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Autore: chaska    11/09/2012    0 recensioni
Eppure mancava qualcosa, qualcosa di importante.
Antonio fece una smorfia a quel pensiero. Effettivamente qualcosa mancava, ma di sicuro non avrebbe tardato a farsi vedere.
In un moto di nervosismo, il pirata si aggiustò la camicia, facendola diventare più piatta di quanto non avrebbe dovuto essere. Sistemò la giacca rossa che aveva posto sulle spalle, perché passare il braccio sinistro per la manica era ancora troppo doloroso, e infine annuì.
Almeno non sembrava un barbone, questo era un buon inizio.
L’unico problema era quella di far vedere anche ad altri che non lo era.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Belgio, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A place I used to call home
 

Build home – Cinematic Orchestra

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Antonio ispirò quanta più aria potè, rilasciandola poi lentamente.
Non c'era nulla da fare, l'odore di salsedine l'aveva accompagnato anche a metri e metri di distanza dalla costa. Sarebbero dovuti passare giorni prima che quell'odore lasciasse posto a quello del terreno baciato dal sole.
Eppure, solo dopo qualche minuto notò quanto fosse diverso dalla norma. La salsedine che si era abituato ad assaporare ad ogni boccata d'aria, si era mescolata all'odore della natura che lo circondava.
Pareva quasi che qualcuno avesse gettato fra le onde un carico di lavanda, spargendone così l'aroma.
No, quella variazione non era male. Si sarebbe anche potuto abituare a quell'odore. E perchè no, dopotutto? Prima della prossima partenza, prima di abbandonare le sue terre, sarebbe dovuto passare così tanto tempo. Abbastanza perlomeno per abituarsi a quella novità.
Lo spagnolo si grattò la testa riccia e sorrise.
Le sue terre, quasi stentava a crederci. Dopo anni di passare di porto in porto in luoghi sconosciuti quanto affascinanti, la Spagna era diventata un lontano ricordo.
Ogni giorno affrontava l’immenso mare che si stagliava dinnanzi ai suoi occhi, così vasto da sentirsi perso nell’anima. Ed anche se amava con tutto se stesso quella bellezza infinita, non poteva impedire alla sua mente di rievocare i ricordi della sua casa.
Quando chiudeva gli occhi, quelle notti in cui le onde erano così clementi da garantirgli qualche ora di riposo, quando si abbandonava alle braccia di Orfeo, non trascorreva molto tempo prima che i ricordi sotto forma di dolci sogni gli riempissero la mente.
E allora, come sotto la guida di un abile pittore, ricordava le verdi fronde del suo arancio, quello stesso albero che aveva piantato con le sue mani. Il cielo azzurro si stagliava oltre il suo capo, mentre il sole riscaldava l’erba ai suoi piedi, rendendola secca abbastanza da farla scricchiolare al suo passaggio. E pian piano che si avvicinava, ecco che notava quei pomodori che da poco aveva portato dalle terre di Colombo, suo vanto e orgoglio.
E poi alzava lo sguardo e vedeva la sua casa.
L’occupava solamente durante l’estate, preferendo abitare a Madrid d’inverno, ma oh quanto amava quel casolare.
Era piccolo e modesto, e non presentava nulla di particolare, eppure ogni volta che pensava a casa sua, la sua mente lo conduceva immediatamente in quel luogo.
Casa.
Al suono appena pronunciato che si lasciò sfuggire dalle labbra, un brivido percorse la schiena di Antonio.
Casa, casa sua!
Non riusciva a crederci. Eppure era ai piedi dell’arancio in quel momento, col cielo azzurro, la pelle riscaldata dal sole, i pomodori che tingevano di colore l’erba e il casolare che spuntava dalla terra, quasi fosse un fungo.
Casa, eccola la sua casa!
Eppure mancava qualcosa, qualcosa di importante.
Antonio fece una smorfia a quel pensiero. Effettivamente qualcosa mancava, ma di sicuro non avrebbe tardato a farsi vedere.
In un moto di nervosismo, il pirata si aggiustò la camicia, facendola diventare più piatta di quanto non avrebbe dovuto essere. Sistemò la giacca rossa che aveva posto sulle spalle, perché passare il braccio sinistro per la manica era ancora troppo doloroso, e infine annuì.
Almeno non sembrava un barbone, questo era un buon inizio.
L’unico problema era quella di far vedere anche ad altri che non lo era.
La smorfia che mostrò questa volta somigliò molto più ad un sorriso beato.
Avanzò di qualche passo, ed una folata di vento particolarmente forte gli portò alle narici l’odore della salsedine ancora una volta.
Fu una reazione involontaria quella della sua mente, ma in quel momento non potè fare altro che ricordare nuovamente il mare.
 
«Tu cosa farai appena tornerai a casa?»
 
Ricordò la sua stessa voce pronunciare con curiosità quella semplice domanda.
Sentì Sebastiàn grattarsi la barba ingiallita dal rhum quasi ce l’avesse davanti, e gli sembrò vedere gli occhi grigi illuminarsi.
 
«Mi nasconderò. La mia cara moglie tenterà di uccidermi appena mi vedrà conciato in questo stato.»
 
Le loro risate gli riempirono la mente, più alte di quanto quel giorno non lo furono in realtà.
 
«Credo che andrò a casa, ma non entrerò subito. Starò lontano, fuori dalla porta, e mi metterò a guardare. Guarderò mia moglie cucinare al focolare e mia figlia giocarle intorno. Starò ad osservarle per vedere cosa mi sono perso in questi anni. Poi mia figlia alzerà gli occhi, mi vedrà e dirà il mio nome. Solo allora potrò dire veramente di essere a casa.-
 
«Come sei poetico, Sebastiàn.»
 
«E’ la mancanza di rhum, capitàn!
Ma ditemi,voi cosa farete?»
 
In realtà Antonio non ricordava più cos’aveva risposto a quella domanda, forse qualche vago accenno alle sue campagne.
Il fatto era però che quel piccolo dialogo con il suo vice l’aveva turbato, eccome.
Pian piano che le coste spagnole si avvicinavano, quella domanda lo rodeva sempre più.
Una mattina si era anche posizionato davanti lo specchio, e quasi gli venne un colpo a guardarsi. Chissà se Lovino gli avrebbe dato una testata al vederlo. Bella però avrebbe sicuramente riso.
Comunque si sistemò lo stesso, il volto finalmente rasato e i capelli raccolti in un’ordinata coda. Così avrebbe scongiurato lo spavento di chi l’avrebbe visto.
Però la domanda principale lo tormentava, cos’avrebbe fatto?
E ora, sotto l’albero di arancio, non sapeva bene come rispondere.
Insomma, erano passati veramente tanti anni questa volta. Non poteva certo andare avanti come se non fosse mai partito.
In fondo aveva paura che non lo accettassero, che avrebbero avuto paura di lui.
Antonio sospirò si avvicinò, andando verso un albero più vicino e si accostò al tronco, cercando di non farsi vedere.
La prima cosa che notò furono le risate.
Per quanto strano potesse sembrare, Lovino stava ridendo, e con lui anche Bella.
Per un attimo gli mancò il respiro. Dios, gli erano mancati così tanto?
Non capendo nemmeno lui cosa stava facendo, si andò a riparare dietro un albero più vicino. Quando fu al sicuro, sporse la testa dal suo nascondiglio e adocchiò la situazione.
Ormai la casa era vicinissima, così come chi vi stava davanti.
Il pirata venne abbagliato dalle candide le lenzuola che la belga aveva steso. Erano bianche come la spuma marina e l’odore… era qualcosa di sublime.
E fra quei lembi candidi, che volteggiavano accompagnati dal lieve vento, proprio al centro si trovavano loro.
Bella era chinata sulle gambe, la grande gonna verde che scivolava scomposta sull’erba. Stava carezzando la testa di Lovino- oh, il suo piccolo Lovinito, con il volto tutto rosso!
E mentre quest’ultimo annuiva alla ragazza e correva verso casa sotto chissà quale sua richiesta, lo spagnolo non potè reprimere un sorriso di felicità.
Bella e Lovino, i suoi sottoposti certo, eppure sentiva che ormai erano diventati molto di più per lui.
Ed era un misto di felicità e tristezza il vederli lì, felicità perché ormai erano davanti ai suoi occhi, tristezza nel vedere quale tesoro aveva perso in tutto quel tempo. E fu proprio in quel momento che il mare con la sua immensità, la sua bellezza e le sue promesse, non valsero nulla per lo spagnolo.
 
«Antonio, ti sembra questa l’ora di tornare?»
 
Il pirata si riprese dai suoi sogni ad occhi aperti alle parole della belga. Lovino era scomparso dentro casa, mentre Bella lo guarda con ironia, anche se forse voleva risultare seria.
 
«E cerchi di entrare come un ladro, poi! Capitàn Carriedo, quasi non la riconosco.»
 
Alla fine di quella frase Bella si mise a ridere, mentre Antonio la guardava sempre più basito.
Al suono della sua voce cristallina, Antonio uscì dal rifugio sicuro che era l’albero, facendo qualche passo in avanti.
 
«Ben tornato a casa.»
 
Disse Bella appena si riprese, mentre gli occhi le divennero lucidi per chissà quante lacrime trattenute in tutti quegli anni.
 
Antonio le si avvicinò e l’abbracciò, sorridendo per la felicità più pura che potesse provare.
 
Casa.
 
Era finalmente casa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: PFF- cioè, sì.
Allora, ammetto una cosa. Questa fic all’inizio doveva essere diversa. Insomma, la dinamica era quella, ma ciò che doveva trasmettere doveva essere un qualcosa di completamente diverso. Peccato però che l’aver trovato ben tre diverse canzoni ispiratrici l’abbiano stravolta, fra cambiamenti di POV e cose varie. Seh, del tipo ‘IL MIO CERVELLO HA VITA PROPRIA, SPERIAMO CHE NON SI DROGHI(?)’. Comunque. Ehm, non scrivo decentemente su Hetalia da prima dell’estate, questo perché il mio pc s’è rotto e l’ho riavuto solo adesso, quindi questo è il massimo che sono riuscita a fare, tanto per rientrare in carreggiata.
E Belgio l'ho chiamata Bella perchè sono antipatica e mi seccava cercare un altro nome BI
Abbiate pietà di me.
Amen(?)
   
 
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