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Autore: ninilke    08/09/2012    0 recensioni
Come ci è finita Hermione a insegnare letteratura in una scuola babbana, per giunta in una classe di disadattati? E come mai un suo alunno diventerà "particolare" rispetto agli altri? Una storiella in cui una Hermione inedita e incinta ricorderà alcuni momenti del suo passato e darà una grande dimostrazione del suo amore per Ron.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Posto auto numero 35

 

L'odore dei croissant al cioccolato pungeva al naso: veniva dal bar poco fuori l'uscita della metropolitana, Hermione ormai lo sapeva bene. La stessa fermata ogni mattina da diciotto mesi, lo stesso tratto in quella metropolitana dedalica che era The Tube, l'Underground londinese. Per chi era nato mago, prendere i mezzi pubblici Babbani poteva risultare un'esperienza sconvolgente, ma per lei che aveva vissuto i primi undici anni della propria vita senza nemmeno il sospetto di essere una strega, la metropolitana era un mezzo di trasporto come un altro, come per suo marito Ron poteva essere la scopa. Si diresse a passo spedito fuori dalla metro, coprendosi con cura il collo con la sciarpa: ormai faceva freddo, essendo metà novembre. D'improvviso si bloccò, fece dietro-front e si ritrovò a seguire la scia di aroma al cioccolato.

-Un croissant, per favore!- ordinò al barista, estraendo dalla tasca destra il portamonete: tasca destra, denaro babbano, tasca sinistra, denaro magico, in modo da non confondersi. -Anzi, due croissant. Uno lo porto via.

Il barista sorrise benevolo: -L'altro è per lui?- chiese indicando il ventre di Hermione.

Era incinta di sei mesi, ormai la pancia si vedeva in modo chiaro: nonostante questo non aveva smesso un solo giorno di recarsi al lavoro e rifiutava il consiglio di Ron di smaterializzarsi anziché prendere la metropolitana come una Babbana qualunque. D'altronde lui non concepiva nemmeno che lei avesse accettato una proposta di lavoro nella Londra babbana: Hermione aveva deciso di dedicarsi all'insegnamento, cosa che tutti consideravano scontata da quando aveva sei anni e che si era resa quasi un passaggio obbligato una volta diplomatasi a Hogwarts. Tradendo le aspettative di tutti, però, non aveva scelto di insegnare nel mondo magico, bensì tra i Babbani, almeno per un paio d'anni: nessuno aveva osato criticare la sua scelta e in più nessuno la pensava tanto ferrata in letteratura, non al punto da insegnarla alle scuole superiori. Ma d'altronde si sapeva, le conoscenze di Hermione erano pressochè infinite!

Con avido appetito consumò il suo croissant lungo il tragitto e arrivo puntuale davanti alla scuola: giusto il tempo di fare pipì, cosa che, da quando era incinta, era diventata un appuntamento particolarmente frequente, e recarsi in aula.

-Tre, due, uno...- contò Hermione nella sua mente.

-Buongiorno professoressa- la salutò giovale un ragazzone alto e muscoloso.

-Buongiorno Jeremy- rispose lei cordialmente. Jeremy era uno dei suoi due assistenti: più volte Hermione si era domandata a cosa le dovessero servire degli assistenti, ma sapeva che, tra i Babbani, essere “assistente” era uno dei passaggi che costituivano la gavetta per diventare professore. Non come lei, che al colloquio col preside aveva usato un incantesimo di Confusione ed era stata assunta così, come per magia...

-Non dovrebbe esagerare con questi libri pesanti- le disse Jeremy -Almeno, non nel suo stato...- consigliò, occhieggiando il pancione. A Hermione non piaceva il modo in cui la guardava: sembrava sempre lanciare occhiate languide, cosa che lei trovava profondamente sconveniente nei confronti di una donna sposata e, per giunta, madre di una bambina e ora nuovamente in gravidanza. Ogni tanto si trovava a darsi da sola della “vittoriana” per questa rigidità un po' retrograda, ma poi giungeva alla conclusione che il garbo e la buona creanza non passavano mai di moda, quindi che la smettesse con quegli occhi da triglia!

Hermione aprì la porta dell'aula e rimase poco sorpresa da ciò che vide, nonostante l'assurdità della scena: uno dei suoi alunni era carponi sulla cattedra e un suo compagno lo cavalcava sostenendo di essere Napoleone. La professoressa Weasley pensò che un loro coetaneo mago avrebbe finto di star montando una Nimbus 4000, ma che probabilmente sarebbe stato ugualmente sopra le righe: avevano 16 anni quelle bestie che si facevano chiamare studenti.

-Keller, mi faresti il favore di scendere da lì?

Il ragazzo biondo, sedicente Napoleone, la guardò con aria di sfida:

-Perchè se no cosa mi fa? Chiama la mia mamma?

Hermione si aprì in una risata aspra:

-Certo, tua madre... Non appena si riprenderà dalla sbronza la farò chiamare!

Se Ron avesse saputo come sua moglie rispondeva ai suoi studenti probabilmente sarebbe diventato verde: nessuna riposta sembrava vietata alla professoressa Weasley, neanche le più politicamente scorrette come quelle sulla madre alcolizzata di Keller-Napoleone o sul fratello galeotto di Thike, il destriero di Napoleone. Pareva, però, essere l'unico modo per godere di una minima attenzione o, quanto meno, per non avere l'impressione di star facendo lezione nel reparto di psichiatria.

I due ragazzi scesero dalla cattedra sbuffando e andarono a sedersi, o meglio, a lasciarsi cadere pesantemente sulla sedia, guardando la professoressa con fare arrogante.

-Bene, qualcuno mi vuole raccontare a che punto siamo arrivati la scorsa lezione?

Silenzio tombale, nessuna mano alzata a fendere l'aria come avrebbe fatto quella di Hermione ai tempi della scuola: una classe di somari, ecco cos'erano!

-Se vi dico Italia voi mi dite...?

-Mafia!- urlò Thike ghignando da solo.

-Ma dai?- rispose Hermione, alzando un sopracciglio -Chissà com'è, me lo aspettavo da parte tua...

-Pizza!- gli fece eco Burgess, il compagno grassoccio seduto dietro di lui, che Hermione adorava chiamare Burger: inutile dire che se lo aspettava.

-Dante Aligaeri- rispose serio Keller. Hermione lo guardò e fece un leggero cenno di assenso.

-Attento, si pronuncia Alighieri- lo corresse. “Ed è Leviòsa, non Leviosà”, pensò tra sé con un sorriso. -Bene, Keller ci ha portato sulla strada: Dante Alighieri e la sua Commedia. Jeremy, per favore, mi ricorderesti il punto esatto a cui siamo arrivati con la spiegazione?

Non che Hermione non lo sapesse, voleva solo vedere se era pronto: da una ragazzo belloccio come era lui non ci si sarebbe aspettati granchè, invece aveva l'aria di uno che la sapeva lunga e che sembrava sinceramente interessato alla materia. E alla sua docente, ma questa era un'altra storia.

-Quasi alla fine, professoressa: stavamo ragionando sull'ultimo canto del Paradiso.

-Grazie Jeremy... Bene, vorrei farvi una domanda: secondo voi Dante ha visto davvero quello che racconta o si è inventato tutto e ha scritto solo una bella fiaba per i suoi lettori?

-Ma non ci crederebbe nessuno!- obiettò Thike -Voglio dire, questo che dice di essere stato all'inferno, in paradiso... è chiaro che se lo sia inventato! E poi dai, che faccia tutto 'sto casino solo per rivedere la moglie morta...

-Parli di Beatrice?- domandò Hermione con una stretta al cuore provocata dall'ignoranza dei suoi pupilli -Perchè in tal caso, sappi che non era sua moglie- puntualizzò.

-Va bè, quella con cui andava a letto, non so come la chiamassero nel Cinquecento!

-Era il Trecento, ma farò finta di non aver sentito... E non se la portava a letto, anzi: le si era avvicinato appena quando era ragazzino e poi...puf, lei è morta e addio Beatrice.

La notizia parve lasciare pensierosi i più: ma quindi Beatrice non era la moglie...ma quindi era morta davvero...ma quindi lui era stato davvero all'inferno?

-Se vi dicessi che Dante aveva dei poteri magici e che riuscì davvero a compiere il viaggio di cui parla?

Risate di scherno da parte della platea, commenti sbiascicati, solo un volto pensieroso:

-Keller, hai una risposta diversa da quella dei tuoi compagni?- chiese Hermione con dolcezza. Lui la osservò per un attimo e alla professoressa parve di cogliere un lampo di intelligenza e curiosità nei suoi occhi: pochi istanti dopo, però, tornò il solito sguardo antipatico e Keller si limitò a risponderle con un fragoroso rutto.

I suoi amici risero, i compagni a cui non era simpatico si aprirono in una smorfia un po' sdegnata, Jeremy cercò di prendere eroicamente le difese della professoressa Weasley, ma lei si limitò ad aprirsi in un mezzo ghigno:

-Capita quando si fa colazione col brandy, non è vero Keller?- e sorrise tra sé per l'acidità delle sue provocazioni: dentro di sé non le piaceva davvero rispondere in quel modo, ma il preside era stato chiaro. Quei ragazzi erano i classici “giovani difficili”, ognuno con una situazione orribile alle spalle, di quelli che non accettano nessuna gerarchia e che avrebbero trattato persino Silente come un vecchio scemo qualunque: beh, forse qualche volta l'impressione che dava era un po' quella, ma mai Hermione si sarebbe permessa di mancargli di rispetto. Gli ormoni della gravidanza, però, la scombussolavano al punto giusto da renderla una perfetta stronza, unico modo per essere minimamente considerata dai suoi studenti e poter condurre un'ombra di lezione: aveva deciso, sarebbe stata acida e scorretta fino alla fine della sua gravidanza, poi si sarebbe licenziata e addio scuola babbana. E poi con Keller era più cattiva degli altri, ma aveva motivazioni di cui lui nemmeno poteva sospettare.

-Ma quand'è che te ne vai?- le domandò ad un tratto Keller, con tono alterato ed evidentemente nervoso.

-Ancora un paio di mesi e sarai libero- rispose lei, cercando di mantenere un tono pacato, ma seriamente preoccupata di aver passato il segno.

-Sai che c'è? Sono stufo di starti a sentire, tu e le tue lezioni chiacchierone e i tuoi commenti acidi. Io me ne vado! Tornerò quando te ne sarai andata tu, forse potrò starmene in pace!- concluse, prendendo con sé lo zaino e uscendo dall'aula.

-Ha ragione!- urlò Thike, cercando di cavalcare l'onda -Chi si crede di essere per...- ma fu raggelato dallo sguardo secco di Hermione.

-Taci, Thike! Tu non hai un decimo del carisma del tuo amico: da te non accetto lagne di alcun tipo. Aprite il libro a pagina 78: la lezione riprende da qui.

Per i seguenti tre quarti d'ora Hermione condusse la lezione come avrebbe fatto qualsiasi insegnante di qualsiasi scuola, babbana e non: lesse con cura il testo, lo commentò, indugiando sui punti più difficili, e riuscì a portare a termine la spiegazione senza che la classe disturbasse, evidentemente troppo scossi dalla scenata di Keller.

Al termine della lezione, Hermione decise che era tempo di mangiare il suo secondo croissant: si recò verso il terrazzo all'ultimo piano della scuola, sperando che Jeremy non la seguisse. Lo notò con la coda dell'occhio e sgusciò via, nonostante la precaria agilità che le donava il pancione, salì di corsa gli scalini che portavano al terrazzo e si chiuse la porta alle spalle, sospirando poi soddisfatta.

-Complimenti, adesso siamo chiusi fuori!

Hermione voltò la testa di scatto e vide Keller appoggiato alla ringhiera, mentre fumava una sigaretta: il ragazzo buttò gli occhi al cielo e bofonchiò qualcosa.

-Sa che la porta si apre solo dall'interno, vero?- la ammonì -Poco male, telefonerò a qualche mio compagno e mi farò aprire. Chiaramente a lei la lascerò qua sopra a congelare- concluse, estraendo il cellulare dalla tasca.

-Il fumo fa male ai polmoni- commentò lei -E anche uscire in terrazza in maglietta con questo freddo non fa bene. Dovresti stare più attento alla tua salute...

-Sono in grado di gestirmi da solo, grazie- la fermò, aspettando che qualcuno rispondesse al telefono, cosa che evidentemente non accadde.

-Lo sai che hai un bellissimo nome, Keller?- commentò Hermione guardando le nuvole, che non sembravano minacciare pioggia, ma che oscuravano il timido sole di novembre.

-Non direi proprio!- rispose lui -Hugo non è un bel nome!

-Perchè i tuoi ti hanno chiamato così?- domandò lei con tono curioso, ma dolce.

Lui si fece scuro in volto, deglutì e le voltò le spalle:

-Non sono fatti tuoi!

-Se io ti racconto un mio segreto, tu mi racconti il perchè del tuo nome?

-Cosa vuoi che me ne freghi dei tuoi segreti...?- rispose voltandosi di scatto e rimanendo a bocca aperta per ciò che vide: Hermione teneva in mano un bastoncino lungo una quindicina di centimetri, forse di legno, forse di un materiale simile. Keller corrugò leggermente la fronte e domandò: -Professoressa, è impazzita?

-Ti stai chiedendo perchè giro con un legnetto nella tasca della giacca? Per questo motivo...- disse e dal bastoncino di legno uscirono delle scintille colorate -Il mio legnetto è magico- spiegò, come se si stesse rivolgendo ad un bambino di tre anni.

-Ma la smetta, ci sarà qualche trucchetto dentro- sbottò Keller, senza darle troppo ascolto e continuando a trafficare col suo cellulare.

-Tuo padre non la pensava così...- buttò lì Hermione, attirando la sua attenzione: Hugo alzò la testa e la guardò fisso. Non era una delle solite frasi provocatorie, non una frecciata, sembrava qualcosa di serio.

-Che ne sa lei di mio padre?- si alterò lui, mettendosi sulla difensiva -Mio padre è morto...- aggiunse, abbassando un po' il tono della voce.

-Lo so..- soggiunse lei -Ho 29 anni- iniziò a spiegare con voce dolce -Tu ne hai 16: tuo padre è morto quando avevi quattro anni. È stato uno dei tanti che hanno perso la vita per una giusta causa...

-Di cosa stai parlando?- la zittì lui -Non parlare di cose che non sai!- disse, cercando di non farla andare avanti. Era visibilmente agitato, Hermione, lo notava, quindi decise di andare oltre.

-Artemis Keller faceva parte del gruppo di persone uccise durante il mio quinto anno di scuola, quando era chiaro che l'Oscuro Signore era tornato e che tanti, troppi, erano disposti a stare dalla sua parte.

-Stai zitta!- alzò la voce Hugo -Tu non sai niente, niente!

-No Hugo, tu non sai niente!- rispose lei, alzando un po' la voce a sua volta: il bambino nella pancia decise che era il momento di far partire una raffica di calcetti, costringendo la madre a fermarsi per un attimo. Poco dopo riprese la sua spiegazione -Quando muoiono tante persone in un periodo breve e quando ciò accade a causa di una tragedia come quella che colpì il mondo magico, i singoli morti tendono a diventare solo un numero nel mucchio: anime senza volto, il cui ricordo è destinato a perdersi e le cui storie rimangono nella nebbia. Come la storia di Artemis, che era sposato con una donna babbana e aveva avuto pochi anni prima un bambino: Hugo Keller.

Il ragazzo biondo davanti a lei deglutì in modo vistoso, poi i suoi occhi si fecero umidi.

-Ho sempre pensato di essere pazzo...- cominciò a bassa voce lui -Avere sbiaditi ricordi di un mondo magico e non sapere se fossero la realtà o solo la fantasia di un bambino...- spiegò, sedendosi sul muretto della terrazza -Quando mio padre è morto, mia madre ha preso me e mia sorella Victoria e ci ha portati via di corsa: poche ore dopo ci siamo trasferiti in quella che da allora è la nostra casa. Victoria aveva solo un anno, ma io ero più grande, iniziavo a capire qualcosa: gli anni poi hanno cancellato tutto...

-Tua madre non ti ha mai raccontato nulla, immagino...

-Mia madre beve- commentò lui con un sorriso amaro -Beve e non fa altro da mattina a sera. Capisco che fosse sconvolta dalla morte di mio padre, ma aveva due figli da crescere...Un'egoista, ecco cos'è!

-Vivere sulla propria pelle la guerra magica non è stato facile per nessuno- commentò Hermione, mentre sentiva la pelle d'oca sulle braccia, forse per il vento fresco, forse per l'argomento del discorso.

-Lei però ce l'ha fatta, professoressa! Mia madre è stata troppo debole e si è lasciata cadere così!

-No, Hugo, non è stata debole- rispose Hermione con un sospiro -Era da sola, preoccupata per i suoi bambini e senza più il conforto di suo marito, portato via dalla follia di un mago atroce. Tu sei figlio di un mago coraggioso, Hugo, non dimenticarlo mai!

-Un mago- sorrise tristemente il ragazzo -Al massimo, se penso a un mago, mi viene in mente un prestigiatore con le carte o uno che tira fuori i conigli dai cappelli...Non riesco ad immaginare un mago come lo intende lei o come...è lei!- Solo in quel momento Hugo sembrò realizzare che la sua professoressa di letteratura era una strega: la guardò con aria curiosa e tacque. -Può aprirci anche la porta con quella?- domandò, indicando la bacchetta.

-Posso anche farla saltare in aria- rispose lei con aria serafica.

Hugo non disse nulla, si limitò a sorridere debolmente.

-L'ha sempre saputo? Intendo... chi fossi io davvero. È qui tra i non maghi...per me?

-Diciamo che sei stato... un incidente!- spiegò lei -In realtà ero tra i Babbani per un altro motivo, ma quando ho letto il tuo cognome sul registro ho fatto due conti, mi sono informata un po' e ho realizzato chi fossi. Questo spiega anche il comportamento riprovevole che ho tenuto con te- disse Hermione, chinando il capo, imbarazzata -Davvero riprovevole... Io non sono così acida, scortese e irrispettosa nella vita normale, ma con te ho dovuto usare una terapia d'urto.

-Cosa intende?

-Ci sono alcuni maghi che da bambini o da ragazzini... prima di scoprire di essere maghi, diciamo, possono manifestare alcuni poteri anche involontariamente se vengono sottoposti ad un forte stress emotivo o se si arrabbiano molto. A un mio amico è capitato di far sparire una vetrata da un rettilario, ad esempio... Ecco, la mia idea era che provocandoti molto e cercando di farti arrabbiare seriamente tu avresti manifestato qualche potere o anche solo un'ombra... Forse però mi sono solo sbagliata: l'unica cosa che ho ottenuto è stata di regalarti mesi orribili anche in un luogo diverso da casa tua, dove so che l'aria è abbastanza pesante. Ti chiedo seriamente scusa per questo, Hugo...

-Le chiedo scusa anch'io, professoressa...- rispose il ragazzo: quella era la prima volta che le chiedeva scusa, dato che non l'aveva mai fatto nemmeno per prenderla in giro. La sola idea che la parola “scusa” uscisse dalle sue labbra lo faceva sentire così distante da se stesso che se ne teneva ben lontano: tranne in quel momento, in cui tutto sembrava essere incantato, come in una magia.

-Per rispondere alla tua domanda, Keller- riprese Hermione -So di te da diversi mesi, ma ho accettato di lavorare tra i Babbani per un motivo del tutto personale: forse sai che ho un marito e una figlia, Rose. Prima di avere Rose, mio marito mi ha sempre considerata una ragazza e poi una donna autonoma, indipendente, capace di badare a se stessa: da quando sono mamma, però, è diventato più apprensivo, si preoccupa per me e per la nostra bambina e so che non lo fa perchè pensa che io sia diventata stupida tutto a un tratto, ma solo perchè ci ama molto...

Hugo si fece scuro in viso e guardò verso il sole pallido nascosto dalle nuvole:

-Lei e sua figlia siete fortunate...

-So quanto possa essere triste sentirsi abbandonato dalla propria famiglia, al punto quasi da non sapere più chi sei: come ti dicevo, Ron... mio marito, è diventato più apprensivo e ora che sono incinta di nuovo non sta certo abbassando la guardia, tutt'altro. Lui collabora con il Ministero presso l'Ufficio che si occupa delle relazioni tra il mondo magico e quello babbano: spesso si trova a lavorare sotto copertura tra i non maghi e sai ora dov'è?

Hugo scosse la testa, affascinato: Hermione si avvicinò alla ringhiera della terrazza, guardò verso la strada e indicò una fila di macchine parcheggiate davanti al palazzone di un'agenzia.

-Si è mimetizzato nel manto stradale? È invisibile?- domandò ingenuamente lui.

-Ma no- rispose lei con una risata -Stavo parlando dell'auto! La vedi quella scura? È quella che usa per spostarsi tra i Babbani quando non lavora nel suo studio: ha il posto auto numero 35. Io lavoro qui perchè so che lui starà più tranquillo sapendo che per qualsiasi cosa sarà ad un battito di ciglia da me. E poi diciamocelo, anche io sono contenta di sapere che lui è qui vicino a me- confessò in un sorriso. -Per questo spero che adesso che sai chi sei, cercherai di recuperare il rapporto con tua madre o, per lo meno, di recuperare lei, se capisci cosa intendo.

-Ma non...non esiste una magia per questo? Lo so che forse lei ai suoi tempi non era la prima della classe, ma avrà studiato qualche incantesimo...

Il ragazzino dubitava che Hermione fosse stata la prima della classe: si sarebbe meritato di essere trasfigurato in un pesce pagliaccio, ma la magnanimità della signora composta prevalse sull'istinto sadico della donna gravida. Ci pensò su seriamente, rimase in attesa di un'illuminazione, che sembrava tardare ad arrivare: l'ultima soluzione fu la più banale.

-Parlale...voglio dire, di tutto quello che ricordi, di ciò che pensi di ricordare di tuo padre, della vostra vita precedente nel mondo magico. Magari in questo modo funzionerà...

-Ma lei come ha fatto?- domandò lui di getto -Come ha fatto a non impazzire ai tempi della guerra magica, tra tutta quella gente che moriva e la follia generale della gente?

-Posto auto numero 35: oggi, come allora, ho una sola soluzione a tutti i miei problemi - rispose lei con un sorriso da prima della classe.

 

 

TRE MESI Più TARDI

 

-No, Rose, non si mette il ditino nell'orecchio di tuo fratello- ammonì dolcemente Hermione, rivolgendosi a sua figlia -Lo so che è bellissimo, ma devi stare attenta quando giochi con lui, va bene?

-Sì- rispose la bimba col tono di una che non stava ascoltando -Gioco!- esclamò Rose prima di scappare correndo nella sua cameretta, salutando con la manina il suo papà che veniva da quella direzione.

-Perchè nostra figlia è una trottola impazzita?- chiese a sua moglie, che stava allattando l'ultimo nato, e sedendosi accanto a lei -Come è piccolo!- commentò osservando suo figlio.

-Ha ancora pochi giorni, è normale che sia piccino e grinzoso come un draghetto appena uscito dall'uovo! Hai presente quelli che allevava tuo fratello in Romania? Ecco, nostro figlio è più o meno così!

Ron le rispose con una smorfia di sufficienza e prese in braccio il bambino:

-Ciao, Hugo Weasley... Spero ti troverai bene con noi! A proposito... come è finita con quel tuo alunno? Quello che si chiama come il nostro draghetto grinzoso.

-La madre ha negato tutta la storia: suo padre non era un mago, lui non è mai stato in una scuola di maghi, non ha mai visto volare una scopa e bla bla bla. Morale della favola... se ne è andato e starà via per un anno: ho fatto credere a sua madre che ha vinto una borsa di studio per frequentare dei corsi all'estero. In realtà starà nel mondo magico: l'ho affidato alle cure della mia assistente.

-Chi, il bel maschione di nome Jeremy?- chiese Ron con una punta di gelosia nella voce.

-Ma no, Occhi di Trota non è un mago! La mia assistente, Dorothy...

-Quella che si pettina col frullatore?

-Ronald! Ha solo i capelli un po'...crespi, ecco tutto! E comunque sì, lei è una MagoNo, quindi mi fa da assistente per tutto ciò che non richieda magia, compreso fare da balia a Hugo Keller per il suo anno di studio “all'estero”.

-Sei stata molto premurosa, lo sai?- commentò Ron con un sorriso -Posso chiederti come mai?

-Non tutti hanno la fortuna di avere vicino qualcuno che li ami e li protegga da tutti i mali del mondo: la madre di Hugo ha protetto lui e la sua sorellina solo per il periodo immediatamente successivo alla morte di suo marito, ma poi si è lasciata vincere dallo sconforto e ha fatto crescere i suoi figli con una grande vuoto dentro. Sto cercando di colmare un po' questo vuoto aiutando Hugo almeno a capire chi è, chi era suo padre e in che mondo vivevano.

-E la sua sorellina?

-Sta con la madre, che per lo meno sta smettendo con l'alcool: a lei non ha nulla da nascondere, era troppo piccola per ricordare, quindi ha sempre retto la storia del tragico incidente d'auto. Spero che per loro questo possa essere l'inizio di una vita nuova, come anche per Hugo.

E al nostro Hugo auguro tutto il bene del mondo e di poter sempre contare sull'amore della sua famiglia...

 

 

 

 

 

 

SPAZIO DELL'AUTRICE

Ciao! Anzitutto grazie a chi mi ha letto per essere arrivato alla fine: spero di aver soddisfatto i gusti dei miei lettori! Mi sia permessa una piccola nota personale: ho scritto questa fanfiction perchè oggi sono informalmente 8 mesi che sto col mio ragazzo (per chi avesse letto la mia precedente fatica, sì, è sempre lui). Lui è il mio “posto auto numero 35”, la persona su cui faccio affidamento nei momenti di difficoltà, ma anche quella con cui adoro dividere il resto della mia vita, soprattutto le cose belle.

Augurando a noi due di poter vivere ancora tanti mesi insieme e a tutti quelli che hanno letto questa mia operetta di poter essere felici come lo sono io, vi ringrazio di nuovo per l'attenzione!!

p.s. Ti amo, tesoro mio!!

Baci,

Ninilke

  
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