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Autore: Carolina Evans    05/09/2012    1 recensioni
"Dov'eri?"
"Ti cercavo"
"E ora che mi hai trovato?"
"Ricomincio il gioco e cerco qualcun altro."
Dedicata alla mia compagna di depressioni estive.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Dov'eri? Nel limbo  


 Per Vale.                                                                                                                                                                                      








                                                                                                                                                                    Non tutte le storie vanno come vorremmo. Per questo ci è concesso di raccontarle.

 




 

Storia di una storia (quasi) vera. 





Cammino lentamente, senza fretta. Ho ancora un’ora prima dell’appuntamento con la professoressa. Ho finito tutte le compere da fare. Mi godo la città come se fosse la mia. Respiro l’aria inglese a pieni polmoni. L’ipod nelle orecchie, non ho un singolo pensiero al mondo, quando lo incontro.
Andrea Parente è sul Millennium Bridge, come me, e cammina nel senso opposto al mio. Il mio cuore perde un battito mentre lui mi sorride timidamente e si passa una mano tra i capelli.
“Vale, dov’eri?”
“Ti cercavo” mento.
I suoi occhi sorridono per un istante, poi dice.
“E ora che mi hai trovato?”
“Ricomincio il gioco e cerco qualcun altro.” rispondo, sorridendo a trentadue denti.
Mi guarda. Ha delle ciglia lunghissime. I suoi occhi ricordano quelli di un cerbiatto. Dio mio quanto è bello. Ha l’aria di un cucciolo ferito, perennemente. Il sorriso che si forma sulle sue labbra fa sorridere anche me. Se poi penso che quel sorriso è diretto proprio a me, mi viene voglia di ridere e piangere, e poi ridere di nuovo.
Siamo su un ponte, siamo a Londra. Siamo insieme. Ci giriamo e guardiamo giù il Tamigi che si attorciglia come un serpente argentato nelle sue spire liquide, in silenzio. L’aria è umida, fredda. Il vento ci schiaffeggia violentemente le guance, ma non è per questo che sono così rossa in viso.
“Vale, quanto manca alla fine del mondo?”
“Quanto vuoi che manchi?” chiedo io.
“Speriamo poco, davvero.” Dice, sospirando.
“Andrè, che hai?”
“Niente in particolare, è che mi scoccia.”
“Cosa?”
“Vivere nel limbo.”
“Che vuoi dire?”
“Non so se sai cosa intendo. E’ come se mi sentissi sempre inappropriato, sempre sbagliato. Troppo serio per stare con alcuni, troppo triste per altri, troppo capa di cazzo per altri ancora. Sono troppo giovane per trovarmi un lavoro serio, ma troppo vecchio per continuare a non fare nulla. Non ho un posto tutto mio, un posto in cui io possa essere me stesso in pace, non trovo nessuno a cui piaccia fino in fondo.”
“Non dire stronzate, Erica ti ama così come sei.” Dico io.
Scuote la testa e sorride amaramente prima di parlare.
“Sempre se mi ama, ma non credo sia così. Non so neanche più io se l’amo. Non so neanche più chi sono io, come posso capire qualunque altra cosa?”
“Sarà solo un periodo, Andrea, non preoccuparti. Si risolverà tutto. Se hai bisogno di qualunque cosa, sappi che ci sono io.”
“Grazie Vale, lo apprezzo. Davvero. Sei una grande amica.”

E tutte le mie speranze si frantumano come uno specchio colpito da un pugno, mentre metto su un sorriso a denti stretti.




Sono seduta al bar, davanti a me un bicchiere ormai riempito solo da ghiaccio e da una cannuccia di plastica. Carolina, di fianco a me, non la smette di smanettare con il cellulare e contemporaneamente flirtare con un cretino patentato di nome Armando che la sta mangiando con gli occhi ma non ha il coraggio di dirle quello che pensa. La mia amica non mi è di nessun aiuto, mi sento piuttosto sola, immersa tra gente di cui conosco molto poco e di cui mi interessa altrettanto poco. Aspetto solo l’arrivo di Mattia e dei suoi amici. In realtà, aspetto solo l’arrivo di Andrea. Siamo dall’altra parte del mondo, ma lui, per pura coincidenza, pare seguirmi dappertutto.
Non fa neanche in tempo a rimanere nella mia mente sotto forma di idea, che eccolo dietro di me.
Arriva, mi bacia sulla guancia e mi lancia uno sguardo che è pura cioccolata, puro affetto, puro amore.
“Dov’eri?” chiedo
“Ti cercavo” risponde. Lo capisco al volo e continuo.
“E ora che mi hai trovato?”
“Ricomincio il gioco e cerco qualcun altro.”
Mi sorride sardonico. Anche io sorrido. Sono parole famose, già udite. Sono le parole che mi vengono rigirate, come a ferirmi con la mia stessa arma.
“Perché mi cercavi?” chiedo, sempre sorridendo.
“Mi andava di vederti” risponde con sorprendente semplicità.
“Ah, davvero?” dico, con voce stupita.
“Ho voglia di vedere molte persone, sai?”
“Dillo che io però sono la tua preferita.”
“Sempre e comunque, Vale.”
Rido.

“Siediti.” esclamo alla fine, indicando il vuoto lasciato da Carolina, occupata a picchiare Armando, e lui prende posto sulla sedia a fianco alla mia.


E’ tutto buio, fatta eccezione per alcune luci che ballano sui miei occhi mandandomi in confusione. Fa caldo, caldissimo, credo che il poco alcool che ho in corpo mi stia dando fastidio. Fanculo, una volta che bevo devo anche vomitare. Cerco di annegare questa sensazione, quando vedo Mattia. E’ Mattia, innegabilmente, è lui, mio cugino, che ride con tutti i denti da fuori e stringe gli occhi fin quasi a chiuderli. Lascio la presa di Carolina, che mi guarda un attimo prima di riposare il suo sguardo su Armando, che le sta di fronte, pronto a parlarle per la prima volta davvero. Urlo il nome di mio cugino a squarciagola, senza alcun risultato. Prima che possa anche solo afferrargli un polso, è già sparito, inghiottito da una folla alla quale lui si abbandona credendo di porre rimedio ai suoi problemi. Mi sono allontanata troppo per tornare indietro, sono troppo lontana da Mattia per raggiungerlo. Sono in un limbo. Sono sola. Fa sempre più caldo. E’ sempre più buio. Sento una mano che mi stringe la mia e mi gira. Sono terrorizzata, ma non ho neanche la forza di reagire. Chiudo gli occhi. Facessero ciò che vogliono, basta che poi mi riportano indietro dai miei amici.
“Vale, stai bene?”
L’unica voce che non avrei mai creduto di poter sentire, ecco che squilla allegramente nelle mie orecchie. Andrea Parente si trova a pochi centimetri dal mio naso, quando io riesco finalmente a riaprire le fessure che chiamo occhi.
“Vale, mi senti? Hai bevuto?” mi chiede.
Lo ignoro bellamente. Sì, ti sento. Sì, ho anche bevuto, ma non è questo l’importante.
“Dov’eri?” mi domanda ancora.
A questa domanda vale la pena rispondere.
“Ti cercavo.”
Sorride. Capisce finalmente che sto bene. Capisce che questo potrebbe essere il momento migliore, il posto migliore. Capisce che sono nella sua stessa situazione. Siamo pari. Due soli nel limbo, che si tengono per mano.
“E ora che mi hai trovato?” chiede
“Ricomincio il gioco e cerco qualcun altro.” Rispondo candidamente io.
“Davvero?” domanda, conoscendo già la risposta. Il suo naso è davvero troppo vicino al mio, riesco a contargli le lunghissime ciglia che circondano i suoi occhi cioccolata. Il suo sguardo è sempre lo stesso, triste, come affogato in un dolore da cui non può risollevarsi, però le sue labbra sono increspate in un sorriso.
Non c’è bisogno che io risponda neanche a questa domanda. Si avvicina e in un attimo le mie labbra sfiorano le sue, muovendosi all’unisono. Non sono il tipo di ragazza che gli piace, non sono una facile, non sono una esperta, ma ormai non sono più nulla. Siamo solo noi due, uniti da ora fino a mai più. Nel limbo, il tempo non esiste.




Note dell' "autrice":
Salve, benvenuti. Questa che avete appena finito di leggere è una storia quasi vera. I personaggi esistono (con un altro nome ovviamente), e gli avvenimenti si sono svolti PIU' O MENO così. Possiamo dire che ci ho romanzato solo un tantinello sù. Spero vi piaccia. A presto (no, non vi libererete di me neanche se non recensite, quindi a questo punto meglio farlo no? :D)
Ciao!

  
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