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Autore: OrdinaryLove    06/09/2012    3 recensioni
premetto che- anche se alcuni avvenimenti ricordano cose scritte da Arthur Conan Doyle- non mi sono ispirata a nessuna storia in particolare per questa one-shot holmesxwatson :3 enoy it anyway
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giacevo vicino al camino, me ne accorsi ancora prima di destarmi , perché i miei incubi turbolenti
stavano pian piano mutando forma, trasformandosi in qualcosa di non ben definito, che mi portò ad aprire gli occhi.
La prima cosa che percepii fu un fresco sentore sulla mia fronte, e poi gocce umide che continuavano a scendermi lungo le tempie, fino a cadere a terra.
La mia testa era lievemente sollevata rispetto al resto del corpo, che percepivo poco e in maniera confusa.
L’unica parte di esso che sentivo vividamente era il punto ad di sopra del fianco sinistro, dove si apriva lo squarcio di un’arma da sparo ancora sanguinante.
Mi lasciai sfuggire un gemito di dolore, sentendo una fitta allucinante.
Così cercai nei meandri della memoria come mi fossi procurato una simile offesa, cercai il colpevole del delitto che mi aveva privato momentaneamente della mia salute.
L’unica risposta che riuscì a darmi fu un flebile ricordo di un uomo con una pistola ben nascosta, che in seguito avrebbe puntato contro Sherlock Holmes, momentaneamente distratto dall’ispettore più incapace di Scotland Yard, l’ispettore Lestrade.
Infine ricordo di aver gridato e di essermi intromesso nella traiettoria del proiettile destinato al mio coinquilino prima di aver avuto il tempo di cacciare la mia, di rivoltella.
E poi il nulla.
Penso di esser stato operato, altrimenti ora non sarei qui, nella sala da pranzo del nostro appartamento a Baker Street.
Qualcuno mi tolse il fazzoletto umido dalla fronte, trovandomi in netto disaccordo.
Sentii la stoffa immergersi nell’acqua, per poi essere strizzata e rimessa al suo posto.
Sospirai di piacere.
Avevo il viso in fiamme eppure le mie membra erano fredde come il ghiaccio. Dovevo avere la febbre.
Logica conseguenza.
Mani calde si posarono sul mio viso, tamponando il sudore dalle mie guancie e dal mio collo.
Erano mani di una delicatezza e precisione immensa, quasi non umana, mani macchiate dagli agenti chimici a cui erano perennemente sottoposte.
Istintivamente alzai lo sguardo, fin dove i miei occhi potevano sollevarsi a causa dell’indolenzimento.
“ Holmes…” sussurrai. La mia bocca era secca e all’inizio non pensai che riuscisse a sentire quel debole richiamo.
L’immagine che vidi alzando lo sguardo rimase tutt’ora impressa a fuoco nella mia memoria.
La mia testa era posata sulle sue gambe, che teneva incrociate sotto di essa. Portava ancora i vestiti di quel pomeriggio, con la camicia arrotolata fino ai gomiti e sbottonata, lasciando intravedere una canotta bianca.
Il suo viso era cadaverico alla luce del camino, e pesanti occhiaie viola andavano a coprirgli l’arcata inferiore degli occhi. I capelli, sempre pettinati ed estremamente curati, ora vagavano liberi sulla sua testa, finendogli davanti agli occhi stanchi e affaticati.
L’avevo già visto stremato a quel modo, spompato e distrutto fisicamente, soprattutto dopo la fine di casi alquanto impegnativi.
Ma aveva sempre goduto di una certa nobiltà ai miei occhi, anche durante quei periodi.
In quelle occasioni Holmes mi si presentava come un aristocratico annoiato, più che come l’investigatore privato momentaneamente disoccupato quale era.
Nulla era paragonabile a quella visione. Quella fu la prima volta che vidi il mio caro amico Sherlock Holmes come ciò che era realmente. Non come il freddo calcolatore o il meticoloso investigatore, nemmeno come l’uomo meccanico che avevo creduto di conoscere.
Ma come un essere umano.
Per la prima volta riuscii a cogliere l’uomo che c’era in lui.
Per la prima volta riuscii a penetrare il velo di nebbia che erano i suoi sentimenti e a scoprirlo disarmato contro questa situazione, che aveva mandato in tilt i suoi dettagliati calcoli.
La cosa mi sconvolse a tal punto da indurmi a credere che, in realtà, la persona che mi sovrastava non fosse lui, che avessi commesso un errore.
Eppure era Holmes, i gesti e i tratti somatici lo confermavano. Gli occhi marroni ed arrossati, il naso aquilino, le labbra sottili e la statura magra. Le mani che si muovevano come seguendo uno schema ben preciso, efficaci e sensibili, eppure ruvide e spellate.
Tra le labbra stringeva la sua preziosa pipa in argilla bianca ancora spenta, la sua preferita e mi guardava. Dritto negli occhi.
Mi ci volle tempo per capire che ci stavamo scrutando a vicenda, in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Nel momento in cui appresi questo riuscii forse a capire anche su cosa stesse rimuginando, in fondo, per quanto cambiato nell’aspetto, la sua mente rimaneva sempre la fredda calcolatrice che aveva risolto innumerevoli casi.
Fui tentato di aprire bocca di nuovo, ma l’unica cosa che uscì dalle mie labbra fu un rantolio e infine un colpo di tosse. Feci una smorfia, cercando di ingoiare a vuoto.
“Calma, Watson …” disse con voce flebile.
Chiusi le palpebre che sentivo pesanti, abbandonandomi al piacevole suono dell’acqua che correva accanto al mio orecchio destro.
Sentii la mano di Holmes sollevarmi la testa e l’altra che mi avvicinava il bicchiere alle labbra.
Cercai di alzare la mano destra per afferrare il bicchiere, ma questa mi ricadde sul petto poco dopo averla alzata di qualche centimetro.
Così accettai l’aiuto del mio amico nel portarmi il bicchiere alla bocca e deglutii l’acqua fresca.
Quando posai nuovamente la testa sulle sue gambe questa mi dolse tremendamente.
Sospirai , riaprendo gli occhi e guardando fuori dalla finestra che mi stava di fronte , perdendomi nella notte nebbiosa di Londra.
“ Cos’è accaduto?” chiesi. In quella frase percepii la debolezza nella mia voce.
“ Le hanno sparato. Oh , per meglio dire… lei è stato offeso da una pallottola destinata a me”.
“ Si, certo… ricordo fin troppo bene… dopo? Che accadde dopo?”
“ L’abbiamo portata di peso fino all’ospedale più vicino”.
Holmes prese nuovamente la pezza sulla mia fronte e ve la riadagiò zuppa d’acqua.
Era già notte, e doveva esserlo da parecchio ormai.
Come in seguito mi raccontò Lestrade, ero rimasto sotto i ferri per due ore buone, dalle 18:35 fino alle 20:42 ; 20:50.
In quell’arco di tempo i dottori mi avevano anestetizzato, avevano estratto il proiettile , affondato più del previsto nella mia carne, e ricucito il tutto, cercando di fermare il più possibile l’emorragia.
Ed Holmes era rimasto nella sala d’attesa per tutto il tempo, senza uscire neanche a prendere una boccata d’aria.
L’ispettore mi disse che per più della metà del tempo Holmes si era seduto sulla poltrona più vicina alla sala operatoria, comodamente stravaccato, ad occhi chiusi e mani giunte sotto il mento.
Poi aveva iniziato a vagare per la stanza, fumando la pipa e successivamente si era slacciato la camicia.
Quando i medici uscirono per avvisarli che l’intervento era andato a buon fine giurò di averlo visto sospirare di sollievo.
“Perché adesso non sono ricoverato?”
“Ringrazi Iddio che è stato operato, Watson! È una fortuna che in quel microscopico ospedale ci fosse almeno un chirurgo. Non avevano stanze a disposizione”.
“mmmh…” sospirai.
Ero fortunato ad essere ancora vivo, quindi. Per fortuna il proiettile non aveva colpito alcun punto vitale, facendo si che i dottori avessero potuto dimettermi qualche ora dopo, senza infrangere troppo la legge.
“ Ha freddo ?” sentii frugare nella tasca dei suoi pantaloni, e quando alzai lo sguardo lo trovai intento ad accendere un fiammifero.
“ No. Non mi ha portato nella mia stanza?” chiesi, battendo stancamente le palpebre.
Lo vidi accendersi la pipa col fiammifero, inspirare varie boccate di fumo e poi spegnere il bastoncino in fiamme con un paio di movimenti netti del polso.
“ Non ho avuto l’animo di lasciarla dormire al piano superiore sta notte, senza la supervisione di Miss Hudson o la mia.” Buttò fuori il fumo per poi massaggiarsi gli occhi stanchi con il pollice e l’indice.
“ E lei sa quanto poco mi fidi della governante. Inoltre la stufa della sua stanza è rotta. Così ho ben pensato di metterla a dormire nel mio letto.”
“ E lei dove ha riposato?”
“ riposato? Non ho chiuso occhio tutta la notte, neanche quando lei sembrava calmarsi nel sonno. E poi ha cominciato a sbattere i denti e a blaterare di aver freddo”.
“ Quindi mi ha portato fin qui?”
Probabilmente notò espressione preoccupata con cui lo guardavo, perché mi elargì un lieve sorriso e poi disse
“Dovere, Watson”.
Riprese a fumare la pipa e fissò lo sguardo sul fuoco, rimuginando attentamente sui fatti accaduti quel pomeriggio.
Una mano era sepolta nei miei capelli, nell’intento di non farmi muovere troppo la testa, mentre l’altra era premuta sulla mia guancia, per un motivo a me sconosciuto.
Ora il suo silenzio era preoccupante. Stava zitto, eppure i suoi pensieri arrivavano al mio orecchio senza che lui dicesse una sola parola.
Quell’Holmes sconvolto era del tutto nuovo per me, ma io lo conoscevo meglio di chiunque altro, e in quel momento la sua anima era inquieta e turbata.
Il suo cervello elaborava calcoli su calcoli, cercando un modo possibile per evitare l’inevitabile, per cambiare il destino, almeno nella sua testa, magari facendo si che fosse lui a ferirsi.
L’idea che adesso avrebbe potuto esserci lui al mio posto s’insinuo nella mia mente, lasciandomi una sgradevole sensazione.
“ Holmes, lei non poteva evitarlo” dissi in tono grave.
“ Avrei potuto invece” contestò immediatamente.
“Ma se l’avesse fatto avrebbe preso il proiettile in pieno petto”
“ Almeno avrei avuto un dottore in più a curarmi”.
Sospirai e girai sommessamente la testa verso sinistra, guardando il fuoco perdersi in vivaci fiamme rosse e arancioni davanti ai miei occhi.
“ se avessi potuto scegliere l’avrei comunque protetta ,Holmes. se ne faccia una ragione”.
Sentii la sua mano affondare di più nei miei capelli.
Sorrisi stancamente “ in fondo, Londra non può permettersi di perdere Sherlock Holmes, il più grande detective che abbia mai conosciuto. Se la pensa in questi termini la mia vita è sacrificabile, no?”
Passò qualche secondo prima che mi rispose.
Ispirò un paio di volte la pipa per poi buttare fuori il fumo.
 “Io non sarei più Sherlock Holmes senza lei al mio fianco, Watson”
Sentì il suo pollice accarezzarmi lo zigomo con una delicatezza degna di lui.
Mi aveva lasciato basito mille volte, così tante che non riuscivo a contarle. Quando finiva di spiegare il ragionamento contorto che albergava nella sua mente durante un caso rimanevamo tutti stupiti. Io , L’ispettore di turno e gli altri spettatori.
Ma questa volta fu diverso. Perché ero io l’unico testimone di questa affermazione. Io soltanto.
Deglutii. Pensai di averlo immaginato, di aver avuto un allucinazione, eppure il suo pollice continuava ad accarezzarmi la parte destra del viso. Era una presenza chiara, ferma e reale.
Aveva appena ammesso di non essere più lui senza me accanto.
non so bene cosa provai in quel momento, probabilmente per via del malessere, ricordo solo che quando mi misurò la febbre questa si era alzata visibilmente.
“m-ma lei ha già affrontato molti casi prima di me … non capisco perché sarebbe diverso se ne affrontasse altri ancora senza la mia presenza. ”.
Espirò nuovamente ed una ciocca di capelli gli finì sul viso imperlato di sudore.
Si mosse mettendosi comodo e tirò su col naso. Spense la pipa buttando i residui di tabacco direttamente nel fuoco.
“Holmes?”.
Bagnò nuovamente la pezza, ma sta volta provai più fastidio che sollievo.
Quando finalmente girai la testa per guardarlo negli occhi trovai che aveva smesso di fissarmi e guardava fuori, nel buio della notte, con la schiena poggiata sulla parte bassa del divano vicino.
Aveva lo sguardo spento e gli tremavano le mani. Quando capì che me ne ero accorto incrociò le braccia e le nascose alla mia vista.
“ Holmes, c’è qualcosa che la tur…”

“ è tardi Watson, le consiglierei di chiudere gli occhi e riposare, non trova? Dopotutto è stata una brutta giornata per entrambi”

“ Lo farò senz’altro, ma prima risponda alla mia domanda”
“ Quant’è testardo!”
“ penso che questa caratteristica si addica più a lei che a me”
“ Dimentichi ciò che ho detto. Sono solo spossato”
“ io l’ho sentita stare sveglio per più di una notte di seguito, senza mai chiudere occhio, Holmes. Mi dica la verità”.
Lo vidi esitare e mugugnare qualcosa di incomprensibile.
Con un sospiro si portò una mano agli occhi e se li massaggiò con convinzione, sebbene sapesse già che non credevo che avesse sonno.
“ Può fidarsi di me…lo sa. Sono muto come…”
“ Se le do una risposta, lei promette che poi dormirà?”
“ Glielo giuro”.
Sebbene l’avessi detto con il tono più serio possibile, lui mi squadrò , non convinto di quanto dicessi.
“ Se potessi alzare un braccio per far giuramento lo farei, glielo assicuro”.
Gli sorrisi e poi lo incoraggiai di nuovo, con il cuore che mi batteva a mille senza un motivo preciso.
Chissà, forse perché avevo già previsto quello che accadde in seguito.
Senza preavviso mi prese il viso fra le mani e si chinò su di me.
Rimasi sbigottito quando sentii le sue labbra sottili premere contro le mie. Tremava.
Tremava dalla punta delle dita fino alle labbra , che ora mi baciavano in maniera un po’ più decisa, ma ancora instabile.
Istintivamente serrai gli occhi e aprii la bocca, accettando la sua lingua calda che invadeva il mio spazio, cercando la mia.
Penso che in quel momento staccai il cervello.
Non stetti a pensare che Holmes, lo stesso Holmes con il quale avevo vissuto mille avventure mi stesse baciando in maniera cosi passionale.
Non pensai a come avesse dovuto sentirsi durante questi anni, non avendo mai avuto il coraggio di dichiararsi.
Non pensai e basta. Questi pensieri si fecero strada in me solo in seguito.
Mi mossi meccanicamente, facendo uno sforzo enorme per sollevare la mano e affondarla in quei capelli scompigliati che ora accarezzavano il mia gola.
Sentii la disperazione di quel momento, sentii tutta l’ansia che aveva provato in quelle ore riversarsi su di me, in quel bacio che sapeva di tabacco.
E questo mi fece piacere, perché almeno aveva trovato il modo di dirmelo senza parlare veramente.
Mi aveva appena detto sulle labbra come si era sentito quando il proiettile si era conficcato nel mio fianco. Dello sforzo e della disperazione contenuta nel portarmi di peso in quell’ospedale che cadeva a pezzi.
Mi aveva fatto vedere una ad una le sue barriere psicologiche crollare contro il destino.
Si era maledetto per non essere intervenuto, si era accusato di aver perso l’astuzia e la fermezza che erano essenziali per la strada che aveva intrapreso.
E mi fece pesare il fatto che l’unico responsabile di tutto questo ero io, ed io soltanto.
Quando si staccò dalle mie labbra non osai aprire gli occhi. Ma dovevo avere un espressione così triste sul volta che riprese ad accarezzarmi il viso, posando la propria fronte contro la mia.
“ Sta facendo crollare tutti i miei punti fermi, Watson. Se non la smette finirò col perdere il lavoro…” sussurrò. In realtà più a se stesso che a me.
“ Stia tranquillo…” dissi prendendogli una mano e stringendola forte nella mia.
“ il suo segreto è al sicuro con me”.
Da quel momento non parlammo più. Mi feci trasportare dallo scoppiettio del camino e dalla sensazione di caldo sulla faccia. I pensieri nella mia mente presero a sfocarsi, a diventare meno definiti mano a mano che Morfeo mi prendeva tra le sue braccia, facendomi scivolare in un sonno pieno di ricordi indefiniti e spezzettati.
Ricordi e fantasie di cui la presenza principale era quella del mio amico Sherlock Holmes.

  
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