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Autore: Paola Cissnei    11/09/2012    5 recensioni
"Ti amo troppo, follemente. E ti amerò sempre. Tu possiedi la certezza del mio amore, perché te lo dimostro continuamente. Perciò, mi chiedo… ed io? Io cosa possiedo?”.
“Anche io ti amo, Pauline…” si affrettò a rispondere Natalie.
“Ma il tuo amore è diverso. Il tuo amore è fugace e non dà certezze. Sì, oggi forse mi ami… ma domani? Tra una settimana, tra un mese… mi ameresti ancora? Ameresti solo e soltanto me?”.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
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Introduzione
 

La breve storia che ho scritto narra di due personaggi realmente esistiti, Natalie Clifford Barney e Renée Vivien. Poiché, purtroppo, non sono molto conosciute in Italia, vi scriverò brevemente di loro, anche se vi invito comunque a documentarvi sulle loro vite, che io ho trovato incredibilmente affascinanti. Renée era una poetessa britannica; visse a Parigi, scrivendo le sue opere infrancese, e fu soprannominata "Saffo 1900", anche perché non fece mai mistero della sua omosessualità. Anche Natalie, di origini statunitensi, era una poetessa e scrittrice che si trasferì a Parigi. Gestì per quasi sessant’anni un salotto letterario internazionale che vantò la presenza di personalità importanti, tra cui Colette, Radclyffe Hall e Gertrude Stein.  Le due donne ebbero una relazione tormentata che durò diversi anni finchè Renèe, esasperata dalle continue infedeltà di Natalie, decise di rompere con lei e di rifugiarsi tra le braccia di una donna molto potente, la baronessa Hélène van Zuylen van Nyevelt. Grazie a costei e al suo enorme potere, riuscì senza difficoltà a fare pubblicare alcune sue opere. Natalie, però, nonostante continuasse ad avere relazioni con più donne, non riusciva a dimenticare Renée e cercò in tutti i modi di riconquistarla, persino facendole suonare una serenata sotto alla finestra. Ma la poetessa fu ferrea: ordinò ai suoi servitori di non leggerle le lettere che arrivavano da Natalie e continuò a rifiutarla imperterrita. Quando però quest’ultima le propose di andare con lei a Lesbo, viaggio che avevano progettato di fare quando ancora stavano insieme, Renée accettò. Il mio racconto parla di questo viaggio e di quello che è successo in seguito.


Note:
-Il vero nome di Renée Vivien era Pauline Tarn; per questo motivo, nel mio racconto ho riportato il suo nome di battesimo. Le persone la chiamavano Renée solo quando volevano rivolgersi alla poetessa.
-In diverse parti del testo ho chiamato Natalie “L’amazzone”. Questo appellativo le fu dato molto tempo dopo il viaggio a Lesbo con Pauline, da Remy de Gourmont, ma ho voluto utilizzarlo comunque.
-Buona parte delle cose che ho scritto sono realmente accadute, ma è ovvio che i dialoghi ed alcuni dettagli siano stati inventati. Per documentarmi su Natalie Barney ho letto due testi, The amazon of letters, di George Wickes e Portait d’une séductrice, di Jean Chalon.
-Renée era solita chiamare Natalie con l’appellativo di “Lorely”, che ho riportato anche nel mio testo.
-La faccenda del telegramma è un po’ più complessa di quella che ho scritto io, poiché le due ragazze dovettero recarsi a Smirne per recuperarlo. Per motivi di praticità, però, ho scritto come se gli fosse stato recapitato direttamente al loro albergo a Mitilene.

 

Quel tempo a Lesbo

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1905 (circa)

Il sole splendeva alto su Lesbo, era la giornata ideale per farsi dei bagni e per godersi la meravigliosa atmosfera che regnava sull’isola greca. Pauline riemerse dall’acqua e, dopo aver lanciato un’occhiata fugace a Natalie, decise di andarsi a stendere al sole. Una volta giunta alla spiaggia, si sedette sulla sua sdraio, chiuse gli occhi e si rilassò completamente. Non c’erano altre persone lì intorno; le ragazze avevano cercato appositamente un posto in cui non ci fosse nessuno, così che potessero godersi i loro bagni in tranquillità e, magari, anche scambiarsi qualche casta tenerezza alla luce del sole.
Pauline riaprì gli occhi e vide che Natalie era ancora in acqua; si lasciava trasportare dalle piccole onde create dalla corrente e sembrava fosse in pace con il mondo. Che stupenda visione che era, per Pauline… quanto la amava! Ed il suo amore trovava dimostrazione soprattutto nelle sue poesie, dato che la maggior parte di queste era dedicata a Natalie e proprio quelle più belle, quelle che l’avevano consacrata come poetessa, come Renée Vivien, le erano state ispirate dall’amazzone.
 

Il tatto

Nei rami gli alberi han conservato il sole.
Velato come una donna che evoca l’altrove,
Il crepuscolo evapora piangendo... E le mie dita
Seguono frementi la linea dei tuoi fianchi.
 
Le dita ingegnose s’attardano ai brividi
Della tua pelle sotto la veste di petalo dolce...
L’arte del toccare, complessa e strana, è simile
Al sogno dei profumi, al miracolo dei suoni.
 
Divengo lentamente il profilo dei tuoi fianchi,
Delle spalle, del collo, dei seni inappagati,
Il mio desiderio delicato si rifiuta ai baci:
Affiora e d’estasi muore nelle voluttà bianche.
 

“I miei versi sono risultati essere godibili e piacevoli solo perché mi sono stati dettati dalla tua bellezza, Lorely. Se non avessi avuto te come mia musa, non avrei mai scritto quelle poesie”, le aveva detto una volta Pauline, famosa anche per la sua modestia.
Natalie, dal mare, notò che la ragazza la stava osservando e le lanciò un sorriso, uno dei suoi più belli. Poi uscì dall’acqua e la raggiunse. “Non puoi fare a meno di guardarmi, eh?” le disse, in tono scherzoso.
“Sai che non posso evitarlo. Sei così bella…”, affermò Pauline.
Natalie le accarezzò la guancia con il dorso della mano e poi si sedette sulla sdraio accanto.
Che paradiso che era, per loro due, quell’isola. Luogo in cui tanti, tanti anni prima, la famosa poetessa di Mitilene, Saffo, aveva cantato dei suoi amori in splendidi frammenti. Frammenti che Pauline si dilettava a tradurre in francese; aveva studiato ed imparato il greco spinta da questo irresistibile desiderio e si era messa a tradurli proprio lì, a Lesbo. Quale altro luogo sarebbe stato migliore? A Pauline sembrava di potere respirare la stessa aria che secoli prima aveva riempito i polmoni dell’autrice di quegli splendidi versi.
Anche Natalie era rimasta affascinata dalla storia di quella poetessa, tanto che aveva proposto a Pauline di istituire in quell’isola una colonia di sole donne che celebrasse il culto di Saffo. In poco tempo, da semplice idea, quello era diventato uno dei loro più grandi sogni.
 Natalie, dalla sua sdraio, lanciò uno sguardo a Pauline. Era assorta nei suoi pensieri, come sempre. L’amazzone, però, non sopportava di essere esclusa da quel mondo in cui Pauline sembrava rifugiarsi… ne era quasi gelosa. Così, cercò di richiamare la sua attenzione, dicendole: “Chérie, ti va se stasera mangiamo di nuovo in quel ristorante che abbiamo scoperto ieri? Mi è piaciuto molto”.
La ragazza si mise in attesa di una risposta, ma questa non arrivò.
“Pauline, mi hai sentita?” disse Natalie a voce più alta.
“Uh, oh… scusami… il ristorante dici? Va bene!” disse Pauline un po’ intontita, come se si fosse svegliata da un lungo sonno.
“Sei sempre nel tuo mondo. A cosa stavi pensando, stavolta?”.
“A nulla”, disse la poetessa, con uno sguardo un po’ vago, cercando di non guardare Natalie negli occhi.
“Pauline… credi che non ti conosca, ormai? C’è qualcosa che non va, è evidente. Avanti, dimmi... cosa c’è che ti preoccupa?”.
Natalie aveva colpito nel segno. Stavolta, Pauline non stava semplicemente pensando a qualcosa. I suoi occhi erano spenti e riflettevano un tormento che sembrava stesse divorandole l’anima.
“E’ che… questo mi sembra essere un sogno, Lorely… troppo bello per essere vero. Tu, qui con me, in quest’isola meravigliosa…”
“E’ tutto vero, chérie. Dovresti smetterla di preoccuparti troppo e goderti il più possibile quello che abbiamo adesso. Altrimenti, rischi di rovinarlo. Non credo ne valga la pena, dato il paradiso in cui ci troviamo. Guarda me… io sono felice!”.
“Hai ragione, Lorely. Anche io sono felice, tanto! Ma ho anche paura. Non riesco a dimenticare il male che ho provato nei mesi precedenti, a causa tua. Di quando ho cercato di metterti da parte, di allontanarti da me, esasperata dai tuoi tradimenti. Mi è sembrato di morire, consumata dai miei sentimenti. E non di morire di una sola morte, ma di mille, tutte insieme. Nonostante provassi a non pensarti, mi era impossibile… ti amo troppo, follemente. E ti amerò sempre. Tu possiedi la certezza del mio amore, perché te lo dimostro continuamente. Perciò, mi chiedo… ed io? Io cosa possiedo?”.
“Anche io ti amo, Pauline…”, si affrettò a rispondere Natalie.
“Ma il tuo amore è diverso. Il tuo amore è fugace e non dà certezze. Sì, oggi forse mi ami… ma domani? Tra una settimana, tra un mese… mi ameresti ancora? Ameresti solo e soltanto me?”.
Natalie rimase in silenzio e rivolse i suoi occhi al mare. Si era alzato un leggero vento e le onde si erano fatte più grandi; a quella visione l’amazzone pensò, fugacemente, che non fosse il caso di farsi altri bagni. Poi, Pauline riprese a parlare: “Vedi, Lorely? Tutto questo è terribile, per me. E’ terribile il sapere che potresti tradirmi di nuovo con una ragazza qualsiasi. Io ti desidero solo ed unicamente per me”.
“Ma sai bene che quel comportamento che tanto disprezzi e che ti fa soffrire è nella mia natura, Pauline. Sai bene che non posso evitarlo. Anzi… probabilmente mi ami anche per questo”.
Questa volta, fu Pauline a rimanere in silenzio. Il vento andò soffiando sempre più forte e scombinò i lunghi capelli castani della poetessa, che finirono per coprirle il viso. La ragazza fu costretta a sistemarli, tenendoli con una mano. Natalie proseguì: “Comunque vada,  fonderemo la nostra colonia. E’ il nostro sogno e lo porteremo a termine. Per il momento, concentriamoci su questo e non preoccupiamoci di nulla, va bene? Voglio che tu non pensi ad altro che non riguardi il presente e la colonia. E me, ovviamente… a me puoi pensare quando e quanto vuoi!”. L’amazzone si mise a ridere, mantenendo però la sua grazia ed eleganza, che sempre la caratterizzavano. Pauline non riuscì a fare a meno di ridere anche lei, la risata di Natalie era contagiosa e curativa, non si poteva essere ancora tristi dopo averla udita.
Una volta finito di ridere, Pauline fece un sorriso e disse: “Va bene, Lorely. Te lo prometto”.
Soddisfatta di avere ottenuto una piccola vittoria, Natalie chiese: “Beh, che ne diresti di darmi un bel bacio, adesso?”.
“Ma tesoro… potrebbero vederci… non mi sembra il caso…”, disse Pauline, un po’ imbarazzata.
“Abbiamo perlustrato praticamente tutto il perimetro dell’isola solo perché potessimo trovare una spiaggia isolata, non me ne andrò da qui se prima non mi avrai dato almeno un bacio!” disse l’amazzone, assumendo un’espressione imbronciata, un po’ infantile.
Pauline si alzò dalla sdraio e si guardò intorno; sembrava non esserci nessuno, anche perché il cielo aveva iniziato ad annuvolarsi. “E va bene… ma solo un bacio!”.
“Mi accontenterò”, disse Natalie, “ma fa’ almeno in modo che ne valga dieci!”.
“Possiamo provarci…”, disse Pauline, sorridendole. Natalie adorava quel sorriso. Se solo quella ragazza glielo avesse mostrato più spesso... forse allora si sarebbe consacrata soltanto a lei, per sempre.
Pauline avvicinò le sue labbra a quelle dell’amazzone e la baciò. Le loro lingue si incontrarono ed iniziarono ad intrecciarsi tra di loro, in una danza sensuale. Il tempo sembrò arrestarsi ed i loro cuori battere all’unisono; in quel momento, tutte le preoccupazioni di Pauline si dissolsero e sparirono. Finalmente, la poetessa si perse in quell’istante di piacere infinito e si augurò di non trovare mai più la strada per tornare, di rimanere intrappolata in quella dimensione di estasi e piacere, per sempre. Fu però svegliata bruscamente da un morsetto che Natalie tirò alle sue labbra, facendole venire i brividi. Pauline riacquisì la concezione del presente e disse a Natalie, sorridendo: “Sei sempre così crudele, mia Lorely…”.


Qualche giorno dopo


Pauline lesse il telegramma più volte, per essere sicura di quello che vi era scritto. Sperava che ad ogni lettura le parole potessero cambiare, ed invece restavano lì, minacciose. Desiderò che quelle frasi non fossero mai state scritte, che quel telegramma non fosse mai arrivato. Ma era lì, tra le sue mani, e anche se lo avesse strappato, non avrebbe potuto cancellarne il contenuto dalla sua mente.
Natalie vide che Pauline era turbata e, raggiungendola, le chiese:“Cos’è? Chi ti ha scritto?”.
“E’ Hélène…”
“Oh, la Briosche… e cosa desidera?”, disse l’amazzone, con tono sarcastico.
Pauline fece finta di non sentire il soprannome dispregiativo con cui era nota la baronessa e rispose: “Dice che ha intenzione di raggiungermi qui a Lesbo…”.
“Oddio, che disgrazia… beh, e tu dille di non venire, no?”. Quella strega stava tentando di riprendersi la sua Pauline, pensò Natalie. Per nulla al mondo glielo avrebbe permesso, dopo tutto quello che aveva dovuto fare per riconquistare la poetessa.
“Sì, glielo scriverò”, disse Pauline con aria triste.
“Perfetto, allora è tutto sistemato!” disse Natalie, tirando un respiro di sollievo. Poi però vide Pauline scura in volto e le chiese: “Perché fai quella faccia?”.
“Perché se le chiedo di non raggiungermi, non posso restare qui con te”.
“E perché no? Non può mica portarti via con la forza!” esclamò Natalie a voce alta.
“No, non può. Ma ignorarla significherebbe rompere con lei, perdere tutto…”.
“Dio mio, Pauline… non dirmi che preferisci lei a me!” disse l’amazzone, rossa in viso. Non poteva davvero credere che la sua amata potesse prediligere quella sottospecie di cozza a lei.
“No, Lorely… ma rinunciare a Hélène significherebbe rinunciare anche al mio futuro. E’ solo grazie a lei se ultimamente sono riuscita a far pubblicare i miei libri. Sai bene anche tu quant’è grande il suo potere”.
“Ma non puoi tornare da lei solo per questo motivo! Sei riuscita a fare pubblicare le tue opere anche prima di conoscerla… magari era un po’ più difficile, ma ci sei riuscita comunque”.
“Il mio futuro è già una grande motivazione, Lorely. E comunque, non è la sola” affermò Pauline, asserendo l’ultima frase con un filo di voce.
“E qual è l’altra?” chiese Natalie, attendendo una risposta a braccia conserte.
“Che lei mi ama. E mi ama di un amore forte e sincero, pieno di certezze… lo stesso amore che vorrei da te, ma che non avrò mai”.
Natalie rimase in silenzio, i suoi occhi divennero lucidi. Si sentì un forte groppo in gola, ma cercò ugualmente di parlare: “Pensavo che la questione fosse risolta, che avessi finalmente deciso di accettarmi per quello che sono, nonostante tutto. Siamo state così bene qui, insieme! E adesso? Per colpa di un capriccio di quella maledetta Briosche vuoi rinunciare a tutto questo? Al nostro sogno?”.
“Sì. Io… Mi dispiace… Ti prego di perdonarmi” disse Pauline, abbassando lo sguardo ed iniziando a tormentarsi le mani. Perché, perché Natalie doveva essere così bella? E perché non riusciva a sopportare di vederla infelice? La sua bellezza le toglieva sempre il fiato, ma ora, a vederla così triste e amareggiata, le parole che avrebbe voluto dirle le si strozzarono in gola.
Natalie si asciugò gli occhi, lanciò un’ultima occhiata al telegramma e fece una smorfia d’indignazione. Assumendo una posa fiera, disse: “Molto bene. Se non ti dispiace, allora, vado a fare le valigie! Ma sappi una cosa, Pauline… per quanto tu possa provare a soffocare l’amore che provi per me, non ci riuscirai. Mai”. Natalie tremava, vistosamente. Chiuse i pugni per cercare di contenersi, di non mostrare emozioni, e continuò: “Non c’è al mondo nessuna baronessa, contessa o chicchessia che possa aiutarti a dimenticarmi. E mai ci sarà”. A quel punto, l’amazzone si voltò e si avvio verso la loro stanza d’albergo, con passo deciso.
Pauline strappò il telegramma e, rivolgendo un ultimo sguardo a Natalie, mormorò, tra sé e sé: “Lo so…”. Cercò di trattenere la tristezza che stava divampando come un grande incendio dentro ogni fibra del suo essere, ma le fu impossibile; calde lacrime iniziarono a solcare il suo viso, inarrestabili.
 
1909 

Era passato tanto tempo, ormai, da quel viaggio a Lesbo. Eppure Natalie, nonostante le innumerevoli amanti che aveva avuto nel frattempo, non lo aveva dimenticato. Ed era certa che nemmeno Pauline lo avesse fatto. Negli ultimi anni avevano continuato a tenersi in contatto scrivendosi delle lettere, anche se sempre più sporadicamente, e l’amazzone, ogni tanto, era anche andata a cena da lei, con l’immancabile presenza di Hélène, l’odiata Briosche, che una volta, a fine serata, aveva persino provato a corteggiarla. “Pouah!” si diceva Natalie ogni volta che ci ripensava.
Poi però vi era stato un grosso cambiamento: all’improvviso, Pauline aveva deciso di rompere con la baronessa. Definitivamente. Adesso viveva da sola, in una casa in cui regnava più il buio che la luce con la sola compagnia dei suoi servitori e dei suoi amati libri, come se si fosse voluta ritirare dalla vita. A Natalie, inoltre, erano giunte voci di almeno due tentativi di suicidio da parte della poetessa, senza contare che avesse un’alimentazione scorretta e che assumesse continuamente alcol e medicine, spesso insieme.
Ma questo non aveva turbato più di tanto l’amazzone… sapeva che Pauline era fatta così, sapeva dell’amore che provava per la morte. D’altronde, se avesse dovuto descrivere la vita della poetessa, l’avrebbe senz’altro definita come “un lungo suicidio”.
Adesso però, dopo un periodo di silenzio durato sei mesi, in cui non aveva ricevuto alcuna notizia, aveva saputo che Pauline si era gravemente ammalata. Decise quindi di acquistare delle violette, i fiori preferiti dalla poetessa, e di andare a farle visita. Lungo il tragitto, ripensò al periodo in cui lei e Pauline erano state insieme, alla felicità che avevano condiviso. Perché quella ragazza non si godeva la vita come faceva lei? Perché non provava a mettere da parte tutti quei pensieri tristi e dolorosi che l’attanagliavano continuamente, a qualsiasi ora del giorno e della notte? Persino quando godeva della più estrema felicità, Pauline non riusciva a non farsi prendere da un’improvvisa malinconia. Natalie non riusciva proprio a comprenderla; avrebbe voluto salvarla da quell’abisso che Pauline si era scavata da sola, con le sue mani, ma ad un certo punto aveva dovuto arrendersi all’evidenza; quella ragazza non voleva essere salvata. O forse sì, ma in un modo che per Natalie era inaccettabile.
Finalmente arrivò all’appartamento di Pauline. Bussò alla porta e fu subito accolta da un maggiordomo che non aveva mai visto prima. Costui la squadrò e, senza chiederle chi fosse o cosa volesse, sul tono di un semplice: “Mademoiselle è appena uscita”, le annunciò: “Mademoiselle è appena deceduta”.
Natalie impiegò qualche secondo prima di realizzare quelle parole. Senza dire nulla, porse le violette al servitore e scese nuovamente in strada, più veloce che poté.
Non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito, non voleva capacitarsene. “Pauline, morta? No, non è possibile… deve essere un incubo”, si diceva.
I suoi passi si andarono facendo sempre più pesanti ed anche la vista, improvvisamente, iniziò ad annebbiarsi. “Pauline deve essere uscita, sì… Ma certo, forse è andata in quella libreria che le piace tanto… oppure è uscita giusto per prendere una boccata d’aria. Potrei aspettare che torni… lei tornerà… oddio, Pauline, no… non puoi essertene andata via per sempre, non puoi! Dio, ti prego! Ti supplico… fa’ che non sia vero!” migliaia di pensieri e di frasi sconnesse affollarono la mente dell’amazzone, che sembrava in preda ad un delirio. Si portò le mani al viso e sentì che le sue guance erano bagnate; senza che se ne fosse accorta, i suoi occhi avevano versato numerose lacrime e ancora continuavano a farlo, senza che potesse controllarli. Lo stomaco le si annodò ed una forte nausea iniziò a pervaderla; un conato di vomito le salì fino alla bocca, ma lei lottò strenuamente per respingerlo. Sfinita, vacillò fino ad una panchina, il raggiungimento della quale le sembrò un traguardo, ma non fece in tempo a sedersi che tutto divenne confuso e buio.

˜

Ci sono diverse testimonianze sulle ultime parole che Pauline pronunciò sul letto di morte. Alcuni dicono che siano state: “Questo è il momento migliore della mia vita”. Ma c’è un’altra versione, quella più gettonata e a cui credeva anche l’amazzone, che vuole che Pauline abbia rivolto il suo ultimo pensiero alla donna da lei più amata. Si dice che, con una faccia serafica, la poetessa abbia mormorato quel soprannome con cui tanto amava chiamare Natalie. “Lorely…”.
  
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