, che li celebravano con argomenti futili, e soprattutto pur di togliersi da davanti la faccia piagnucolante di Espera, che pareva incapace di staccarsi da Rui, aveva preso a gironzolare per il palazzo, sorseggiando dal suo bicchiere e stiracchiandosi le membra.
La luce che filtrava dalla porta socchiusa della biblioteca era stato un invito troppo grosso per non avvicinarsi ed origliare.
Riusciva a padroneggiare il suo elemento con abbastanza maestria da evitare che la sua presenza fosse notata da chi sostava nella stanza; aveva però trattenuto il respiro lo stesso quando aveva spiato dalla fessura – un po’ per precauzione, un po’ per quanto aveva sentito.
Il padre di Espera sedeva su una delle eleganti poltrone rosse, di tre quarti rispetto all’entrata; davanti a lui, l’anziano Secondo Consigliere, per una volta senza le vesti che identificavano i membri del loro governo.
« Mi rendo conto che ciò che le chiediamo non è semplice, » stava sussurrando l’anziano, « Ma è un’occasione unica che gioverebbe in maniera inimmaginabile al bene del nostro popolo. »
« Lo comprendo, ma… mia figlia non è preparata. E dubito che Rui Tha accetterebbe di portarla con sé in questa impresa, che, dovrà darmene conto, non è sicuramente priva di rischi. »
Il Consigliere aveva accennato appena: « Sarebbe custodita da quattro dei migliori soldati che il nostro esercito ha mai prodotto. E siamo certi che i nostri innamorati si rallegrerebbero di non venire separati, di potersi sostenere a vicenda. »
« Ma come…? »
« Se Espera si trovasse sull’astronave, alla partenza, dubito che si potrebbero prendere accorgimenti differenti… »
Kert aveva smesso di voler ascoltare, in quel momento. Il danno di potersela ritrovare di nuovo davanti, di averla sempre in mezzo ai piedi…. E la beffa che davvero ci fosse molto più sotto di quanto sapessero. Di quanto Rui stesso sapesse.
Ma sarebbe mai stato in grado lui, di spezzare così il cuore del fratello?
Lo sbuffo di Zaur, che si sedette accanto a lui, lo distrasse dai propri ricordi.
« Ti va di darmi il cambio al monitoraggio? Mi sta venendo mal di testa. »
Kert poggiò con estrema cura la sua arma sul pavimento, ormai così lucida che poteva specchiarvisi dentro.
« La tua cara meditazione non funziona più? »
L’occhiata profondamente gelida lo divertì: « Se tu stessi mantenendo lo stesso livello di protezioni e scudi che ho in ballo da settimane, saresti già con la faccia per terra. »
« Sei tu che ti vanti di essere il più potente di Gaia. »
« Tu il più rompiballe. »
« Concordo! »
« Sta’ zitto, Pharart, e vieni a darmi una mano. »
 
 
 
 
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Minto concentrò tutta sé stessa per non affannare troppo rumorosamente mentre si scioglieva i capelli dalla coda di cavallo mezza distrutta e li legava nuovamente in un più fresco chignon. Forse le sue visite in palestra erano diminuite troppo e le sue lezioni di danza non erano più abbastanza, o almeno non per tenere il ritmo di Purin, a quanto pareva ancora fresca e pimpante dopo un’ennesima sessione di allenamento. Tra la biondina e gli Ikisatashi – che a dirla tutta impartivano ordini più che unirsi agli esercizi – non sapeva chi spingesse di più per “rimetterle in forma”.
Se non altro lei era ancora in piedi insieme a Zakuro, mentre Ichigo e Retasu erano afflosciate alla parete almeno da cinque minuti.
« Già finito? » le prese in giro Kisshu, solo un velo di sudore sulla fronte, « E io che pensavo fosse solo il riscaldamento. »
La mora gli scoccò un’occhiata truce: « Se non la pianti, continuo l’allenamento contro la tua testa. »
Lui rise e le si avvicinò per avvolgerle un braccio attorno alle spalle e stringerla a sé, mormorandole scuse poco sincere contro i capelli che le fecero solo alzare gli occhi al cielo.
Nel frattempo, Pai si avvicinò alle scorte d’acqua, guardando la fidanzata con palese preoccupazione: « Capisco che abbiamo iniziato solo da cinque giorni, ma - »
« Niente ma, » lo interruppe Ichigo, alzando un dito per ammonirlo, « Ho partorito da quattro mesi e mezzo, io. È già tanto che non stia vomitando per tutta la stanza. »
« Ichigo, kami-sama, che schifo. »
Purin ridacchiò e si sedette a gambe incrociate davanti a tutti loro: « Dite che i nostri ospiti non si sono fatti risentire per quello che è successo l’ultima volta? Per la tizia che ha… fatto boom e poi fiuuuu? »
Zakuro trattenne una risatina alla strana descrizione e si diresse a sua volta a dissetarsi: « Può darsi. Anche se non riesco a comprendere la loro strategia. Sono in cinque, anche mancandone una sola… »
« Ci deve essere qualcosa che non sappiamo, » concordò Pai, portando un bicchiere anche a una paonazza Retasu, « Il modo in cui quel Rui ci aveva praticamente sotto tiro ed è poi andato da lei… »
Il commento rimase sospeso nell’aria, e Minto non poté non notare come Kisshu parve portarsela un po’ più vicina.
« Spiegherebbe effettivamente che il comandante ha un buon controllo sulla sua squadra, nonostante il caratteraccio di quell’altro. E se lui è influenzato da così vicino dalla presenza della ragazza, forse dovremmo cercare di scoprire un po’ di più su di lei. »
« Comunque, meglio così, » esclamò di nuovo Purin, scrocchiandosi il collo, « C’era fin troppa energia quando c’era lei. Se le si sono scaricate le pile e gli altri non attaccano finché non sta meglio, ci torna comodo. »
« Non siete ancora riusciti a localizzarli? » pigolò finalmente Retasu, prendendo piccoli sorsi d’acqua, la voce solo un fiato stanco.
Pai scosse la testa, le iridi che assunsero un tono più scuro: « Niente. Neanche una traccia. Spero solo che il vostro robottino diventi sempre più puntuale a notificarci della loro presenza. »
« Si chiama Masha. »
« Sicuri sicuri che non sono in una dimensione come le vostre? »
« Te l’ho già detto, scimmietta, quelle dovremmo riuscire a percepirle. »
« Possiamo averne un ragionevole dubbio. »
« Tortorella, ora non essere spiacevole. »
« Scusami? »
« Oooookay, Chi vuole provare un po’ di arti marziali?! »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Espera raccolse l’acqua gelida nei palmi delle mani e se la portò al viso, sospirando soddisfatta quando il freddo sembrò rischiararle la pelle e la mente.
Le c’era voluto più del solito, ma le era tornato un po’ di colore sulle guance e ora finalmente riusciva a passare più di un’ora in piedi senza doversi aggrappare a Rui o al muro.
Patetica. Era assolutamente patetica. Non avrebbe dovuto trovarsi lì, a mettere a rischio la carriera di Rui. A sentirsi come un esperimento vivente.
Un sospiro tremolante le scappò dalle labbra e si sciacquò la faccia una seconda volta. Le mancava casa così tanto che a volte pareva le si sarebbero spezzate le ossa sotto il peso di quella situazione, sotto le frustrazioni di quel pianeta, sotto tutto quello che riusciva a percepire.
« Ehi, » Rui picchiettò le nocche contro lo stipite della porta e le rivolse un sorriso gentile, « Va tutto bene? »
Espera ricambiò con quanta più convinzione possibile: « Dovevo alzarmi, » lo rassicurò, « Ormai il letto ha un buco della mia forma. »
Lui rise e le offrì la mano, per poi tirarla dolcemente verso sé non appena la afferrò: « Te la senti di venire di là con gli altri? Stiamo discutendo un po’ il da farsi. »
Lei deglutì ma annuì da sotto la frangetta, intrecciando le dita con le sue.
« Certo, basta che non la considerino un’intrusione. »
« Sei a tutti gli effetti parte di questa missione anche tu, » la rasserenò lui, avviandosi per il corridoio e poi guardandola da sopra la spalla, « Per quanto tu sappia che la cosa non mi va a genio. »
« Smettila, » gli sussurrò di rimando, sfiorandogli il braccio con la mano libera, « Continuare a rimuginarci sopra non ti fa bene. Ormai sono qui. »
« La prossima volta gradirei non trovarti come un pacco regalo nel bel mezzo della navicella. »
La prossima volta un corno, avrebbe voluto rispondere lei, ma preferì mordersi la lingua e concentrarsi su un sorriso meno tremolante mentre entravano nel salone.
Kert, Pharart e Zaur erano in piedi davanti ai sistemi di monitoraggio, e se due di loro la salutarono con più o meno calore, un altro quasi non degnò di riconoscere la sua presenza.
« Come sta andando? » domandò, in un tentativo di apparire convinta e spensierata.
Il biondo le offrì un sorriso sincero: « Stiamo cercando di capire che poteri abbiano queste strane umane. Alcuni parrebbero simili ai nostri, altri… »
« Altri non hanno un cazzo di senso, » concluse Kert, le braccia muscolose incrociate al petto, « E poi perché le… ? »
Espera non trattenne una risatina quando lo vide imitare coda e orecchie, ma si fece più seria a riguardare i video che scorrevano sul monitor: « Anche loro sono giovani. Forse anche più di noi. »
« Ti cambia qualcosa? »
Rui guardò storto il fratello per lo scatto verso la ragazza, avvicinandosi inconsciamente di un passo: « Se continuare a monitorarle per ottenere più informazioni possibili su di loro non è abbastanza, dobbiamo cambiare strategia. Ma nonostante la disparità numerica – »
« L’ultima volta li abbiamo rimessi a posto, » ghignò Kert, prima di guardare nuovamente con acredine l’aliena mora, « Prima dell’interruzione, giusto. »
Espera non riuscì a non alzare gli occhi al cielo nonostante la punta di senso di colpa che le si allargò nel petto, accentuata dall’ennesimo ringhio di avvertimento che il compagno rivolse a Kert.
« Idee proattive, per piacere. »
Kert fece schioccare la lingua, già irritato dalla stasi di quei giorni e dalla presenza di quel visetto smunto, e lanciò un’altra occhiata verso lo schermo su cui continuavano a ripetersi fotogrammi del loro precedente scontro.
Forse un’idea ce l’avrei.
« Qualcosa che magari abbia più effetto di quanto ottenuto ora. »
Alla voce che uscì dall’ombra, e che li fece voltare tutti con prudenza, Kert non smorzò il gemito di sconforto mentre Rui aggrottava le sopracciglia e scrutava il buio con più attenzione.
« … Sunao? »
« In persona, Rui. Ma di certo non qui per servirvi. »
Dall’angolo opposto della stanza, apparve un’aliena alta e snella, con dei lunghi capelli violetti sormontati da un doppio chignon; portava con sé un bastone bianco alle cui estremità luccicavano due sfere che parevano dense di una nebbia lattea.
« Naktya, Kyurai, Espera. È un piacere vedervi. »
Mentre Pharart lanciava uno sguardo confuso ai compagni, stupito e un po’ intimorito dalle iridi color agata, il viso di Espera si aprì in un luminoso sorriso e lei fece per fare un passo avanti, ma poi parve ricordarsi della situazione e si fermò accanto a Rui: « Che ci fai qui? »
« Vengo in veste ufficiale di Messaggera del Consiglio, » rispose Sunao, avvicinandosi ulteriormente, « È passata quasi una settimana dal vostro primo, reale attacco contro la Terra. Diciamo che c’è… interesse a capire come pensate di agire. Dopotutto, immagino gradireste tutti fare in modo che la vostra missione si concluda il più presto possibile. »
L’altra ragazza si rabbuiò e si morse il labbro inferiore, ma il dorso della mano di Rui sfiorò la sua con delicatezza: « Il Consiglio avrà sicuramente ricevuto i nostri rapporti. »
Il sorriso della nuova arrivata parve poco rassicurante: « Con me si fa più in fretta. »
Kert impiegò tutti i suoi muscoli per rimpicciolire la smorfia che gli nacque spontanea – se stava suggerendo che pure lei si sarebbe unita alla spedizione…
Lo sguardo violetto brillò di divertimento e si spostò su di lui: « Rimango per il tempo necessario, Kert. »
Lui sussultò ma le rivolse un ghignetto di riconoscimento, tentando al tempo stesso di ignorare le occhiate sbigottite che Pharart continuava a rivolgergli nel tentativo di catturare la sua attenzione.
« D’accordo, allora, » Rui fece un altro passo avanti e le dedicò un sorriso aperto, « Da parte mia sono sempre grato del tuo aiuto. Zaur, per favore, ripristina il video dall’inizio. Ci sono state delle complicanze, come ben saprai. »
L’aliena si avvicinò ai loro schermi, soffermandosi qualche secondo di più a sorridere a Espera – più allegra di quanto non fosse mai stata – prima di concentrarsi sulle immagini; le si formò una ruga tra gli occhi e la nebbia nel suo bastone parve pulsare un paio di volte, poi si voltò verso la ragazza.
« Quindi… è vero? »
Espera annuì e si torturò di nuovo il labbro, stringendosi nelle spalle: « Parrebbe di sì. »
« È anche il motivo per cui stiamo aspettando, » aggiunse Rui, sfiorando la schiena della sua compagna, « I poteri di Espera sono molto più acutizzati qui sulla Terra, e la sua guarigione ha preso più tempo del previsto. »
« Non sia mai lasciare la donzella in difficoltà a casa, » commentò sottovoce Kert – quasi al buio in un angolo, come a rendersi meno visibile possibile – guadagnandosi l’ennesimo sguardo truce.
Sunao non lo ascoltò ma annuì verso la mora: « Sono notizie rilevanti. »
Lei sembrò impallidire un po’ di più: « Lo so. Lo sappiamo. »
Le dita affusolate della Messaggera si strinsero attorno al bastone, che questa volta brillò più deciso: « Sono sicura che il Consiglio ascolterà la vostra strategia, in luce di tutto. »
Espera sorrise, poi uno sbadiglio improvviso la costrinse a scuotere la testa, e Rui le si affrettò accanto: « Meglio che torni a letto. »
Mentre lei annuiva e salutava ancora la nuova arrivata, avviandosi con il compagno verso la loro stanza, Kert fece nuovamente un verso di disappunto: « Il Consiglio dovrebbe occuparsi della politica su Gaia e lasciare a noi i piani militari. Viste anche le loro sorpresine. »
Sunao si voltò lentamente verso di lui, che si pentì di aver dato aria alla bocca come suo solito, però rise maliziosa: « Sorpresina? Non ci vediamo da quasi un anno e questo è il trattamento che mi riservi? »
Lui bloccò uno sbuffò, poi le regalò un sorriso smagliante: « Dolcezza. »
Lei piegò un sopracciglio, poco convinta: « Possibile che debba inseguirti anche all’altro capo dell’universo? »
« Sei davvero qui, o…? »
Sunao rise e compì gli ultimi due passi verso di lui, che s’irrigidì d’istinto; fece per posargli una mano sul petto e poi lo attraversò completamente, causandogli un brivido di fastidio.
Un ologramma.
Kert non riuscì a trattenere il sospiro di sollievo che gli scivolò tra i denti mentre Sunao spuntava alle sue spalle: neanche sforzando i suoi occhi allenati era possibile rivelare l’illusione, tanto la tecnologia – e, lo sapeva, le doti particolari dell’aliena – erano potenti.
Almeno avrebbe affrontato un problema alla volta.
« Dai, almeno dimmi che ti dispiace. »
« Tu sogni, Sunamora. »
Lei lanciò i capelli sopra la spalla mentre incrociava le braccia e un sorrisetto furbo le si disegnava sulle labbra: « Sapessi cosa, Tha. »
Lui gemette esasperato, alzando gli occhi al cielo: « Non sono dell’umore. »
Sunao sventolò una mano come a dirgli di non lamentarsi: « Allora vai a fare un giro e lascia giocare i bambini grandi. »
Si scambiò uno sguardo con Zaur e si sistemò di nuovo alla posizione di monitoraggio, a studiare i vari filmati; Kert avrebbe voluto replicare, irritato più del solito, ma ritenne più saggio approfittarne e sgattaiolare via, verso la penombra sicura della stanza che si era assegnato.
Maledizione, maledizione, qualcuno mi deve volere davvero male.
Neanche mezzo minuto, e la voce di Pharart lo raggiunse a metà del corridoio.
« Cos’è che sapete tutti e io no? »
Lui si fermò e lanciò la testa all’indietro, svuotando del tutto i polmoni: « Ti prego, non ti ci mettere anche tu. »
« Spunta una gnocca da paura che a quanto pare conoscete tutti e che in più parla a nome del Consiglio e non mi ci devo mettere? » il biondo insistette e lo prese per una spalla, costringendolo a voltarsi, « E poi cos’era tutta quella… cosa tra voi due? »
Kert digrignò i denti a vederlo mimare la maniera in cui Sunao gli si era avvicinato, poi schioccò le labbra: « Si chiama Sunao Sunamora, e siccome potrebbe spedirti indietro a Gaia con un calcio, lavora per le dirette dipendenze del Consiglio. La Messaggera è solo un titolo arzigogolato per darle un’aria più ufficiale rispetto alle cose che combina ogni tanto. »
L’amico alzò un sopracciglio: « Cosa combina? »
« Chiedilo a lei, se hai coraggio. Però ti avviso, ai Supremi è utile pure perché la sua capacità maggiore è la telepatia. »
Pharart fischiò e si lanciò un’occhiata sopra la spalla: « Sapesse cosa sto pensando io ora… »
« Fidati, non ti conviene. »
« E quindi? » insistette, « Com’è che tu sai tutte queste cose? »
Gli occhi dorati si strinsero: « … Ci conosciamo da quando eravamo piccoli. »
« Ti prego, dimmi che sei stato baciato dalla sorte. Letteralmente. »
Kert avrebbe voluto strozzarlo, ma si limitò a bisbigliare a labbra strette: « Come vedi, io e lei abbiamo idee differenti. »
Ci volle mezzo secondo, poi Pharart sbatté le palpebre e assunse un’espressione scioccata: « Lei?! » la sua voce si alzò di qualche ottava mentre puntava un dito dietro la schiena, « Lei ha un conclamato interesse per te e tu non ne vuoi sapere? »
Kert ringhiò a bassa voce: « Sei tu che non sai l’intera storia. »
« Non credo mi interesserebbe visto il soggetto! »
« E che soggetto, » l’amico sbuffò e gli lanciò un’occhiata obliqua, « Ti ricordi quando hai deciso di chiuderla con la figlia del tuo vicino? Ecco, però moltiplicala per quella che è la Messaggera del Consiglio. E non credo sia una grande attrattiva per il resto del pubblico femminile, pensare che a lei possano scattare cinque minuti di gelosia una volta conclusasi la faccenda. »
Pharart continuò a fissarlo come se avesse perso qualche rotella, poi scrollò le spalle e stese una gamba per fare un passo: « Perfetto, allora sicuramente non ti dispiace se ci provo io. »
Il braccio di Kert gli si parò davanti di scatto, il pugno che si chiuse attorno alla stoffa della sua maglietta mentre gli occhi dorato lo folgoravano; il biondo rise e posò il palmo sul polso dell’altro mente alzava un sopracciglio: « Vedi che non sei credibile. »
« Erreskorakas. (*)»
L’amico si liberò con un guizzo della mano e continuò come se niente fosse: « Comunque, voglio sapere tutto di lei. Dove e come l’hai conosciuta, perché non l’ho mai vista, cosa hai combinato, e soprattutto perché e come le possa piacere un buzzurro come te. »
« In quale mondo sono affari tuoi? »
Pharart gli rivolse un sorrisetto così ammiccante che sapeva stesse rischiando un cazzotto in piena bocca: « In questo. »
Kert lo raggelò con lo sguardo e digrignò i denti, imprecando di nuovo mentre il biondo sghignazzava soddisfatto. Rui li raggiunse in quel momento, chiudendosi piano la porta di Espera alle spalle e concedendo al fratello la grazia di nascondere anche lui il ghigno divertito di chi aveva sentito tutto.
« La famiglia Sunamora abitava poco distante da noi, » spiegò, afferrando con affetto la spalla di Kert, « E lei, come Espera, è rimasta a soggiornare a casa per gli anni dell’Accademia. Ecco perché forse non l’hai vista. Il resto è un mistero anche per me. »
« Che maschio ingrato. Io mi vergognerei. »
« Tu sei a cinque secondi dal ritrovarti con la trachea spezzata a metà. »
Rui ridacchiò e li spinse di nuovo entrambi verso il salone principale: « Possibile che abbiate ancora quindici anni? »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
La pioggia batteva incessantemente su Tokyo da due giorni, e anche Zakuro, che aveva sempre trovato una nota amaramente confortante nei cieli grigi, sospirò stanca della situazione. Il trucco da telecamera che aveva indosso, poi, sembrava ancora più pesante sulla pelle con la cappa di umidità perenne che spingeva su di loro, e lei bramava dalla voglia di poterselo togliere sotto una doccia bollente.
Il fatto di essere poi su un set di una finta spiaggia caraibica non aiutava certo la situazione.
« Scena trentacinque, tra due minuti! »
Tentò di non sbuffare troppo sonoramente; aveva terminato le sue parti per quella giornata, ma a volte il regista si incaponiva a farli rimanere lì in caso di eventuali cambi di idee, o suoi sbalzi d’umore. Amava il suo lavoro, ma amava pure essere libera di poter fare ciò che voleva quando le era dato.
« Vuoi qualcosa da bere, onee-sama? »
Rivolse un accenno di sorriso a Minto, impeccabile nonostante la lunga giornata e una tazza di cartone ben stretta tra le mani: « No, grazie, tra poco dovremmo andarcene. »
La mora non sembrò molto convinta e controllò di nuovo l’agenda nel suo telefono di lavoro: « Mezz’ora in più, per ora. Questa volta Tanizaki-san mi sente. »
« Non ne vale la pena, » commentò piatta Zakuro, « Si agiterebbe solo di più. »
Minto alzò gli occhi al cielo: « La puntualità è una grande dote che sta andando persa, » mugugnò, poi si frugò nella tasca della giacca per placare il ronzio che se ne levò e il suo sguardo si fece ancora più frustrato, « E comunque Pai la deve piantare con questa mania del check ogni tre ore! »
La modella osservò i due connettori, prontamente affibbiati dagli alieni alle Mew Mew per “ovviare le mancanze tecnologiche terrestri”, che la mora teneva in mano e su cui premette un po’ a caso.
« Come se non fossimo già abbastanza in ansia! E poi cos’è, non si fida? »
Zakuro nascose un sorrisetto: « Lo sai che gli piace avere tutto sotto controllo. »
Di nuovo, Minto si lanciò andare in una plateale dimostrazione di stizza: « Il fiato sul collo non aiuta! »
L’altra fece per replicare, ma un trillo dal suo telefono personale distrasse l’amica per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta le fece arricciare il naso.
« Tieni, » mormorò, passandole il cellulare, e Zakuro non ebbe bisogno di guardare il display per capire da chi provenisse il messaggio.
Forse avrebbe dovuto dirle qualcosa, prima che Minto scoppiasse. D’altro canto, mettersi subito a parlare di etichette, divulgare informazioni, ancora prima di averne parlato per bene…
« Dimmelo se devo farti modifiche all’agenda, » continuò la mora con finta nonchalance, guardando dritto davanti a sé, « In teoria il tuo unico momento libero sarebbe stasera perché hai una cena con i produttori domani, le riprese in notturna dopodomani e un’intervista a pomeriggio tardi, e Ichigo voleva fare qualcosa nel weekend, ma ovviamente lei è la meno importante. »
« Non c’è bisogno, » si limitò a replicare, digitando una risposta veloce, « Stasera andrà bene. »
« Mmmm, » Minto le lanciò un’occhiata di soppiatto, mentre controllava l’ora sul display, « Sono già le sette. »
Zakuro intuì bene il doppio significato di quel commento all’apparenza innocuo, ma fece finta di nulla: « Sono sicura che tra poco finiremo. Immagino che anche Kisshu ti stia aspettando. »
La mora sembrò irrigidirsi, punta sul vivo: « Mah, sarà al Caffè. Non abbiamo piani. »
L’amica strinse le labbra per non sorridere, scegliendo di non sottolineare che non avessero piani giusto perché passavano comunque tutto il tempo libero insieme senza doversi dire nulla, ma sapeva benissimo che Minto era su di giri dall’arrivo dei loro nuovi nemici e non aveva senso stuzzicarla ulteriormente.
Il rombo di un tuono lontano echeggiò anche negli studi, causando un tremolio nelle luci potenti e qualche mormorio tra la troupe presente; le due ragazze si scambiarono un’occhiata preoccupata, memori della settimana precedente, ma sia i connettori che telefoni e pendagli rimasero muti.
« Che tempaccio, » sospirò Minto, « Sono esausta. Vorrei solo infilarmi in una vasca da bagno. »
Zakuro si stiracchiò il collo e guardò fuori dalle finestre, dove un lampo rimbalzò di nuovo tra gli edifici.
« Gli altri dove sono? »
La mora si strinse nelle spalle: « Credo davvero al Caffè. Non penso Retasu e Ichigo si siano sottoposte volontariamente alla tortura degli allenamenti senza di noi, oggi, poi a Reta-chan piace studiare là, soprattutto se c’è Pai. Di Purin non ne parliamo. »
« Lo sai che le era mancato, forse sta cercando di recuperare il tempo perso. »
Minto lasciò passare un altro tuono e digitò un altro paio di volte sul telefono: « Quindi ti segno come irraggiungibile stasera. »
Zakuro dovette trattenersi dallo sbuffare: « Tranne per le emergenze, o voi, ovviamente. »
« Domattina la tua prima chiamata per le riprese è alle nove e mezza. »
« Nessun problema. »
Anche con la coda dell’occhio, poteva vedere l’amica fremere indispettita, il naso arricciato in quella smorfia così sua.
« E comunque non capisco cosa ci tro- »
L’ennesimo boato fece sussultare le luci e sembrò scuotere i muri, provocando un silenzio impensierito negli astanti; questa volta, però, fu seguito da un distinto squillare di cellulari.
Minto impallidì mentre Zakuro sibilò una parolaccia tra i denti, alzandosi veloce dalla propria sedia e strappandosi la carta velina infilata nel colletto. Il pendaglio Mew che aveva in tasca iniziò a gracchiare, quasi inudibile sotto il vociare allertato dei colleghi e della troupe.
« Ragazze, tocca a voi! » la voce di Keiichiro le parve provata, « Dovete venire al Ca- »
La comunicazione s’interruppe, un rumore inquietante che invece si sollevò dai piccoli microfoni. D’istinto, Zakuro afferrò la mano di Minto e la trascinò verso l’uscita, dove si stava già assiepando tutta la folla che aveva lavorato con loro quella giornata. Virò allora verso un corridoio secondario, dove avrebbero potuto trasformarsi senza essere viste da nessuno e andarsene di lì più rapidamente.
Udì la mora trafficare di nuovo in tasca, poi la voce di Kisshu che uscì dal connettore, un po’ più chiara rispetto che con i loro congegni:
« Dove siete? »
« Stiamo arrivando, » rispose concitata lei, prendendo un respiro di sollievo quando sgusciarono via dalla massa di persone che aveva premuto loro contro, « Abbiamo tardato a lavoro, ma Akasaka-san - »
« Vi vengo a prendere. »
« No, » s’intromise rapida la mewlupo, ripensando a come si era interrotta la comunicazione con il pasticcere, « Tu servi al Caffè, arriviamo subito. »
Qualcosa doveva essere successo, perché per una volta Kisshu non protestò troppo.
Lei e Minto si scambiarono solo un’altra occhiata, prima di accertarsi che fossero davvero sole e avvolgersi di luci colorate.
« Di là, » la mewbird strinse il suo arco e indicò con un cenno del capo un’uscita d’emergenza, avviandosi a passo spedito.
La pioggia sembrava essere aumentata d’intensità e colorava tutto di una deprimente sfumatura di grigio che parve incrementare il gelo delle gocce contro la pelle nuda e il senso d’inquietudine alla bocca dello stomaco, ma non lasciarono che le deconcentrasse troppo. Zakuro esitò solo un secondo per rispondere a quel messaggio prima di mettersi a correre con tutta la forza che aveva.
Credo che dovremo rimandare la cena.
 
 
 
 
Retasu era effettivamente seduta a uno dei tavoli in angolo del salone del Caffè, una ennesima tazza di tè bollente che le fumava accanto per aiutarla a riscaldarsi vista l’umidità esterna e concentrarsi sui voluminosi tomi aperti davanti a sé. La finta chiusura del locale era per lei un’ottima occasione per studiare senza interruzioni, senza troppo rumore, e soprattutto per rifugiarsi in un posto accogliente e vicino agli altri, e sapeva già che le sarebbe dispiaciuto terribilmente quando avrebbero dovuto ricominciare ad aprire le porte al pubblico.
Il fatto che così facendo potesse passare molto più tempo attivamente con Pai (e senza dispettose colleghe tra i piedi) era la ciliegina sulla torta.
« Dovresti dire al tuo fidanzato che il divano nel laboratorio è fatto per essere utilizzato, » si lamentò Ichigo, seduta davanti a lei, per l’ennesima volta, massaggiandosi la schiena e stiracchiandosi impunemente, « Dopo un po’ le sedie diventano scomode. »
La verde sorrise e scosse la testa: « Non si studia sul divano, Ichigo-chan. »
Lei brontolò, la mente che divagò all’ultima volta che effettivamente lei e Shirogane avevano tentato di studiare sul suo divano, e poggiò il mento sui polsi, guardandola con due occhioni da cucciolo: « Ti manca molto? Mi annoio. »
« Hai già finito il tuo libro? »
« Non è una lettura così entusiasmante, » mugugnò, studiando il tomo sullo svezzamento, « L’alternativa è fare l’inventario con Purin e Keiichiro, o il laboratorio. Dove sono chiaramente una persona non gradita. »
Retasu ridacchiò e chiuse il proprio libro, lanciando uno sguardo all’orologio: « Okay, direi che oggi può bastare. Ma solo perché siete voi. »
Guardò con affetto Kimberly, tranquilla nella sua culletta che ogni tanto lanciava un versetto di contentezza, una delle tante copertine che le aveva regalato a tenerla al calduccio.
« Tra un po’ te ne servirà una nuova e più invernale, » commentò, sfiorando il cotone grosso con le dita e al tempo stesso lasciando una carezza alla piccola.
« Non dirmelo, ho già messo via un sacco di suoi vestiti, » esalò la rossa, « Di questo passo le cambierò armadio sette volte prima che compia un anno. E a proposito di armadi, ci dobbiamo inventare qualcosa per Minto-chan, tra poco è il suo compleanno. »
La verde annuì: « Dici che anche stavolta organizzerà la solita festa? »
Ichigo la guardò, ben intuendo: « Lo sai come è fatta, come minimo dice che non vuole che niente cambi la sua routine. Oppure ci dice che ci stiamo concentrando sulle cose sbagliate. Basta che lo dica in fretta così so cosa mettermi. »
Retasu rise sotto i baffi, e prese un altro sorso del suo tè.
Poi accadde tutto troppo velocemente perché lei riuscisse a seguire gli eventi. La tazza le scivolò tra le dita quando i sistemi di allarme risuonarono all’improvviso, mozzandole il fiato e facendole perdere qualche battito al cuore, mentre essa si frantumava in diversi pezzi e schizzava liquido bollente ovunque.
L’intero mondo sussultò e oscillò attorno a loro con un inquietante cigolio di cemento e un terribile boato sordo.
Non seppe chi gridò prima, se lei, Ichigo, la bambina, o i ragazzi che spuntarono atterriti dal piano di sotto: seppe solo che istintivamente si lanciò sotto il tavolo, mugolando piano al contatto con la sua bevanda mentre si copriva la testa con le mani, per proteggersi, per non sentire quel suono.
« Retasu! »
Pai la raggiunse e l’aiutò a tirarsi in piedi, scrutandola alla ricerca della più piccola ferita; lei registrò a malapena la presenza degli altri, di Ryou che correva da Ichigo e Kimberly, di Kisshu e Taruto che imprecavano sottovoce con una pallidissima Purin vicino a loro.
« Che… che sta succedendo? »
« I nostri nuovi amici sono qui, » rispose sibilando Kisshu, i sai che luccicarono inquietanti sotto i led del locale, « E a quanto pare hanno scoperto la base. Sfortunatamente per loro, Taruto è più in gamba di quanto faccia intendere. »
« Ha tenuto, » l’alieno dagli occhi ametista le parve incredibilmente confortato mentre ripeteva, « Ha tenuto. »
Taruto, le armi già impugnate, gli scoccò solo un’occhiata critica, nonostante la gemella espressione di sollievo: « Grazie della fiducia. »
Un lampo di luce gialla, e MewPurin rivolse alle amiche un sorriso che tentò di essere confortante: « Andiamo. »
Ichigo annuì, e guardò indietro solo una volta a marito e figlia: « Non ci farò mai l’abitudine. »
 
 
 
 
« Oh, ma andiamo, » Kert abbassò la sua arma e fece schioccare la lingua contrariato, « Così è ingiusto. »
Quello strano, vezzoso locale infatti era ancora in piedi, completamente intonso, come se il getto d’aria compressa che gli aveva scaricato addosso non l’avesse nemmeno scalfito. Perché effettivamente non l’aveva intaccato, l’unica traccia della sua esistenza erano i cespugli sradicati e l’erba divelta lì attorno, che mandava ora un intenso profumo di terriccio bagnato.
Quegli umani erano una sorpresa continua.
Si scostò i capelli fradici dal volto e lanciò un’occhiata a suo fratello: « Non puoi fare niente? »
« Vuoi seriamente sprecare tempo a lamentarti di un temporale? » lo rimproverò Zaur, la frangia ancora più appiccicata del solito sugli occhi.
« Vorrei vederci quando combatto. »
« Potresti sempre tagliarti quella chioma fluente. »
« Senti chi parla. »
Rui scoccò un’occhiataccia a lui e Pharart: « È ora di smetterla con le stupidaggini. »
Kert sganciò l’accetta che teneva alla cintola e sorrise maligno nel vedere i loro cugini e le umane – tre di loro, almeno – correre fuori dalla loro tana.
« Concordo. »
Scattò verso il basso, i suoi tre compagni che lo seguirono con traiettorie leggermente diverse, la lama salda anche tra le dita bagnate. Kisshu lo intercettò praticamente a metà strada, uno stridio metallico che rimbombò sotto il rumore della pioggia all’incrociare delle loro armi.
« Non ti è bastata l’ultima volta? »
Il ghigno di Kert si allargò un po’ di più mentre gli occhi dorati fiammeggiavano di stizza: « Sarà un piacere ripagarti, Duuariano. »
 
 
 
 
« Ne manca una! »
MewIchigo scartò di lato ed evitò una freccia di Pharart per un pelo, ricambiando con un Ribbon Strawberry Surprise che almeno riuscì ad accecarlo per un paio di istanti. MewPurin, accanto a lei, seguì il suo attacco con un paio di budini che permisero loro di prendere fiato per un secondo.
« Meglio così, » borbottò la biondina, passandosi una mano sulla fronte, « Non ci tengo a rivedere il trucchetto luminoso. »
La mewgatto annuì, osservando Rui combattere contro Taruto con la spada, stavolta, di dimensioni ridotte.
Un altro tuono rombò per il giardino, seguito dallo schiocco della frusta di MewZakuro, che comparve insieme a MewMinto alle loro spalle.
« Tutto bene? » quando le altre due annuirono, la mewlupo domandò preoccupata, « Che è successo? »
« Hanno attaccato il Caffè, credo con il bazooka di quello là, » MewPurin accennò col mento a Kert, ancora a mezz’aria in un duello personale con Kisshu, « Ma la barriera che Taruto ha eretto ha attutito il colpo, non ci siamo fatti niente. »
« Io ho perso tre anni di vita, ma sì. »
MewZakuro schioccò la lingua e aggrottò le sopracciglia: « Quindi ci hanno trovati. »
« Non ricordarlo a Pai nii-san, per favore, è già abbastanza su di giri così com’è. »
MewMinto sembrò non apprezzare troppo il sarcasmo, lo sguardo impensierito che seguiva la zazzera di capelli verdi praticamente neri sotto l’acqua.
Si lanciò in avanti, affiancandosi a MewRetasu che insieme a Pai cercava di tenere Zaur il più lontano possibile da loro.
« Ancora non ho capito quali sono i suoi poteri, » esalò a denti stretti, e gli occhi ametista incrociarono i suoi per un istante veloce:
« Nemmeno io. »
Fu abbastanza per farla rabbrividire.
 
 
 
 
Non l’avrebbe mai ammesso, neanche a sé stesso, ma quello stupido traditore Duuariano gli stava davvero dando sui nervi.
E, di nuovo, sarebbe morto prima di ammetterlo ad alta voce, ma sarebbe stato cento volte più comodo se quell’arpia di Sunao fosse stata più che una immagine ad alta definizione confinata entro gli apparecchi della loro base. Anche se la tensione che il suo arrivo gli aveva provocato poteva essere meglio canalizzata contro i suoi nemici.
Scagliò un altro colpo verso di lui, richiamando a sé quel vento insolito; la sua arma preferita gli premeva contro la schiena, ma sarebbe stato impossibile imbracciarla e colpire quando il suo oppositore lo pressava così tanto.
Ed era svelto, il bastardo; meno corpulento di lui ma altrettanto forte e, di contro, forse più agile, con quel sorrisetto soddisfatto che avrebbe voluto cancellare con un cazzotto ben assestato.
Poteva quasi avvertire i propri guanti chiodati bruciare di voglia.
Kisshu – così l’aveva sentito chiamare da quella tizia alata che sembrava essere sempre nel suo raggio d’attenzione, più o meno – gli spedì contro un fiotto d’elettricità che lui fu svelto a far rimbalzare via contro uno sbuffo d’aria reso più solido. Anche se gli sembrava che i suoi poteri non gli appartenessero bene, su quel pianeta. Come se gli elementi faticassero a riconoscerlo tanto quanto lui faticava a riconoscere loro.
Ricambiò con un affondo di accetta che fu parato dai tridenti con uno stridio insopportabile, e i due avversari si spinsero lontani a vicenda in un ringhio di comune disdegno.
Kert strinse il pugno, lanciandosi i capelli oltre la spalla e ritornando alla carica.
Forse devo cambiare strategia.
 
 
 
 
Non vedeva – colpo – un – colpo – accidente – colpo.
MewRetasu prese un respiro all’ultimo attacco che lanciò e che s’infranse contro lo scudo invisibile, o qualsiasi cosa fosse, attorno all’alieno dagli occhi neri, rabbrividendo appena sotto le gocce gelide che continuavano a tormentarli.
Ogni volta l’ironia del suo rapporto con l’acqua le veniva rimembrato.
Si gettò di lato seguendo Pai e il suo ventaglio quando Zaur scese pericolosamente verso di loro: l’alieno combatteva con un bastone e sembrava perennemente avvolto da un alone scuro, come fatto di ombre, ma il suo fare era svogliato, pigro, quasi si stesse annoiando ad essere lì, e soprattutto manteneva sempre una certa distanza che, più che rassicurarla, la innervosiva.
Scagliò l’ennesimo Ribbon Lettuce Rush e caracollò via non appena il bastone di Zaur lo parò, quasi facendolo scoppiare di ritorno verso di lei.
All’improvviso, una liana di Pharart saettò verso di lei, che per evitarla inciampò all’indietro, reprimendo un urletto di sorpresa; la frusta di MewZakuro s’interpose tra loro, bruciando la radice a metà e facendola uggiolare di dolore.
« Tutto okay? »
« Sì, » rispose senza fiato all’amica, « Sto be - »
Il fiato le si mozzò di nuovo in gola, ma questa volta come se ci fosse una mano, no, una roccia a premerle sul petto; strizzò gli occhi e poi li spalancò, boccheggiando per capire cosa stesse succedendo, perché non riuscisse più a respirare.
Non si era accorta, nel suo sfuggire, che aveva ridotto lo spazio a separarla da Zaur, e ora l’alieno le fluttuava poco distante, gli occhi neri che sembravano ossidiane senza fine.
Fine.
Non ci sarebbe stato altro, per loro, se non la fine di tutto, che le avrebbe attanagliate come quella morsa che ora le impediva di pensare lucidamente, che le bloccava l’ossigeno.
Non c’erano altre emozioni se non la più totale apatia.
Fine.
Nero.
Buio.
Cosa sta succedendo.
Io non –
Retasu lanciò un rantolo e si portò a gattoni, tenendosi una mano sulla gola: sentì Zakuro chiamarla, ma poi anche l’amica emise un gemito strozzato e sembrò bloccarsi sul colpo, al bordo del suo campo visivo. L’alieno atterrò con delicatezza sull’erba bagnata; un guizzo di viola alle sue spalle, ma Zaur lanciò una mano dietro di sé e anche Pai cadde in ginocchio, come colpito da un pugno invisibile.
Niente. Niente. Non c’era più niente.
« Ragazze! »
Avrebbe voluto dire a MewPurin di rimanere indietro, lontana, ma dalla gola le uscì solo un roco soffio che si affievolì come la sua speranza.
 
 
 
 
L’urlo spaventato gli fece scorgere il subbuglio poco sotto di loro, notò con squisito piacere che Zaur stava usando uno dei suoi trucchetti preferiti su quelle umane. Tre di loro si erano avvicinate, ed erano ora immobili, insieme allo sporco traditore in carica.
Gli stava bene. E forse era proprio l’opportunità che cercava per sbloccare quella situazione, per capire perché alla fine il loro potere ammontava solo a quello.
Non aveva tempo di parlarne con Rui, ma era sempre stato un fervente sostenitore del “meglio chiedere scusa che chiedere permesso.”
Spinse con tutta la forza dei suoi muscoli contro Kisshu e lo forzò lontano, per poi allontanarsi a sua volta; vide negli occhi dorati, così insopportabilmente simili ai propri, una scintilla di soddisfazione al pensiero che forse si stava ritirando.
Sciocco.
Portò la mano dietro la schiena mentre continuava a volare, il Duuariano che prese a inseguirlo, e liberò la propria arma dai lacci che l’assicuravano; si lasciò poi cadere in verticale per un paio di metri, per avvicinarsi il più possibile al suo obiettivo, e dal nulla fischiò, un fischio che era stato affinato con anni e anni di pratica, di amicizia, di fratellanza. Un fischio a cui i suoi compagni reagirono quasi d’istinto, anche senza sapere perché, allontanandosi velocemente da qualsiasi cosa stessero facendo.
Poi Kert prese la mira e sparò.
 
 
 
 
MewMinto stava facendo a mantenersi dritta con quel cavolo di vento che sembrava essere aumentato, e la pioggia battente le infastidiva le ali come non mai, pur non bagnandole ma rendendo il volo più complesso. E non si soffermò sul fatto di essere assolutamente fuori esercizio, per quanto riguardava il volo.
Scoccò un’altra freccia e mirò dritto a Rui, ma lui, anche con la spada in formato ridotto, riusciva a parare ogni loro attacco. Strinse i denti e volò più rasoterra, cercando di trovare un punto in cui fosse scoperto o che almeno, combinandosi con MewIchigo e Taruto, le avrebbe permesso di colpirlo.
Doveva anche smetterla di pensare a Kisshu e di lanciare occhiate preoccupate a quel deficiente ogni cinque minuti, ma non le rendeva certo il compito meno facile quando se ne andava in solitaria a fare il supereroe.
Strinse i denti e lanciò un’altra freccia, che sibilò nell’aria e mancò il bersaglio di pochi centimetri, perché Rui era stato sveltissimo a teletrasportarsi dall’altra parte, dietro Taruto e la mewrosa.
MewMinto lanciò uno sguardo alla sua sinistra, captando la voce preoccupata di MewPurin nello stesso istante in cui lo fece il giovane Ikisatashi, e il cuore le diede un tremolio mentre la mente cercava di processare le immagini.
Poi udì quel fischio, così acuto e brillante, seguito dallo sbotto di Rui che non comprese ma che le sembrò comunque una maledizione; poi udì l’ennesimo tuono, che un tuono non era.
La bomba d’aria scoppiò verso di loro veloce come un fulmine e aprì una spaccatura nel terreno, sollevando chili di terriccio, polvere, erba, inondando completamente il loro campo visivo già messo a dura prova. MewMinto fu scaraventata lontano dalla forza del colpo, ma non riuscì nemmeno a capire dove fosse finita, chi ci fosse vicino a lei, perché non poteva vedere niente se non pioggia e polvere. Tossì, si sfregò il viso con i guanti, il cuore che le batteva in gola e che le diceva che doveva essere veloce, veloce, veloce.
Chiamò MewIchigo, chiamò le altre, e sentì la rossa risponderle da un punto imprecisato alla sua destra.
Non fece in tempo a compiere un passo che una mano le si chiuse attorno al braccio e la strattonò, il guizzo del teletrasporto che le rivoltò lo stomaco ancora prima di riconoscere due occhi dorati e un ghigno incattivito che mormorò: « Tu ora vieni con me. »
 
 
 
 
Avevano avvertito il boato fin dal laboratorio, ma ancora una volta la barriera di Taruto aveva fatto sì che non ci fosse alcun danno strutturale al Caffè; gli sarebbe per sempre rimasta, però, l’orribile sensazione degli strati e degli strati di cemento sopra di loro che echeggiavano minacciose promesse di crollargli addosso all’occasione giusta.
Ryou lanciò ancora un’altra occhiata allo schermo, il cuore in gola nel vedere la nuvola di polvere e terriccio che oscurava le telecamere. I pendagli delle ragazze, però, pulsavano ancora, così come i loro comunicatori e quelli degli Ikisatashi, settati anche per leggere i parametri vitali.
Sette puntini che battevano e che gli fecero esalare il respiro che aveva trattenuto, scambiandosi uno sguardo con Keiichiro, pallido quanto lui.
Aspetta… come sette?!
Ricontrollò ancora, digitando frenetico sulla tastiera e zoomando sul segnale dei pendagli.
Quattro.
Solo quattro.
Il cuore gli precipitò nello stomaco.
Non aggiunse una parola mentre scattava via dalla sedia e si lanciava in una corsa forsennata, prendendo i gradini a due a due e mormorando maledizioni e preghiere nello stesso momento – non aveva osato controllare, non ci aveva nemmeno pensato, solo i suoi occhi avrebbero potuto…
Spalancò la porta del Caffè, il vento gelido che scrosciò la pioggia contro di lui e fin dentro al locale, ma non gli importò mentre scrutava il prato tra l’acquazzone e i rimasugli di quell’attacco fin troppo potente, il cuore che gli batteva così forte in gola da bloccargli qualsiasi suono potesse giungere alle proprie orecchie.
Vide una macchia di rosa che gli fece rotolare lo stomaco.
Una macchia di rosa che barcollò e cadde in ginocchio tra l’erba, chiamando il nome a pieni polmoni.
Prima che Kisshu lanciasse un urlo ferino, evocando un para-para per la prima volta in anni e scagliandolo con tutta la forza che possedeva contro il parco lì davanti, bruciando gli alberi al suo passaggio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Dopo un po’ di ricerche sul greco antico perché – ahimè – il mio vecchio dizionario è molto lontano, una maniera alternativa di mandare qualcuno a quel paese :3 È una crasi tra Ερρε (che già di suo parrebbe significare vaffanculo) e Ες κορακας, ovvero letteralmente ai corvi (vai a far mangiare il tuo cadavere da un animale spazzino, ecco) e quindi per esteso vai al diavolo. Secondo il canon, gli alieni sono partiti dalla Terra milioni di anni fa, molto prima che si sviluppasse l’Antica Grecia, quindi avrebbero mai potuto parlare greco? No. Mi interessa qualcosa? No :3
 

 

   
 
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