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Autore: sleepingwithghosts    04/09/2012    1 recensioni
Si stava avverando tutto: gli incubi dell’ultima settimana, i sogni delle ultime notti, le sue mani callose sui miei fianchi, i miei occhi dentro i suoi, le mie lacrime sulle sue labbra. Gli dissi solo una cosa prima di abbracciarlo «Resta vivo».
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOLDIER ON

 

Si stava avverando tutto: gli incubi dell’ultima settimana, i sogni delle ultime notti, le sue mani callose sui miei fianchi, i miei occhi dentro i suoi, le mie lacrime sulle sue labbra. Gli dissi solo una cosa prima di abbracciarlo «Resta vivo».

Mi carezzò con una mano il profilo del volto, e fece quello che era sicuramente il sorriso più triste della storia. «Mi mancherai».

«Resta vivo, ti prego. Resta vivo per me». Non riuscivo a dire altro, a pensare ad altro.

«Lo sai come vanno queste cose: un momento prima sono vivo, quello dopo: bum!, e non ci sono più». Mi toccava i capelli, i fianchi, mi guardava gli occhi, le labbra, mi sfiorava il naso con la bocca, le dita: mi stava imprimendo nella sua memoria.

E allora feci qualcosa che non avevo mai fatto prima, qualcosa che di sicuro lui non si aspettava, qualcosa che forse non desiderava o forse sì, qualcosa che era uno sbaglio, che avrebbe rovinato tutto, sicuramente, di cui mi sarei pentita amaramente dopo qualche secondo, ma la feci: appoggiai le mie labbra alle sue, e lo baciai. Qualche secondo, dato che non sapevo nemmeno bene come si faceva a baciare, ma quando mi staccai da lui, gli occhi in lacrime e le guancie rosse, lui sorrideva. «Hai le labbra morbide», disse.

Non riuscivo a spiaccicare parola, ma allo stesso tempo, nello stomaco si stava formando qualcosa, una sensazione. Strana, nuova. Qualcosa che la mia mente catalogò come «esplosione». Stavo per esplodere. Implodere. Forse tra poco mi sarei messa a urlare come una pazza. Forse sarei rimasta zitta per giorni. Forse avrei smesso di mangiare, di bere. Forse avrei abbracciato le spalle larghe e muscolose di mio padre, annusato il suo profumo, raschiato la guancia contro la sua barba. Forse mi sarei messa a cantare, a studiare di più, a correre. Forse sarei scappata. Scappata dalla mia famiglia, dai pacificatori, dal mio distretto, il mio mondo, dalle persone che conosco da quando sono nata, quelle che amo, che rispetto, che odio. Forse sarei scappata dai ricordi, perché quella era una condanna a morte, giusto? Lui quasi sicuramente non sarebbe tornato da me. Non l’aveva nemmeno promesso, aveva detto solo bum!

«Promettilo», sussurrai.

Mi spostò i capelli dietro l’orecchio. «Che cosa devo prometterti, che tornerò? Non posso farlo, piccola».

Sapevo che era vero, con tutto il cuore, con tutta la mente. Anche il mio corpo lo sapeva: cominciai a tremare. «Ho paura».

«Ho paura anche io».

«Perché sorridi, allora?», domandai confusa. Sorrideva, uno di quei sorrisi che me lo avevano fatto adorare fin da subito. Ricordavo quel giorno che si era avvicinato a me alzando le spalle e mi aveva presa per mano. Ero la ragazza meno carina, più bassa, meno atletica, con gli occhi più grandi, con i capelli più scuri, con le labbra più sottili, con il naso più piccolo, «con il sorriso più timido» (diceva sempre lui) della mia classe. Una nullità, niente di speciale. Ma lui aveva scelto me come compagna in quei giochi super stupidi che si fanno a scuola quando la professoressa di educazione fisica ha il raffreddore e non ha voglia di soffiare nel fischietto ogni dieci secondi. Mi aveva presa per mano, e aveva smesso di guardarmi per un po’. Mi ero sentita tradita: mi sceglieva e poi non voleva avere a che fare con me, ero così sbagliata? Ma poi si era voltato verso di me e aveva sorriso. Denti bianchi perfetti, dritti. Labbra carnose, rosee. Mi aveva sorriso e io avevo sorriso a lui, «ti sorridevano anche gli occhi, sai?». Gli avevo stretto la mano più forte e ce l’avevo messa tutta per farci vincere, ma ero la meno atletica, e non combinai proprio nulla se non disastri.

«Scusa», avevo detto con gli occhi che pungevano per la rabbia: avrei pianto presto. Dovevo andarmene di lì. «Scusa se ci ho fatto perdere, non dovevi scegliermi».

«Io volevo sceglierti. Non importa se abbiamo perso». Sorrideva e sorrideva e sorrideva.

«Volevi scegliermi?», avevo domandato arrabbiata. Stavo aggredendo quel ragazzo sconosciuto e così carino solo perché odiavo me stessa, che persona egoista ero. «Nessuno vuole scegliermi, persino io non mi sceglierei. Ora se non ti dispiace devo andare a piangere in bagno». Mi ero voltata sentendomi una completa idiota. Perché rovinavo sempre tutto? Quando sarebbe finita questa agonia? Il pensiero di offrirmi come tributo alla metietura mi era passato per la mente come un pensiero fulmineo. Mi ero presa la testa fra le mani e avevo continuato a lanciarmi imprecazioni mentali davvero poco carine, intanto che le lacrime scendevano sulle guance. Qualcuno si era avvicinato a me, si era seduto affianco a me. Avevo alzato gli occhi: che cosa ci faceva lui qui? Lo avevo guardato, muta. Lui mi aveva semplicemente preso per mano, poi aveva sorriso. «Volevo sceglierti», aveva ripetuto.

E adesso eccolo lì, quello stesso sorriso, come se non fossero passati anni ma un secondo. Non capivo. «Perché sorridi, allora?».

«Perché sto per dirti la cosa più sdolcinata del mondo, ti sto per fare una promessa che non sono sicuro manterrò, perché vorrei piangere ma non voglio sentirmi debole, perché con quel vestito sembri una principessa, perché mi hai baciato, e Dio solo sa da quanto volevo che lo facessi!, perché sto per dirti la cosa più sdolcinata del mondo».

«Se stai per dirmi che mi ami, ti prego dillo con quel sorriso sulle labbra, stringimi di più a te, sussurramelo sul collo, fammi il solletico con gli occhi, ascolta il mio cuore che accellera».

I suoi occhi divennero grandi, più grandi dei miei. «Volevo sceglierti».

«Ho sempre pensato “scegli me, scegli me, scegli me”. Mi hai scelta?». Chiusi gli occhi. Ero in un incubo, in un sogno. “Svegliatemi!”, urlava il cervello. “Lasciatemi qui”, diceva il cuore.

«Ti ho scelto come migliore amica per tutto questo tempo. Sei la persona più bella che conosco, sai? Ti ho scelto perché ti mangiavi le unghie, eri insicura, perché ti odiavi e le persone che odiano se stesse sono sincere, fragili, hanno bisogno che qualcuno sorrida loro, perché leggono libri per sentirsi meno sole, perché amano i tramonti e la pioggia e le case sugli alberi, quelli basse però, che se cadono per sbaglio almeno non si fanno tanto male, perché sono egoiste ma sanno volere così tanto bene che decidono che è giusto non dirlo a nessuno, di tenerselo per sè. Ti ho scelto e non me ne sono mai pentito», disse tutto d’un fiato, poi appoggiò la fronte alla mia. «Vincerò, ci provo, te lo prometto». Sospirai, strofinai il naso contro il suo. «Ti ho scelta».

«Lo so», dissi. «Ti ho scelto nello stesso istante».

 

 

 
Non chiedetemi niente, lo so che questa cosa è di una dolcezza diabetica. Sto partecipando a un concorso di scrittura con essa, se per qualche strana ragione voleste votarmi, recensite e io vi mando il link. Detto questo: Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!

  
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