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Autore: ckofshadows_    04/09/2012    8 recensioni
Dopo che il padre di Kurt è stato colpito da un infarto, un estraneo si presenta all'ospedale, sconvolgendo tutta la sua vita.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti. Una piccola introduzione solo per farvi sapere che non sono la stessa persona che traduce Roses In December, e che quindi non dovete prendervela con lei se questa traduzione farà schifo, dato che è la prima che faccio...XD
Per quanto mi riguarda, spero di essere riuscita a catturare un po' della bellezza che ckofshadows ha messo in questa fantastica OS.
Buona lettura a tutti,

Giulia

 



Quando ero piccolo, ho sempre pensato che mi avessero chiamato così in onore di Kurt Von Tramp.

Dopotutto, io e mia madre guardavamo sempre “Tutti Insieme Appassionatamente” ogni domenica. Mangiavamo albume dell’uovo e toast per colazione, poi inserivamo il DVD e ci avvolgevamo in una coperta, abbracciandoci fino ad essere una cosa sola. Mamma cantava “I Have Confidence” e io “Climb Ev’ry Mountain”.

“Spero che la tua voce non cambi mai” mi disse una volta, dopo che avevo raggiunto una nota talmente alta da far tremare il lampadario.
Ho preso l’amore per il canto da mia madre. Facevamo sempre un piccolo show per papà. Lui tornava a casa dalla carrozzeria, esausto e puzzando di gas e grasso, e noi recitavamo scene da “The Pirates of Penzance”, o “The Wizard of Oz”, o “Annie”. Mamma non mi faceva fare solo la parte maschile, comunque. Qualche volta lei faceva Peter Pan e io Wendy. Papà si sedeva e guardava sempre, compiaciuto e anche un po’ innamorato.

Mamma fu la mia prima vera amica. Per tanto tempo fu la mia sola amica. Giocavamo a prendere il tè e cucinavamo i biscotti. Mi insegnò a ballare, e qualche volta ballavamo per tutto il pomeriggio.

Anche quando si ammalò, aveva sempre una voce calda, che usava solo per me. “Forza Kurt”, diceva, troppo malata per alzare la testa dal cuscino. “Fammi un sorriso così luminoso che si riesca a vederlo dalla balconata.”

 


 

Cambiò tutto dopo la morte della mamma.

Papà non rideva più. Cominciò a bere birra dopo il lavoro, cosa che non l’avevo mai visto fare. Per tutta la sera si metteva seduto davanti alla TV, guardando il basket o il football o il golf o il tennis-

“Mi vuoi sentir cantare?” gli chiesi una sera.

“Ci sono i playoff, Kurt” disse, prendendo in mano un’altra birra.

Cominciai a prepararmi da solo il pranzo da portare a scuola, perché papà se lo scordava. Qualche volta non c’era cibo in casa, e io scrivevo una lista per la spesa e gli ricordavo di andare a comprare il cibo. Ci sarei andato da solo se un bambino di otto anni avesse potuto guidare.

Dovevo dire a papà quando avevo bisogno di nuovi vestiti, o di un taglio di capelli. Lui lavorava fino a tardi al garage quasi tutte le sere, tornando a casa solo dopo che io ero già a letto. Per fortuna ero un bambino responsabile, e sapevo quando era ora di rimboccarmi le coperte.

A che ora devi andare a letto, Kurt?

Alle nove, mamma.

Bravo il mio bambino.

 

 



Al funerale c’erano un sacco di persone. Molti di loro li conoscevo, ma erano molti di più gli estranei. Fu strano vedere persone che non avevo mai visto, piangere sulla bara di mia madre. Mi ricordo ancora qualche dettaglio di quel giorno in maniera chiarissima. Non volevo guardare la bara (Mamma è lì dentro, Mamma è lì dentro, qualcuno la svegli come il Principe sveglia Biancaneve) quindi cominciai a guardarmi intorno. Notai un uomo che indossava delle scarpe molto appariscenti. E una signora anziana che continuava a spostarsi la dentiera in continuazione. Una donna incinta. Mi domandai se il bambino sarebbe uscito fuori durante la cerimonia.

Ci furono dei discorsi, e poi cominciarono a buttare terra dentro la fossa, così ricominciai a pensare al bambino, chiedendomi se mamma si sarebbe reincarnata in lui. Mi chiesi se lei mi avrebbe mai ritrovato un giorno, vedendomi cresciuto e tutto il resto.

“Ehi, figliolo, non piangere,” mormorò papà. “Siamo solo io e te adesso.” Strinse forte la mia mano mentre uscivamo dal cimitero, e io sperai che potesse essere sempre così forte per me.

 

 


 
Le cose si sistemarono dopo qualche anno. Papà diminuì le birre a una o due al giorno, e cominciò a tornare a casa a orari ragionevoli di nuovo. Non cantai di nuovo per lui, ma la mia doccia aveva un’acustica incredibile, perciò ne approfittai.

Eravamo solo noi due. Se la nostra vita fosse stata un film, lo spirito di mia madre sarebbe rimasto con noi, proteggendoci e aleggiando per la casa, lasciando dietro di sé l’eco di “I Have Confidence”.

Ma la nostra vita non era un film.

 

 


 
Avevo all’incirca sette anni quando realizzai che non ero come gli altri bambini a scuola. Non volevo fare sport, o correre dietro alle bambine. Ero felice di sedere sotto un albero con una rivista di moda e ignorare bellamente le prese in giro che mi rivolgevano.

“Che ti leggi, Kurtina?” mi chiese malignamente Bobby Wilson, cercando di togliermi dalle mani la mia copia di Vogue.

“Almeno io so leggere.”

Cercai di non piangere quando gettò la rivista dentro il wc nel bagno dei ragazzi.

A dodici anni, avevo due cotte per due ragazzi a scuola. Uno era un bambino alto del sesto anno con delle spalle ampie e una faccia carina. L’altro era un ragazzino del quinto anno che mi sorrideva e salutava sempre nei corridoi. Eppure, avevo ancora problemi a relazionarmi con quelle etichette; quelle brutte, orrende etichette che gli altri bambini appiccicano a chiunque sia diverso.

Gay. Fatina. Frocio.

Papà mi iscrisse al campo di calcio e a quello di basket. Mi portò in carrozzeria nei fine settimana e mi insegnò come riparare una macchina. Tutti i sabati, andavo al lavoro con lui e cambiavo l’olio a tutte le macchine, canticchiando “Climb Ev’ry Mountain” tra me e me.

Ho cercato di essere un ragazzo che fa cose da ragazzo per lui. Ci ho davvero provato. Era già passato attraverso troppe cose nella sua vita. I suoi genitori erano morti, sua moglie era morta…ero tutto quello che gli era rimasto. Potevo davvero pensare di deluderlo fino a quel punto?

Alla fine gli dissi la verità. Gli confessai di essere gay, e lui mi strinse forte dicendomi che lo sapeva già. Quella notte p
iansi fino ad addormentarmi, in parte per il peso che mi ero tolto ed in parte per il senso di colpa che mi affliggeva. Perché non avevo mai confessato a mia madre il mio segreto.



E noi ci dicevamo tutto.

 

 



Avevo sedici anni quando papà ebbe un infarto. Posso ancora ricordare come mi sedetti su un lato del suo letto, sfidandolo a svegliarsi. Pregandolo, supplicandolo di non lasciarmi solo.

Se fosse morto, cosa avrei potuto fare? Dove sarei potuto andare?

Siamo solo io e te adesso.

 

 



Papà era incosciente da due giorni quando arrivò un’infermiera a cercarmi. “Tuo zio è qui” disse.

“Non ho uno zio” riposi.

Mi strinse la mano gentilmente. “Ha detto che non lo conoscevi. È il fratello di tuo padre. Ha detto che non parlano da anni. Lo vuoi vedere?”

“Non lo so.”

“Va bene. Non devi farlo per forza. Ha detto che sarà nella sala d’aspetto se vuoi parlargli. Ok?”

Annuii, e lei se ne andò. Sedetti lì tutta la sera, fissando pensieroso la figura immobile di mio padre. Perché mai non avrebbe dovuto dirmi di avere un fratello? Perché mia madre non avrebbe dovuto nominarlo?

Pensai che quella fosse l’idea più inquietante di tutte: che forse anche mia madre aveva avuto dei segreti con me.

 

 



Più tardi, quella notte, lasciai la camera di papà per avventurarmi in direzione della mensa per una cena notturna. Andando giù, passai davanti alla sala d’attesa e buttai un occhio dentro.

E mi fermai di colpo.

Un uomo era seduto su una delle sedie di plastica, indossando una meravigliosa giacca vintage e degli stivali di pelle con tacco su cui avevo sbavato per tutto il mese passato. Ma non fu il suo eccellente gusto nel vestire che mi fece fermare.

Era l’uomo che era al funerale di mia madre. L’uomo con le scarpe appariscenti.

Quando si rese conto che lo stavo fissando, mi guardò incuriosito. “Sei…Kurt?” chiese.

Non fidandomi della mia voce, annuii.

“Assomigli tanto a tua madre” disse. Aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto.

“Conoscevi mia madre?”

Scarpe Appariscenti sorrise, poi si morse il labbro inferiore. “La conoscevo bene, si.”

Questo fu quello che mi spinse dentro la stanza alla fine. Papà parlava molto raramente della mamma ormai, e forse Scarpe Appariscenti mi avrebbe raccontato storie che non conoscevo ancora. “Sei mio zio?”

“Già.”

“Perché non ti ho mai conosciuto?”

“È complicato.”

“Illuminami” dissi in tono piatto.

Sospirò. “Molto tempo fa, tuo padre fece qualcosa che io considerai imperdonabile. Fu poco prima della tua nascita. Non abbiamo più parlato da allora.”

Aspettai, ma non spiegò altro. “E adesso sei qui. Questo significa che l’hai perdonato?”

“Non lo so” disse. Sembrava disperato tanto quanto me quella notte, quindi lo portai con me, giù a mensa. Bevemmo un paio di cappuccini e condividemmo un piatto di frutta.

“Come ti chiami, comunque?” gli chiesi.

“Kurt.”

Sbattei le palpebre. “Davvero?”

“Si, tua madre ti ha chiamato così in mio onore. Non lo sapevi?”

“No, ho sempre pensato che fosse in onore di Tutti Insieme Appassionatamente.”

“Uno dei suoi musical preferiti.” Annuì. “Ma no, tu sei il mio omonimo.”

Sorseggiai il mio cappuccino lentamente, pensando. “Quindi…papà fece qualcosa che tu pensasti fosse imperdonabile, poco prima della mia nascita. E poi mamma mi chiamò come te? Perché avrebbe dovuto farlo?”

Sorrise tristemente. “Tua madre non è mai stata sottile, Kurt.”

Zio Kurt venne a casa con me quella notte. Pensandoci adesso, avrei dovuto essere più sospettoso. Era praticamente uno sconosciuto che diceva di essere un parente che non avevo mai incontrato. Perché fui così svelto a credergli?

Dormì sul divano. Quando mi sveglia la mattina dopo, l’odore di albume d’uovo e toast saliva dalle scale.

 

 



Zio Kurt lavorava nella moda, a New York City. Mi mostrò gli schizzi dei suoi ultimi disegni, e io gli feci vedere timidamente i miei. I suoi occhi si illuminarono. “Oh Kurt, questo è davvero un buon inizio. Che tipo di tessuto pensavi di usare per questo qui? Qualcosa che abbia un buon peso, spero. Sai, se fai l’orlo del pantalone quaggiù, allunghi la linea della gamba-”

Non lasciammo la casa quel giorno. Zio Kurt cucinò una cena favolosa, e rimanemmo in piedi fino a tardi a guardare una maratona di Friends.

“Con quale personaggio ti identifichi di più?” gli chiesi.

“Oddio. Rachel. Senza dubbio.”

Risi. Per la prima volta da quando mio padre era entrato in ospedale, risi da morire. E poi mi sentii uno schifo, orribilmente colpevole.

Quella notte, aspettai fino a quando non fui sicuro che zio Kurt stesse dormendo. Poi me la svignai da casa e aprii la porta della macchina manualmente così che lui non potesse sentire il bip dell’apertura automatica. Il tragitto verso l’ospedale non impiegò più di mezz’ora, e durante tutto il tempo, mi chiesi se papà fosse morto durante la giornata. Se fosse morto mentre stavo mangiando risotto all’aragosta e asparagi e imparando trucchi della moda e ridendo con un tipo a cui, fino al giorno prima, non era importato neanche di conoscermi.
Il monitor del cuore di papà suonava costante quando arrivai. Mi lascia sfuggire un gran sospiro di sollievo e mi buttai sulla sedia vicino al suo letto. Il bip ritmico mi trascinò nel sonno e mi fece da metronomo per la canzone che mamma cantò nei miei sogni.

 


 
“Sei qui!” Mi svegliai per vedere zio Kurt entrare a grandi passi nella stanza. I suoi capelli non erano stati pettinati (e non in maniera fashion) e una delle sue scarpe era slacciata. “Dio, Kurt, mi sono svegliato e non sapevo dove tu fossi.”

“Ero qui” risposi. “Con mio padre.”

“Avresti dovuto dirmi che te ne andavi” disse, ficcandosi una mano tra i capelli e spettinandoli di più. “Ero davvero preoccupato.”

Non gli chiesi scusa, perché, diavolo, lo conoscevo da un giorno. Anche se mi fosse successo qualcosa, quanto gliene sarebbe importato davvero? Alla fine scrollai le spalle e lui si strofinò il naso col dorso della mano. Guardò mio padre, il monitor e i fili, e scoppiò in lacrime.

“Mi dispiace” dissi alla fine. Lui si protese e strinse la mano di mio padre.

 

 



Durante il quarto giorno di papà all’ospedale, zio Kurt e io eravamo seduti ai lati del suo letto, guardando la tv, quando udimmo il suono di qualcuno che correva in corridoio. In pochi secondi, un uomo apparve alla porta, cercando di riprendere fiato. Zio Kurt si lanciò dalla sedia nelle braccia dell’uomo. Rimasero in quel modo per molto tempo, stringendosi l’uno all’altro.

“Mi dispiace così tanto non esserci stato” disse l’uomo. “Ho preso il primo volo che ho-”

“Eri in Cina.” lo interruppe Zio Kurt. “Lo capisco. Sono così contento che tu sia arrivato.”

Alla fine si staccarono, e zio Kurt si avvicinò per baciare l’uomo. Potevo sentirmi arrossire. Non è che non l’avessi sospettato, ma comunque. Due uomini che si baciano. Non avevo mai visto una cosa del genere. Non a Lima.

“Tu devi essere Kurt” disse l’uomo, e io mi alzai in piedi a disagio.

“Kurt, questo è mio marito” mi disse zio Kurt. “Il suo nome è Blaine.”

“Dio, assomiglia così tanto a Rachel.” Mormorò Blaine, e zio Kurt annuì.

“È davvero sconcertante.”

“Ad eccezione del naso.”

“Ringraziamo Dio per questo.”

 

 


 
Il sesto giorno, Blaine mi mostrò dei video di mia madre mentre cantava con il suo coro al liceo. Due tenori si fecero avanti per armonizzare con lei, e io sbattei gli occhi dalla sorpresa. “Sei…sei tu quello? E zio Kurt?”

“Già. E aspetta di vedere chi canterà la prossima parte con lei.”

Aspettai e vidi un ragazzo alto ballare in maniera strana verso mia madre, gettando la testa indietro e cantando come se ne andasse della sua vita. Sorrise e la fece girare, compiaciuto e anche un po’ innamorato.

Blaine chiuse il video dopo che iniziai a piangere.

 

 



Zio Kurt si fece carico di tutte le discussioni con i dottori di papà. Disse che aveva qualche esperienza in quell’ambito e che non era qualcosa con cui un adolescente avrebbe dovuto avere a che fare. Un giorno, dopo che era scomparso nel corridoio per parlare con un dottore, mi girai risoluto verso Blaine.

“Ok, dimmi perché non ho mai conosciuto te o Kurt prima.”

Sembrava a disagio. “È complicato.”

“Non sono un bambino. Spiegamelo.”

“Kurt-”

“Per favore. So che mio padre non è perfetto; non è che lo butterai giù da un piedistallo se mi dirai qualcosa di brutto su di lui. È mio padre e lo amerò sempre. Per favore, dimmelo e basta.”

Blaine esitò. “Lui…ebbe un incidente d’auto qualche anno fa. Un brutto incidente.”

“Ok…”

“I tuoi nonni non sopravvissero all’impatto. E Kurt non lo perdonò mai per questo.” Non disse altro. Non ce n’era bisogno.

“Aveva bevuto?”

“Non era legalmente ubriaco.”

“Ma aveva bevuto.”

Blaine non lo negò.

 

 



Zio Kurt disse che le funzioni vitali di papà andavano bene. Il suo cuore stava rispondendo bene. Ma non si svegliava.

Blaine mi mostrò come allungare e piegare le gambe di papà, così che non ci fosse il pericolo che il sangue si coagulasse nelle sue gambe. Kurt usò shampoo senza risciacquo per pulire i capelli di papà. Noi tre cantammo canzoni da “Wicked”, e “Rent”, e “A Chorus Line”.

“Pensi che mamma sapesse che ero gay?” chiesi a zio Kurt un giorno, mentre bevevamo due cappuccini in mensa.

Ridacchiò un poco. “Sei gay?”

“Oh, come se non lo sapessi.”

Sorrise, e tirò su una spalla. “Sono sicuro che lo sospettasse. Ero il suo migliore amico, dopotutto, ed è stata cresciuta da due padri gay. Sapeva di sicuro cosa cercare.”

Lo fissai, interdetto. “Due padri gay?”

"Hiram e LeRoy Berry. Grandi uomini."

“Non ha mai…” scrollai la testa. “Perché mai non mi ha parlato di loro? Perché non li ho mai-”

“Sono morti.” Disse brevemente. “Poco dopo il diploma di tua madre. Non è una bella storia, Kurt. Sii felice di non conoscere tutti i dettagli.”

 

 


 
“Voglio diventare un artista” dissi durante il dodicesimo giorno. “Voglio cantare e recitare e danzare. Voglio avere Broadway ai miei piedi e vincere un Tony quando avrò venticinque anni.”

Aspettai sicuro di sentirmi dire che i miei obiettivi erano troppo alti, che avrei dovuto mirare a qualcosa di più realistico.

“Bè, per forza.” Disse zio Kurt. “Sei il figlio di Rachel Berry.”

“Dovremmo trovarti un agente.” Disse Blaine. “Puoi venire a stare con noi durante l’estate. Ci sono un sacco di laboratori teatrali in città. Puoi tastare il terreno, arricchire il tuo curriculum.”

Cominciarono a programmare eccitati il mio futuro. Parlavano così forte che quasi non potevo più sentire il vibrare leggero del respiratore di papà.

 

 



I dottori cominciarono ad essere preoccupati. Erano ormai passate due settimane dall’infarto di papà, ed era ancora privo di sensi.

“Tuo padre ti ha mai parlato delle sue…volontà?” si arrischiò a chiedere zio Kurt un giorno. “Riguardo a se e come avrebbe voluto essere tenuto in vita attaccato a delle macchine e-”

Corsi fuori dalla stanza. Giù per il corridoio, giù per tre rampe di scale, in mezzo all’atrio, fuori, fuori, fuori dall’ospedale. Ero quasi arrivato al parcheggio quando Blaine mi raggiunse.

“Kurt, aspetta-”

“Non voglio vivere con te e zio Kurt a New York.” Boccheggiai, mentre lacrime calde rigavano le mie guance. “Non voglio essere una star, rivoglio mio padre. Voglio cambiare l’olio nella carrozzeria tutti i sabati-”

Blaine mi afferrò e mi strinse in un abbraccio. “Va tutto bene.” Disse. “Andrà tutto bene, te lo prometto.”

Era assurdo, promettere una cosa del genere.

Fu ancora più assurdo che quella promessa mi facesse sentire meglio.

 

 


 
Io e zio Kurt andammo al cimitero il sedicesimo giorno. Prese una piccola pietra dalla sua tasca e la posizionò sopra alla lapide di mia madre.

“Era una buona madre?” domandò.

“La migliore.”

Annuì, senza rimanerne sorpreso. “Era la migliore in molte cose.”

Sedemmo con le schiene appoggiate alle sua lapide, raccontando storie su di lei. Mi raccontò di come fu distrutta dalla morte dei suoi padri, e di come abbandonò i suoi sogni di successo. Invece di seguirli, sposò mio padre e si stabilì a Lima, felice di iniziare una famiglia.

“Perché credi che mi abbia chiamato Kurt?” chiesi. “Perché non ha usato il nome del padre di mio padre?”

“Bè, il padre di tuo padre morì quando lui era ancora una bambino.” Esitò.

“Come?”

“Lui…aveva dei problemi di dipendenza.”

“Come mio padre?”

“Molto peggio di tuo padre.”

Ci pensai su per un po’. “Ma comunque, perché non mettermi il nome di tuo padre allora? Quello che morì nell’incidente d’auto?” Nel momento in cui lo dissi, trasalii, sapendo che zio Kurt si sarebbe arrabbiato con Blaine per avermelo detto. Ma lui si limitò a sospirare come se ne fosse stato sempre a conoscenza.

“Tua madre sperò sempre che fossimo in grado di fare ammenda un giorno. Credo che ti chiamò Kurt per ricordare a Finn di cercarmi.”

“Lo fece?”

“Qualche volta, si.”

“Perché non lo hai mai perdonato?”

Appoggiò di nuovo il capo contro la lapide fredda e scosse la testa. Anch’io scossi la mia.

 


 
Blaine cominciò ad aiutarmi coi compiti nella sala d’aspetto.

“Che cosa stupida.” Gli dissi. “Perché mai dovrei memorizzare il teorema di Pitagora? Come mi aiuterà nella vita?”

“Kurt lo usa, quando crea i campioni per i suoi disegni.” Obiettò Blaine.

“Ok, allora, spiegami a cosa mi servirà sapere cosa a causato la guerra del 1812?”

Aprì la bocca, poi la chiuse e mormorò. “Mi hai fregato. Questo non ti servirà mai a niente.”

“Vorrei tanto che il McKinley avesse classi che ti insegnino competenze vere. Tipo come utilizzare un libretto degli assegni, o richiedere una borsa di studio, o-”

Un rumore di passi pesanti stava venendo verso di noi, e entrambi guardammo in alto nel momento in cui zio Kurt raggiunse al nostro tavolo.

Stava piangendo.

Veniva dalla stanza di papà, e stava piangendo, e il mondo cominciò a vorticare sotto i miei piedi quando mi alzai in piedi tremando e corsi, corsi, corsi giù per il corridoio, le mie gambe che barcollavano e il mio cuore che si stringeva in un pugno chiuso non appena girai l’angolo entrando in camera sua e vidi l’infermiera rimuovere il respiratore di papà.

E poi cominciai a piangere anch’io.

“Ehi, figliolo.” Sussurrò roco. “Non piangere.”

 


 
Papà tornò a casa dall’ospedale, e io mi presi carico della sua convalescenza dopo che zio Kurt e Blaine tornarono a New York. Gettai fuori due casse della sua birra e una bracciata di cibo spazzatura, poi gli feci una zuppa con poco sodio e piena di verdura fresca.

“Devi tornare a scuola” mi disse, bevendo a sorsi la sua zuppa e storcendo la bocca. “Come farai a lasciare questa città se non ti diplomi? Non vuoi rimanere a Lima per il resto della tua vita.”

Usai un tovagliolo per pulirgli il mento, dove un po’ di zuppa era caduta. “Ci sono cose peggiori che rimanere intrappolati a Lima, papà.”

 


 
Zio Kurt mi chiamava tutti i giorni, per sapere come stava papà.

“Puoi chiederglielo da solo” dissi. “Vuoi che te lo passi?”

“No.” Diceva ogni volta. “No, non sono pronto. Forse domani.”

 


 
Un freddo pomeriggio, più o meno una settimana dopo che era tornato a casa, chiesi a mio padre perché non mi avesse mai detto che una volta cantava. Sorrise, sorpreso. “Vieni.” Disse. Mi guidò in garage, dove scavammo tra polverose scatole di cartone fino a quando non ammassammo un bel po’ di video dello stesso coro che Blaine mi aveva mostrato. Io e papà sedemmo insieme sul divano, una coperta avvolta intorno a noi per mantenerci caldi, e guardammo canzone dopo canzone. La meravigliosa voce di mamma riempì di nuovo la casa, facendo vibrare il lampadario.

“Era una cantante fantastica.” Dissi, sgomento.

“Lo era davvero.” Concordò.

“È come se in ogni canzone fosse migliore che nella precedente” strinsi la coperta intorno a me. “Credo che il suo pezzo migliore sia “Don’t Rain On My Parade”. O forse “Firework”. O “Without You”. Non riesco a scegliere. Tu cosa ne pensi?”

“Hmm?” chiese, fissando ancora distrattamente lo schermo.

“Ho chiesto, cosa credi che facesse meglio.”

Mi guardò. “La cosa che faceva meglio era essere tua madre.”

Per tutto il pomeriggio ci tenemmo stretti sotto la coperta, abbracciandoci fino ad essere una cosa sola. Papà mangiò tutta la sua zuppa e non si lamentò, e io gli regalai un sorriso così luminoso da riuscire ad essere visto dalla balconata.

  
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