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Autore: Monte Cristo    11/09/2012    1 recensioni
C’è una regola segreta di cui ogni scrittore, quando nasce un nuovo libro, viene a conoscenza: tenere i propri personaggi dentro alle pagine.
Nessuno sa chi l’ha scritta, pochi sanno chi la fa rispettare. Uno solo la infrange.
E l'inchiostro diventa sangue.
Liberamente ispirata ad Alice nel Paese delle Meraviglie.
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Prologo



Nessuno sapeva di preciso quando la cassa avesse fatto la sua comparsa. Era come se un attimo prima non ci fosse stata e poi, improvvisamente, eccola lì, proprio davanti al numero 11 di Scarlet Road, buttata sul marciapiede con malagrazia.
La gente passava in fretta, ignorando l’anonimo contenitore di legno che si anneriva sotto la pioggia battente. Una donna uscì dalla casa adiacente al numero undici accompagnata dalla cameriera che le sosteneva l'ombrello ed entrò in una carrozza a nolo. Un uomo passò saltellando tra le pozzanghere, cercando di ripararsi con la lunga giacca a code. La cassa rimase lì tutto il pomeriggio, ignorata. Nessuno se ne curò nemmeno quando la luce, già grigia e scarsa, declinò in una cupa tinta plumbea con il morire del giorno.
I lampioni si accesero tremolando e il campanile della chiesa vicina batté sei lugubri rintocchi. Le strade si sfollarono, e un silenzio desertico frammezzato dallo scroscio dell’acqua calò sul circondario. La notte era annidata nelle ombre, pronta a levarsi nella sua oscurità.
Una figura ammantata di nero apparve in fondo alla via, un elegante ombrello scuro in una mano. La pioggia continuava a cadere.
La figura si avvicinò, e alla luce dei lampioni i suoi tratti spiccarono da sotto l’ombra del cappello. Occhi grigi e lucenti, capelli chiari che emergevano dalla tesa della larga tuba che indossava, e un volto angoloso, giovanile. Camminava con un’eleganza insolita.
L’uomo percorse con calma tutta Scarlet Road e rallentò il passo solo quando raggiunse il cancelletto che conduceva all’ingresso del numero 11. Si fermò, abbassò con calma lo sguardo e individuò l’entità estranea che intralciava il marciapiede.
Una strana luce gli passò negli occhi; poi, come se niente fosse, oltrepassò la cassa, aprì il cancelletto di ghisa elaborata e diede due colpi al battente a forma di medusa.
Passò un minuto, forse due, poi un rumore di chiavi e la porta di legno scuro si aprì su di un viso pallido e scavato di rughe.
“Perché non hai usato le chiavi?” domandò l’uomo che si era affacciato dall’interno.
“Scusami, Lutwidge. Credo di averle perse.”
“T-tu hai un talento innato nel pe-perdere le cose, Mad» balbettò l'altro irritato. «Non mi ri-riesco a spiegare come i-io faccia a sopportarti.”
Il giovane uomo chiamato Mad sorrise con amabilità. “Nemmeno io. Forse dipende dal fatto che so ritrovare le cose che hanno perso gli altri.”
“Tu non ritrovi pro-proprio niente; quello che fai è persuaderli a credere ritrovate cose che in realtà non hanno mai posseduto.”
“Oh, quindi suppongo che quella cassa sul marciapiede non sia mai stata tua.”
L’uomo sulla soglia si sporse senza capire di cosa l’altro parlasse e notò per la prima volta l’oggetto in questione.
“Che diavolo mi hai portato stavolta?” chiese sospettoso, sempre balbettando.
“Assolutamente niente. Era già qui quando sono arrivato.”
Lutwidge si fece ancora più sospettoso, ma poi sospirò. “Vieni con il tuo ombrello, ho abbastanza artrite anche senza prendermi la pioggia.”
Il giovane sorrise e lo riparò con il grande ombrello nero mentre l’uomo usciva a scendeva i gradini dell’ingresso. Era più alto di Mad, sebbene curvo, con i segni evidenti di una calvizie sulla sommità del capo e occhiali cerchiati d’oro sul naso.
Oltrepassarono il cancelletto di ghisa e Lutwidge si chinò sulla cassa. “M-ma è aperta!” esclamò, facendo scorrere un dito nella fessura tra le due assi un poco discoste tra loro.
Poi le prese e le aprì, rivelando finalmente il contenuto.
Lutwidge urlò.
“Oh, Dio!” sibilò, la voce spezzata.
Mad non disse nulla. Per la prima volta la sua espressione beffarda scomparve, facendo posto a una serietà indecifrabile. Poi sorrise. “E così è andata.”
Lutwidge alzò lo sguardo furioso. “S-sei stato tu?!”
Mad sostenne gli occhi ardenti dell’uomo più anziano senza alcuna difficoltà. “Ho detto che non l’ho portata io qui.”
“Non m’interessa della cassa! Sei stato tu a farle questo?”
Un sorriso inquietante si distese sulle labbra del giovane. Un sorriso in cui era annidata la rabbia. “Diciamo che le ho dato una spinta nella giusta direzione.”
“Co… come hai potuto? T-tu…”
“Ho fatto ciò che ritenevo giusto. Nemmeno tu puoi negarmi questo.”
Lutwidge si afflosciò. “Mio Dio! Perché?” Si prese il viso tra le mani. “Niente sta andando come avevo deciso…”
“Non puoi farci niente, Lutwidge. Lo sai, nessuno di noi è più nelle tue mani, ora.”
“Ma... ma perché? Che bisogno c’era di questo? Tu… non sei nato così. Non eri così!”
“Non ha nessuna importanza. Ora sono libero. Siamo liberi.”
“Oh, no! Siete imprigionati in qualcosa di troppo grande per voi. M-me lo sento! Tutto finirà nel peggiore dei modi possibili!”
“Nessuno può sapere come finirà. Stavolta la conclusione non è stata scritta. Siamo tutti in gioco.”
“Se solo lei non fosse finita così…” mormorò Lutwidge fissando il contenuto della scatola, disperato. “E tu, tu, che rimani così indifferente… così…”
“Inumano?” chiese l’altro sorridendo. “Ma è così che sono, ricordi Lutwidge?”
Lutwidge fece un gemito disperato. “Basta! Per favore, ora… portiamola dentro. Prima che arrivi qualcuno.”
Mad annuì. “Come facciamo? Non posso tenere l’ombrello mentre ti aiuto, e la pioggia con la tua artrite…”
“Chiudi la bocca e b-butta da parte quel maledetto ombrello!” eruppe Lutwidge esasperato afferrando i bordi inferiori della cassa.
Mad annuì, chiuse l’ombrello posandolo da parte e aiutò Lutwidge a sollevare la pesante cassa e portarla dentro sbuffando. Il cappello gli cadde rotolando, ma non lo raccolse finché la cassa non fu nell’anticamera della casa.
“Dovremmo… bisognerebbe ricomporla…” disse Lutwidge ansimando. Non era più giovane, e lo sforzo era bastato a fiaccarlo.
Mad annuì. “Se vuoi posso chiamare Cloto. E’ la più brava in questo genere di lavori…”
“Preferirei gettarmi nell’Ade piuttosto che far entrare quella creatura in casa mia” borbottò Lutwidge pallido.
“Però non puoi negare che farebbe un lavoro sopraffino. E ce n’è decisamente bisogno.”
Lutwidge sbuffò e Mad tornò in strada a recuperare l’ombrello e il cappello di feltro. Si chinò a raccogliere quest’ultimo da terra: alcune gocce affiorarono dalla visiera fradicia.
Mad le fissò gocciolare nella pozzanghera scarlatta che si era formata per terra, dove un attimo prima si trovava la cassa.
In molti non si spiegavano il nome che era stato dato a Scarlet Road quando era stata inaugurata. Quella sera, però, una motivazione l’avrebbero trovata. Una motivazione di rivoli rosso sangue che scivolavano via lungo i solchi tra le mattonelle, luccicanti nella spettrale luce dei lampioni.
 

  
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