CAPITOLO
24
I DARE YOU…
TO LET ME BE YOUR ONE AND ONLY
“Fammi vedere.”
Payne si avvicinò
lentamente, Blake se ne stava a faccia bassa, seduta e silenziosa come al
solito.
“Non preoccuparti.” Rispose
cercando di evitare le mani dell’altra ragazza, ma Payne le sollevò il viso
comunque, dando una nuova occhiata a quel labbro gonfio.
“Almeno la ferita non
sanguina più.”
Sospirò sfiorando appena il
taglio per non farle male. Blake sollevò le spalle
“Sparirà tra un paio di
giorni.”
Non dava segni di cedimento,
ma le mani le tremavano ancora. Non riusciva a sopportare di non aver potuto
difendersi. Se gli agenti fossero stati solamente due li avrebbe fatti
pentire.. Se solo McPhee fosse stato da solo.. Lo avrebbe fatto a pezzi.
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“Dimmi
dov’è. Adesso.”
Blake
non lo guardò nemmeno. Aveva fatto il naso all’odore stucchevole dei sigari e
quasi riusciva ad ignorare il rumore cadenzato dei passi di McPhee intorno a
lei.
Non
si era ancora stufato di farle la stessa richiesta?
Non
gli avrebbe risposto. Mai. Nemmeno per dirgli che non ne aveva idea.
Lui
sospirò schiarendosi la voce. Passò i palmi sulla giacca, all’altezza del
petto, poi rivolse un cenno al secondino sulla porta. Nemmeno trenta secondi e
altri due agenti si unirono alla compagnia.
“Allora
Signorina Miller…”
Una
lunga pausa per pregustare la vittoria
“…Visto
che con lei le buone maniere non funzionano, faremo a modo suo.”
Un
solo passo per immobilizzarle le spalle con una stretta decisa. Di nuovo le sue
mani addosso. Blake deglutì resistendo al primo istinto di mordere con tutte le
forze una di quelle mani.
“Ti
decidi a parlare?”
Le
aveva sussurrato all’orecchio col tono di un amante indesiderato. Lei si era
voltata trovandoselo a pochi centimetri di distanza. Il suo respiro di fumo e
caffè dritto nelle narici. Non riuscì più a contenersi e d’istinto gli sputò
dritto in viso, con tutto lo sdegno di cui era capace.
McPhee
chiuse gli occhi in risposta, stringendo le labbra in una linea sottile mentre
si puliva col dorso della mano. Ciò che avvenne dopo durò un secondo esatto.
Con
le mani che le teneva addosso la spinse forte in avanti, facendole sbattere il
viso con violenza contro il tavolo della sala. Il dolore che la colpì fu
talmente forte che Blake credette in un attimo di aver perso tutti i denti. In
bocca il sapore ferruginoso del sangue e le sue mani che non riuscivano in
alcun modo a coprire tutti i punti che facevano male.
Tentò
di alzarsi per ricambiare, ma gli altri agenti le furono addosso
immediatamente, bloccandole le braccia in una presa sicura. Blake continuò a
scalciare, ma dovette ben presto capire che non ne sarebbe uscita vincitrice.
McPhee
le afferrò il viso dolorante e la costrinse a guardarlo dritto in viso
“Parla
puttana!”
Blake
stette zitta di nuovo, mentre anche la mano del comandante si imbrattava del
suo sangue scuro. Era davvero arrivato al limite. La presa stretta alla
mandibola non si allentò di un millimetro, intanto l’altro braccio si sollevò
pronto a scagliare un colpo deciso su quel che restava del suo zigomo sinistro.
Blake
chiuse gli occhi tendendo tutti i muscoli, ma quel pugno non arrivò.
“Comandante?”
L’agente
in completo blu appena entrato rimase con un piede sulla soglia
“Ma
che diavolo…?”
McPhee
mollò la presa sbuffando come un toro in un’arena. Cercò di riprendere
immediatamente il suo contegno.
“Andate.
Riportatela in cella.”
Ordinò
con sdegno e gli altri due la trascinarono via di peso come fosse un sacco di
biancheria sporca.
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“Sei sicura di stare bene?”
“Sì Payne. Sto bene.”
Il tono duro, al limite
dell’infastidito, convinse l’altra a cambiare discorso. Sospirò e si avvicinò
alle sbarre poggiando la fronte sul metallo gelido.
“Chissà dove hanno portato
Tyler.”
Blake sbuffò
“Andiamo Payne, dove vuoi
che sia? Chiuso in una cella, esattamente come noi.”
“E se gli avessero fatto del
male?”
Lei scosse la testa
“Se avesse già parlato di
certo non se la sarebbero presa con me.”
Payne arricciò le labbra
rivolgendo lo sguardo alla compagna di prigione
“Vuoi sapere la verità?
Nemmeno mi importa che l’FBI scopra tutto… Era ora che questa storia finisse.”
“Ma dici sul serio?!”
“Siamo dei criminali Blake.
Questo ci spetta.”
Lei sorrise appena
“Sei un’ingenua Payne… Davis
non ci lascerà mai marcire qui.”
“Cosa pensi che possa fare?”
“Non lo so ancora, ma
conosco mio fratello. Ci tirerà fuori in un modo o nell’altro.”
Payne non rispose, riprese a
guardare tra le sbarre. Non era sicura di quel che sarebbe successo, ma il
pensiero che più le premeva è che forse non avrebbe rivisto Tyler.. Non prima
di una ventina d’anni… E se poi fosse stato troppo tardi per loro?
La sua mente ottimista,
frizzante e squillante anche dentro la galera, non respinse però un pensiero
naif... Una volta uscita avrebbe di certo trovato un regista pronto ad
ingaggiarla per interpretare un film sulla sua vita avventurosa… Anzi, meglio
ancora, vent’anni sarebbero di certo bastati a Tyler per scriverci su un
romanzo e poi da quello avrebbero tratto il copione per il suo film.
Blake la riportò alla realtà
raggiungendola alla grata, guardò con la coda dell’occhio da un lato e
dall’altro
“Davis ci tirerà fuori.”
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Sulla branda impolverata
Tyler se ne stava a fissare il soffitto. Aveva sempre creduto che quelli del
Federal Bureau of Investigation fossero raffinati e professionali. Aveva dovuto
ricredersi.
Dopo l’ennesimo inutile
interrogatorio era stato riportato in cella, solo e ricoperto dal silenzio.
Mentre la noia iniziava a
chiudergli le palpebre sentì il fischio pesante della porta automatica e si
tirò su. Un secondino in divisa nera avanzava lento trascinando con sé una
specie di carrello. Quando fu vicino abbastanza riuscì a scorgere una pila di
libri.
Però!
Almeno pensano all’intrattenimento!
Il tizio arrivò da lui con
l’aria scocciata di chi vorrebbe essere da tutt’altra parte.
“Vuoi qualcosa da leggere
amico?”
Amico??
“Ehm…”
Tyler si sporse appena per
intravedere qualche titolo
“…Dammi quello lì. Quello
verde.”
Il secondino corrugò un
sopracciglio
“Dostoevskij? Andiamo amico,
non mi sembra il massimo per passare il tempo qui!”
Tyler lo guardò confuso, ma
non aveva la minima voglia di mettersi a dibattere sulla piacevolezza di
Delitto e Castigo.
“Ok, quello accanto allora.”
“Dan Brown? Non credi che
sia un po’ troppo banale?”
Tyler lo guardò socchiudendo
le palpebre. Avrebbe avuto voglia di rispondere, ma era davvero troppo
sbigottito per farlo. Stava succedendo davvero? Consigli letterari da una
guardia troppo socievole e con la divisa scolorita?
Lo sconosciuto si chinò
afferrando un volume nascosto tra gli altri
“Ecco amico. Questo è
perfetto per te.”
Gli occhi di Tyler si
spalancarono
“Danielle Steel?! Ma fai sul
serio?”
L’altro riafferrò
l’impugnatura del carrello cercando di nascondere un sorriso beffardo sotto il
berretto
“Credimi amico. E’ proprio
quello che ti serve!”
Tyler provò a protestare, ma
il tizio si limitò a sparire nel nulla così come era arrivato. Sbuffò.
Incredibile. Perfino l’ultimo sfigato nella scala sociale delle forze
dell’ordine poteva prendersi gioco di lui.
Tirò quel libro che non
avrebbe mai letto contro la parete, senza sprecarci nemmeno troppa forza. Dalle
pagine sembrò che volasse qualcosa.
Fantastico..
Un libro inutile che cade anche a pezzi.
In un impeto di buona
educazione si piegò per raccogliere la pagina, ma si accorse quasi
immediatamente che aveva un colore diverso.
Quello che aveva tra le mani era un pezzo di carta giallastra piegata in
due. Lo sfregò tra le dita guardandosi istintivamente intorno e finalmente si
decise ad aprirlo, pur consapevole che non avrebbe trovato altro che il numero
di una prostituta o lo schizzo fatto da un condannato.
Però conosceva quella
scrittura.
“Stasera. State pronti.”
Tornò a guardarsi intorno,
col terrore improvviso di essere spiato. Accartocciò immediatamente il
foglietto e lo infilò in tasca, poi, pensando che non fosse abbastanza sicuro,
se lo ficcò in un calzino.
Davis
sta organizzando qualcosa.. Un piano per farci uscire… E dev’essersi fatta
amica parecchia gente qui dentro.
Desiderò che quel secondino
presuntuoso tornasse per spiegargli qualcosa in più, ma sapeva non sarebbe
successo. Chissà se anche Payne e Blake avevano ricevuto un messaggio simile? O
forse sarebbe toccato solamente a lui prepararsi psicologicamente per la fuga?
Il cuore iniziò a battergli
più forte e la noia di colpo era completamente sparita. Immaginava come avrebbe
potuto fuggire ammanettato, tirarsi fuori dai mezzi blindati dell’FBI, evitare
le pallottole… Con la gola asciutta tornò a sedersi sulla branda. Doveva essere
pronto a tutto.
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Davis si infilò la maglietta
nera e prese a fissare la pistola sul tavolo. Caricatore pieno. Mira precisa.
Presa ferrea intorno al calcio. Non voleva uccidere nessuno.
Raggiunse Eden nell’altra
stanza. Lei se ne stava in piedi, jeans, felpa e stivali scuri, ripassando la
sua parte a mente. Non sarebbe stato troppo difficile, solo molto doloroso…
Davis non aveva idea di cosa sarebbe successo dopo.
“Tutto ok?”
Chiese, mentre infilava
l’arma nel retro dei pantaloni.
“Dov’è André?” Rispose lei.
“Sta controllando le
cariche.”
Passo numero 1. Far
esplodere le cariche posizionate ai lati della strada cinque secondi prima del
passaggio dei blindati. Derrill
Bride, capo-operaio della società stradale 12, nonché giovane di grandi
speranze ai tempi del MIT, prima che un certo Professor Douglas definisse le
sue piccole manie “tratti di personalità devianti”, era stato ben felice di
posizionarle dopo l’ultimo sopralluogo delle autorità. Lui e André erano
rimasti in buoni rapporti, soprattutto dopo che il francese aveva fatto
“misteriosamente” sparire un paio di incidenti di percorso dalla sua fedina
penale.
Questo avrebbe fermato i
mezzi nel bel mezzo della statale 40, ben poco trafficata a quell’ora tarda.
Non che non fossero già pronti a bloccare qualsiasi avventore fosse capitato di
lì nel momento meno adatto.
“Sei spaventata?”
Eden inspirò profondamente.
“Ce la posso fare, non
preoccuparti.”
Afferrò il telefono e
compose il numero tirando fuori tutta l’aria dai polmoni.
Un paio di squilli filarono
via in un secondo, poi sentì la sua voce
“Eden? Sei tu?”
All’altro capo del telefono Dair
era balzato in piedi con la cornetta stretta tra le dita. Intorno a lui
l’intera squadra intercettazioni.
“Sì.”
“Dove sei?”
“Non posso dirtelo.”
“Che vuol dire? Perché mi
stai chiamando?”
Eden mandò giù a fatica
“Mi dispiace Daniel, mi
dispiace tanto..”
La voce quasi spezzata da
improvvise lacrime
“Che succede? Che vuoi
dire?”
“Non volevo che finisse
così.”
Dair inspirò mentre lo
sguardo del sostituto capo sembrava volesse incenerirlo
“Dove siete?”
Domandò di nuovo. Eden
sembrò esitare.
“Non posso dirtelo.”
“Perché? Vuoi di nuovo
aiutare Davis?”
Strinse il pugno
inconsapevolmente mentre attendeva risposta
“No io… Ormai sono nei
casini Dair, non posso più tornare indietro.”
Grant lo incalzò con un
gesto della mano
“Puoi ancora tornare
indietro, puoi ancora risolvere tutto quanto.”
“Per finire in prigione? No,
non posso farlo.”
“Non finirai in prigione.
Dimmi dov’è Miller e si risolverà tutto.”
Eden fece una lunga pausa,
su di lei lo sguardo altrettanto attento di Davis
“Ho bisogno di sapere che
avrò mia figlia.”
“Certo. Tornerà tutto a posto.
Come avevamo pattuito dall’inizio.”
Un sospiro angosciato
“Posso fidarmi di te
Daniel?”
Dair guardò l’agente Grant
col viso contratto. Stava per dire una bugia bella e buona e non si sentiva
sereno. L’altro lo colpì con un’occhiata severa
“Sì. Puoi fidarti di me.”
Eden esitò di nuovo. Anche
la sua era una recita.
“Non so cosa voglia fare
adesso, ma…”
“Avanti, dimmi tutto.”
“Ha un aereo pronto nel
Jearsy. Per l’Europa.”
Disse velocemente, quasi
corresse il rischio di ripensarci. Dair corrugò la fronte
“Quindi è qui vicino, nel
New Jearsy?”
“Non farmi dire altro Dair.
Vuole partire stanotte.”
“E gli altri?”
“Non lo so.”
“Sicura? Sicura che non
voglia farli scappare in qualche modo?”
“Non lo so Dair. Davvero.”
“Ok.”
Grant gli fece cenno di
chiudere agitandosi la mano davanti al viso
“Quindi è all’aeroporto che
dobbiamo andare. Giusto, Eden?”
“Al circolo di Volo
Pepperton.”
Rispose in un sussurro
“Bene. Spero tu sia
sincera.”
Un lungo sospiro
“Voglio solo tornare a
casa.”
“Ok Eden. Ti ci porterò
allora.”
La conversazione si
interruppe bruscamente.
Davis si avvicinò a sua
moglie massaggiandole piano le spalle
“Bene. Abbiamo cominciato.”
--
Nell’altra location invece
regnava il tumulto. Dair si era lasciato cadere pesantemente sulla sedia da
ufficio, mentre gli altri gli giravano intorno.
“Abbiamo il segnale
signore!”
Trillò uno degli agenti
dall’aria nerd posizionato agli schermi. Grant non trattenne una certa
esultanza
“Bene! Dove sono?”
“Castle Hill signore. Un
capannone vicino al fiume Hutchinson.”
Immediatamente la frenesia
dell’ufficio sembrò crescere in maniera esponenziale. Grant si strofinò le mani
nervosamente
“Bene. La ragazza non
mentiva, sono qui vicino.”
Aggiunse un altro tizio con
gli occhiali, ma il sostituto capo scosse la testa
“Non mi fido nemmeno un po’
di quella donna…”
Dair sollevò la testa con
sorpresa
“…Dobbiamo controllare.
Controlliamo immediatamente la pista di volo Pepperton e mandiamo una squadra
nel Bronx.”
Iniziò ad armeggiare al
telefono richiedendo due squadre. Dair gli si avvicinò
“Non credi a quello che mi
ha detto?”
“Nemmeno un po’ tenente.”
Si rivolse poi ai topi di
biblioteca telematici
“Iniziate a cercare!
Qualsiasi movimento di denaro, qualsiasi mossa insolita nelle telecamere
stradali, tutto!”
“Ma signore, avremmo bisogno
di qualche coordinata per…”
“Cercate!”
---
André arricciò le labbra
davanti allo schermo del pc
“Accidenti ragazzi..ci hanno
beccato!”
Annunciò con tono
sarcastico. Un puntino intermittente sul desktop indicava Caste Hill.
Davis arrivò a grandi passi
poi si bloccò accanto a lui.
“Bene. Tutto come previsto.”
“Già.”
Concluse l’altro alzandosi
da quella comoda posizione per infilare il giubbotto ed assicurarsi che la sua
pistola avesse ancora la sicura inserita.
“Si comincia allora.”
---
Tyler era stato prelevato in
malo modo dalla sua cella. All’esterno era quasi freddo, ma quegli stronzi
dell’FBI non avevano lasciato che si riprendesse la giacca. Lo avevano
semplicemente ammanettato e buttato fuori. Doveva solo salire sul furgone e
stare zitto. Dentro di sé la tensione e la voglia di sorridere aspettando la
mossa di Davis.
Poco dopo la portiera si
aprì di nuovo e sia Blake che Payne vennero spinte dentro. Gli occhi della
bionda si illuminarono
“Tyler!”
Avrebbe voluto abbracciarlo,
ma anche le sue mani erano strette nel metallo, senza contare lo sguardo torvo
delle due guardie armate che si erano posizionate ai due lati di quello spazio
angusto.
Lui rispose facendo
l’occhiolino, ma non disse nulla per non infastidire gli agenti. Aveva bisogno
della calma più assoluta per riuscire a fare ciò che sperava di poter fare.
Nel silenzio, mentre il
mezzo si muoveva, Payne gli stava seduta davanti continuando a guardarlo.
Accanto a lei Blake, visibilmente più agitata continuava a contrarre i muscoli,
era sicura che qualcosa stesse per succedere.
Tyler cercò lo sguardo di
Payne con più decisione, usando gli occhi per indicare anche Blake. La prima
decise allora di attirare l’attenzione della sorella di Davis con un tocco
minimo della mano, così delicato da essere impercettibile per le guardie.
Di nuovo Tyler mosse gli
occhi, stavolta verso il basso ad indicare i suoi piedi. Payne aggrottò il
sopracciglio per un attimo, ma capì ben presto di dover far attenzione ai suoi
piccoli movimenti. Era come se Tyler si fosse messo a tamburellare con la punta
del piede destro, una specie di movimento cadenzato anti-stress o almeno è ciò
che avrebbero pensato gli altri.
In realtà era molto di più.
Il Codice Morse è la base di ogni buon delinquente e per loro, nati negli anni
ottanta, quando il massimo della tecnologia comunicativa era rappresentato dai
Walkie Talkie, impararlo era stato un passo inevitabile.
Anche Blake strizzò appena
gli occhi per non perdere nemmeno un battito. Intanto nella sua testa il
messaggio prendeva lentamente forma
D – A – V – I –S – E – Q – U
– I
S – T – A – T – E – P – R –
O – N – T – E
Balzò sul posto senza
riuscire a controllarsi
Davis
sta arrivando. Lo sapevo!
“Hey tu, vedi di stare
buona!”
La ammonì una delle guardie.
Blake abbassò la testa e
sorrise tra sé e sé.
---
“Guardi questo signore.”
Grant si avvicinò
nervosamente
“Che hai trovato?”
“E’ l’esterno di un negozio
di liquori qui a Manhattan. Guardi qui.”
Indicò col dito sul monitor,
mentre una figura incappucciata veniva fuori dall’esercizio con un sacchetto di
carta tra le mani. Il volto basso per tutto il tempo, tranne che per un
secondo, un piccolo secondo che l’agente immortalò sulla schermo
“Non potrebbe essere…”
Sembrò timoroso, ma Grant si
sporse fin quasi a poggiare il naso sull’immagine
“Duval. Quel bastardo.”
“E’ un video di due giorni
fa signore.”
“Quindi non sono nel Jearsy,
bensì a pochi passi da qui.”
Di nuovo corse all’interfono
“Voglio che una squadra
controlli tutti i contatti di Miller qui a Manhattan. Chiunque abbia avuto a
che fare con lui… E mandate qualcuno direttamente al Liquor Store sulla
ventesima.”
Scosse la testa lasciando il
bottone
“Stavolta non ci
fregheranno… E’ già partito il trasferimento?”
“Affermativo signore. Sto
seguendo il percorso del veicolo.”
“Bene.”
Dair si sollevò allora dalla
sedia
“Se permette signore, io
andrei a fare la mia parte.”
“Non sei ancora in servizio
Dair.”
“Lo so. Ecco perché è
inutile che stia qui.”
“E che vorresti fare?”
“Controllerò la bambina
signore. Miller potrebbe mandare qualcuno anche lì.”
Grant sembrò rimuginarci su,
ma alla fine cedette
“Va bene, ma vedi di stare
molto attento a quello che fai.”
Dair improvvisò un saluto
militare
“Signore.”
Si congedò con l’adrenalina
già a mille.
Non appena fu fuori un altro
ragazzotto robusto nella schiera degli informatici alzò la mano
“Signore. Ho rintracciato la
carta clonata con cui Duval ha pagato…”
Qualche battuta sulla
tastiera
“…E’ a nome di un certo
Robert Mason, amministratore delegato della Seven Medicines. La carta preleva
dal conto dell’azienda.”
Gli occhi di Grant si
chiusero in due fessure mentre si calava nel pieno della concentrazione
“…Dall’estratto conto
risulta un movimento di un milione di dollari, spostato ieri su un conto
criptato in…”
L’agente riprese a battere,
asciugandosi rapidamente il sudore della fronte col polsino della divisa
“…Praga signore. Repubblica
ceca.”
L’altro sembrò incerto e
colpito
“Nient’altro?”
“C’è un altro prelievo
signore… Biglietti aerei.”
“Biglietti aerei?”
“Sì. Sette per l’esattezza.”
“Hanno comprato dei
biglietti aerei?”
“Non loro. Sono a nome
dell’azienda farmaceutica… Di alcuni impiegati… Gray, Lawson, Brenda Phillis…
Forse i due eventi non sono…”
“Fesserie!”
Lo interruppe Grant
“Certo che sono loro! Quella
donna ha tentato di fregarci di nuovo! Sono quasi sicuro che non ci sia nessun
aereo a Caste Hill… Useranno la linea aerea nazionale, quello che mai ci
aspetteremmo!”
Visibilmente contrariato, ed
anche un po’ offeso, Grant rivolse l’ultima schiera di ordini
“Mandate immediatamente una
squadra al JFK!”
Stavolta la voce all’altro
capo gracchiò in risposta
“Signore.. Abbiamo già fatto
uscire tre squadre e gli altri sono impegnati nel trasferimento..forse dovrebbe
asp…”
Grant si impettì ed alzò la
voce
“Mandi gli agenti rimasti
all’aeroporto! Adesso!”
“Bene Signore.”
Passo numero 2. Sparpagliare
gli agenti dell’FBI per la città. Con tutte le squadre
impegnate in punti diversi di NY non sarebbe stato semplice per il grande
vice-comandante McPhee richiamare immediatamente tutti gli agenti sulla statale
40. Avrebbero perso almeno cinque minuti, forse otto o dieci, di certo
abbastanza perché quella fase del piano fosse conclusa.
---
Davis aprì lo sportello del
SUV con i vetri oscurati, gentilmente offerto dal “collega” Demon, pezzo grosso
dello smercio locale di cocaina, poi stette sui suoi passi. Si voltò ancora una
volta verso Eden
“Andrà tutto bene.”
Lei annuì stringendosi nelle
braccia
“Potevo venire con voi.”
“No. Non voglio che tu venga
coinvolta in altre sparatorie o roba del genere… E poi lo sai, ci servi
altrove.”
Eden allora infilò la mano
nella tasca dove teneva il cellulare che suo marito le aveva affidato.
“State attenti, ti prego.”
Lui trovò la forza di
sorridere con sincerità.
“Te lo prometto.”
Poi si abbassò appena un po’
per lasciarle un bacio sulla fronte
“Ci vediamo dopo.”
Lei si alzò sulla punte e
rispose a quel bacio pudico con un altro, ben più appassionato.
Lo strinse a sé cercando di
restare sulle sue labbra il più a lungo possibile.
Davis riprese fiato
“Hey, ti ho detto che andrà
tutto bene!”
Eden annuì di nuovo,
rimanendo a fissare la grossa auto che si allontanava da lei.
Tirò fuori il telefono e
compose il numero di Dair
“Pronto?”
“Sono io.”
“Tutto bene?”
“Sì…”
Sospirò
“…Sono appena partiti.”
“Ok.”
Seguì il silenzio per una
manciata di secondi
“Siamo d’accordo?”
Riprese lui
“Sì. Ti aspetto lì.”
La conversazione si
interruppe senza saluti di cortesia. Eden ripose il cellulare e si guardò
intorno. Era arrivato il suo momento di muoversi.
Compito di Eden (secondo
Davis). Convincere Dair della sua buona fede, recuperare Sophia
ed aspettare nel punto prestabilito. Nulla di troppo difficile, almeno in
apparenza.
---
I due SUV sfrecciavano a
grande velocità, in senso opposto, uno dietro ed uno verso il blindato della
polizia. Secondo le ipotesi ci sarebbero state quattro auto di scorta, due
davanti e due dietro. Le prime sarebbero state messe fuori uso dall’esplosione,
alle altre avrebbero pensato loro.
André seguiva il percorso
del nemico su un tablet, pronto a fare un cenno qualora fosse il momento.
Accanto a lui, stretto in un giaccone nero quasi quanto la sua pelle, Quentin
Pratt. Ladro anche lui, doveva a Davis parecchi favori, ma con questo soltanto
avrebbe estinto il suo debito. Stringeva tra la mani il detonatore delle
cariche.
Quel cenno arrivò piuttosto
presto. Quentin spinse deciso con il pollice, mentre l’autista si arrestò di
colpo facendo fischiare i freni. Il botto deciso del tritolo li fece vibrare,
quasi sollevare dall’asfalto.
Davanti alle loro facce una
grossa nuvola scura ed il rumore della ferraglia accartocciata.
André lasciò da parte la
tecnologia ed afferrò un grosso fucile prima di scendere dall’auto e prendere a
correre verso il fumo. Quentin lo seguì, mentre l’autista del SUV rimase in
attesa.
---
Il furgone che trasportava Tyler
e gli altri sterzò all’improvviso, quasi perdendo il controllo. Il rumore fu
assordante per un secondo e Payne perse l’equilibrio rischiando di rotolarsi in
quello spazio angusto.
Immediatamente si rimise
sull’attenti insieme agli altri. Una delle guardie era caduta battendo la
testa. Non poteva andare meglio, perché l’altro si era subito prodigato in suo
aiuto.
“Che cavolo succede qui?!”
Dal rumore degli sportelli
era chiaro che i conducenti erano scesi, così Tyler ne approfittò per mettere
fuori uso anche l’altro agente di guardia. Sollevando le braccia gli prese la
gola nella morsa delle manette, col metallo premuto sulla trachea il tizio non
poteva urlare, tantomeno respirare. Blake si mosse pronta a colpirlo con un
calcio ben assestato qualora si fosse rifiutato di svenire, ma non servì. Ben
presto l’agente crollò di peso vicino all’altro, già messo ko da una gradita
commozione celebrale.
Si mossero tutti e tre verso
il portellone, ma non c’era verso di aprirlo. Potevano solo aspettare.
---
Davis, che era nell’auto davanti, scese
correndo verso la nuvola di polvere. Le due auto di scorta erano saltate ai
lati della strada e avrebbe potuto, con un po’ di fortuna, raggiungere
direttamente il furgone.
Dall’altro lato André e
Quentin avevano di fronte le due macchine ancora intere. Dentro una delle due
McPhee si agitava senza tregua.
“Chiama rinforzi idiota!”
Si rivolse all’agente alla
guida che, tremolante, afferrò la radio
“Abbiamo un’imboscata.
Mandate rinforzi al chilometro 37!”
Il vice-comandante si guardò
dietro, dal parabrezza poteva scorgere due grosse figure armate. Afferrò a sua
volta la pistola e sporgendosi dal finestrino decise di sparare senza indugi.
Al fuoco rispose fuoco,
André puntò subito alle ruote della vettura e poi al motore, sperando che
prendesse fuoco e non rappresentasse più un problema. Schivare le pallottole fu la cosa più
impegnativa, ma erano preparati, indossavano giubbotti antiproiettile ed erano
pronti a darsela a gambe non appena la loro missione da due minuti circa fosse
conclusa.
Obiettivo: tenere impegnati
McPhee e compagni.
---
“Abbiamo un’imboscata.
Mandate rinforzi al chilometro 37!”
Urlava la voce metallica
dalla radio, senza che nessuno potesse sentirla.
Dair, prima di uscire dalla
centrale, aveva deciso di fare una piccola deviazione. Di certo gli sarebbe valsa
la carriera, ma che cavolo, in quella confusione nessuno ci avrebbe fatto caso.
Gli era bastato passare
davanti alla stazione di smistamento delle chiamate, attendere la pausa caffè dell’insignificante
agente Oliver e spingere un paio di pulsanti. Tutte le comunicazioni deviate
direttamente nell’ufficio di McPhee ai piani alti.. Lì, dove non c’era nessuno
che potesse raccoglierle.
---
Davis raggiunse ben presto
lo sportello del furgone e con l’aiuto di un altro esponente della piccola malavita
newyorkese, Giovanni Lopez, esperto in furti d’auto e portavalori, riuscì ad
aprirlo.
Gli occhi di Blake si
illuminarono letteralmente quando suo fratello apparve
“Sapevo che ci avresti
tirati fuori!”
“Andiamo!”
Rispose lui e insieme
corsero come il vento verso il SUV in attesa. Dopo un viaggio di un paio di
chilometri appena nella campagna circostante, un altro mezzo li attendeva. Li
avrebbe portati dritti all’aereo privato in attesa di decollo. Prima
destinazione Messico.
Stesso identico discorso per
André, scampato ai colpi maldestri degli agenti.
McPhee scese dall’auto in
principio di incendio. Una lunga serie di imprecazioni uscì dalle sue labbra
contratte in una smorfia. Avrebbe voluto scalciare come un bambino deluso, ma
doveva correre, inseguire quei maledetti e sparare. Solo questo avrebbe potuto
salvargli la brillante carriera ormai.
---
Eden raggiunse lo stabile
che Dair le aveva indicato. In uno di quegli appartamenti c’era sua figlia.
Finalmente.
Col cuore in gola, in
mancanza di notizie riguardo Davis e gli altri, si infilò guardinga nella porta
del garage. Il corridoio scuro, con l’odore di gas di scarico, la portò fino
alle scale. Salendo un gradino alla volta coprì la distanza tra lei ed il terzo
piano.
Al di là della porta per le
scale di servizio c’era un agente in piedi. Indossava abiti borghesi, ma sapeva
di per certo che si trattava di uno della polizia. Attese da lì l’arrivo di Dair.
Pochi minuti o forse mezz’ora,
un’ora dopo, il rumore di passi la fece ben sperare. Assistette alla scena
sbirciando dal vetro. Quattro chiacchiere e l’agente con i jeans se n’era
andato. Dair si schiarì la gola ed Eden colse il segnale per uscire.
Gli fu vicino in un attimo,
abbracciandolo nel modo più istintivo. Lui rispose senza stringerla troppo, non
voleva fare l’abitudine a qualcosa che forse non avrebbe mai avuto. Ormai
sapeva di non poterci contare troppo. Anche se la teneva tra le braccia poteva
sparire in un solo istante, questa era Eden Spencer.
“Mi dispiace.”
Disse lei spingendosi contro
il colletto della camicia azzurra. Profumava di pulito.
“Anche a me.”
Rispose scostandosi dalla
presa. Non era saggio restare lì sul pianerottolo.
La porta si aprì dopo tre
giri della chiave nella serratura. Dair entrò per primo, si guardò intorno e
scorse la figura della tata in cucina.
“Signora Kennedy?”
Quella si voltò di scatto.
Presa dal fischio del bollitore non aveva nemmeno sentito la porta aprirsi.
“Agente Dair. La aspettavo
più tardi.”
“Lo so, ma abbiamo avuto
qualche problema in centrale.”
“Problema?”
“Già. I nostri ricercati
sono riusciti a fuggire e sono quasi certo che siano diretti qui per prendere
la bambina.”
La tata sobbalzò facendosi
seria
“Qui?”
“Già. Altri agenti
arriveranno immediatamente. Intanto le consiglio di andare subito via se non
vuole incappare in una sparatoria o cose così…”
“Spa.. Sparatoria?”
“Sono criminali piuttosto
pericolosi. Io sono venuto a prendere la bambina, la porto via immediatamente.”
La signora Kennedy si
dimenticò completamente del bollitore e dell’earl grey che stava preparando
“Dovrei andare quindi?”
“Vada pure.”
Senza bisogno di ripeterlo
ancora, la tata, che non era affatto felice dall’inizio di essere incappata in
quell’incarico, afferrò borsa e cappotto.
“Mi saluti la piccola.”
Un breve saluto e sparì. Il
rumore delle sue ciabatte veloce per le scale.
Dair tirò un sospiro di
sollievo
“Vieni.”
Eden venne fuori dal suo
nascondiglio e guardò intorno a sé in quell’appartamento sconosciuto, ben
diverso dal suo a Chicago.
“Dov’è?”
Chiese impaziente e Dair le
indicò una porta poco più là.
Seduta all’indiana su un divanetto
a quadri, la piccola Sophia teneva gli occhi puntati sulla tv. Simba e i suoi
amici cantavano Hakuna Matata.
Le si strinse il cuore.
Dopotutto forse, stava facendo la cosa giusta.
“Tesoro mio.”
La bambina si voltò piano e
spalancò la bocca in un sorriso
“Mammaaaaa!”
Le corse incontro saltandole
al petto.
“Mamma sei tornata!”
Eden la strinse più forte
che poté
“Sì amore… E non ti lascio
più, stavolta non ti lascio più.”
Dair irruppe in quella scena
perfetta
“Dobbiamo andare.”
---
Tutto era andato secondo il
piano. Almeno fino a quel momento.
Davis cercò di chiamare Eden
ancora una volta, ma come per le altre 27 chiamate, nessuno rispose. Iniziava
ad essere preoccupato. Forse Dair non era stato così ingenuo da cadere in un
nuovo tranello, forse non avrebbe permesso ad Eden di andarsene con sua figlia.
Eppure conosceva le doti di
sua moglie, con o senza il consenso del poliziotto sarebbe riuscita a prendere
Sophia. Non era un compito troppo difficile per lei. Doveva solo farsi dire
dove fosse, prenderla e chiamare l’altro scagnozzo di Pratt. Quest’ultimo le
avrebbe caricate sulla sua anonima berlina e portate a destinazione, pronte per
volare in Messico.
“Ancora niente?”
Chiese Payne. Anche lei era ormai
preoccupata.
Poco più in là André e Blake
parlavano per conto loro. Lui era arrabbiato, vistosamente. Quel bastardo di
McPhee l’aveva picchiata e lui si stava pentendo di non averlo ucciso con un
colpo in fronte. Lei era tesa, voleva solo andarsene e in tutta onestà le
importava ben poco che Eden li raggiungesse. Tantomeno sua figlia. Con tutto il
rispetto per Davis era solo colpa loro che si erano ridotti in quel modo.
L’ennesima chiamata a vuoto.
Davis compose un altro
numero.
“Eden ti ha chiamato?”
Il tizio arruolato come
autista risposte con un certo timore. Con Davis Miller era sempre meglio non
scherzare.
“In realtà sì. Sono dietro
Central Park, mi ha mandato qui venti minuti fa, ma ancora non la vedo.”
Un campanello di allarme si
accese. Chiuse la chiamata senza aggiungere altro. Si rivolse agli altri
“Andate.”
“Cosa?”
“Andate ho detto. L’aereo è
già pronto. Io vi raggiungerò più tardi. Con Eden.”
Concluse sottolineando il
nome di sua moglie. Qualcosa non quadrava, il Davis sospettoso e cattivo si
stava rianimando.
“Più tardi? E come?”
Incalzò Blake
“Non preoccuparti. Andate.
Adesso.”
Un cenno ad André perché
prendesse le sue veci. Al francese non interessava interferire nelle sue
decisioni, pertanto sarebbe salito su quell’aereo senza fiatare.
Payne gli si avvicinò
“Sei sicuro?”
Davis annuì senza sbloccare
di un millimetro la faccia seria.
La bionda compagna si
avvicinò per abbracciarlo. Erano così rari i momenti d’affetto nella loro “banda”
che per un attimo Davis trasalì.
“Grazie.”
Disse lei sinceramente, ma
non riuscì a strappargli un sorriso.
Si avviarono verso l’aereo
mentre lui rimase lì, in piedi davanti all’auto, il cellulare in mano e un
tremendo mix di paura e sospetto nello stomaco.
Poco dopo il suo telefono
squillò, il nome di Eden si mise a lampeggiare come per incanto.
“Dove sei? Perché diavolo
hai mandato l’autista a Central Park?!”
Non voleva esserlo, ma era
arrabbiato.
Eden prese aria, ma la sua
voce rimase calma e coincisa
“Vieni a questo indirizzo.
Solo tu.”
“Cosa?! Ma che dici? Ti
hanno presa? E’ forse questo? Eden?!”
Lei rimase impassibile,
almeno all’apparenza. Dentro era come se un gruppo di cani famelici le stesse
divorando anima e budella.
“Ti prego. Warrington Street
1244… Ti prego.”
La linea cadde e lui pensò
per un attimo di aver sognato, ma la scritta “Chiamata terminata” era
effettivamente lì.
Warrington Street… Non gli
diceva niente, assolutamente niente. Ne
dedusse che dovevano averla presa. Dair o i federali erano riusciti a fermarla
ed ora attendevano solo lui per l’atto finale di quella commedia.
Cazzo.
Imprecò. Non era giusto, tutto era andato secondo i piani, tutto! Quello era il
suo finale e nessuno gliel’avrebbe rovinato. Nessuno.
Strinse la sua pistola per
cercare sicurezza e salì in macchina. Avrebbe fatto quello che doveva fare.
Quel giorno la sua famiglia sarebbe tornata tutta insieme, a qualsiasi prezzo.
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“Ecco.”
Dair le porse una
cartellina, lasciandola scivolare sul legno della scrivania con delicatezza.
Lei si morse il labbro
scorrendo la prima pagina con gli occhi. Dovette distogliere lo sguardo per non
piangere.
“Mi dispiace.”
Aggiunse lui. Era sincero,
ma forse non fino in fondo.
Eden annuì pensando a sua
figlia. Era stata la cosa migliore lasciarla a Grace piuttosto che portarla lì.
Non sarebbe riuscita a farlo con lei presente.
Forse non sarebbe riuscita a
farlo nemmeno così.
Guardò Dair con la coda dell’occhio.
Non stava esultando, non sembrava nemmeno felice e probabilmente davvero non lo
era. Daniel Dair è un uomo troppo onesto per godere di una misera ,triste,
ingiusta vittoria come questa.
Strinse i pugni.
“Non so se ce la faccio.”
Dair la raggiunse e la
strinse di nuovo, stavolta con decisione.
Prendendole il viso tra le
mani la guardò serio
“E’ l’unica cosa che puoi
fare. Ed è la cosa più giusta per tutti.”
“Ne sei sicuro?”
Lui si ficcò dritto nelle
iridi scure di Eden
“So che lo ami. So che forse
non smetterai mai di amarlo… E so che non amerai me come ami lui…”
Eden lasciò sfuggire un
sospiro d’angoscia
“…Non è per me che ti ho
chiesto di farlo, lo sai vero?”
Lei annuì in silenzio.
Per quanto bene gli volesse
non lo avrebbe mai fatto per lui. E non lo avrebbe mai fatto nemmeno per liberare
sé stessa.
Era solo per Davis che era
pronta a rinunciare.
Per la sua libertà, la sua
redenzione, tutto quello che cercava da anni. Certo, gli sarebbe mancato un
pezzo o due, ma col tempo anche quel dolore sarebbe passato.
Ed il vecchio Davis Miller
non sarebbe stato che un ricordo.
Scoppiò a piangere senza
riuscire a frenarsi in tempo. Lacrime e singhiozzi nella speranza che sfogarsi
prima l’avrebbe resa coraggiosa abbastanza da andare fino in fondo.
Dair la strinse di nuovo.
Forse non avrebbe mai
posseduto il suo cuore per intero, ma avrebbe fatto di tutto per conquistarne
più spazio possibile.
L’avrebbe resa felice.
Eden non avrebbe rimpianto
Davis.
Lo scatto metallico della
sicura li riportò alla realtà.
Gli arti rigidi, lo sguardo
torvo e l’arma puntata contro il poliziotto.
“Giù le mani da mia moglie!”