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Autore: luctrovato    09/09/2012    0 recensioni
Suo figlio David all’età di 6 anni quando, con i suoi occhioni azzurri cielo e i suoi capelli biondi, che toccava continuamente quasi fossero una noia, aveva chiesto a sua madre il significato di una frase sentita in Tv e detta dal Papa Giovanni Paolo II:
“Lottare con tutte le proprie forze contro le ingiustizie non è un diritto ma un dovere!”
Andrea aveva proclamato la frase con quell’espressione crucciata e attenta che lo faceva sembrava un piccolo ometto: il suo ometto. Lei, in quell’istante, lo avrebbe voluto coprire di baci per quel musetto imbronciato ma sapeva anche che David si sarebbe arrabbiato dicendo che, in quel momento, non stava scherzando e che non doveva trattarlo come un bambino.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anna socchiuse gli occhi cercando di capire dove si trovasse.
Due fasci sottili di luce solare, facendo capolino dalla persiana della finestra davanti a lei, le mostravano il pulviscolo che giocava facendo capriole in aria.
Le dette un momento di serenità e per un po’ si cullò in quei giochi di luce.
Un profumo intenso richiamò la sua attenzione e i suoi occhi non ancora abituati alla penombra, cercarono di carpire le cose intorno a lei aiutandosi con gli altri sensi.
Con le mani toccò la zona sulla quale era poggiata e la scoprì molto morbida: era su un letto!
Poi le sue mani partirono nell’esplorazione delle immediate vicinanze e, costeggiando il suo corpo, toccò il cuscino su cui la sua testa era poggiata.
Era un cuscino in lattice, ne era sicura, con il suo caratteristico odore e la sua indeformabilità.
Mosse la testa per cercare una posizione migliore, chiuse gli occhi e si concentrò su quel buon profumo: era l’aroma di lavanda come quella del detersivo che usava.
La sua mente le rilanciò quanto era successo poco prima, la notizia e il malore.
Ma allora era svenuta.
Aveva sentito il dolore, la fatica, la rabbia, la paura e il male sul suo corpo, sulla sua mente e nella sua anima.
Spalancò completamente gli occhi e si tirò oziosamente su con il tronco del corpo rimanendo seduta sul letto.
La mente era confusa e la bocca incapace di dire qualsiasi parola impastata dal sonno e dalla stanchezza dovuti, probabilmente, a qualche medicina che le era stata somministrata.
Si abituò a fatica alla poca luce e cercò di ispezionare, con la vista, senza muoversi, il luogo dove si trovava.
Dalla finestra davanti a lei percorse il perimetro della stanza che si stava delineando.
Un quadro raffigurante la Madonna e Gesù bambino la fecero soffermare un attimo: quanto aveva sofferto quella madre per il suo figlio?
Lo sguardo continuò la sua ispezione e altri quadri le si presentarono davanti ma la luce non era arrivata in quel punto oscurando il luogo e impedendo di vedere in modo nitido quanto raffigurato. Ma lei lo sapeva bene cosa ci fosse in quei quadri: le foto con la sua famiglia;
le foto con suo marito;
le foto con suo figlio.
Suo figlio David all’età di 6 anni quando, con i suoi occhioni azzurri cielo e i suoi capelli biondi, che toccava continuamente quasi fossero una noia, aveva chiesto a sua madre il significato di una frase sentita in Tv e detta dal Papa Giovanni Paolo II:
“Lottare con tutte le proprie forze contro le ingiustizie non è un diritto ma un dovere!”
Andrea aveva proclamato la frase con quell’espressione crucciata e attenta che lo faceva sembrava un piccolo ometto: il suo ometto. Lei, in quell’istante, lo avrebbe voluto coprire di baci per quel musetto imbronciato ma sapeva anche che David si sarebbe arrabbiato dicendo che, in quel momento, non stava scherzando e che non doveva trattarlo come un bambino.
Anna aveva lasciato le faccende di casa che stava facendo, si era seduta sul divano dopo aver asciugato le mani con uno strofinaccio, e aveva invitato il figlio a sedersi vicino a lei.
Dopo un momento di silenzio le venne in mente solo di chiedere:
“Tu che ne pensi?”
Lui c’aveva pensato intensamente, poi si era illuminato e l’aveva abbracciata forte facendole una promessa:
“Ha ragione… sarà quello che farò da grande!”
Come era stata orgogliosa del suo piccolo quel giorno.
Se solo avesse saputo.
 
Il braccio fu vinto dalla forza di gravità e cadde verso il pavimento trasmettendole un brivido quando le dita lo toccarono e sentirono quel freddo quasi piacevole in quell’estate calda e afosa.
Affossò il viso dentro il cuscino e pensò che probabilmente fosse stato solo un brutto incubo.
Si, era un incubo.
“Mamma?”
Spostando velocemente i piedi sul pavimento scattò a sedere e sentì il cuore battere a mille dentro il petto avendo sentito quella voce..
Aveva riconosciuto la voce, come poteva essere altrimenti?
L’aveva sentita cambiare nel corso degli anni e quella parola, così bella e desiderata, era stata la prima che aveva articolato: Mamma!
Quella voce che, crescendo, era cambiata diventando una voce maschile che la calmava perché era calda, tranquilla e dava fiducia. Quanto le era mancata.
Anna si rese conto di trovarsi a piedi scalzi, vestita con il pigiama, con suo figlio dietro la porta che non si apriva e si sentì seccare le parole in gola.
Voleva urlare e ridere, raccontare tutto ciò che aveva pensato aver vissuto e, con gli occhi umidi pronti a piangere dalla gioia, si precipitò verso la porta della camera.
Voleva abbracciare suo figlio per baciarlo e stringerlo a sé. Avrebbero riso del suo incubo, perché di questo si era trattato, e poi le avrebbe detto con quegli occhi azzurro mare:
“Beh mamma, mi hai allungato la vita…”
La mano cercò la maniglia che, in modo dispettoso, si allontanò da lei.
“No, ti prego…no!” urlò disperata e correndo a perdifiato ma la stanza si allargò a dismisura fino a diventare un’enorme scatola nera.
Le forze l’abbandonarono e si afflosciò per terra piangendo.
Aveva pensato fosse stato tutto falso, tutto inventato, anche se era sembrato molto reale invece…
Chiuse gli occhi e si convinse che quello fosse un sogno nel sogno.
A volte succedeva.
“Ti prego David…vieni qui…ho bisogno di te…” urlò presa dal panico.
Nessuno rispose e gli occhi le mostrarono quello che aveva lasciato: buio.
Richiuse gli occhi schiacciando le palpebre fino a sentire un piccolo fastidio come faceva da bambina quando vedeva qualcosa che non avrebbe voluto vedere finché qualcuno dei suoi cari fosse venuto a prenderla in braccio.
La maniglia della porta cigolò precedendo la sua apertura.
Suo marito spuntò silenziosamente sulla porta della loro camera da letto.
Sembrava un cane bastonato, chissà anche lui quanto stava soffrendo.
“Sono arrivati. Li vuoi vedere?”
Anna gli restituì lo sguardo e lo invitò ad abbracciarla.
Lui si avvicinò e si accovacciò su di lei unendosi per qualche attimo.
Piansero.
“Perché?” chiese Anna singhiozzando.
Un raggio di sole violentò il buio toccando una foto sul comò: David sorrideva tra i due genitori facendo sfoggia della sua divisa di paracadutista del 183° reggimento Nembo di Pistoia e sullo sfondo l’aereo che lo avrebbe portato lontano, in un altro mondo, in Afghanistan.
“Mamma stai tranquilla, starò attento –le aveva detto asciugandole gli occhi che non la smettevano più di piangere- Non andiamo a fare la guerra, aiutiamo chi ha bisogno… non possiamo lasciarli al loro destino perché -Lottare con tutte le proprie forze contro le ingiustizie non è un diritto ma un dovere!-“
Quanto aveva odiato quella frase in quel momento anche se, lo aveva ammesso, era giusta.
 
Anna ebbe un sussulto che spaventò il marito, si rialzò e cercò di pulirsi il viso con le mani.
“Aspettami di là con gli ospiti, arrivo subito…”
Lui obbedì e si trascinò fuori dalla stanza.
Anna si guardò allo specchio: gli occhi gonfi e sporchi dal trucco sbavato dalle lacrime, sembrava più vecchia della sua età come se la notizia l’avesse levato dieci anni di vita.
Espirò profondamente e decise cosa avrebbe fatto.
Guardò fuori dalla finestra e vide tante gente nella via, davanti all’entrata da casa sua.
C’erano giornalisti, curiosi e amici. Una pattuglia di Carabinieri controllava la zona mentre qualcuno appoggiava un fiore o un biglietto sul muro.
Anna si promise di leggerli tutti.
Si infilò nel bagno e si fece una doccia fresca pregando che l’acqua, scorrendo, potesse mandare via anche un po’ di malinconia e di tristezza: ne uscì una donna diversa.
Tirò fuori dall’armadio il suo vestito migliore, si truccò per coprire la stanchezza e poi aprì il cassetto del suo comodino dove aveva messo un ricordo datole da suo figlio. Lo prese sicura e si avviò decisa verso la sala dove la stavano aspettando.
Appena arrivò, sicura con passo marziale, trovò il marito seduto, incredulo, con le mani che reggevano la foto del loro caro figlio e tre militari, di cui una donna, che la guardarono sorpresa scattando in piedi un attimo dopo il suo ingresso.
Anna aveva indossato, fieramente, il basco amaranto di suo figlio con le insegne del suo reggimento. Sapeva che, indossando quel capo militare, non avrebbe più dovuto cadere nella disperazione.
 La Tv accesa stava gracchiando ancora quella dannata notizia che le avevano dato per telefono poco prima:
“Afghanistan: ucciso un militare italiano in uno scontro a fuoco. Si tratta di un parà del Nembo di Pistoia, il caporal maggiore David….”
Anna guardò sicura i presenti:
“David deve essere onorato… sono pronta ad affrontare tutto…”
Un biondo bambino con gli occhi azzurri, che solo lei poteva vedere, le sorrise strizzandole l’occhio.
  
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