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Autore: Gaber_Ricci    09/09/2012    1 recensioni
“È pazzo, dottore?”; fu talmente imprevista che W. non poté fare a meno di domandare: “Chi?”, mentre il suo collo si allungava di diversi metri ed assumeva una tenue sfumatura blu
cianosi.
“Mio figlio”
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Buongiorno, dottore”, disse la donna.

Benché inizi così, vi assicuro, questo non è un racconto erotico: intanto, se pure volessi scriverlo, non mi permetterei mai d'irridere la vostra esperienza con una tale scontatezza; in secondo luogo, le mie (frustrate) ambizioni di mitografo mi hanno sempre portato, mio malgrado, ad evitare tale genere; e, ultimo, ma non per importanza, la signora Q., che quelle parole aveva pronunciate, davvero, davvero non era dell'umore giusto per coinvolgere il dottor W., cui quelle parole erano rivolte, in un gioco di seduzione – conquista – accoppiamento, il tutto prima separati da, ed in seguito sdraiati sul, piano della sua scrivania.

Era infatti preoccupata per suo figlio: se quel dottore, che non era proprio un dottore (infatti, non era un medico, ma uno psicologo), e che aveva precisamente il compito di rendersi conto di quando uno degli alunni di quella scuola aveva qualcosa che non funzionava, l'aveva mandata a chiamare, doveva esserci qualcosa che non andava; e lei immaginava già la sua appendice buccale che componeva le sillabe della parola “ma – ni – co – mio”.

Al solo pensiero, le si erano rizzati i peli dietro la schiena, ed anche quelli che ricoprivano la sua gamba posteriore: un figlio in manicomio! Cos'avrebbero detto i vicini? Forse poteva chiedere pietà al dottore, che la disintegrasse con un raggio laser.

Lo psicologo, che si era preso dieci secondi per studiarla, pensò fosse giunto il momento di venire al punto; le indicò dunque un ampio pouf di pelle di sirena, invitandola a sedersi; non aspettò nemmeno che il suo piatto fondale raggiungesse lo raggiungesse, prima di esordire: “Come avrà immaginato, l'ho chiamata qui per parlare di suo figlio...”

La domanda che lo interruppe sembrava provenire direttamente dall'intestino secondario della donna: “È pazzo, dottore?”; fu talmente imprevista che W. non poté fare a meno di domandare: “Chi?”, mentre il suo collo si allungava di diversi metri ed assumeva una tenue sfumatura blu

cianosi.

Mio figlio”, rispose Q., raggiungendo una frequenza di circa centottomila herz.

Pazzo? Assolutamente no! Solo, ci sono dei tratti della sua personalità di cui mi piacerebbe parlare con lei”. Il tentacolo che gli spuntava tra l'occhio numero 101 ed il 107 si mosse verso un cassetto della scrivania, lo aprì e ne trasse alcuni fogli color supernova. Disegni.

Sa, ho avuto molte difficoltà, prima di riuscire a convincerlo a mostrarmeli. Si chiederà perché”.

Non me lo chiedo affatto. Anche a casa li nasconde e non permette a nessuno di vederli”.

Ha mai tentato di, come dire” agitò le ventose nell'aria per cercare le parole “sbirciare?”.

No, dottore: se ne accorgerebbe ed allora farebbe il paz... cioè, si metterebbe ad urlare e cose così”. La saliva le scese per l'esofago di destra, diretta all'omaso.

Sia sincera: questo le pare un atteggiamento... normale?”

Lunga pausa di riflessione. “No”. Condanna a morte. Lacrime scesero a bagnarle i piedi.

Il dottore cambiò discorso; o, quanto meno, ci provò: “Non gli ha mai chiesto cosa c'è in quei disegni?”

Sì”

Le ha risposto?”

Diciamo”

In che senso?”

Ha risposto e non ha risposto. Mi ha detto una mezza parola e poi si è andato a chiudere in camera sua. Sta sempre chiuso in camera sua”.

E cosa le ha detto che erano, questi disegni?”

La signora esitò. La lunga unghia del becco che aveva sulla spalla destra iniziò a ticchettare; infine, si decise, e disse: “Progetti”.

Scese il silenzio; troppo imbarazzante, per la signora Q. Si mise a tracciare icosaedri sul pavimento di bauxite, osservando di sghimbescio il dottore che si accarezzava la barba a forma di anello di Saturno con l'appendice vermiforme (che niente aveva a che fare con il suo intestino crasso; in effetti, non ce l'aveva neanche, un intestino crasso). Tipico gesto di chi sta riflettendo.

Secondo lei, perché non ne parla volentieri? Se ne vergogna?”

La signora quasi scoppiò a bramire: questa sì, che era bella! “Vergogna? Assolutamente no!”

E perché, allora?”

Be', io credo” fu il suo turno di agitare le ventose; ne scaturirono arcobaleni di quindici colori: reticenza. “Che non ci consideri, ecco, degni”.

I tredici occhi principali del dottore la fissarono, molto a lungo; tuttavia, non trovò di meglio da dire che: “Ha ragione, signora”. Non fu la scelta corretta: la Q. si irrigidì, in una sorta di opistotono. “Non si agiti, non si agiti!” fece il dottore, strangolandola per riportarla alla calma “Non è un problema grave!”

Non è vero, lei sta mentendo! Lo so, lo so che è pazzo!”. La sua coda mulinava.

Niente affatto”. Una lunga serie di pugni nel plesso lunare sembrava in grado di calmarla: trucchi da stregone, li chiamava il suo professore. “Gliel'ho detto, non è pazzo. È solo un po'... diverso”.

Non aveva mai imparato ad utilizzare un lessico appropriato; ma, d'altronde, per quello ci voleva esperienza: e lui aveva soltanto ottocentoundici anni.

La signora si lisciò la coda: “Lei è molto gentile, dottore. Ma non mascheri la realtà”.

Non lo faccio. Anzi, per essere con lei sincero al massimo, le dirò anche che è per questa diversità che suo figlio viene spesso, ecco... messo sotto”.

Messo sotto?”

Poche sillabe: “Bulli”

Vuol dire che mio figlio...”

Non siamo mai arrivati alla violenza fisica, a parte qualche spintone. Ma umiliazioni, prese in giro, canzonature, questo sì. E...” allungò il tentacolo verso il piccolo pacco di fogli “le cose sono peggiorate, da quando hanno visto questi”. Glieli allungò.

La signora prese a sfogliarli, inizialmente incuriosita; tuttavia, quando il suo colorito virò al giallo zolfo, il dottore capì che era il caso d'intervenire. Ma disse di nuovo la cosa scorretta: “Lei deve capire, signora, che per un bambino non è facile comprendere...”

Non lo è neppure per un adulto”. Si fissarono. “Cosa sono, queste... cose?” domandò, infine, disperata la signora. Non si attendeva una risposta; proseguì: “Che cos'è questo? Che colori sono questi?”.

Dovrebbero chiamarsi” il dottore consultò delle tavolette di rame. Appunti. “Verde e azzurro. E quanto a quello che è... be', tutto ciò che riesco a dire è che sembra una palla da yrbug, ma un poco schiacciata sulle punte”.

La signora lo ignorò. “E questo...” chiese, agitando un altro foglio “dovrebbe essere un animale?”

Credo di sì”.

Con soli due occhi e quattro gambe?”

Il dottore non seppe cosa rispondere; forse, fu meglio così. Ma il peggio doveva ancora venire, e venne subito: l'ultimo foglio del pacco.

Che... che cosa vuole essere questa forma senza senso? Queste appendici deformi? Questo colore... è rosa, dottore?”

Il dottore mosse il suo naso nello spazio quadridimensionale; annuì, insomma.

Rosa. Un bambino normale non usa il rosa. E... queste” indicò una serie di segni storti e disordinati che accompagnavano ogni disegno “sono scritte?”

Sì, signora”

E cosa dovrebbero significare?”

È un alfabeto di sua creazione, la maestra mi ha detto che trova spesso simboli simili sui suoi quaderni”

E cosa c'è scritto?”

Ecco, l'alfabeto è piuttosto semplice, sono solo ventuno segni, ma anche le parole le ha inventate lui... comunque, se ho ben interpretato, qui” mostrò la strana forma verde e azzurra “dovrebbe esserci scritto qualcosa tipo Derra, mentre qui” lo strano animale “credo sia gane, o cose simili, e questo, infine” il mostro rosa “dovrebbe essere, nelle sue intenzioni, un vomo”.

Fu troppo: divenne scivolosa la bauxite, per la quantità di lacrime, cui si associarono violenti attacchi di letargia. Il dottore rispettò quel dolore, ed attese che la signora si sfogasse. Poi, inopinatamente, dichiarò: “Il suo unico problema, in realtà, è una sorta di delirio di onnipotenza”

E come si può curare?”. Non c'era molto altro che la interessasse.

Non si può. Dovrà” la guardò. Decise che era necessaria una correzione “dovrete imparare a conviverci”.

"Ma..." iniziò la signora, e poi si fermò a fissare il dottore. Esitazione, paura.“Potrà avere una vita normale, dottore?”

Certo. Con alcune, piccole, limitazioni”.

Ad esempio?”

Dev'essere tenuto lontano da incarichi di responsabilità. Per il suo bene, e per quello degli altri”.

Cosa vuole dire?”

Che il potere potrebbe peggiorare il suo stato, e le sue decisioni potrebbero essere... vessatorie, o crudeli, nei confronti dei suoi sottoposti. Certi suoi atteggiamenti nei confronti dei più piccoli non fanno ben sperare”. Aveva parlato troppo, ma ormai era fatta. Anticipò la signora che stava per fare una domanda: “Diciamo che fa loro quello che altri fanno a lui”.

La signora rimase a lungo in silenzio. Fu quando si alzò, e cominciò, in segno di ringraziamento, a fagocitarlo (il dottore avrebbe voluto evitare simili formalità, ma lei insistette), che domandò: “Vuol dire che tale... problema lo accompagnerà anche da adulto?”

Temo di sì, ma gliel'ho detto, con alcuni piccoli accorgimenti non ci saranno danni per nessuno. E, quasi dimenticavo” aggiunse, prima di sparire nella sua appendice buccale “lo tenga assolutamente lontano dagli Elementi, non vorrei che prima o poi ci ritrovassimo con una Derra tra le mani, che non sapremmo gestire!”

Gli promise, prima che lui sparisse: “Farò del mio meglio, dottore”.

Il seguito prova che non ci riuscì.

 

Il mondo è forse l'abbozzo rudimentale di un dio infantile che l'abbandonò a metà dell'opera,

vergognandosi della propria esecuzione deficiente; è fattura di un dio subalterno, del quale gli dei

superiori si burlano.

-David Hume, “Pensieri sulla religione naturale”

  
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