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Autore: Mikal    22/03/2007    5 recensioni
"Era nato all'alba del tempo, prima dei piccoli uomini, con le loro speranze e le loro illusioni. Era nato quando la terra apparteneva ancora alle forze primordiali, e lui era uno dei suoi signori. Amava il sangue. Amava la lotta..."
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’Angelo della Speranza

 

L’Angelo della Speranza

 

 

 

 

 

Era nato all'alba del tempo, prima dei piccoli uomini, con le loro speranze e le loro illusioni. Era nato quando la terra apparteneva ancora alle forze primordiali, e lui era uno dei suoi signori. Amava il sangue. Amava la lotta, amava l'istante in cui prendeva la vita delle sue vittime, e afferrandone l'anima ne succhiava l'essenza, diventando di volta in volta più forte. Amava osservare il soffio della vita che se ne andava, scompariva dai loro occhi aperti e curiosi.
Era nato allora e ancora esisteva. Era sopravvissuto alle catastrofi che avevano mutato il mondo, alle guerre in cui gli uomini si erano distrutti tra loro, al grande sconvolgimento che aveva annientato i suoi simili, lasciandolo solo e ancora più affamato. Insaziabile come solo un essere come lui sapeva essere.
Il mondo non era più quello di una volta. Le montagne si erano spostate, i fiumi prosciugati, ed altri erano sorti al loro posto. Gli uomini, piccoli esseri ben diversi dalla sua stirpe demoniaca, erano sopravvissuti con lui, a dispetto di tutto. Si erano rinchiusi nelle loro mura, proteggendosi dai grandi cataclismi, e ancora sopravvivevano. E lui continuava a nutrirsi di loro.
Tutti lo conoscevano, tutti lo temevano. Lo avevano incontrato da bambino, quando si addormentavano pieni di terrore senza sapere perchè, e svegliavano piangendo i genitori pregandoli di stringerli forte per scacciare il terrore che la sua presenza suscitava.
Lo avevano sfiorato in qualche sera indimenticabile, quando distratti udivano un lieve soffio ghiacciato sfiorare le loro spalle, il suo alito di morte sussurrargli il loro destino, e ancora si rallegravano di essergli scampati.
Lo avevano incontrato in un attimo privo di ricordi, nei sogni angosciosi, negli incubi che li svegliavano la notte, o quando, ormai anziani, vedevano al di là delle ombre, i fantasmi del passato e del futuro avvicinarsi a loro, chiamandoli, quando artigliavano l'aria per riprendersi ancora un giorno di vita.
Come quel giorno.
Era a caccia, quella sera, una delle infinite notti senza luna in cui sentiva più esigente il morso della fame, fame di anime. Percorreva le strade delle loro ridicole città, assembramenti affollati come alveari, e sceglieva le sue vittime tra quelle più gustose. Quella notte ne aveva assaggiati già molti, di soffi vitali, e già numerose anime si affollavano prive di vita alle porte del luogo che tutti accoglie, alla fine.
Ma non aveva progettato quell'incontro. La vittima prescelta era una donna, una giovane donna dai lucenti capelli castani e gli occhi dolci. L'aveva osservata, trovando disgustoso quell'amore ch'ella dispensava alla sua inutile, mortale creatura. La donna si era addormentata, vegliando il frutto del suo grembo, ed Egli si era avvicinato, meditando di svegliarla per succhiarne il midollo, dopo aver carpito la sofferenza ed il terrore nei suoi occhi, cancellando quell'odiosa serenità.
Entrò nella stanza, silenzioso come la morte che dispensava. Già stava per sferrare la sua zampata, gli artigli protesi a squarciare il morbido petto della donna, passandosi la lingua sulle labbra sottili, pregustando la cena. Allora lo vide. Il bambino si era svegliato, ma non piangeva. Lo guardava, semplicemente, con i suoi enormi occhi chiari. Era ancora un piccolo, inerme cucciolo, che ancora non blaterava le stupide sciocchezze dei suoi simili, ma aveva qualcosa di speciale. Lo fissava e non parlava, le morbide labbra rosee socchiuse, le guance paffute e i riccioli d'oro che gli spiovevano sul viso. La creatura non lo calcolò, al primo istante, e si voltò per portare a termine la sua azione. Poi però qualcosa cambiò. Si voltò nuovamente verso il bambino, e rimase a fissare quello sguardo sereno e azzurro come il cielo di primavera. Allora due lacrime silenziose gli scesero lungo la pelle scura, raggrinzita, una corazza che nulla aveva mai scalfito prima d'ora. E furono quelle lacrime che lo uccisero. Si sciolse, restando masochisticamente in contatto con quello sguardo puro come la luce dalla quale sera scappato, millenni prima, per rifugiarsi nel caldo abbraccio delle tenebre. E mentre il suo alito vitale, che aveva creduto immortale, scivolava via da lui, evaporando nella notte, vide quello che aveva dovuto vedere fin dall'inzio, e capì. Sul dorso del bambino spiccavano, bianche e luminose, due ali piumate, e una luce accecante gli tremolava attorno, un'aura dorata di purezza e verità.
Era nato all'alba del tempo. E il suo tempo era giunto.

  
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