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Autore: Lily Moon    11/09/2012    3 recensioni
Non poteva esserci momento più perfetto. Lì, in quel cimitero, nelle cui profondità giacevano centinaia di caduti, era nata una nuova vita. La promessa di nuova speranza.
La promessa di un nuovo inizio.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The promise of a new beginning.


Guardavo incantata la finestra. Il sole brillava alto nel cielo quel giorno, ed illuminava dalla finestra l’intera camera. Sarebbe stato un ottimo giorno per andare a caccia. Peccato che non potessi.
Me ne stavo lì, seduta, ad accarezzare il mio pancione spoglio, e a contemplare il tenue calore che si posava come una leggera coperta su di esso. Solitamente odiavo starmene così, senza far nulla, ma quel giorno era stranamente piacevole. Spostai la mia lunga treccia dietro la schiena, perché quel tepore potesse arrivare anche sul mio collo.
Poi una mano si posò sulla mia spalla. Anche se dolce, quel tocco mi fece sussultare e voltare di scatto.
Era Peeta. Si accorse di avermi fatta agitare, e se ne uscì con uno “scusa”, appena sussurrato, per farmi calmare.
Dopo tutto quello che avevo passato, i Giochi, la guerra, ogni improvviso minimo tocco era diventato per me come una minaccia. Ed ora più che mai, ogni minaccia risultava un pericolo anche per il mio bambino. Per il nostro bambino.
«Ah, sei tu.» dissi, voltandomi di nuovo verso la finestra.
Peeta si sedette di fronte a me. «Buonasera, mia regina.» disse, dandomi un leggero bacio sulle labbra. Poi, abbassando la testa, posò le mani sul mio ventre gonfio, vi premette le labbra e sussurrò: «Buonasera, mia piccola principessa.»
Posai una mano sul suo viso, accarezzandolo, e, quando lui alzò il suo sguardo su di me, gli dissi: «Buonasera anche a te, nostro re.» e lo bloccai in un lungo bacio. Quando mi staccai da lui, un po’ a corto di fiato, affermai con tuo scherzoso ma deciso: «E, comunque sia, è un maschietto.»
«No, è una femmina.» replicò lui, convinto.
«E come fai ad esserne così sicuro?» gli chiesi, ridacchiando.
«Lo so, punto. Come so che assomiglierà tutta a te.»
«Ti sbagli, caro mio.» dissi, alzandomi, e dirigendomi verso la cucina.
Entrai in quella stanza che conoscevo così bene, più di qualunque altra persona. Quella stanza, dove avevo mosso i miei primi passi, dove avevo passato serate a cantare con mio padre, dove amavo giocare con Prim quando eravamo piccole… Quella stanza dove io e Peeta avevamo tostato il pane che ci avrebbe uniti per sempre.
Prima di sposarci, infatti, avevamo convenuto che non avremmo più sopportato vivere in una delle case dei vincitori. Ci ricordavano troppo il nostro passato buio, quando facevamo di tutto per dimenticarlo e vivere il più possibile nel presente. E quale altra casa sarebbe stata migliore di quella in cui avevo vissuto da piccola, così isolata dal resto? Così l’avevamo ristrutturata, ed era tornata al vecchio splendore di una volta.
Mi avvicinai alla tavola, dove Peeta aveva appoggiato dei panini ancora caldi, appena sfornati. Inspirai quell’odore, che avevo imparato ad adorare, e che ora amavo così tanto. Stavo per prenderne uno quando Peeta mi afferrò per la vita, fermandomi. Tra un bacio e l’altro mi sussurrò all’orecchio: «Vieni, ho una sorpresa per te.» e si avviò fuori di casa.
Distratta dal cibo, decisi di seguirlo. Mi aspettava fuori dalla porta. Gli afferrai la mano, e percorremmo insieme il sentiero che attraversava il Prato. Ma a metà del percorso, si fermò, e si diresse in mezzo all’erba.
«Peeta, cosa credi di fare?» gli chiesi, continuando a seguirlo, un po’ dubbiosa.
«Manca poco.» rispose.
Continuammo a camminare per un po’, poi, all’improvviso, sì fermò e si sedette sul prato.
«E con questo?» chiesi, perplessa.
«Siediti, e guarda.»
Feci quello che aveva ordinato, e subito rimasi sbalordita dalla vista che mi parò davanti. Non mi ero mai accorta di quanto bello fosse il tramonto in quel luogo. Forse perché non ci avevo mai fatto caso, oppure perché non avevo mai avuto una motivazione buona per guardarlo veramente.
Il sole stava scendendo sull'orizzonte, tingendo l'aria di rosso, arancio e giallo, come se il cielo avesse d'un tratto aperto le sue porte, lasciando sfuggire dai propri confini tutta la bellezza che conteneva.
Rimasi incantata da quella vista, non riuscivo a distogliere gli occhi da quei colori che mai avrei pensato di vedere così forti nel cielo.
«È bellissimo.» mi lasciai sfuggire.
«Mai quanto voi.» rispose Peeta, guardandomi.
Quel plurale non a caso mi fece sorridere.
Abbassai lo sguardo, arrossendo, e mi accorsi che vicino al mio piede cresceva un dente di leone. Lo colsi, e lo portai vicino al viso, studiandolo attentamente, petalo per petalo. Il suo giallo acceso, in effetti, non era molto diverso da quello del cielo davanti a me.
«Sai, anni fa non avrei mai immaginato che potesse accadermi tutto questo.» commentai, spostando lo sguardo su mio marito, che se ne stava disteso, appoggiato sui gomiti.
«E chi poteva immaginarselo? Voglio dire, non avrei mai immaginato di sopravvivere abbastanza a lungo.» rispose.
«Volevo dire che mai avrei immaginato di potermi innamorare così tanto, di poter provare la felicità che sto provando in questo momento.» replicai, guardando il fiore.
«Questo perché il destino ha voluto giocare con noi, e non vuole ancora smettere.» disse scherzando. Ma quella battuta aveva davvero un fondo di verità.
Peeta prese il dente di leone che avevo in mano, lo guardò assorto per un po’, e poi me lo sistemò sopra l’orecchio. Quando tirò indietro la mano mi guardò per un attimo, poi sorrise, soddisfatto.
«Ecco, così sembri una dea.»
«Sì, come no!» risposi sarcastica, ridendo.
«Io non mento mai, e tu lo sai. Comunque, mettiti seduta dritta, avanti.» mi ordinò, rovistando nel suo zaino.
«Cosa credi di fare?» gli chiesi.
«Voglio farti un ritratto.»
Estrasse un foglio dalla borsa e cominciò a disegnare.
All’inizio ero contrariata, ma dopo un po’ rinunciai all’idea di oppormi. Sospirai, e irrigidii la schiena, per correggere la mia postura. Poi posai una mano sul pancione, dove si sentivano dei piccoli colpetti. Anche lui fremeva dalla voglia di essere ritratto.
Guardai Peeta lavorare su quella figura che a poco a poco prendeva le mie sembianze. Le sue mani viaggiavano sicure sul foglio, lasciando segni con una destrezza impressionante. Aveva un’espressione concentrata, mentre il suo sguardo indugiava prima su di me, e poi su ogni tratto del foglio, tracciandone altri. Ogni volta che disegnava, gli spuntava una fossetta sopra l’occhio destro. Mi ritrovai a fissarla, incantata.
«Pensa a come cambierà la nostra vita quando nascerà nostro figlio.» sospirai, persa tra i miei pensieri.
«Cambierà in meglio, ne sono sicuro.»
«Anche io.» dissi, sorridendo.
«Dovremo anche scegliere il nome, prima che nasca.» disse Peeta.
«Lo deciderai tu.»
«Perché io?»
«Perché io non ho fantasia, e tu sei molto più bravo di me.» dissi, decisa.
«Ma…»
«Qualunque nome vorrai, sarà perfetto per me.» lo interruppi. Mi allungai, e lo zitti con un bacio.
Funzionò. Quando mi staccai da lui rimase per un momento immobile, poi riprese a disegnare senza aggiungere altro.
Il sole era quasi sceso del tutto oltre l’orizzonte, quando Peeta finì il ritratto. Sorrise compiaciuto, allungandolo per mostrarmelo.
Ovviamente era stupendo. Da una parte c’ero io, bellissima, più di quanto lo ero veramente. L’altro lato del disegno era dedicato al cielo, in tutti i colori del bellissimo tramonto di quella sera. Al centro, illuminava tutto il paesaggio il sole, la cui luce però era coperta per metà dal mio grande pancione.
Avrei voluto fargli sapere quanto mi piaceva, quanto era perfetto per me, ma non ci riuscii. Quando ero sul punto di dirglielo, una dolorosa fitta alla pancia mi attraversò, immobilizzandomi, e facendo sfuggire un gridolino di dolore.
Peeta si precipitò su di me, preoccupato. «Cosa è successo?»
«Chiama mia madre.» furono le parole che riuscii a dire mantenendo un tono di voce tranquillo. Mi accorsi però di stare stringendo con le braccia la mia pancia.
«Ok, torno subito.» rispose lui. Mi mise una mano dietro il capo, e posò le sue labbra sulle mie, in un veloce ma intenso bacio. Poi mi lasciò, e corse più veloce che poteva verso il centro del Giacimento.
Rimasta sola, mi distesi sull’erba, cercando di mantenere la calma, mentre le fitte si facevano sempre più frequenti. Chiusi gli occhi, e cominciai a respirare profondamente.
Dopo quelli che potevano essere secondi, minuti oppure ore, sentii la voce di Peeta, accompagnata da quella inconfondibile di mia madre.
«Non avere paura, tesoro. Andrà tutto bene.» mi disse lei, accarezzandomi la testa.
Ma non avevo paura. Sapevo che sarebbe andato tutto bene. Non era neanche il dolore che provavo la motivazione della mia espressione sconvolta. Quello non era niente in confronto alle sofferenze che avevo provato in passato. Era il ricordo improvviso che era riapparso nella mia mente, vivido come non mai, ad avermi turbata. Un ricordo che credevo morto nelle rovine di una miniera per sempre.
 
*FLASHBACK*
Come ogni giorno di quella bellissima primavera, il sole brillava alto nel cielo, ed irradiava tutti gli alberi intorno a noi. Io me ne stavo seduta sulle spalle di mio padre, mentre passeggiavamo cantando in mezzo al bosco.
«Papà, guarda! C’è un lago!» esclamai meravigliata, indicandolo con la mia manina paffutella.
Era proprio vero: dietro ai rami degli alberi davanti a noi, si stendeva un grande lago, la cui acqua limpida rifletteva e distorceva in maniera irreale il paesaggio attorno.
«È vero, andiamo a vedere.» rispose mio padre, sorridendo.
Mi depositò a terra, e subito corsi verso il grande stagno, eccitata. Quando poco dopo mio padre mi raggiunse, guardavo meravigliata le increspature che si formavano quando immergevo le mie mani.
«Avevi mai visto un lago prima d’ora?» mi chiese lui, sedendosi e cominciando a giocare con l’acqua come me.
«Sì, ci sono delle figure nel mio libro a scuola.»
«Ma non l’avevi mai visto veramente.» concluse lui, un po’ amareggiato.
«Esatto.»
«Sai, Katniss, ci sono molto cose che non hai mai visto, e che forse non avrai mai l’occasione di vedere.»
«Per esempio?» gli chiesi, curiosa.
«Ce ne sono tantissime, è impossibile elencarle tutte. Ma molte, bè, spero che non avrai mai la sfortuna di incontrarle. Non è rimasto quasi più nulla che abbiamo il permesso di vedere. Anche in questo momento non dovremmo essere qui.»
«Perché no?» chiesi a quel punto, cominciando a spaventarmi.
«Ora ti dirò una cosa, una cosa importantissima, che devi tenere sempre a mente. Devi promettermi che mi ascolterai attentamente, e che la porterai con te fino alla fine.»
«Ok.» il mio tono era serio, molto più maturo rispetto ad una normale bambina di appena sette anni.
«Questi in cui stiamo vivendo sono tempi bui, Katniss, in cui non possiamo mai sentirci al sicuro. Anche ora stando qui, in questo bosco, stiamo davvero rischiando. Ma dobbiamo farlo. Dobbiamo perché non abbiamo alternative. Senza gli animali che riusciamo a prendere insieme non potremmo vivere.
Ebbene, arriverà un giorno in cui io non ci sarò più…»
«Ma…» feci per interromperlo.
«Niente ma, avevi promesso che non mi avresti interrotto. Arriverà un giorno in cui non ci sarò più. E da quel giorno dovrai essere tu a combattere per l’intera famiglia. Ci saranno molte difficoltà, lo so, e quello che incontrerai probabilmente sarà molto più pericoloso di quello che immagini. Ma voglio che tu sappia che anche se non sarò personalmente lì con te, sarò sempre presente qui,» e indicò con due dita il mio cuore. «a vegliare su di te. E niente e nessuno potrà farti del male. Se ci crederai, tutto il male prima o poi se ne andrà, e finalmente potrai ritornare felice.»
Il volo di una ghiandaia imitatrice sopra le nostre teste lo interruppe, mentre questa riproduceva ancora le note che stavano cantando durante il cammino.
«Ma io sono già felice.» ribattei, stringendogli la mano.
«Lo so, e spero davvero che tu lo possa essere sempre.»
«Lo sarò, papà. E farò tutto quello che hai detto. Ti renderò orgoglioso di me.»
«Lo sono già, e ne sono convinto.» disse, con un sorriso, baciandomi sulla testa.
Poi sussurrò: «Non avere paura, tesoro. Andrà tutto bene.»
*FINE FLASHBACK*
 
Andrà tutto bene.
Le voci di mio padre e mia madre, mi rimbombavano in testa. Scossa, quasi non mi accorsi della lacrima che mi rigava la guancia.
Poi un pianto stridulo mi distrasse dai miei pensieri.
Anche se la mia vista era un po’ offuscata, mi costrinsi ad alzare la testa. Davanti a me, vidi mia madre, grigia nella sua anzianità,  finalmente rilassarsi, e asciugarsi le gocce di sudore che le imperlavano la fronte. Peeta si era alzato in piedi, e sorreggeva tra la braccia un piccolo groviglio di asciugamani. La sua espressione era indescrivibile. Delle lacrime gli solcavano le guancie, ma un enorme sorriso gli illuminava il viso di gioia. Non l’avevo mai visto così felice. Forse solo il giorno in cui ci eravamo sposati.
«Peeta…» cercai di chiamarlo, con la voce che mi rimaneva.
Fu abbastanza. Lui si precipitò vicino a me, e mi depositò con delicatezza il fagottino tra le mie braccia tremanti. Non avrei mai potuto essere pronta alla vista che mi si parò davanti, ed alle sensazioni che provai in quel momento.
La piccola creatura che stringevo aveva ormai smesso di piangere. Aveva folti capelli scuri, tutti scompigliati e umidi, che le ricadevano sulla fronte. Le sue manine minuscole tastavano il piccolo nasino e la bocca priva di denti. Ma la cosa che mi sconvolse di più furono i suoi occhi, di un inteso azzurro, uguali a quelli di suo padre.
«Saluta la mamma, Primrose.» sussurrò Peeta, sorridendo come non mai.
Primrose. Come mia sorella. Aveva ragione lui, era una bambina. Non avrei potuto essere più felice in quel momento.
«Ciao… Prim.»
Quello fu troppo. Crollai. Piansi, piansi come non avevo mai fatto. Piansi di una felicità che mai avrei immaginato potessi provare.
Strinsi la mia bambina più forte, con quel mio nuovo senso materno, mentre Peeta faceva lo stesso con noi. Restammo così, non so per quanto. Potevano essere trascorsi secondi, minuti, ore, oppure anche giorni. Ma non ce ne importava. Rimanemmo immobili, in quell’abbraccio pieno d’amore. Padre, madre e figlia.
Non poteva esserci momento più perfetto. Lì, in quel cimitero, nelle cui profondità giacevano centinaia di caduti, era nata una nuova vita. La promessa di nuova speranza.
La promessa di un nuovo inizio.




Ciao a tutti!
Se siete arrivati fino a qui significa che per un motivo o un'altro avete letto questa one shot.
Come potete immaginare, amo la saga di Hunger Games. Questa storia mi è venuta in mente quando, finito l'ultimo libro, mi sono rimaste in testa delle domande. Come si chiamano i bambini? Cosa è successo in tutto quel tempo?
Ho cercato di inventarmi qualche risposta.
Spero vi sia piaciuta. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, per cui lasciatemi qualche recensione. Mi farebbe davvero piacere.
Grazie a tutti per l'attenzione.
Con amore,
Lily.

  
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