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Autore: My Pride    10/09/2012    9 recensioni
Yo, ho, ho at the battle of bones, you sail the seven seas but you’re never getting home, well the sea answered back, “Old boy, where have you been?”
I’ve been waiting for a fight like this since time first began, so prepare yourself and get ready for your death ride, I’ll be taking you down to Davy Jones with your cargo and your pride.

«Temi tu la morte? Temi l'idea dell'oscuro abisso? Ogni tua azione scoperta, ogni tuo peccato punito? Io vi posso offrire una scelta: unitevi alla mia ciurma e proponete il giudizio finale. Cent'anni ancora sopra coperta. Vuoi arruolarti?»
Le leggende sono solo leggende. Leggenda o meno, però, ad attenderli fra le ombre c’era di sicuro qualcosa. Se lo sentiva sin dentro le viscere.
[ New World Arc ~ Spoiler dai capitoli 668 in poi ]
[ Terza classificata al contest «No words: multifandom contest» indetto da Audrey_24th ]
[ Prima classificata al contest «One Sentence» indetto da Reghina-chan e valutato da ZiaConnie ]
[ Prima classificata al contest «Don't be a drag, just be a Queen!» indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco ]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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THIRD SEASON › IN PIECES
DAVY JONES’ LOCKER, #01
 
    Non seppe esattamente quanto tempo passò né tanto meno se fosse ancora notte o fosse già il giorno dopo, però, nell’aprire gli occhi, Sanji si rese immediatamente conto che i brividi che avevano attraversato il suo corpo durante quelle ore di sonno - e, se proprio doveva essere sincero con se stesso, nemmeno ricordava di essersi addormentato, ad un certo punto - erano stati sostituiti da un piacevole calore che lo avvolgeva come un bozzolo. E solo quando abbassò lo sguardo su di sé comprese quale fosse la causa di quel tepore. Quell’ammasso di stoffa verde che lo copriva era la casacca di Zoro, e non riusciva proprio a capire che cosa avesse spinto quello scemo di uno spadaccino a sfilarsela per usarla a mo’ di coperta per lui. Maledizione a quell’idiota. L’aveva forse scambiato per una donna bisognosa di aiuto o cosa? Per il suo bene, e per il bene della propria sanità mentale, sperava vivamente di no. Altrimenti l’avrebbe pestato a sangue, poco ma sicuro.
    Issandosi a sedere con un po’ di fatica, dati i muscoli di cosce e braccia anchilosati per la scomoda posizione in cui si era ritrovato sul terreno, Sanji scostò da sé la casacca e la ripiegò sulle ginocchia, gettando qualche occhiata intorno. Il fuoco, per quanto debole, scoppiettava ancora allegramente e attecchiva al legname e alle foglie accatastate, dunque non poteva essere passato troppo tempo da quando aveva chiuso gli occhi; la luce non era cambiata di una virgola e i profili delle cose erano ancora indistinti e avvolti lievemente nella nebbia, quindi era anche da escludere il fatto che fosse giorno, a meno che la giornata non fosse uggiosa esattamente come la precedente; non vedeva da nessuna parte Zoro, però, e fu al pensiero che potesse essersi allontanato e perso di nuovo che scattò immediatamente in piedi, dandosi dell’idiota quando per poco non rischiò di piombare a terra come un sacco di patate a causa della caviglia slogata. Merda. Se n’era quasi dimenticato.
    «Zoro?» decise dunque di chiamarlo, sorreggendosi con una mano contro l’albero senza smettere di cercare lo spadaccino con lo sguardo. Odiava ammetterlo, ma preferiva di gran lunga la sua compagnia, anziché starsene da solo in mezzo al nulla, con il rischio di finire persino nei guai per il non poter sfruttare al meglio le proprie abilità. «Ohi, marimo!» riprovò, deglutendo e umettandosi le labbra. Stava cominciando a provare la stessa maledettissima sensazione che aveva assaporato a Sabaody, quando a causa di Kuma se l’era visto sparire dinanzi agli occhi. E, dannazione, non aveva lavorato sodo per due anni per rivivere le stesse situazioni angoscianti ancora una volta.
    Si diede una calmata solo quando lo vide comparire dal folto della boscaglia, con in viso un’espressione scocciata mentre tentava di tirar su la zip dei pantaloni neri - perfettamente visibili insieme all’haramaki a causa della mancanza della casacca  - fra un’imprecazione e l’altra. «Che diavolo hai da strillare tanto, cuoco?» borbottò a mezza voce nello scoccargli una rapida occhiata, riuscendo finalmente nella sua impresa. «Non si può nemmeno pisciare, adesso?»
    Sanji trasse un lungo sospiro di sollievo, poggiandosi con la schiena contro la corteccia. Quel dannato idiota non aveva la benché minima idea di quanto si fosse preoccupato, e probabilmente era un bene, dato che glielo avrebbe di sicuro rinfacciato come lui stesso aveva fatto a Water Seven su quello stupido treno marino. Scosse dunque il capo e cercò di riacquistare un’aria composta, e, recuperata la casacca che aveva abbandonato sul terreno.
    «Sta’ zitto, marimo, saresti capace di perderti anche dietro l’angolo. Non puoi andartene in giro da solo», bofonchiò scontroso, lanciandogli contro il suo vestiario e vedendo lo spadaccino afferrarlo al volo per infilarselo. «Perché diavolo mi hai dato la tua casacca, piuttosto? Non ne avevo per niente bisogno».
    «Non fare domande idiote e datti una mossa, cuoco. Dobbiamo trovare Rufy e gli altri», tagliò corto, non ritenendo necessario rispondere ad una domanda come quella. E Sanji, dal canto suo, nemmeno insistette, limitandosi semplicemente a seguirlo, seppur più lentamente del solito a causa del dolore alla caviglia, prima di gettare un’ultima occhiata nei dintorni.
    «Ohi, quanto ho dormito?» gli venne però spontaneo chiedere, giusto per rendersi conto di quanto tempo fosse passato con esattezza.
    «Non molto. Mezz’ora, un’ora al massimo», gli rispose semplicemente, lasciando cadere lì la conversazione per l’ennesima volta. Non sembrava aver molta voglia di parlare, e il cuoco, molto probabilmente, non aveva a sua volta intenzione di intrattenere con lui un discorso che sarebbe potuto sembrare anche solo lontanamente sensato. Si concentrarono dunque sul proprio cammino, in silenzio e più che speranzosi di non star girando a vuoto.
    Nei dintorni il silenzio era così assordante da rimbombare assurdamente nelle orecchie, dando quasi l’impressione che si trovassero entrambi sott’acqua; il terreno umido, mano a mano che avanzavano, diveniva costellato da steli d’erba e pietrisco, facendo sì che quella determinata zona sembrasse divisa dalla restante vegetazione, che appariva invece fitta e difficilmente valicabile, come se la foresta stessa volesse impedire agli incauti passanti di avanzare in quella direzione. I due compagni rimasero persino sorpresi quando, inoltrandosi nel folto del bosco e superando una macchia di larici e felci, si ritrovarono in una piccola radura, al centro della quale sorgeva una costruzione andata in rovina che un tempo sarebbe stata sicuramente un ottimo rifugio per proteggersi dagli animali della zona, se mai ce n’era stato qualcuno su quell’isola prima dell’arrivo di quegli strani Uomini Pesce. Ai lati di essa, accatastati l’uno sopra l’altro come se fossero stati riposti lì da qualcuno, si trovava la stragrande maggioranza del muro di mattoni che era crollato dal lato sinistro della dimora, la cui porta di legno sembrava essere stata sfondata da una palla di cannone e lasciava intravedere l’arredamento interno; c’era persino una stalla, ai limitari della radura, le cui travi annerite e i cumuli di paglia ormai secchi parevano essere stati divorati dal fuoco. Dall’interno della catapecchia proveniva stranamente del fumo, come se qualcuno vi abitasse ancora e non si curasse delle insolite presenza che vagavano per la foresta.
    «Chiunque sia quello là dentro, o è maledettamente forte o è tremendamente stupido», costatò lo spadaccino, portando comunque una mano a sfiorare l’elsa della sua Ichimonji, mettendo in allerta anche Sanji. Quest’ultimo assunse difatti una posizione di difesa, incassando la testa nelle spalle e ficcando le mani nelle tasche, stringendo la sigaretta fra i denti.
    «Il solo modo per saperlo è andargli in contro, marimo», propose, rimediandoci un cenno d’assenso prima che, entrambi guardinghi, cominciassero ad incamminarsi verso la costruzione, allertandosi quando un rumore metallico parve provenire proprio dall’interno di essa. Qualche istante dopo la porta si spalancò, e una figura fin troppo familiare ai due pirati comparve sulla soglia, lasciandoli interdetti nel vederla gettar loro un’occhiata prima di dileguarsi verso il bosco.
    «Rufy!» esclamò Zoro, correndogli dietro con un’imprecazione; Sanji lo seguì a ruota, decidendo di superarlo nel tentativo di raggiungere Rufy e bloccarlo, domandandosi al contempo cosa diavolo stesse succedendo. Perché era fuggito? Dov’erano gli altri? E, soprattutto, da quando Rufy era così dannatamente veloce?
    «Maledizione, Rufy, aspetta!» sbottò, saltando una radice nodosa per evitare di inciamparvi dentro, imprecando a denti stretti quando una fitta dolorosa gli percorse l’intera gamba fino alla caviglia, facendolo rendere conto anche di un’altra cosa: non era Rufy ad essere diventato veloce, era lui che, a causa del momentaneo handicap, era diventato più lento. Fece comunque ricorso a tutta la propria forza di volontà, cercando di aumentare il passo e ritrovandosi nei pressi di un fiume impetuoso. «Dove diavolo vai, razza di idiota? E dove accidenti sono Nami-san e Robin-chan?!»
    Il Capitano gettò un rapido sguardo verso di lui senza arrestare la sua folle corsa, sparendo fra le cime degli alberi con un salto degno di una scimmia; Sanji dovette fermarsi e accasciarsi contro un tronco per il dolore, guardando in alto senza riuscire a scorgere la figura del ragazzo. Che diavolo gli era preso, così all’improvviso? E dov’era il resto della ciurma, se lui si divertiva a fare l’idiota nella foresta?
    «Dove cazzo pensavi di correre con quella fottuta caviglia?!» sbottò Zoro, appena sopraggiunto a sua volta sulla riva del fiume; Sanji gli gettò un’occhiataccia, mordicchiando poi il filtro della paglia con un sonoro sbuffo.
    «Non rompere, marimo, tu sei troppo lento».
    «Almeno l’hai preso?»
    Sanji ci mise un po’ a rispondere, mugugnando qualcosa fra sé e sé prima di borbottare solo «È sparito» in tono contrariato, asciugandosi il sudore dalla fronte. Non fece in tempo ad aggiungere altro, però, che un ruggito disumano richiamasse la sua attenzione, costringendolo a stornare bruscamente lo sguardo nella direzione da cui esso proveniva. E non poté fare a meno di spalancare la bocca con fare sorpreso, tanto da rischiare di far cadere la sigaretta, quando vide in lontananza un serpente dalle squame azzurrognole che strisciava rapido nella loro direzione, innalzando le spire e il capo mastodontico verso il cielo; spalancò le fauci e ruggì ancora, mostrando le zanne enormi dalle quali Sanji riuscì perfettamente a notare il veleno che colava da esse.
    Oh, perfetto. Non solo avevano dovuto vedersela con gli Uomini Pesce o qualunque cosa fossero quei cosi contro cui avevano combattuto da quando avevano messo piede su quell’isola, ci mancava soltanto un fottuto mostro marino. Un immenso mostro marino che sembrava essere venuto proprio per reclamare la loro vita, molto simile a quello di cui aveva sentito parlare da Paty quand’era solo un marmocchio e che, secondo quanto aveva raccontato, designava le sue vittime fra i marinai che si perdevano e li perseguitava in qualunque oceano fino a prendersi la loro anima. La situazione stava cominciando ad andare sicuramente di bene in meglio. «Ohi, marimo», cominciò dunque pacatamente, alzando a poco a poco lo sguardo su quella creatura che, sradicando gli alberi che si trovavano sfortunatamente sul suo passaggio, si era parata dinanzi ai loro occhi mentre, tranquillo come non mai, afferrava con due dita la sigaretta che si era precedentemente portato alla bocca per accendersela. «Non sono il solo a vedere questa cosa enorme, vero?»
    «A meno che non siamo impazziti in due, cuoco, la vedo anch’io», replicò semplicemente Zoro, abbozzando poi un mezzo sorriso sarcastico. «Se ci fosse qui Rufy, sono certo che proverebbe ad addomesticarlo come quel maledetto Kraken», soggiunse, sfilando le prime due spade dal fodero e provocando una sonora risata a Sanji, che si ficcò le mani in tasca qualche istante dopo.
    «È grosso esattamente come quello stupido polpo, in effetti», disse, sollevando lo sguardo su quel mostro. «Basteranno due colpi».
    «Due colpi», ripeté lo spadaccino, portandosi l’elsa della terza katana alla bocca; la mantenne saldamente con i denti e rinserrò la presa sulle altre due, facendo appena un rapido cenno con il capo in direzione di Sanji prima di gettarsi all’attacco senza pensarci due volte. Non avrebbero dovuto preoccuparsi di niente né tanto meno avrebbero dovuto fare attenzione a non tagliarlo a pezzi, giacché per loro, in quel momento, era solamente un grosso ostacolo e non avrebbe avuto la benché minima utilità se non quella di bloccar loro il cammino.
    Si spostò lateralmente quando, spalancando le grosse fauci, quel gigantesco serpente si lanciò verso di lui, con la ferma intenzione di maciullarlo con le grosse zanne. Zoro lo colpì ad un fianco con il dorso di una spada, ma imprecò a denti stretti nel rendersi conto che quel coso gigantesco era più coriaceo di quanto sembrasse. Ricordava vagamente quello stupido drago che aveva fatto a fette a Punk Hazard, e probabilmente, ironizzò sul momento, era persino buono come quello cotto alla griglia.
    Indietreggiò di qualche passo ed evitò per un pelo la coda del serpente, che aveva frustato l’aria nel tentativo di colpirlo; il suo ruggito lo assordò per un breve attimo e quasi si sentì stordito, scuotendo il capo per riprendersi prima di buttarsi all’attacco. Rigirò le katane fra le mani e partì alla carica, riuscendo a scalfirlo esattamente all’attaccatura del collo, provocandogli un taglio netto ma non mortale. Fece per gettarsi ancora una volta contro di lui quando, sfruttando il suo lato cieco, la coda gigantesca del serpente lo colpì in pieno e gli mozzò il fiato nei polmoni, schiacciandolo al suolo con una forza disumana.
    Boccheggiò, premendo le mani contro la sua carne nel tentativo di levarselo di dosso, riuscendoci solo quando un calcio poderoso lo ribaltò sul terreno fangoso, facendo schiantare il corpo massiccio contro una fila d’alberi poco distante. Con la coda dell’occhio, Zoro vide Sanji calciare velocemente l’aria per saltare il più in alto possibile, arrivando esattamente al centro del petto di quel mostro gigantesco; caricando tutta la potenza che possedeva nella gamba destra, poi, roteò su se stesso e utilizzò il Diable Jambe, dandole fuoco per aumentare la propria forza prima di gettarsi contro l’avversario. Con il Grill shot, la stessa tecnica utilizzata tempo addietro contro il Kraken, lo ustionò in pieno costato, e il gemito doloroso a cui quel mostro diede vita fu capace persino di far tremare la terra sotto ai piedi di Zoro.
    «Tutto tuo, marimo!» esclamò Sanji, imprecando quando toccò il terreno e il contraccolpo si riversò interamente nella gamba; dovette accasciarsi su se stesso e afferrarsi la caviglia con una mano, sentendosi un completo idiota. Con quella dannata slogatura era più di impiccio che di aiuto, e, per quanto tentasse di far finta di niente, avrebbe forse dovuto smetterla di sforzarla più del dovuto, dato che faticava a reggersi in piedi. E intuendo probabilmente i pensieri del cuoco, lo spadaccino sollevò lo sguardo verso di lui, quasi volesse accertarsi che stesse bene, e incassò poi la testa nelle spalle, afferrando saldamente le else delle sue spade prima di farle roteare velocemente fra le mani, partendo all’attacco.
    «Sanzen sekai!» gridò con voce possente, quasi volesse darsi potenza anche in quel modo, curvando le katane e gonfiando i muscoli delle braccia, assestando un colpo dritto allo stomaco di quel bestione. Con un grido sofferente, il serpente spalancò la bocca e contrattaccò, tendendo il lungo collo verso lo spadaccino, che riuscì a spostarsi per un soffio prima di affondare con ferocia le lame nel suo corpo; grosse gocce di sangue nero e viscido schizzarono dalla ferita e sporcarono i tronchi degli alberi non appena Zoro ritrasse le spade, venendo investito in pieno da una spruzzata di liquido vermiglio.
    Il serpente stramazzò al suolo con un lugubre lamento, agonizzante, accasciando il grosso capo prima di far guizzare per un’ultima volta la lingua biforcuta, che ricadde con un tonfo sordo sul terreno sottostante quando dalla gola profonda del mostro scappò un ansito strozzato; la pozza di sangue che si allargò sotto il suo corpo macchiò sinistramente l’erba di uno smorto colorito marrone, rendendola umida e appiccicosa.
    Zoro, rinfoderando le proprie spade, storse di poco il naso prima di sbuffare. «Merda. Chissà che diavolo era quel coso», sbottò, e non finì nemmeno di dirlo che una risata divertita si levò dal bel mezzo del bosco, prima che da dietro al tronco di un albero comparisse un uomo vestito con un semplice pastrano nero e un cappello con la tesa larga, che fece vagare lo sguardo su entrambi i pirati con fare contemplativo.
    «Un Leviatano, ragazzi miei».
 
 
    Sanji, che lì per lì era rimasto in silenzio sul terreno con una mano premuta sulla caviglia, quasi potesse in qualche modo placare il dolore che lo aveva assalito, non poté fare a meno di accigliarsi non appena i suoi occhi si soffermarono sul nuovo arrivato, non mettendoci poi molto a ricordare dove l’avesse già visto. «Ohi! Tu non sei il vecchio che abbiamo incontrato al villaggio?»
    «Di che vecchio stai parlando, ricciolo?» domandò, ma Sanji non si prese la briga di rispondergli, agitando semplicemente una mano come a voler rimandare a dopo la conversazione. Il sorriso che era comparso sulle labbra di quel vecchio, difatti, non prometteva nulla di buono.
    «Vedo che la mia piccola esca ha funzionato», si limitò soltanto a dire, riuscendo ad accigliare i due compagni, che si gettarono una rapida occhiata prima di sbottare in coro: «Cosa?», facendolo ridere maggiormente. «“Gli abitanti si sono trasferiti in un’altra città”, “I mostri pullulano la zona”, “Io vi ho avvertiti”... avete davvero creduto alle mie parole?» parve schernirli. «Siete caduti nella mia rete proprio come dei bei pesciolini... non è mai stato così facile», costatò allegramente, togliendosi il cappello con fare galante. «Tipi stupidi come voi se ne incontrano raramente».
    «Ohi, vecchio, non ho idea di cosa stai parlando, ma hai proprio bisogno di qualcuno che ti prenda a calci in culo», sentenziò Sanji, zoppicando verso di lui con l’aria più spavalda che riuscì a trovare nel suo repertorio, con la ferma intenzione di far parlare chiaro quel tipo e ritrovare i lor compagni; nel momento stesso in cui poggiò un piede sul terreno per fare un passo avanti, però, un peso parve opprimergli il petto e togliergli il respiro, facendolo boccheggiare inutilmente alla disperata ricerca d’aria. Riuscì a malapena a gettare un rapido sguardo in direzione di Zoro prima che, come sospinto da una forza invisibile, venisse catapultato al di là del fiume, fra le acque impetuose; l’impatto contro le rocce sottostanti fu così violento che il cuoco perse i sensi, finendo per essere trasportato lontano dalla corrente sotto lo sguardo incredulo dello spadaccino.
    «Cuoco!»
    «Io mi preoccuperei di te stesso», sentì dire alle sue spalle, ed ebbe appena il tempo di voltarsi prima di sentire una mano dell’uomo poggiarsi a palmo aperto sul suo petto, spingendolo contro il tronco di un albero; lo spostamento d’aria fu così spaventoso che riuscì a spedirlo a più di quattro metri di distanza in una pioggia di corteccia e rami spezzati, e Zoro, sgranando l’occhio, spalancò la bocca senza emetter suono prima di ritrovarsi riverso sul terreno. Con un colpo di tosse si tirò su, sollevando di poco il capo per cercare con lo sguardo la figura dell’uomo, vedendolo immobile e sorridente come non mai. Dannazione, chi diavolo era quel tipo? Non aveva mosso un dito ed era riuscito a mettere fuori gioco il cuoco, già ferito di suo senza l’intervento di quel vecchio, e aveva persino scaraventato lui stesso contro una fottuta fila di alberi toccandolo appena di sfuggita, come se avesse posseduto la forza necessaria per farlo. Eppure appariva semplicemente come un vecchio qualunque, e non sembrava avere nessuna particolarità. Merda. Dopo essersi allenato estenuamente per due anni non aveva la benché minima intenzione di farsi mettere i piedi in testa da un tipo del genere.
    A quel pensiero serrò le labbra e, estraendo con un movimento secco l’Ichimonji dal fodero, si gettò immediatamente contro l’avversario, roteando il polso per agitare la lama senza che quel vecchio, pur vedendolo correre verso di sé, si spostasse di un solo millimetro; il colpo fendette l’aria e gli provocò uno squarcio che si estendeva dalla spalla destra fino al fianco sinistro, ma tutto ciò che la spada parve tagliare fu semplicemente della stoffa, poiché l’uomo, senza abbandonare il sorriso che si era dipinto sulle sue labbra, sfiorò appena con due dita il punto colpito, sollevando il vestiario per rivelare la pelle perfettamente integra.
    Zoro indietreggiò e, rinserrando la presa sulla propria katana, aprì la bocca con fare perplesso, la pupilla ingigantita dalla momentanea confusione. «Che diavolo significa?!» berciò a mezza bocca, sentendo nelle orecchie la risata cristallina in cui proruppe il suo avversario qualche istante dopo.
    «Significa che in questi due anni non hai imparato un bel niente da Mihawk, mr. spadaccino».
    «Come fai a sapere queste cose?» domandò guardingo, sollevando la lama della Shuusui con la punta rivolta verso di lui. «Spero che tu adesso non te ne esca con la cazzata che sei l’immagine speculare delle mie debolezze o altre stronzate simili, vecchio».
    L’uomo si lasciò scappare uno sbuffo ilare, a quel dire, lanciando il cappello nel bel mezzo della foresta. «Hai una gran bella fantasia, moccioso», rimbeccò poi, sfilandosi anche il pastrano come se volesse facilitare in quel modo i propri movimenti. Fu un attimo, prima che, con un rapido gesto del braccio sinistro, sferzasse nuovamente l’aria e allontanasse da sé lo spadaccino, che rotolò sul terreno con una colorita imprecazione nel tentativo di evitare quel colpo, venendo colpito comunque di striscio alla guancia; indietreggiò di riflesso e si portò rapidamente la mano sinistra alla cintola per afferrare la sua seconda katana, però, prima ancora che potesse estrarla dal fodero, venne sbalzato nuovamente lontano da un fendente di quel vecchio, che non gli diede nemmeno il tempo di rialzarsi e gli calciò via dalle mani la spada che sorreggeva. Si gettò poi contro lo spadaccino e, con forza sovraumana, lo afferrò per la casacca e lo sollevò di peso, stringendo le dita intorno al suo collo come se volesse soffocarlo.
    Attraverso l’orlo delle ciglia, Zoro vide il viso del vecchio trasfigurato in una maschera seria e composta, quasi non facesse nessuna fatica a tenerlo sospeso a mezzo metro da terra in quel modo. Per un lungo attimo, probabilmente a causa del poco ossigeno che aveva cominciato ad arrivargli al cervello, gli parve persino di scorgere al posto della pelle un riflesso squamoso, come se quel tipo non fosse affatto un uomo. Facendo forza sulle proprie braccia, lo spadaccino afferrò fra le mani i polsi del suo avversario nel tentativo di fargli mollare la presa, gonfiando i muscoli delle spalle e della schiena per darsi maggior potenza; sentì quelle dita divenire meno salde e, senza nemmeno pensarci due volte, con la poca lucidità rimastagli afferrò la sua Shuusui e piantò la punta della lama nella carne dell’uomo, che si lasciò sfuggire un grido di dolore prima di lasciarlo del tutto.
    Zoro cadde in ginocchio con un tonfo e, portandosi una mano al collo per massaggiarlo e riportare sensibilità in esso, stornò bruscamente lo sguardo verso l’avversario, vedendo i vestiti intrisi di sangue. «Cosa... diavolo sei, bastardo?!» tossicchiò al suo indirizzo, sentendolo ridacchiare con una certa fatica.
    «Dirti “Sono il tuo peggiore incubo” suonerebbe troppo... teatrale, vero?» lo schernì l’uomo, per quanto avesse cominciato a sputare saliva macchiata di rosso. Il colpo di Zoro sembrava essere andato a segno, stavolta, ma non pareva turbato come avrebbe dovuto essere qualcuno che stava per tirare le cuoia, anzi. Il sorriso che si era dipinto sulle sue labbra, pur essendo tirato, faceva supporre che quel tipo avesse qualcosa in mente, e non passò nemmeno mezzo secondo prima che allungasse una mano verso lo spadaccino nel tentativo di ghermirlo ancora una volta; con un’imprecazione, il Vice Capitano riuscì per un pelo a compiere un balzo all’indietro, e il terreno dove si era trovato fino a quel momento scomparve letteralmente sotto i suoi occhi non appena il braccio dell’uomo si conficcò con violenza in esso, lasciando posto ad una poltiglia ormai liquefatta.
    «Merda!» esclamò incredulo. «Che cazzo era?!»
    «Frutto Mabo-Mabo, spadaccino», rantolò in un soffio, come se stesse cominciando a mancargli il respiro; senza perdere altro tempo, come se per lui ogni secondo fosse ormai diventato prezioso, il vecchio sollevò una gamba e sferrò a Zoro un calcio che lo colpì alla spalla sinistra, facendogli sfuggire un gemito doloroso.
    Quel dannato scontro stava durando decisamente troppo, e lo spadaccino cominciava ad essere preoccupato più per il cuoco che per la sua stessa vita. Ad ogni fendente che menava era costretto ad indietreggiare per evitare di essere colpito dai poteri di quel vecchio, che si rivelavano più potenti ad ogni attacco; se fosse tutto a causa di un’illusione o meno non lo sapeva, ma era certo che se non si fosse dato una mossa quell’idiota avrebbe rischiato grosso. Ricorse dunque a tutte le sue forze per riuscire a stendere una volta per tutte l’avversario, rinserrando la presa sulla Shuusui prima di cercare con lo sguardo le altre due spade; le trovò a poca distanza da sé e, senza distogliere gli occhi dal vecchio, scartò di lato un suo calcio e rotolò sul terreno, afferrando le else delle sue armi una volta raggiunte, portandosi l’Ichimonji alla bocca. Roteando le altre due fra le mani, si gettò lui stesso all’attacco verso l’avversario a spade sguainate, pur sapendo di rischiare grosso. Se l’uomo avesse usato i suoi poteri per contrattaccare non sarebbe riuscito a scamparla, ma il gioco valeva la candela, ora come ora. Non se lo sarebbe mai perdonato se non fosse riuscito a salvare quello scemo d’un cuoco. Sarebbe morto provandoci, piuttosto. E con quel pensiero nella testa spiccò un balzo per colpirlo al petto con tutte e tre le spade, piantando le punte di esse nel suo torace prima di tirarle fuori con violenza; il sangue e la carne schizzarono a macchiargli il petto e il viso, e l’uomo, con una mano ad una spanna dal suo viso, sgranò gli occhi, come se fosse incredulo. Cadde a terra riverso di schiena, boccheggiando come un pesce fuor d’acqua mentre gli occhi, vuoti e fissi verso il cielo, sembravano tremare quasi avessero una vita a se stante.
    Zoro affondò la lama nel terreno per sorreggersi contro la katana, lo sguardo fisso sul corpo del vecchio che, a poco a poco, cominciava a scomparire; dapprima perse consistenza, divenendo simile al pallido ricordo di un fantasma, e poi la parte inferiore iniziò a svanire, dalla punta dei piedi fino al busto maciullato; lì lo svanimento parve indugiare per qualche attimo, riacquistando solidità prima di scemare gradualmente, come se la cassa toracica stesse cercando di dar vita agli ultimi battiti del cuore prima del momento della resa. Si dissolse sotto gli occhi di Zoro solo qualche attimo dopo, lasciando come unico segno della sua esistenza una pozza di liquido denso che non ricordava nemmeno lontanamente la consistenza del sangue.
    Senza perdere altro tempo e cercando di far affidamento alle poche forze rimaste, Zoro si gettò nel fiume con un’imprecazione, sentendo una dolora fitta al torace. Le ferite che gli erano state inferte parvero bruciare come se mille lame acuminate gli avessero appena trapassato il corpo, ma lui non se ne curò, stringendo i denti e assottigliando lo sguardo con la speranza di riuscire a trovare il corpo del cuoco. Ad ogni bracciata ansimava sempre più e inghiottiva acqua, sputacchiando e facendo resistenza ogni qual volta la corrente minacciava di trascinarlo via; percorse il corso del fiume e si tuffò più di una volta per controllarne il letto, ma del compagno non sembrava esserci traccia.
    Allarmato e confuso, con il sangue che aveva cominciato a rimbombargli nelle orecchie e il respiro ansimante, non si diede pace nemmeno per un attimo, provando a guardarsi intorno con preoccupazione sempre più crescente; aguzzò la vista e, qualche istante dopo, scorse contro le rocce la figura del cuoco, il cui corpo veniva smosso dalla corrente e rischiava di essere trascinato via da essa senza che quest’ultimo potesse reagire. Aveva perso i sensi e il suo viso era reclinato di lato, lasciando che i capelli fluttuassero come serpenti dorati a pelo d’acqua; con un’imprecazione, Zoro si affrettò a nuotare verso di lui e lo afferrò per un braccio, traendolo in salvo.
    Ferito e annaspante, se lo tirò su una spalla e cercò di trascinarlo il più in fretta possibile fuori dall’acqua, distendendolo di schiena non appena toccarono terra. E sbiancò nel momento stesso in cui, tentando di riprendere fiato, lo sguardo gli cadde sul torace del compagno, vedendolo immobile e privo di vita. «Merda... non respira!» esclamò in un moto di panico, poggiando entrambe le mani sulla cassa toracica per spingere; contò fino a tre e chinò il capo verso di lui per poggiare le labbra sulle sue, provando con la respirazione bocca a bocca nel vano tentativo di riportare il fiato nei suoi polmoni. Si allontanò e prese un altro lungo respiro, riprovando fino a che il cuoco, tossendo, non sputò l’acqua che aveva bevuto, reclinando il capo di lato con un lungo ansito doloroso.
    Zoro quasi trasse un sospiro di sollievo, per quanto sapesse che non era ancora finita lì. Il cuoco avrebbe potuto smettere di respirare da un momento all’altro, e non aveva tempo da perdere se voleva che entrambi uscissero vivi da quella stramaledetta situazione. Nonostante ormai non riuscisse quasi a distinguere le sagome a causa della grande quantità di sangue che aveva perso, dunque, cercò di afferrargli un braccio e di issarselo sulle spalle, scrollando la testa per cercare di riacquistare almeno in parte la vista e allontanare quella patina bianca che sembrava avergli ormai coperto l’iride e che gli impediva di visualizzare al meglio i dintorni e tutto ciò che li circondava come un velo gelido. «Non azzardarti a morire, brutto idiota, altrimenti ti ammazzo con le mie mani!» berciò poi, forse per provare a spronare persino se stesso prima di mettersi faticosamente in marcia in direzione del bosco, con la speranza di riuscire almeno in quell’impresa. Dopo due anni, dopo tutti gli allenamenti a cui si era sottoposto e le umiliazioni che aveva dovuto subire, non era riuscito a difendere uno dei suoi compagni nel momento del bisogno, maledizione. Ma ci sarebbe stato tempo per prendersela con se stesso e fare ammenda, se fosse stato in grado di portare entrambi in salvo.
    Per adesso doveva solo muoversi. Se non voleva perderlo, doveva portarlo da Chopper. E mai come in quel momento, lui, che non aveva mai creduto in nessun Dio, pregò che lo aiutasse a trovarlo in tempo
.









_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Due spiegazioni veloci prima di partire con le note vere e proprie: il frutto Mabo-Mabo che ha mangiato il vecchio è l’abbreviazione di “Maboroshi”, che in giapponese significa per l’appunto “Illusione”.
Appurato questo, ammetto che avrei davvero desiderato scrivere qualche capitolo in più prima di giungere a questo momento, però, purtroppo, il contest a cui la storia partecipava non comprendeva più di sei capitoli e non potevo sforare più di tanto, per quanto io desiderassi farlo
Questo non è il capitolo prima del penultimo capitolo, però, e ci tengo a precisarlo. La storia con cui ho partecipato al contest era di sei capitoli più l'epilogo, certo, ma... c'è un ma, ecco. Giacché la trama era complessa e necessitava di molti più capitoli, ho dovuto tagliare delle parti per far sì che la storia venisse accettata dalla giudice, che era stata già tanto carina a darmi un capitolo in più per far quadrare almeno l'epilogo. Tutto questo giro di parole per dire che, aye, ci sono un altro paio di capitoli in più che io avevo precedentemente scritto mentre stendevo la storia, e contavo di inserirli come spin off.
Al prossimo, dunque ♥




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