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Autore: raganellabyebye    05/09/2012    2 recensioni
E' il sedicesimo giorno prima delle calende d'aprile. Un uomo si aggira inquieto per i corridoi del palazzo. Cosa sta aspettando? O meglio, chi?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Red Carnations'
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Un’altra One-shot, perché adoro parlare del passato – in particolare dell’infanzia – dei fratelli Vargas, e siccome a Lovi non dedicano mai abbastanza spazio (nella storia originale, intendo), ta-daaaan!
Per chi non avesse letto le altre ff di questa serie, ecco chi sono gli OC:
Claudio: Figlio di Romulus e Tarquinia (l’Etruria, unico vero amore del nostro adorabile Nonno Roma)
Teodora: figlia bastarda di Antica Grecia e Impero Persiano (sorellastra di Heracles, quindi), ora Impero Romano D’Oriente.
Questo è tutto quello che vi serve sapere, quindi...
buona lettura!
Avvertenze: chi romperà per la mancanza di avvertenze, prenderà il colpo della strega e rimarrà inchiodato a letto per tre giorni. E questo durante un ponte festivo, così da rovinargli la vacanza, ma anche da lasciargli abbastanza mobilità per studiare e fare i compiti. Muhahahahaha!
 
 
 
Pater sum
 
C’è un uomo, nel corridoio. È un uomo giovane, sui ventotto anni, con la pelle appena abbronzata e i capelli castani raccolti in una coda dietro la nuca, che scende liscia fino alla sesta vertebra. La luce dei bracieri e delle lampade appese alle altissime colonne, si riflette sulle pareti del palazzo, decorate da mosaici e affreschi dai colori così luminosi, da sembrare d’oro puro. Ogni spilla un piccolo gioiello, vestito con una toga di seta verde e una tunica – s’intravede appena la manica destra e la parte da sotto il ginocchio in giù – blu marino, entrambe bordate e ricamate con motivi in oro dal gusto orientale, potrebbe benissimo essere scambiato per il signore di quell’imponente e edificio.
Arrivato a un incrocio, si ferma. La brezza notturna che entra dall’ampia porta sul cortile sposta le due ciocche di capelli che gli ricadono ai lati del viso, mettendo in mostra i suoi lineamenti mediterranei, decisi, che rendono più mascolino quell’ovale altrimenti troppo fine e aggraziato, per un uomo. Si morde il labbro inferiore, e quegli occhi chiari – una via di mezzo fra l’ambra e il bronzo, con una nota di nocciola – scintillano di preoccupazione. Stringe una mano dentro l’altra, a pugno, scrocchiandosi le nocche. Sposta il peso da un piede all’altro, nervoso, sfregandosi il mento – lievemente coperto da un cenno di barba – e riportando poi la mano lungo il fianco, nascosta dall’abito. Il suo sguardo si fa improvvisamente deciso, e girando su se stesso, s’incammina rapido verso la camera dalla quale si è allontanato.
Passa file di colonne dai capitelli corinzi, passa su mosaici lucidi di pietra di luna e su tappeti intricati come edera rampicante e soffici come il pelo di un gatto. A un certo punto, un altro rumore si accosta a quello dei suoi sandali: lo sfregare di corazze e di elmi, spade che escono dai foderi, alabarde che battono sul marmo del pavimento.
“Chi è là?”
Grida una guardia, in greco. Poi la luce delle candele si riflette sull’oro delle sue vesti, dei fermagli, dei bracciali, degli anelli, e nel colore luminoso dei suoi occhi. Tutti i soldati si mettono sull’attenti, nascondendo le proprie armi.
“Scusi signore, non-“
Lui alza semplicemente una mano, continuando a camminare: non si è mai fermato, come se quelle daghe non fossero pronte a passarlo da parte a parte. Attraversa un’altra stanza, senza mai variare il passo, lasciando che siano gli schiavi a togliersi dai piedi. La pazienza non è mai stata fra le sue virtù, e di certo non inizierà stanotte. È irritato da tutta questa folla: perché sono lì? Due ostetriche, qualche medico e le guardie, questo basta. E l’incenso, ah, l’incenso: in genere non gli da importanza, lasciando che si trasformi in un odore di fondo, ignorabile, ma questa sera... Perché ne hanno acceso dell’altro? Come se non fosse ovvio, che nelle sue condizioni potrebbe solo darle fastidio... E poi, non bastano i gelsomini che ricoprono i muri del giardino, proprio fuori dalla loro finestra? Sono Romani, non Persiani, per Giove!
Raggiunta la porta, si ferma un istante, sentendo gli occhi di tutti puntati su di sé; in particolare, due schiave, ognuna accanto a uno dei due stipiti della porta, sono lì immobili, come cariatidi. Lui regala a entrambe uno sguardo assassino, e loro balzano indietro, gatti spaventati da un lupo pronto ad attaccare. Allunga la mano destra, afferrando la maniglia dell’anta destra, e-
“AAAAAHHHH!!!”
L’urlo fa sobbalzare tutti, e lui si stacca dalla maniglia, un tubo dorato posizionato verticalmente, lungo quaranta centimetri buoni. Rimane lì, combattuto.
Da un lato, sa che non dovrebbe entrare; dall’altro, vuole esserci. Vuole vederlo (o vederla?), stringere la mano a Teodora...
“AAAAAHHHH!”
...e ancora, non è sicuro di poter reggere.
Si sente ridicolo, un po’ umiliato, anche. Ha combattuto di fianco a suo padre, è scivolato su campi resi fangosi dal sangue dei caduti, ha trascorso giorni – settimane, a volte – nelle infermerie da campo – un inferno in terra – ha visto uomini fatti a pezzi, ha riportato compagni con le viscere che uscivano loro dal ventre... Ma non riesce a entrare. Il solo pensare a quello che sta facendo Teodora, a quello che deve stare provando...
“AAAAHHHHH!!!!”
...gli rivolta lo stomaco.
Merda. Merda, merdamerdamerda! Cazzo...
“AAAAHHH!!!.... AAAHHH!!!”
Le urla si fanno più frequenti: manca poco. Almeno, così gli è parso di capire.
DANNAZIONE! È ROBA DA DONNE, QUESTA!
“AAAHHH!!!”
Con la coda dell’occhio, vede due figure avvicinarsi alla sua destra: sono gli assistenti dei dottori. S’infila dentro prima che possano fermarlo: non saranno loro a decidere per lui!
La porta si richiude alle sue spalle con un suono basso, smorzato, con un che di inquietante, come a dire “hai fatto la tua scelta: non puoi più andartene, ora”. Il fatto che tutta la luce sia concentrata sulla donna seduta e le figure che le girano attorno, non aiuta, anzi. Se non sapesse cosa stanno facendo davvero, li avrebbe scambiati per un gruppo di druidi intenti in un qualche genere di sacrificio.
“AAAAAHHHH!”
E le urla dell’Impero Romano d’Oriente completano perfettamente il quadro. Deglutisce, cercando di mandare giù anche quel magone che gli occlude la gola. Fallendo.
Si avvicina esitante, in silenzio, anche se con il rumore che fanno gli altri, potrebbe benissimo andarsene in giro suonando la lira. Solo una volta raggiunto l’alone di luce formato dai candelabri, si ferma, ancora una volta senza sapere che fare o dire.
“AAAAHHHHH!”
Due passi e le è accanto. Con una gomitata allontana la donna (quella è una donna?) che stringeva la mano di Teodora, prendendone il posto. La mano piccola e pallida della giovane bruna seduta si stringe attorno alla sua in una morsa, allentando la presa fra uno spasmo e l’altro.
Anche l’uomo inizia ad ansimare, mentre gli occhi gli bruciano per l’odore ripugnante di incenso che qualche idiota si è ostinato a mettere pure lì
“AAAHH... AAAAAHHHH.... AH-“
Lei tossisce.
“TOGLIETE QUEL CAZZO D’INCENSO E APRITE QUELLE TENDE, TESTE DI ***********! E SCOPRITE CHI È IL CRETINO RITARDATO CHE L’HA ACCESO!”
L’uomo urla, paralizzando tutti i presenti. Solo un paio hanno la presenza di spirito di eseguire l’ordine, prima che sia lui stesso a mettersi in moto.
Il volto di lui torna a girarsi, la sua attenzione completamente presa da Teodora. Le urla riprendono, più forti e più frequenti.
 
 
Le ostetriche lo hanno spinto fuori a forza, alla fine, ma a lui non aveva protestato più di tanto: l’aveva visto. Per un istante, semi-nascosto dalla schiena di una delle levatrici, ancora tutto appallottolato su sé stesso, ma è riuscito a vederlo. E a sentirlo, oh, se lo ha sentito...
Quella piccola Furia...
Sospira, spossato. Non si è mai sentito così teso e nervoso. Tante delle cose che potevano andare storte non lo sono andate, ma ce ne sono ancora tante che potrebbero farlo...
“Può entrare”
Sussurra la piccola schiava etiope che fa da assistente all’ostetrica. Gli intestini gli si annodano per la paura: e una volta entrato? Cosa, cioè, che...? Si alza lo stesso, entrando nella camera ora illuminata dal sole della tarda mattina.
Al centro della stanza è stato riportato il letto – il loro letto – e lei vi si è sdraiata sopra, la schiena appoggiata a una pila di cuscini. Non da segno di averlo notato: è interamente assorbita dal fagottino che tiene fra le braccia.
“Teodora...”
Lei sobbalza, poi lo osserva, come avesse bisogno di tempo per riconoscerlo. Sorride.
“Claudio... guarda”
La Provincia Italica si siede accanto alla moglie. Cerca di rimandare il momento in cui dovrà farlo concentrandosi sulla donna. Non può non sgranare gli occhi per la sorpresa, scoprendo una vena di affetto in quegli occhi verde oliva fino ad allora brillanti solo d’ambizione. Al contrario di quanto pensava suo padre, non si era rincretinito di colpo. Dal primo momento che aveva visto Teodora, aveva capito a cosa mirava la donna. Ma aveva anche capito che c’era caduto in pieno, con sandali e tutto. Si era innamorato, e lasciarla gli era inconcepibile.
Lei abbassa lo sguardo, invitandolo a fare lo stesso. Lui deglutisce, cercando di fermare il tremore incontrollato alla mano che sta sollevando. Con un ultimo sospiro, prende un lembo della coperta di lino fra pollice e indice, delicatamente, scostandola per vedere il neonato.
Silenzio.
“Allora?”
Sussurra lei, impaziente. Lui le risponde mormorando, cercando di trattenere una lacrima.
“È... È perfetto”
L’italico inizia a ridacchiare, lasciandosi andare in una risata liberatoria. Lo prende fra le braccia, con cura
“Ehi... mi senti? Ahahah... sei bellissimo, lo sai?”
Gli dice commosso, non accorgendosi che ha iniziato anche a piangere: il suo petto è tutto un sussulto, diviso fra felicità e terrore. Sì, quel cosino fra le sue braccia lo spaventa a morte. Guarda la compagna
“Sono...”
Respira profondamente, cercando il coraggio di pronunciare quella parola
“... sono padre!”
Ricomincia a ridere e piangere al tempo stesso, ripetendo quelle due parole più volte: a sua moglie, a suo figlio, ma soprattutto a sé stesso. Suonano così nuove, estranee, eppure così naturali...
Il bambino spalanca gli occhi, improvvisamente, forse scombussolato da tutto quel rumore e movimento.
I suoi occhi...
Sono verdi, con una lieve tonalità nocciola, illuminati da pagliuzze d’oro. Il respiro gli s’impiglia in gola, e Teodora si allarma.
“Cosa c’è?”
Lui scuote la testa, sul suo viso la stessa espressione intenerita di poco prima.
“Hai già pensato a come chiamarlo?”
Le chiede, lasciandola disorientata.
“No”
Claudio annuisce, lasciandosi scappare un sorriso.
“Romano”
“Cosa?”
Gli domanda sbalordita.
“No! Non permetterò che il mio primogenito porti il nome di quel bastardo di tuo padre!”
Ma lui non la sta più ascoltando. Il bambino ricambia il suo sguardo emozionato con uno apatico e – forse, ma potrebbe essere anche un’impressione – un po’ scocciato: ma perché diamine l’hanno svegliato? Claudio ridacchia, riconoscendo la stessa smorfietta seccata di Tarquinia
Se potessi vederlo, mamma... è... è perfetto.
“Hai capito, piccolino?”
Gli dice il padre, incurante dei borbottii di Teodora
“Romano. Ro-ma-no. Abitante di Roma anzi, diamine, cittadino di Roma, la città più grande e bella del mondo! No, il centro del mondo! Membro dell’Impero Romano, Incarnazione dell’Italia del Sud, la terra baciata dal sole, il luogo più bello di sempre!”
Nel parlare, la sua voce si è alzata, alterata dall’eccitazione. Eppure Romano non piange, anzi, si riaddormenta.
Claudio ha la vista appannata dalle lacrime, ma potrebbe giurare di averlo visto arrossire.
 
 
 
 
 
Note:
_Nell’Impero Romano d’Oriente, benché la lingua “ufficiale” fosse il latino, in realtà parlavano quasi tutti greco; in seguito, verrà usato anche nei documenti ufficiali.
_Le donne partorivano da sedute, per favorire l’uscita del bimbo. Il parto avveniva in casa, e a praticarlo erano le levatrici – donne, non uomini. L’uomo – in genere – era “escluso”. Non chiedetemi perché, rimane il fatto che – di solito – gli uomini non assistevano al parto.
 
Altri interrogativi? Basta chiedere!
byebye
  
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