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Autore: SinisterKid    06/09/2012    11 recensioni
Lui non ci sarà più. Né per ogni donna che vuole salvarsi dal suo violentatore, né per ogni bambino che vuole salvarsi dall’auto in fiamme del proprio genitore. E nemmeno per Gwen Stacy.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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As long I breathing, I'll be waiting

Ogni notte potrebbe essere l’ultima. Ogni notte non dormo. Ogni notte mi faccio tante di quelle paranoie che neanche uno psicologo reggerebbe. Ogni notte temo di arrendermi e lasciarlo andare perché è giusto così, ma ogni secondo che passiamo insieme mi fa cambiare idea. Posso andare avanti, penso. Posso amarlo nonostante i pericoli che corre.
Certe notti, sono relativamente tranquilla. Ma da quando mio padre è morto sotto i suoi occhi, il significato del termine “tranquillità” mi è sfuggito. Tranquillità è sapere che almeno per questa notte, Peter non verrà assassinato da qualche lucertolone o robe simili. Provo a chiudere gli occhi e a prendere sonno. Domani ho il compito in classe di chimica e lui non permetterebbe mai che vada male per colpa sua. Ma gli occhi non si chiudono. È come se avessero una molla che gli impedisse di sigillarsi. Quella molla porta il suo nome. Questa volta, però, ce la sto facendo. Mi sto abbandonando al sonno. Un evento del genere non accadeva da un anno. Mi sembra quasi straordinario ed irripetibile come un esperimento scientifico ben riuscito. Ovunque tu sia, sappi che ti amo, Peter Parker. È il mio ultimo pensiero prima di perdere coscienza e rifugiarmi nel mondo dei sogni. Un luogo così irrealistico dove io non so cosa significa preoccuparsi costantemente per la vita del mio ragazzo.
All’improvviso, uno dei miei fratelli mi strattona fino a svegliarmi.
"Che c'è’?", urlo in preda alla confusione.
"Scendi, scendi subito!", ansima lui.
Corriamo per le scale e rischiamo quasi di romperci un osso. Non so cosa mi aspetta, non so cosa provare. In soggiorno, mia madre e i miei fratelli sono riuniti davanti il televisore. Lo schermo è dominato dal volto di una giornalista che sembra debba annunciare la notizia del secolo. La telecamera si sposta dal suo sorriso smagliante ad un cadavere. Resto pietrificata. Quell’ammasso di ossa e carne indossa una tuta rossa e blu con lo stemma di un ragno che riconoscerei tra milioni.
"Spider-Man, il vigilante della città, è deceduto pochi minuti fa. Ancora ignote le cause del decesso."
Sento le ginocchia farsi molli, cadrò e mi getterò al suolo da un momento all’altro. Ma invece no, resto immobile. Tutti mi stanno fissando, si aspettano che pianga sconfortata. Non ho tempo per piangere. Strappo il telecomando dalle mani di mio fratello e cambio canale. Devo essere certa che non sia una bufala. Mi sintonizzo su una rete, a mio parere, più affidabile. Lo schermo adesso è dominato da un’enorme scritta bianca in grassetto: SPIDER-MAN E’ MORTO. Comincio a scuotere la testa e gli occhi mi si riempiono di lacrime. Mi lascio scivolare a terra e mi inginocchio sul tappeto. Non è possibile, io non voglio crederci. La nostra vita insieme era appena iniziata e ... e … Piango, senza preoccuparmi della presenza dei miei familiari. Mi sento assuefatta dal dolore.
"Gwen, non …", dice mia madre.
Gwen, non cosa? Non piangere? Non credere che sia tutto perduto? Lo so che questa fottuta vita andrà avanti anche senza di lui!
Scappo in camera, dove la disperazione e la consapevolezza mi assalgono. Lui non ci sarà più. Né per ogni donna che vuole salvarsi dal suo violentatore, né per ogni bambino che vuole salvarsi dall’auto in fiamme del proprio genitore. E nemmeno per Gwen Stacy.
Getto il cuscino contro la parete in un impeto di rabbia. Un porta matite viene rotto e una cornice rischia la stessa fine. Vorrei prendermela con qualcuno, ma chi? Sdraiata sul letto, le lacrime scendono fino a bagnare le lenzuola.
Mi sento a pezzi.
Lo sono.
Mi sento sconfitta dalla vita.
Lo sono.
Nella mia mente non riesco ad associare il nome Peter Parker al verbo morire. No, lui deve essere ancora vivo. Lui ha sconfitto grandi nemici, lui è ancora giovane, crede nella giustizia e merita di restare con noi. Come in una cerimonia di premiazione, i nostri ricordi più belli si rincorrono l’uno dopo l’altro. Faticosamente stacco la corrente a questa fabbrica del dolore. Non ho la forza di pensare a come è iniziato qualcosa che la cruda realtà ha ucciso. Nel giro di un anno, ho perso le due colonne portanti della mia vita e non so come superare la cosa in futuro. Dovrò crescere, andare al college, sposarmi, trovare un lavoro … senza di lui. Non era questo che volevamo. Sì, insomma. Nella mia testa ho immaginato parecchie volte la sua morte, mi sentivo pronta ad affrontarla quando sarebbe arrivata. Ma quelli erano solo pensieri passeggeri che lasciavano spazio a fantasie più rosee come il diploma e il ballo di fine anno. Adesso ho la mente oscurata dalla consapevolezza più totale. Resto a fissare il tetto e poi mi rannicchio sotto le coperte.
Ho paura del futuro.
La porta si apre ed entra la mamma. Implora un abbraccio, ma sono sorda alle sue parole. Credo che mi stia dicendo che passerà, ma io la supplico di lasciarmi sola. Lei obbedisce senza opporre resistenza. Sa che è la cosa migliore. Sa che vuol dire perdere una persona cara. Ci è già passata, però non n’è uscita. Sbatte nuovamente la porta ed esce. Non riesco ad aprire la bocca nemmeno per singhiozzare. Ho bloccato tutto dentro.
Uno spiffero di aria gelida mi aggredisce il volto. Devo aver lasciato la finestra aperta nella vana speranza che Peter tornasse. Mi alzo per chiuderla. Tremando, appoggio una mano al vetro. Fuori piove e anche dentro me. La lacrime continuano a cadere e abbasso il volto verso il pavimento. Quando lo rialzo, la mia mano combacia non proprio perfettamente con un’altra, che però è ferita.
Perfetto!Comincio già ad avere allucinazioni. Di questo passo mi spediranno in una clinica psichiatrica. Accenno un sorriso quando penso che papà aveva preso Peter per un pazzo. Poi però riparto a piangere quando vengo schiacciata dalla consapevolezza che entrambi non sono più con me.
Scosto la mano dal vetro perché qualcuno lo sta alzando. Incapace di pensare, non mi capacito di cosa stia accadendo. Una mano mi sposta i capelli per osservare meglio il mio viso.
"G-Gwen."
Mi strofino gli occhi e spalanco le palpebre. La figura di Peter Parker si è materializzata dall’altra parte della finestra. Sarà un fantasma? No, quelli non esistono. Restiamo a fissarci per dei secondi interminabili. Secondi in cui mi chiedo cosa fare e dire. Secondi in cui tutto il dolore sembra svanire.
Sembra.
"Gwen …"
È bagnato fradicio e ferito. Ha un graffio all’altezza del sopracciglio destro, il labbro superiore spaccato e un occhio malconcio. La sua espressione è sofferente, ma nonostante non abbia lottato, la più distrutta tra i due sono io.
Lui scavalca ed entra. Fa per abbracciarmi, ma io mi sposto. La rabbia mischiata al dolore non mi fa ragionare.
Lo strattono e lo tiro per la maglietta bagnata. "Tu dovresti essere morto. Tu sei morto!", urlo.
"Sono morto per la città ed è giusto che sia così al momento.", dice freddamente.
Mi indico. "Io faccio parte di questa maledetta città! Io come loro ho creduto che non ti avrei mai più visto. Hai pensato a tua zia, a me, prima di diffondere questa notizia, brutto incosciente?"
"Ho cercato un modo migliore, ma …"
Gli tiro uno schiaffo. "Hai idea di cosa abbia significato crederti morto? Te ne rendi conto che mi sono ritrovata di nuovo …"
Non permette che io termini la frase. Le sue labbra sanno di pioggia e sangue e sfiorano le mie disperatamente. Dal suo occhio aperto a metà iniziano a correre delle lacrime, che riesco a sentire, ed infrangono il mio cuore in mille pezzi. E così ci ritroviamo ad asciugarci le lacrime a vicenda.
"Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. Un giorno capirai perché sono stato c-così drastico." Singhiozza e mi prende il volto tra le mani. "Mi dispiace, non smetterò mai di dirtelo. Non era mia intenzione farti soffrire. Non fa parte della mia …"
"Politica.", concludo accennando un microscopico sorriso.
Mi circonda con le sue braccia ferite e deboli e respira per non lasciare che altri singhiozzi lo confondano.
"Signorina Stacy, mi promette che continuerà ad esserci per me e ad amarmi?"
Faccio passare dei secondi prima di rispondere. Voglio godermi appieno questo momento. Ho sofferto troppo per non lasciare che questa sensazione di benessere non si insinui nel mio corpo.
"Mi piacciono le promesse che posso mantenere, Peter Parker." Entrambi ridiamo. Poi ritorniamo a fissarci intensamente. "Fin quando respirerò, guarderò dritto verso questa finestra e ti aspetterò. Ci sarò per te quando vincerai e quando perderai. Ci sarò sempre e aspetterò sempre il tuo ritorno per ricordarti quanto ti amo."
E finalmente, smette di piangere. Non c’è miglior vittoria del suo sorriso. Non c’è miglior vittoria nel vedere che è sopravvissuto anche oggi. E non c’è peggior cosa nel sapere che domani sarà un’altra sfida.
Più dura e devastante.

   
 
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