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Autore: Eternal_Blizzard    11/09/2012    3 recensioni
L'incontro, il primo dell'anno, di Shindou e Tsurugi, entrambi piuttosto estranei alle tradizioni del loro paese, in un tempio. La pesca di un biglietto, gli darà da pensare; che in fondo il loro odio non sia poi così profondo come vogliono far credere? Che quei foglietti vogliano fargli capire che son più legati di quel che immaignano?
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il primo dell’anno era abitudine, in quasi ogni parte del Giappone, andare in visita al tempio vestiti in kimono e ben agghindati, per ricevere oracoli di buona o cattiva sorte e per rivolgere preghiere agli dei affinché i propositi per l’anno nuovo potessero essere rispettati e in modo che arrivassero gioia e prosperità nelle proprie case. Quell’anno era la prima volta che Shindou andava al tempio il primo gennaio. Per lo meno, era la prima volta che ci andava seriamente, secondo le tradizioni. Era stato Sangoku ad insistere perché lo facesse, raccomandandosi di presentarsi in kimono, borsellino alla mano, e di fare un giro in tranquillità, pregando e sperando che gli oracoli gli predicessero un felice anno a venire. Dopo essersi lasciato convincere, Takuto si era fatto fare un kimono apposta per l’occasione, intenzionato a sfoggiarlo fiero dato che nonostante fosse fresco fresco di sartoria, era legato a molti bei ricordi, ma quando era arrivato al tempio si era… come dire, demoralizzato. Aveva cercato il senpai in lungo e in largo e proprio quando l’aveva trovato e stavano per incontrarsi, una folla tremenda li aveva spinti in direzioni esattamente opposte, facendoli nuovamente perdere di vista. Con un sospiro, Shindou si risolse a mandargli un messaggio con su scritto che si sarebbero o incontrati “per caso”, oppure il pomeriggio; la risposta che arrivò in poco tempo era concorde. Solo, cosa poteva fare? Cercare qualcuno del club che magari era andato in quello stesso tempio? Non aveva la certezza di trovarne, ma anche se ci fosse riuscito probabilmente sarebbero finiti come con Sangoku, separati dalla gente. Sì perché a ben vedere c’era troppa gente. Detto sinceramente, non si sarebbe mai aspettato di trovare così tante persone lì a quel tempio… Forse l’opzione migliore era tornarsene a casa e passare lì il primo dell’anno. Se i suoi genitori non avevano impegni, poteva stare un po’ in famiglia e poi vedersi il pomeriggio con i senpai o i ragazzi del suo anno. O magari i primini. Insomma, qualche amico. Alzò la manica sinistra del kimono sotto la quale nascondeva un orologio da polso e osservò l’ora: erano appena le dieci e quarantatré del mattino, probabilmente i suoi erano ancora a quella festa infinita a cui lui aveva rinunciato, quindi effettivamente anche il capodanno in famiglia era da scartare. Voleva dire che l’avrebbe passato con qualche maid, dato che la madre non le mandava mai tutte in ferie contemporaneamente, per avere sempre qualcuno ad occuparsi della casa. Annuì, convinto di aver ormai trovato l’unica possibile soluzione, avviandosi verso l’abitazione. Il problema rimaneva la folla: quella infatti lo inghiottì una seconda volta, facendolo finire sempre più lontano dalla tanto agognata uscita del tempio. Una gomitata, uno spintone, una ginocchiata e poi ancora altre gomitate e spinte lo fecero indietreggiare sempre di più, finché non urtò qualcuno con la schiena, riuscendo finalmente a fermarsi. «Ah, mi scusi, non volevo…» si sbrigò a dire, tentando di voltarsi per fare un inchino alla persona alla quale era finito addosso. Appena riuscì a girarsi perché gli fu concesso maggiore spazio, sbatté le palpebre incredulo: si trovò puntato addosso uno sguardo dorato alquanto perplesso, che lo squadrava per bene. Rimasero a fissarsi indecisi sul da farsi o su cosa dire qualche istante, ma fu il più grande a rompere il silenzio: «Tsurugi, potresti anche dire “non fa nulla, non è stata colpa tua” o simili…» brontolò, ma l’altro inarcò un sopracciglio poco convinto.
«Perché dovrei? Mi hai pestato un piede, mi hai fatto male» ghignò, ammiccando ai sandali che portavano entrambi. Shindou scosse la testa sbuffando della risposta di Tsurugi, decidendo subito di rinunciare. Non gli andava di inaugurare l’anno con un litigio.
«Guarda, io stavo andando a casa, quindi… ti saluto qui, ci vediamo a scuola» alzò una mano e fece per andarsene, voltandosi nuovamente. Appena fatto quel movimento, però, si sentì tirare per la manica del kimono talmente forte e alla sprovvista che mentre si rivoltava per lo strattone, mise male un piede e scivolò, sbattendo il naso sulla clavicola del kohai. Si staccò rapidamente, tenendosi l’organo olfattivo con una mano e lo guardò in cagnesco, mentre si risistemava una scarpa che aveva rischiato di perdersi nella foga di quei pochi secondi. «Ma ti ha dato di volta il cervello?!» sbottò, ottenendo come risposta uno schiocco di lingua.
«Guarda là» indicò con un cenno del capo, scocciato. Shindou, irritato, puntò lo sguardo dove l’altro aveva indirizzato il suo e notò un uomo a dir poco enorme che camminava insieme a tre ceffi dall’aria poco raccomandabile. Però come si soleva dire, mai giudicare un libro dalla copertina. Riguardò il compagno di squadra non capendo perché gli avesse indicato quel signore, provocando un sonoro sbuffo del ragazzo dai capelli blu. «Prima uno gli ha pestato il piede come tu hai fatto con me. Gli ha rotto il naso, sai?» roteò gli occhi.
«Sì, e nessuno ha fatto niente immagino. Ma per favore…» scosse la testa il castano, seccato.
«Non credermi, se non vuoi. Però è andata così, e tu adesso stavi per sbattergli addosso» sospirò.
«E da quanto di preoccupi per me?» indagò sarcastico il più grande, ma l’altro l’ignorò. «Beh, se non hai altro da dire, io andrei…» sentenziò, voltandosi per l’ennesima volta. Ma prima o poi sarebbe riuscito a muoversi, eh.
«Senp…» chiamò Tsurugi, ma Shindou si era già scontrato con una ragazza, che appena l’aveva visto era arrossita vistosamente, facendo sì che il suo ragazzo lo guardasse in cagnesco, nonostante si fosse scusato con un inchino. Osservò la coppietta allontanarsi e poi rimase immobile e in silenzio per qualche istante, finendo col voltarsi verso Tsurugi leggermente rosso in volto.
«Non. Una. Parola.» ordinò in imbarazzo e il più giovane, con un mezzo ghigno in volto, alzò le mani scuotendo la testa come a sottolineare che non volesse dire nulla. Non ce n’era bisogno. Stringendo le labbra e guardando torvo Tsurugi, Shindou indirizzò il suo sguardo verso la tanto agognata uscita, sperando che quella fosse l’ultima volta che dovesse farlo. Insomma, per quanta gente ci fosse era impossibile non riuscire a passare…
«Dov’è il senpai in rosa?» domandò atonale il blu, all’improvviso, tanto che Shindou sobbalzò.
«Scusa, non ho capito che hai detto» rispose, indicandosi l’orecchio. Già c’era il vociare delle persone come sottofondo – e manco troppo “sottofondo” – ma nemmeno gli aveva prestato attenzione in quel momento. Tsurugi sbuffò, seccato di doverlo ripetere.
«Kirino. Il senpai Kirino dov’è?» chiese, incrociando le braccia al petto. L’altro fece spallucce.
«Da quel che mi ha detto, passava il capodanno dai nonni. Perché me lo chiedi?» informò inclinando il capo.
«Così» replicò. «Prima stavate sempre insieme, no?»
«Mah, normale…» si grattò la testa, per poi fare spallucce. «Oggi infatti dovevo essere qui con Sangoku, ma…» si guardò intorno, alzando le mani e le spalle insieme, lasciando intendere che non aveva idea di dove fosse finito. «Tu invece sei da solo?» chiese di rimando, avvicinandosi. Ormai aveva rinunciato all’idea di uscire finché la folla non si fosse spostata, almeno un po’.
«Già» replicò secco, spostando lo sguardo. Strano; non lo faceva tipo da templi o da tradizioni, Tsurugi… eppure, seppur da solo era là, di fronte a lui, per di più in kimono. Sgranò gli occhi appena si accorse di che colore fosse l’abito che indossava: era di taglio tradizionale lungo e a tinta unita di un bel viola scuro tenuto stretto in vita da un obi semplice; il tutto accompagnato da una sciarpa rossa intorno al collo. L’additò.
«Ma sei vestito come quando siamo andati nell’epoca di Nobunaga!» notò Shindou, stupefatto. «Non avrei mai pensato di rivedertici!» affermò, stupito. Tsurugi boccheggiò un istante, preso in contropiede, ma poi schioccò la lingua, chiudendo gli occhi.
«Beh? Mi piaceva lo stile e mi stava bene. A te che importa?» domandò rude, per poi indicarlo a sua volta. «E vedo che non sono l’unico, comunque» sibilò. L’amico annuì, allargando le braccia per far vedere ciò che indossava lui: un tradizionale kimono maschile di colore nero, con i pantaloni più chiari e molto larghi.
«Vero. Me lo sono fatto fare da una sarta… una specie di souvenir di quel viaggio… E poi, come hai detto tu, “mi sta bene”» scherzò. Subito dopo s’indicò la fine della manica, nella parte vicino alla mano, ed ammiccò allo stesso punto del kimono di Tsurugi. «Quella specie di shuriken sulle maniche?» chiese, curioso. Il blu scosse la testa, mostrando il punto dove dovevano esserci le decorazioni.
«Chiedi troppo. È già tanto che ne abbia trovato uno maschile di questo viola…» ammise, osservando la manica.
«In effetti…» concesse l’altro, portandosi una mano al mento. «Se ce li vorrai, male che vada mi dai il kimono poi e ce li faccio attaccare da Satsuki…» propose e lo sguardo dorato si fece interrogativo. «Una delle mie maid, che sa cucire. Attaccare un paio di pezzi di stoffa non sarebbe un problema per lei» spiegò e l’altro fece spallucce.
«Non ne vedo la necessità» decretò, per poi voltarsi e facendo per andarsene. Shindou aprì la bocca, dubbioso.
«Scusa..? Te ne vai così?» domandò vagamente irritato. Già era maleducato andarsene nel mezzo di un discorso, per di più senza salutare, ma poi lui stava anche cercando di essere carino proponendogli un favore!
«Non volevi andare a casa? La massa di persone si è un po’ dispersa, quindi potresti passare» informò. «E poi ho da fare, io» terminò, senza guardarlo o fermarsi. Il castano lanciò un’occhiata all’uscita, effettivamente molto più visibile rispetto a prima grazie al lento diradarsi della folla, ma si rigirò immediatamente, correndo dietro al kohai con aria di sfida.
«E se mi fosse venuta voglia di rimanere?» domandò serio.
«Non sarebbero affari miei» commentò il blu, apatico.
«Potresti aiutarmi a cercare Sangoku, no? In due faremmo prima» azzardò, ma l’altro scosse la testa.
«Ti ho già detto che io ho da fare» si limitò a rispondere con lo stesso tono. Shindou espirò ed inspirò per non perdere la pazienza e continuò a camminargli accanto, guardando fisso di fronte a sé.
«E allora dimmi, che devi fare di tanto importante?» chiese, ma prima che l’altro potesse rispondere s’illuminò. Gli aveva detto che era lì da solo, ma quello non significava nulla, poteva stare aspettando qualcuno! «Hai un appuntamento! Una ragazza, Tenma, Kariya, Sorano, altri della tua classe… Scusami» si fermò, guardando a terra, pensando a tutte le persone che poteva aspettare il ragazzo in quel luogo. Rialzò lo sguardo ed inarcò le sopracciglia, dispiaciuto. «Non ci avevo pensato, tolgo il disturbo» rese noto, salutando con un piccolo cenno del capo. Fece per voltarsi ma la voce di Tsurugi lo bloccò.
«Cerchi il senpai ora?» chiese, ma l’altro fece cenno di no.
«Torno al piano di partenza: andare a casa» disse, per poi salutare ancora. S’incamminò verso il cancello, ma si sentì di nuovo tirare per la manica, con un sonoro sbuffo. Questa volta però non sbatté contro nulla, dato che la mano di Tsurugi non l’aveva tirato indietro come prima, ma si era limitato a frenare la sua uscita di scena.
«Non ho nessun appuntamento» informò, serio. Lasciò la presa ed incrociò le braccia al petto. «Ti aiuto a cercare il senpai, ma prima mi accompagni dove devo» ordinò, lasciando il castano di stucco. Ci rifletté qualche istante e poi annuì concorde.
«D’accordo… a patto che mi spieghi che devi fare» comandò a sua volta, riprendendo a camminare con lui, ma Tsurugi sghignazzò.
«Come no, credici» replicò, facendo roteare gli occhi al senpai. Era sempre simpatico.
In poco tempo arrivarono davanti ad un altare dove le persone si radunavano e, una per volta o in piccoli gruppi, pregavano. Era stata la prima tappa di molte delle persone lì presenti, quindi la fila che dovettero fare durò qualche manciata di minuti e ben presto si trovarono di fronte all’altare. Shindou lo fissò poco convinto su cosa dover fare, se solo aspettare Tsurugi oppure pregare per qualcosa anche lui. Beh, già che c’era decise di chiedere qualcosa agli dei: pregò affinché non vi fossero problemi nel mondo del suo amato calcio, che tutte le persone a lui care potessero passare un altro anno lieto e pieno di felicità, che i loro futuri viaggi nel tempo si risolvessero in fretta e non con difficoltà come quello nell’epoca Sengoku… le solite cose che si chiedevano, insomma. Più o meno. Concluse in pochi minuti e quando separò le mani ed aprì gli occhi, puntandoli su Tsurugi, vide che lui ancora non aveva finito. Le mani erano congiunte come quelle di ogni persona che pregava, ma gli sembrava che le stesse premendo con molta forza e per di più l’espressione era leggermente corrucciata e tremendamente seria. Non poté evitare di chiedersi cosa stesse domandando alle divinità. Aspettò in silenzio che finisse, per poi allontanarsi da lì insieme a lui. Camminarono in silenzio finché non si decise a domandare cos’avesse chiesto in preghiera il ragazzo, che storse le labbra. «Nulla di importante» rispose.
«Ah sì?» sospirò il castano, rassegnato alle risposte evasive di Tsurugi. «Dalla tua espressione non sembrava… Già ero stupito quando ho visto che quello che dovevi fare era “pregare”, figurati poi con quella faccia seria» sbeffeggiò, per poi farsi serio, osservandolo. «C’è qualche problema?» domandò preoccupato. Oddio, probabilmente sembrava indiscreto, ma – in fondo in fondo, ma piuttosto in fondo – gli sembrava che da quando era arrivato alla Raimon si erano avvicinati, un minimo. Senza pensarci Tsurugi si voltò per guardare il senpai, ma vedendo che quello l’osservava senza mostrare intenzione di smettere distolse subito lo sguardo, a disagio.
«Se te lo dico poi smetti di impicciarti, giusto?» domandò e l’altro annuì. Ringhiò e poi acconsentì. «Ma se troviamo il senpai mentre ti parlo, mollo il discorso e te ne vai, chiaro?» comandò, ma Shindou agitò una mano all’aria, deciso a fare come voleva lui. Mica poteva prendere ordini da uno Tsurugi qualunque, lui. Il ragazzo dai capelli blu indicò una panchina e ci si andò a sedere, seguito a ruota dal castano. Cercando con lo sguardo la testa da broccolo del portiere in mezzo alla folla, iniziò a raccontare, seccato. «Sai della situazione di mio fratello, giusto? Gouenji, dopo che Hibiki era diventato il nuovo Holy Emperor, ci aveva dato i soldi necessari per la sua operazione alle gambe…» iniziò sotto lo sguardo attento di Shindou, che annuiva. Quella gli era sembrata una splendida notizia, ma a quanto pareva non era tutto lì, altrimenti Kyousuke l’avrebbe detto come minimo con il sorriso sulle labbra, nonostante la sua scorza da duro. «Beh, è passato diverso tempo, ma Yuuichi ancora non l’ha fatta. Dice che non vuole, anche se non capisco il perché…» ammise, continuando e rabbuiandosi un minimo. «Ho pregato per lui, affinché cambi idea e faccia l’operazione e perché, se si decidesse, vada per il meglio. Poi ho chiesto che torni presto a camminare, in un modo o nell’altro…» strinse gli occhi facendoli divenire due fessure, spostandoli dalla folla alle sue mani le cui dita erano intrecciate, mentre i gomiti poggiavano sulle ginocchia. Strinse i pugni tanto da far sbancare la sua pelle più di quanto già non lo fosse. «Io l’ho visto, sai? Ho visto quanto s’impegna ogni volta che può nella fisioterapia, così da poter giocare di nuovo a calcio con me, senza doversi operare… Ho rivolto agli dei anche una terza richiesta: quella di premiare i suoi sforzi. Se lo merita» concluse serio. Shindou strinse le labbra, distogliendo lo sguardo, osservando quindi per terra. Forse non l’avrebbe dovuto far parlare di cose che gli stavano così a cuore, se non voleva. Tamburellò con le dita sulla panca dove stavano e poi si alzò, deciso.
«Le tue preghiere saranno esaudite, ne sono certo» gli disse, sorridendogli. Tsurugi rimase basito; in parte per l’affermazione del senpai detta con un tono estremamente dolce, un po’ perché aveva realizzato in quel momento di essersi aperto come probabilmente non aveva fatto con nessuno da tanto tempo ormai. Almeno da quel che ricordava in quel momento. Con uno sbuffetto dal naso si alzò a sua volta ed abbozzò un sorriso.
«Non c’è mica bisogno che me lo dica tu» asserì, iniziando a camminare. «Forza, non dovevamo trovare Sangoku?» domandò retorico senza fermarsi. Il castano lo seguì senza dire una parola, soddisfatto del fatto che si fosse confidato – anche se controvoglia.
Lo cercarono in lungo e in largo, ma del portiere nemmeno l’ombra nonostante la ricerca fosse durata quasi l’intera giornata. Shindou si fermò e con lui Tsurugi, guardandosi intorno un’ultima volta, esausti. «Nemmeno una traccia…» commentò il blu, seccato, osservando la gente che si dirigeva verso l’uscita. «Oltre noi, saranno rimaste una decina di persone… Che pensi di fare?» domandò inarcando un sopracciglio.
«Ormai vado a casa davvero. Mi cambio e poi faccio un giro, o mi metto a suonare, non so…» si grattò la testa, sconsolato. «Mi spiace, ti ho trascinato in giro tutto il tempo senza pensare che magari avevi da fare… Come magari andare da tuo fratello» si scusò, sinceramente dispiaciuto.
«Non preoccuparti, non è stata una perdita d tempo» disse con nonchalance, facendo spallucce. Non solo avevano girato insieme il tempio, ma avevano anche letto alcuni oracoli e svolto altre piccole attività tradizionali. Insomma, avevano passato una bella e piacevole giornata. «E poi oggi non si accettavano visite, all’ospedale» informò senza trasporto, facendo sì che l’altro annuisse, vagamente rasserenato. Era giunto il momento di salutarsi, ma una voce attirò la loro attenzione.
«Ehi, ragazzi! Sì, dico a voi due laggiù, con il kimono viola e nero!» li chiamò, facendogli cenno di avvicinarsi. I due si scambiarono un’occhiata dubbiosa, ma alla fine decisero di andare a vedere cosa volesse quel signore che si trovava dietro una specie di bancarella. «Conoscete gli oracoli e conoscete le lotterie del primo dell’anno, da bravi giapponesi, vero? Ebbene, questa è la prima lotteria-oracolo! Prima che ve ne andiate, perché non la provate? È totalmente gratuita!» propose. Tsurugi probabilmente aveva smesso di ascoltarlo già dalla prima frase, mentre Shindou si domandava se non fosse blasfemia portare una cosa del genere in un luogo sacro. I ragazzi si scambiarono un’altra occhiata e poi scossero il capo.
«No, grazie. Per questa volta passiamo, ci scusi» declinò cordiale il castano, ma l’uomo insistette.
«Se pescate un numero ad una cifra, avrete anche un premio! Ovviamente, l’uno ha il valore più alto e il nove il più basso, ma… avete buone probabilità di vincere!» continuò. Si guardarono ancora, Shindou storcendo le labbra e Tsurugi roteando gli occhi, ma alla fine cedettero. Senza molto entusiasmo pescarono due biglietti spillati insieme; uno contenente il numero della lotteria e uno con su scritto l’oracolo. Il primo ad aprire i foglietti fu il più grande, che mostrò, poco soddisfatto, un enorme numero dieci di colore nero.
«Accidenti, per un numero…» si lamentò, leggendo a mente l’oracolo. Lo stesso fece il più giovane, che poi mostrò al signore un grande e marrone numero nove.
«Una cifra. Che ottengo?» domandò, disinteressato. Non si aspettava chissà quale lauto premio, sinceramente. Con un sorriso, l’uomo frugò in una scatola con attaccata un’etichetta dov’era scritto alla buona “premi” e ne estrasse un lecca lecca, che porse al ragazzo senza dire nulla se non un “arrivederci e grazie!” nemmeno fosse al supermercato o simili. Si avviarono verso l’uscita, questa volta seriamente, in un quasi totale silenzio, rotto solo dalla carta del dolciume che Tsurugi si apprestava a scartare, provocando il riso del senpai. «Beh, che vuoi?»
«Nulla, è che di solito sei sempre così serio… Non dimostri dodici anni, quindi vederti con il lecca lecca in bocca, come qualsiasi altro ragazzino… fa uno strano effetto» ridacchiò, ma l’altro non parve esattamente contento di quell’affermazione; anzi sembrò piuttosto piccato. Tolse il dolcetto dalla bocca – nella quale era appena stato messo – e lo ficcò con violenza nella bocca di Takuto, che lo sputò istantaneamente.
«Mi hai fatto male!» sbottò, dando un colpetto di tosse e passandosi una mano sulla bocca. «E poi, che schifo!»
Tsurugi schioccò la lingua ed ammiccò al “premio” caduto per terra. «Me l’hai fatto sprecare» commentò, mentre l’altro, seccato, lo raccoglieva e lo andava a buttare nel secchio poco più in là.
«Io» annuì. «Non hai fatto tutto da solo, infatti» rimproverò. Arrivarono al cancello e si guardarono qualche istante senza che nessuno avesse la minima intenzione di essere il primo a parlare e quindi salutare. Optarono per un semplice cenno del capo e poi si voltarono, andando ognuno per la propria strada finché Shindou non si girò. «Ah! Per curiosità, che ti diceva l’oracolo?» domandò e l’altro scosse la testa.
«Sinceramente l’ho scordato. Era una di quelle cose che leggi anche sulle carte delle caramelle…» disse. «il tuo?»
«Lo stesso» sorrise. «L’unica cosa che mi dispiace, è che per un numero non abbia ottenuto quello della mia maglia» ridacchiò mostrando una seconda volta il foglietto con il dieci scritto sopra.
«Di che ti lamenti? Hai ottenuto il numero del capocannoniere, non sei felice? Io invece, che ho un semplice nove, che dovrei dire?» sghignazzò. «Che casualità, che ci siamo scambiati proprio i nostri numeri, tra tutti quelli che c’erano» disse ironico, mentre Shindou mostrava un’espressione superiore.
«Magari è un segno del destino? Non puoi mai saperlo» scherzò, riponendo il foglietto in tasca.
«Beh, io penso che lo terrò» dichiarò Tsurugi dopo un attimo di silenzio. Preso alla sprovvista, lì per lì Shindou non seppe cosa rispondere, ma poi annuì sorridente.
«E io farò lo stesso» decretò, per poi salutare – e questa volta seriamente – il kohai, che fece lo stesso. Si avviarono in direzioni opposte, uno con una mano in tasca, a tenere ben fermo il foglietto all’interno, e l’altro con le braccia incrociate al petto, tenendo il biglietto tra due dita. Entrambi, non l’avrebbero mai ammesso, sorridenti e piuttosto soddisfatti. Era vero che le predizioni erano uscite da un simil-bacio perugina, ma…
Forse potevano pensare che proprio il fatto che fosse capitato ad ognuno il numero dell’altro, a potersi considerare un oracolo?


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Dovevo postarla ieri per il KyouTaku day, ma… non ho potuto. Causa ospiti e impegni vari, quindi… vi prego, fate finta che si ancora il dieci settembre D:
Allora, l’ho scritta perché… sì. Stranamente, una fic che mi soddisfa. A parte la fine, che.. boh, mi lascia perplessa .3. VABBEH. Niente, stacco e non dico nulla, che sono le tre e trentacinque di notte, doman mattina mi alzo alle nove e mezza e… beh, sono tornata un’ora fa nemmeno da una festa, qundi sono un po’ esausta @@ E per addormentarmi c metto gli anni-
VABBEH2. Vi saluto e spero che questa fic sia di vostro gradimento. Magari non si nota (?) ma… io scrivendola ci ho messo il cuore e mi son divertita, nonostante alla fine non succeda poi ‘sta gran cosa x° …anzi. Volevo solo fargli prendere il dieci e il nove xD Mah, ora ado davvero x°

Ryka
  
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