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Autore: Dicembre    04/09/2012    2 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Quaranta - Maria
 
 
 
 
 
 
 
Nel suo letto, Aaron non riusciva a prender sonno. La sua mente era confusa, più cercava di non pensare, più mille pensieri si accavallavano sconnessi, minuto dopo minuto.
 
Non c'era nulla che lui potesse fare per trattenere Nero con sé. Niente.
 
Nero se ne sarebbe andato perché quello era il suo destino e perché era giusto facesse così, nonostante Aaron volesse opporsi.
 
La loro piccola parentesi doveva avere scritta la parola fine a fondo pagina.
 
Aaron si girò nel letto per l'ennesima volta. Non riusciva a rassegnarsi.
 
Si sentì cocciuto e irragionevole.
 
 
 
Esasperato dai suoi continui pensieri, decise di alzarsi e pregare. Forse le preghiere gli avrebbero messo un po' di senno in testa. Nelle sue stanze c'era una piccola edicola votata a Maria dove Aaron era solito pregare ai vespri. Si inginocchiò e chiese aiuto anche allora, nel mezzo della notte.
 
Congiunse le mani, cercando la pace necessaria per iniziare a pregare.
 
Qualcuno bussò alla sua porta.
 
Senza aspettare di avere risposta, il piccolo William l'aprì, comparendo sull'uscio.
 
Aaron lo guardò stranito: il nipote non era solito comportarsi in maniera così maleducata.
 
"William…" iniziò a dire, ma poi si fermò all'istante.
 
C'era qualcosa di insolito nello sguardo di William, osservò Aaron guardando con più attenzione.
 
Gli occhi del ragazzino era incredibilmente blu. Così intensi da apparire luminosi. La pelle fin troppo bianca …
 
"William…" disse in un sussurrò, ma poi fu avvolto nella luce.
 
 
 
Era un mondo bianco, apparentemente vuoto. C'era un tepore che sembrava avvolgere fin dentro l’anima.
 
"Lasciate che i bambini vengano a me, ha detto mio figlio…Non aver paura" disse una voce femminile.
 
Aaron scosse la testa: "Non ne ho"
 
Ci fu un sorriso cristallino: "Perché sai chi sono"
 
Maria apparve di fronte a lui e Aaron sentì una lacrima rigargli la guancia, ma rimase immobile,
 
la sua bellezza era indescrivibile.
 
"Mia Si…"
 
Ma Maria alzò una mano, delicatamente, e gliel'appoggiò sulla bocca: "No, non chiamarmi Signora, ma Madre"
 
Aaron annuì semplicemente, cercando di mettere a fuoco quella donna ammantata di luce.
 
"Perché siete qui?" chiese infine.
 
"Per farmi perdonare"
 
"Non capisco"
 
"E' colpa mia…Un vezzo sciocco per la tua anima che è così bella…"
 
Aaron aggrottò la fronte, ancora non capiva.
 
"Non è importante capire, non ora. Quello che è importante è che tu sia finalmente libero. E che tu sia finalmente felice"
 
Maria si avvicinò ad Aaron: "Non crede alle sciocche regole degli uomini, non credere a quello che dicono su Nostro Padre e Signore. Non credere a nulla, amalo"
 
"Io…"Aaron scosse la testa "Io davvero non capisco".
 
"Quando morì tuo fratello, non era scritto tu dovessi salvarti. Era destino entraste entrambi, subito, nel Regno dei Cieli. Ma ogni notte io ascoltavo le tue preghiere e ogni notte la tua anima brillava sempre di più" Gli occhi di Maria apparvero addolorati "Eri come un gioiello, così luminoso, che ho voluto tenerti per me" la sua voce tremò "Ho voluto che continuassi a vivere per poterti vedere brillare. Per capriccio. Potrai mai perdonarmi?" si chiese in un sospiro.
 
"Col mio folle gesto ti ho costretto ad una vita gravata dalla solitudine. Per un mio sciocco capriccio ora piangi… La tua gloria è eguale a quella degli angeli, eppure piangi." Maria accarezzò la guancia di Aaron, rigata ancora da lacrime che l'uomo non s'accorgeva di versare.
 
 
 
"E come può sentirsi una madre che sa che il proprio foglio piange per colpa sua?"
 
Per un istante, ci fu silenzio.
 
"Se non avessi voluto continuare a guardarti e ti avessi portato con me sin da subito, come ho fatto con William, saresti stato libero".
 
"William…"
 
Maria annuì: "Non ha mai smesso di guardarti. Veglia sempre su di te … Lui sa della mia colpa, eppure m'ha perdonata. Lo stesso spero possa fare tu."
 
"Ma io non ho nulla da perdonare…Io…"Aaron cercò di trovare le parole adatte "Ho potuto rimanere accanto a mio padre… Ho potuto incontrare Nathaniel…" poi si accorse di quello che aveva appena detto e sussultò di vergogna "Sono io che dovrei chiedere perdono."
 
"Le leggi degli uomini non sono le stesse di Dio. Dio è amore, come potrebbe non volere che si ami?"
 
Aaron ebbe l'istinto di contraddirla, ma si fermò prima di dire alcunché.
 
"Amalo. E' l'unica cosa che posso fare per te. Toglierti dalla colpa creata dagli uomini e permetterti di amarlo come meglio credi."
 
Aaron non riuscì a dire nulla. Quella donna bellissima, sua Madre, con la mano sulla sua, gli stava chiedendo di perdonarla e gli dava il permesso di amarlo.
 
Stava forse sognando?
 
Maria scosse la testa e sorrise così dolcemente che Aaron ebbe il coraggio di chiedere: "Partirà?"
 
Gli occhi della Madonna si velarono di tristezza.
 
"Questo io non lo so. C'è un equilibrio molto precario che rischia di alterarsi da un momento all'altro. Agiscono forze che fuoriescono dalla mia giurisdizione. Nessuno può mettere mano al destino perché Dio ha creato gli uomini liberi. Dipenderà da quello che sceglierà Nathaniel, da che cosa riterrà giusto fare" chinò la testa "Non so dire altro"
 
"No" le disse lui "Non chinate la testa, non voi. Non di fronte a me" Aaron le strinse le mani "Io sono grato della vita che m'è stata donata. Qualunque fosse il motivo, la vita che ho vissuto per me è stata importante. Nathaniel…"
 
"Ho deviato io la sua strada" lo interruppe Maria "Ho volutamente portato Nathaniel qui perché sapevo che solo tu potevi salvarlo. Ancora pensi che io non abbia colpe?"
 
Aaron corrugò la fronte e Maria gli lesse negli occhi la risposta senza che fosse necessario che lui la pronunciasse: c'era così tanto amore per quell'uomo che non poteva non essere grato a chiunque l'avesse condotto da lui.
 
Nero era il dono per lui, Aaron non riusciva a vedere come potesse essere l'opposto.
 
Maria l'abbracciò: "Uni degli angeli più puri, ecco cosa sei. Sei in Terra e sei mortale, ma la tua purezza è così bella che mi commuove. Lascia che ti abbracci e permettimi di fare l'unica cosa che posso fare per te. Il mio egoismo e la mia vanità nel mantenere in vita un'anima per la sua bellezza non sono degne del Regno dei Cieli. Ma Dio conosce il mio animo meglio di me stessa e mi abbraccia, ogni volta che inciampo, lasciandomi continuare a vivere al suo fianco. Lascia che faccia lo stesso con te. Lascia che io, come Madre ti abbracci. E lascia che dissipi le paure di recare torto a Dio amando un uomo."
 
Aaron si lasciò abbracciare e avvolgere completamente dal calore che emanava Maria.
 
Chiuse gli occhi ed ispirò, liberando la sua mente da tutto ciò che era superfluo.
 
Sua Madre l'avrebbe protetto.
 
Quella stessa madre che non aveva saputo assecondare il fato, ma aveva voluto tenere l’anima di Aaron viva solo per averne la bellezza, la stessa Madre che ora chiedeva perdono per i suoi peccati. La stessa Madre che era Regina ma che ora chinava la testa umilmente.
 
Sì, lei l’avrebbe protetto.
 
 
 
Aaron si svegliò nel suo letto quando il sole era già alto in cielo.
 
 
 
Nero stava legando la bardatura al proprio cavallo, quando Luppolo entrò nella stalla. Lo scozzese non disse nulla, limitandosi ad osservare l’amico.
 
“Ho parlato con Chiaro” gli spiegò Nero senza smettere di occuparsi della propria bestia “E m’ha spiegato quello che è successo l’altra sera”
 
Luppolo annuì. Sapeva bene che Nero non avrebbe preso né le parti del fratello né le sue, né per altro avrebbe dato più credito alle parole dell’uno o dell’altro. E questo, del suo capo, gli era sempre piaciuto.
 
“E’ finita, vero?” anche se posta come una domanda, Luppolo sapeva già la risposta.
 
Nero annuì “Del resto, me l’hai detto tu stesso che con Chiaro ormai la convivenza è impossibile”
 
Luppolo sorrise: “L’ho sempre saputo, non è una novità. Ma ultimamente qualcosa s’è spezzato…”
 
“E’ stato questo posto” rispose Nero, con voce neutra. “Ha messo in luce…” poi sospirò “ciò che prima era nascosto”
 
“Cosa faremo?”
 
Nero legò l’ultimo laccio al dorso del proprio cavallo e non rispose per un po’, poi si girò a guardare Luppolo.
 
“Dobbiamo andare a Londra, Re Edoardo si aspetta di vederci. E poi ci divideremo…”
 
“Tu cosa farai?”
 
Nero sorrise ed eluse la risposta: “In realtà, sono più curioso di sapere cosa farai tu”
 
Lo scozzese guardò l’amico.
 
“Non so…Forse tornerò in Scozia, anche se penso che Cencio vorrebbe tornare qui…” Poi si accorse di quello che aveva appena detto, e sorrise “Starò dove lui preferisce”
 
“Potresti convincerlo ad andare in Scozia…manchi da molto”
 
“Lo so, manco da molto…Tornerò, anche se non ho ancora deciso se rimanere” spiegò.
 
“Sono felice per…” Lo scozzese capì a cosa si riferiva l’amico e lo guardò negli occhi; vide una tale sincerità, ma una tale tristezza allo stesso tempo, che non poté tacere.
 
“Non è vero”
 
“Sai a cosa mi riferisco”
 
“Lo so. E ti ringrazio. Te ne vorrei parlare” sorrise quasi imbarazzato “te ne vorrei parlare, ma non dire di essere felice”
 
Nero capiva a cosa si riferisse l’amico.
 
“Non tornerò Luppolo” disse con un filo di voce.
 
“Perché?” ma lo scozzese temeva di sapere già la risposta.
 
“Perché non posso farlo. Non posso andarmene, non di nuovo…”
 
“Ma Nero, Chiaro si deve…” ma Nero alzò la mano per interrompere l’amico.
 
“Per favore” gli chiese con tono di leggera supplica “per favore…” ripeté a se stesso, lasciando che le parole scivolassero via. 
 
Salì sul dorso del cavallo, tornando a dare le spalle a Luppolo: voleva solo cavalcare, voleva correre, voleva solo silenzio nella sua mente che continuava a gridare.
 
“Partiremo fra due giorni. Dillo agli altri, io rimarrò fuori per un po’”
 
Luppolo guardò Nero chinarsi in avanti e dire qualcosa al suo animale. Non lo vedeva in faccia, ma le sue spalle sembravano così appesantite da apparire ricurve sotto un peso insostenibile.
 
Il cavallo di Nero uscì dalla stalle lasciando Luppolo solo.
 
 
 
Lo sapeva bene, Chiaro avrebbe dovuto… Avrebbe dovuto tante cose, ma la realtà dei fatti era ben diversa.
 
Aveva un fratello che dipendeva da lui e che già aveva abbandonato e amava una persona come non avrebbe dovuto.
 
Esisteva forse un’altra soluzione se non quella di andarsene e di non tornare?
 
Non esisteva.
 
Il vento gli tagliava la pelle del viso, ma non era importante. Non avrebbe più sentito quel vento di Cornovaglia di lì a poco, non avrebbe più sentito il dolore sulla pelle ferita, non avrebbe più sentito niente. Lontano da lì sarebbe semplicemente scomparso tutto.
 
L’aria era ancora troppo fredda per le sue mani scoperte che si ferirono a loro volta, ma Nero non se ne accorse.
 
Non era davvero importante. Nulla pareva esserlo. Bastava cavalcare e sperare che la notte non finisse, bastava cavalcare e andare, perché voleva dire che comunque sarebbe potuto, almeno quella sera, tornare. Si sarebbe potuto illudere che – se quella sera non fosse finita – avrebbe potuto cavalcare ancora un po’.
 
Forse l’indomani il sole avrebbe potuto sorgere un po’ più tardi.
 
 
 
Nero si dovette fermare, per cercare di controllare un conato di vomito.
 
Anche quello sarebbe passato…
 
Il dolore lo piegò e si ritrovò a terra, con una fitta incontrollabile.
 
E si ritrovò a piangere. Prima una lacrima sfuggita, poi una dopo l’altra, il pianto di chi sa che tutto sarebbe semplicemente scomparso.
 
C’erano troppe cose non dette in quelle lacrime, troppe cose non fatte… Ed il dolore annichiliva i sensi, perché non poteva avere scelta.
 
Si chiese se forse sarebbe stato meglio morire.
 
Abbandonare quelle terre e morire non sarebbe stato diverso, ma ugualmente doveva continuare a respirare. Ancora per un poco, fino a che i suoi compiti non fossero terminati. Fino a che il loro gruppo non si fosse definitivamente sciolto.
 
Sarebbe scomparso anche lui, come tutto. Non sarebbe esistito né colore, né musica, Nero sapeva che dopo che se ne fosse andato di lì e dopo che i suoi compagni avessero intrapreso la loro strada, lui sarebbe scomparso.
 
Si chiese se non fosse un atteggiamento da vigliacchi, se la sua non fosse una fuga.
 
Quale alternativa aveva? Mai avrebbe potuto desiderare la scomparsa di Chiaro: anche se così diversi, Nero voleva bene al fratello.
 
Non poteva fare niente.
 
E tutto doveva sparire.
 
Chiaro sarebbe rimasto di nuovo solo, ma si sarebbe trovato di fronte all’obbligo di camminare con le proprie gambe.
 
 
 
 
 
“Non dovevi lasciarlo andare…”
 
“Non avevo scelta”
 
“Non possiamo partire fra due giorni…”
 
Lo scozzese non rispose.
 
“E’ troppo presto, è troppo…”
 
“Partiremo fra due giorni e tu lo sai. Noi non possiamo fare niente”
 
“Ma il capo…”
 
“Vieni qui…” Luppolo lo prese fra le sue braccia e lo strinse a sé, nascondendo il viso nel collo di Cencio.
 
“Posso dirti che sono felice nonostante si stia per partire?”
 
“Stupido” Cencio sorrise e strinse Luppolo più forte.
  
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