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Autore: Shainareth    06/09/2012    3 recensioni
[Gundam SEED Destiny] Corrucciò lo sguardo, passandosi il dorso della mano sullo zigomo e sporcandoselo così di grasso. Sapeva che quello non era lavoro per lui e che c’era gente pagata apposta per quel genere di mansioni, ma una passione rimaneva una passione e il giovane poteva farci ben poco. Oltretutto aveva bisogno di tenersi occupato.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athrun Zala, Cagalli Yula Athha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ESPLOSIONE




Corrucciò lo sguardo, passandosi il dorso della mano sullo zigomo e sporcandoselo così di grasso. Sapeva che quello non era lavoro per lui e che c’era gente pagata apposta per quel genere di mansioni, ma una passione rimaneva una passione e il giovane poteva farci ben poco. Oltretutto aveva bisogno di tenersi occupato. Aveva persino indossato la tuta da meccanico proprio per evitare di macchiarsi l’uniforme da ufficiale, e ora, steso sul pavimento dell’hangar senza neanche un carrello sotto la schiena, se ne stava lì ad apportare una certa qual modifica a quel mezzo militare. Non che quest’ultimo necessitasse davvero di una messa a punto, ma se, una volta finiti i suoi compiti quotidiani, l’alternativa era tornare a casa ad aspettare lei
   E invece no, avrebbe perso tempo a Morgenroete, facendo sghignazzare qualcuno e scambiando due chiacchiere con Erica Simmons e altri tecnici e bla bla, prima di presentarsi nuovamente in ghingheri fuori dalla porta della sala riunioni dove il povero Delegato era costretto a chiudersi da mane a sera, senza quasi avere tempo per pranzare. Andava avanti così ormai da circa sei mesi e mezzo, e davvero Athrun cominciava a chiedersi se Cagalli non stesse esagerando con il lavoro. E se si fosse ammalata? Non poteva permetterlo, eppure sapeva di non poter interferire con le sue scelte: Orb al momento era in cima alla lista delle sue priorità – e non a torto, visto il modo barbaro in cui era stata ridotta dopo l’ultima guerra, e lei se ne riteneva in gran parte responsabile. C’era di buono che l’appetito non le mancava, come al solito, ma non era certo che di notte ella riuscisse a riposare a dovere – ormai era da un po’ che non condividevano il letto quando in casa calava il silenzio della sera.
   Il letto. Gli mancava. Cioè, non è che gli mancasse davvero il letto, dopotutto aveva quello della propria camera. E non era neanche quello di lei a fargli provare quella fitta di nostalgia e quasi di dolore fisico. Se solo quel dannato Seiran non si fosse intromesso nella loro vita – e nel suo contorto ragionamento di uomo geloso poco importava se Yuna e Cagalli erano stati promessi in sposi molti anni prima che lui si imbattesse nella principessa – e se lui stesso non avesse creduto come uno sciocco alle bugie di Gilbert Dullindal, a quell’ora magari non ci sarebbe stata alcuna Orb da ricostruire. E magari, ancora, Cagalli sarebbe già stata sua moglie. Ma aveva davvero diritto di piangere sul latte versato? Soprattutto, aveva senso?
   Pensando a questo, con uno sbuffo e davanti agli occhi l’utopica immagine di loro due che condividevano una serena e felice vita da sposini, Athrun forzò un po’ troppo la mano su ciò che stava facendo.

«E direi che anche questa questione sarà presto risolta», fu lieto di affermare uno degli Emiri, chiudendo l’ennesimo fascicolo della giornata e facendo sorridere con aria soddisfatta il Delegato, che si lasciò andare contro lo schienale della propria seduta. «Suggerirei di prenderci alcuni minuti di pausa prima di iniziare a discutere dell’ultimo argomento di oggi.»
   Erano tutti stanchi, per cui nessuno ebbe nulla da ridire, anzi. Ne avrebbero approfittato per recuperare le energie necessarie per concludere il lavoro di quell’oggi. Cagalli reclinò la testa all’indietro e chiuse gli occhi per qualche istante prima di far ruotare la poltrona verso il panorama illuminato dalla luce del sole al tramonto che si poteva ammirare attraverso le grandi finestre alle proprie spalle. Orb. La sua nazione. La amava così tanto… Non avrebbe più permesso che qualcuno potesse distruggerla ancora.
   Di colpo, però, un enorme boato rimbombò tutt’intorno e i vetri tremarono. Gli Emiri scattarono tutti in piedi, spaventati e allarmati, e si precipitarono a cercare di capire cosa diamine fosse accaduto: una colonna di fumo iniziò a levarsi all’orizzonte, lì nella zona in cui sorgeva Morgenroete. Che si trattasse di un attacco terroristico? Fu questa la prima paura di tutti loro, poiché il ricordo devastante della guerra era ancora troppo, troppo vicino.
   Mentre finivano di dare ordini ad alcuni militari e membri dello staff affinché si accertassero sulle cause dell’esplosione, nella sala irruppe Kisaka che, trafelato, spiegò che, mentre si trovava a Morgenroete, l’Ammiraglio Zala era rimasto coinvolto in un incidente dalle dinamiche non ancora chiare. Associando immediatamente le due cose, Cagalli sbiancò e si lasciò andare a un urlo strozzato. Fece un passo verso la porta, come a voler correre personalmente sul luogo, ma si ricordò che una volta lo stesso Kisaka le aveva rimbrottato che un comandante non deve mai lasciare il proprio posto, per nessuna ragione.
   Cercando di non impazzire a causa di quella spossante lotta fra responsabilità e sentimenti personali, la ragazza si portò una mano davanti alla bocca, gli occhi nocciola velati di lacrime. «Come sta? È ferito gravemente?» si stavano informando frattanto alcuni degli Emiri.
   «Non lo sappiamo ancora, sul posto c’è sempre almeno un’ambulanza, quindi è stato subito portato in ospedale», spiegò Kisaka, lo sguardo fisso sulla principessa, sempre più sul punto di scoppiare in lacrime. «Cagalli…»
   Fu a quel punto che tutti si volsero nella direzione di lei e si resero conto della situazione.
   «Cagalli, va’ pure», la invitò gentilmente uno dei suoi colleghi. Lei però scosse con decisione il capo e provò a ricomporsi, senza però riuscire a spiccicare parola. «Vista l’emergenza, sarebbe meglio finire qui la riunione di oggi», insistette quello.
   «Tanto più che ormai la giornata è quasi al termine», le fece presente un altro.
   Nessuno ebbe nulla da obiettare al riguardo.

Aveva soltanto una bruciatura alla mano destra e qualche escoriazione sul viso, eppure quegli esagerati dei medici avevano insistito per tenerlo sotto osservazione almeno ventiquattr’ore. Dopotutto gli era anche andata bene. Cagalli però si sarebbe preoccupata, e questo era male. Non voleva distoglierla dal suo lavoro. Di certo, non voleva farlo per una cosa da niente come quella, visti i problemi che ancora affliggevano la nazione.
    Il medico che lo aveva curato gli aveva raccontato che proprio poco prima del suo arrivo in ospedale un piccolo ordigno rimasto inesploso durante la guerra era stato fatto brillare dagli artificieri. A raccontarglielo era stato suo fratello, che abitava vicino alla zona in cui era accaduto l’incidente, ed essendo stato costretto ad evacuare da lì insieme a molta altra gente soltanto all’ultimo momento, lo aveva subito chiamato per avvisarlo.
   «Crede che ce ne siano molti altri in giro, Ammiraglio?» gli aveva chiesto, mentre finiva di medicargli la mano.
   «Temo di sì», gli aveva risposto lui, stendendo le labbra in un’espressione quasi addolorata.
   Il medico aveva sospirato e aveva scosso il capo. «Allora speriamo solo che gli artificieri arrivino sempre prima che accada una tragedia.»
   Alla mente di Athrun era tornata prepotentemente la storia di Shinn e della sua famiglia, sterminata proprio a causa della guerra – la prima del Bloody Valentine. Non erano stati gli unici a pagare le conseguenze di quei maledetti conflitti.
   «Mi attiverò io stesso affinché si faccia il possibile per evitare disgrazie del genere», aveva promesso.
   La porta si spalancò con un colpo secco, facendolo sobbalzare e Cagalli si fermò dopo aver compiuto pochi passi all’interno della stanza, fissandolo con occhi sgranati. La sentì farfugliare il suo nome con voce malferma e la vide portarsi le dita davanti alla bocca. Infine, scoppiando a piangere come una bambina, si lasciò scivolare sullo sgabello posto al capezzale del letto e nascose il viso fra le mani.
   Allarmato da quella reazione – era forse successo qualcosa di grave? – Athrun si mosse nella sua direzione e le passò goffamente il braccio sano attorno alle spalle tremanti, invitandola anzitutto a calmarsi. «Come faccio a calmarmi dopo quello che è successo?» fu la stanca, affaticata protesta della ragazza.
   Aveva accumulato tensione durante tutto il tragitto, e solo una volta che erano arrivati in ospedale le avevano spiegato che le ferite dell’Ammiraglio Zala non avevano nulla a che vedere con l’esplosione. Ma ormai l’ansia era lì e lei adesso aveva bisogno di sfogarla in qualche modo.
   «Avrei voglia di prenderti a cazzotti!»
   Dovendo fare mea culpa per via dell’incidente che lo aveva portato in ospedale, Athrun sapeva bene di non avere alcun diritto di ribattere al riguardo e che probabilmente quei cazzotti se li sarebbe persino meritati. Tuttavia, per amor proprio sperò che, come quasi tutte le minacce di Cagalli, anche quella cadesse nel vuoto.
   «Mi dispiace», mormorò, sospingendola verso di sé e invitandola a poggiare il capo contro la propria spalla al fine di consolarla. «Non è nulla di grave, comunque, quindi ora sta’ tranquilla.»
   Non poteva vederla in volto, ma la sentiva tremare contro di sé e il solo pensiero di averle fatto indirettamente del male lo mortificò così tanto che quasi venne da piangere anche a lui. Le mani di lei si mossero per aggrapparsi alla sua casacca e il giovane subito strinse la presa attorno alle sue spalle e poggiò la guancia contro la sua testa, sperando che quell’abbraccio riuscisse a calmarla almeno in parte. Ma quel calore, quello del suo corpo sottile, da quanto non lo sentiva così vicino? Troppo, e questo suo bisogno lo aveva portato a viaggiare con la mente e di conseguenza a distrarsi e a farsi male durante un’operazione sciocca ma delicata. E il risultato era quello: non già l’ustione, quanto la donna che amava in lacrime – per l’ennesima volta a causa sua.
   «A cosa diamine stavi pensando, per farti male in quel modo?» si sentì chiedere a tradimento.
   Poteva davvero risponderle la verità senza offenderla o metterla in imbarazzo? O farla sentire in colpa, persino. Ma con Cagalli non aveva mai mentito, sarebbe stato stupido iniziare a farlo adesso.
   Si schiarì nervosamente la gola. «A niente che non ti farebbe arrossire, temo», si arrese dunque a dire. La sentì irrigidirsi e allentò la presa attorno alle sue spalle per permetterle di scivolare via dal suo abbraccio, se solo lo avesse voluto. Il Delegato non lo fece, rimanendo come in attesa di prendere una decisione in merito.
   «E non puoi pensarci mentre fai cose meno pericolose?» gli suggerì impacciatamente contro la spalla, la voce soffocata dalla stoffa della casacca.
   Stupito da quella risposta, dapprima Athrun sollevò le sopracciglia scure; poi le sue labbra si stesero in un sorriso divertito e soddisfatto. «Lo farò», le promise sfacciatamente. Dopotutto, se aveva il suo permesso, poteva davvero sentirsi in colpa per quel genere di pensieri? Udì un lamento incapricciato e indefinito, per cui comprese di averla fatta imbarazzare.
   «Per quanto dovrai rimanere qui?» domandò Cagalli, preferendo cambiare argomento per il bene di entrambi e allontanandosi gentilmente da lui nella speranza di riacquistare il controllo di sé.
   «Fino a domani», rispose Athrun, tornando a poggiare le spalle contro i guanciali del letto. «In realtà non credo ce ne sia effettivamente bisogno, ma il medico che mi ha curato ha insistito che fosse necessario.»
   «Ha fatto bene», commentò lei, asciugandosi il viso con l’orlo della manica della giacca.
   Stava per aggiungere qualcos’altro, ma sulla soglia lasciata precedentemente aperta comparve un’infermiera, giunta lì per portare la cena al paziente. «L’orario delle visite è finito, signorina», annunciò d’istinto, per deformazione professionale. Solo quando Cagalli si volse nella sua direzione la giovane si rese conto della situazione. «Sono desolata, Delegato! Non l’avevo riconosciuta!»
   Sorridendo, lei si alzò in piedi e le andò incontro. «Si figuri, non è un problema.» L’infermiera doveva aver notato i suoi occhi rossi e lucidi, ma non pose domande e per questo gliene fu grata. Le prese il vassoio dalle mani. «Sono certa che ci saranno molti altri pazienti da accudire, quindi non si stressi ulteriormente. A lui ci penso io.»
   Presa alla sprovvista da quella proposta, seppur espressa sotto forma di ordine gentile, la giovane balbettò confusamente qualcosa e le lasciò il vassoio, lanciando uno sguardo smarrito all’Ammiraglio: era normale che l’Emiro Delegato di Orb si prendesse personalmente cura degli uomini del proprio esercito?
   «Prometto che non mi tratterrò troppo», le assicurò Cagalli con voce affabile.
   A quel punto, l’altra non poté far altro che chinare il capo e accomiatarsi, chiudendo però la porta alle proprie spalle. Athrun, che aveva seguito la scena in silenzio, quando vide la propria innamorata tornare da lui – se davvero ancora gli era concesso pensare a lei in quei termini, visto che, a quanto pareva, il sentimento era ancora vivo in entrambi – ne studiò con crescente curiosità ogni movimento ed espressione. Adesso gli pareva più rilassata, nonostante a tratti tirasse ancora su col naso.
   «Hai saputo dell’esplosione?» le domandò.
   «Mi ha fatto prendere un colpo», gli assicurò lei, sedendosi nuovamente al suo capezzale, il vassoio sulle ginocchia.
   «Nessuno vi aveva avvisati?» si stupì l’Ammiraglio.
   «Gli artificieri hanno dovuto prendere quella decisione all’ultimo, assumendosene tutte le responsabilità. Hanno fatto un buon lavoro e salvato molte vite, ma se solo ce lo avessero detto prima…»
   Sospirò e Athrun la vide massaggiarsi stancamente la fronte. «Va’ a casa, sei stanca.»
   «Non se ne parla, ho ancora da fare, qui», ribatté Cagalli. «Piuttosto, fa’ da cavia e dimmi se il cibo che si mangia in questo posto è decente», disse mentre sollevava il coprivivande dalla zuppa ancora fumante. «In caso non lo fosse, farò in modo che vengano presi provvedimenti. La gente qui dentro sta già male, sarebbe crudele peggiorare la situazione.»
   Ancora il suo senso del dovere. In questo si assomigliavano molto, a ben guardare. Athrun sorrise, notando con quanta cura lei si stesse adoperando per aiutarlo con la cena. «Posso mangiare da solo.»
   «Con la mano in quelle condizioni?» ribatté la ragazza, rimestando la zuppa e prelevandone un po’. Passò il dorso del cucchiaio sul bordo della scodella affinché non gocciolasse sulle lenzuola. «Forza, apri la bocca.»
   No, questo non c’entrava niente con il senso del dovere, si convinse il giovane, sentendo crescere dentro di sé un calore che non provava da tempo. E che fosse sempre e solo lei a far rinascere quei sentimenti non poteva non significare nulla; anzi, rendeva quelle sensazioni ancora più belle e intense.
   «Cagalli?»
   «Mh?»
   «Hai mandato via quell’infermiera perché è carina?»
   Schioccando le labbra, il Delegato avvicinò il cucchiaio al viso del suo protetto. «Attento a non strozzarti mentre ti imbocco.»












L'idea originale prevedeva una shot più breve e più scanzonata, invece lavorandoci su in due giorni diversi è venuta fuori questa roba. Che non mi sembra neanche il caso di definire romantica al cento percento, forse perché nell'inconscio associo sempre l'aggettivo "romantico" a qualcosa di altamente diabetico e noioso. Sarò strana. Cioé, so di esserlo, quindi andiamo avanti che è meglio.
Inutile ripetervi che, essendo influenzata e meno lucida del solito, sistemerò gli errori e le ripetizioni non appena mi riprenderò, vero? Intanto però mi porto avanti con la scrittura, ché avere tanta ispirazione tutta insieme e dopo tanto tempo è per me una sorta di miracolo.
Shainareth





  
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