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Autore: Cabiria Minerva    12/09/2012    4 recensioni
[The Bourne Legacy]
Spoiler
Missing moments situata tra il momento in cui Marta e Aaron vengono trovati dal pescatore - poco dopo aver eliminato Larx #3 - e la scena finale, dove entrambi stanno bene e si sono "persi".
Dalla storia: «Ho fatto quello che potevo, ma ora tu devi sopravvivere.» Si voltò, gli occhi bassi, a bagnare un pezzo di stoffa con dell'acqua tiepida. «Mi hai capito bene, Aaron Cross?»
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non morire



Marta, le mani che ancora tremavano, osservò l'interno della cabina nella quale il pescatore – un uomo sulla cinquantina che, aiutandosi con i gesti, aveva convinto ad aiutarli in cambio dell'orologio che avevano rubato ad una delle guardie quando erano scappati dai laboratori – l'aveva aiutata a trasportare Aaron, che ora giaceva svenuto su un letto che era poco più d'una branda.

«Aaron...» La sua voce, incerta, risultò essere poco più di un sussurro. Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Quando li riaprì si soffermò un attimo sulla parete incrostata, seguendo le linee dove l'acqua aveva intaccato il colore. «Aaron svegliati, devo...» deglutì e si strofinò le mani in un ennesimo tentativo di calmarsi. «Devo medicarti, d'accordo?»

L'uomo sulla branda, ignaro dello sguardo disperato che stava ricevendo, non reagì; la pallottola che aveva colpito la spalla l'aveva preso superficialmente, quasi di striscio, ma quella che si era conficcata nella gamba gli aveva fatto perdere molto sangue, e Marta dubitava che, malgrado i suoi sforzi per svegliarlo, Aaron avesse effettivamente le forze per aprire gli occhi e collaborare alle sue cure. Oltretutto, da un lato era quasi meglio che rimanesse in quello stato di incoscienza: aveva mandato il ragazzino a prendere delle medicine prima che salpassero, ma gli antidolorifici che era riuscito a procurarsi non erano di certo paragonabili agli anestetici che avrebbe avuto bisogno per rammendarlo. Se solo avesse avuto del Ketalar sarebbe stato tutto più facile: lui si sarebbe fatto tante risate ma avrebbe presto dimenticato il dolore e avrebbe potuto aiutarla svestendosi, dicendole se gli faceva male qualcos'altro.

«Beh, che tu sia d'accordo o meno credo di non poter più rimandare» si rassegnò e, posato a terra il sacchetto con i medicinali e deciso che la ferita alla gamba aveva decisamente la priorità sul resto, si mise a litigare con la cintura di pelle mentre un lieve rossore si soffondeva sul suo volto. Una volta aperta la fibbia, le dita sottili di Marta si destreggiarono con i bottoni dei jeans, e il rossore crebbe quando sfiorò per sbaglio il cotone dei boxer. «Cos'hai, dodici anni?» si rimproverò mentre abbandonava il fianco di Aaron e afferrava il bordo dei jeans all'altezza della caviglia. Tirò un poco, con cautela, ma la stoffa non scivolò sotto il corpo dell'uomo. Marta inspirò profondamente e tirò ancora, questa volta con più forza. I jeans scivolarono un poco, a fatica. «I tuoi muscoli sono decisamente utili, e dannatamente affascinanti, ma in certi momenti sarebbe più comodo se tu fossi un po' più leggero, sai?» Tirò ancora poi, un ginocchio tra le gambe di Aaron, cercò di far peecorrere ai jeans gli ultimi centimetri di natiche per arrivare almeno alle cosce, da dove – in teoria – sarebbe stato più facile toglierglieli.

Dopo poco più di un minuto i jeans erano un mucchietto sporco di sangue abbandonato per terra, e Marta stava disinfettando la ferita con un batuffolo di cotone imbevuto in alcool. Se Aaron fosse stato sveglio sarebbe sicuramente sobbalzato, ma in quello stato non guizzò nemmeno un muscolo per il bruciore dovuto all'alcool sulla carne viva.

Marta frugò nella borsa di plastica alla ricerca del bisturi e della lunga pinza monouso che il ragazzino si era procurato e, quando le trovò, le appoggiò sull'asse scrostata che fungeva da comodino e si infilò i guanti in lattice. Aprì la busta sigillata contenente il bisturi e, dopo aver chiesto sommessamente scusa all'uomo, infilò la lama affilata nella pelle e fece due piccoli tagli ai bordi della ferita per ingrandirla quel tanto che bastava per far passare la lunga pinza con la quale avrebbe cercato di estrarre il proiettile. Quando l'apertura le sembrò adatta aprì anche l'altra busta sigillata.

La pinza tra le mani, Marta si morse nervosamente il labbro lanciando un'occhiata al volto dell'uomo; sembrava così tranquillo mentre dormiva... «Io... Io non ho mai estratto una pallottola in vita mia, Aaron – sono una biochimica, non una dottoressa... – ma non credo sia facile, sai. Insomma, potrebbe aver toccato dei nervi, un'arteria, potresti... potresti morire dissanguato tra le mie mani.» Il labbro che pochi istanti prima stava mordicchiando cominciò a tremare e gli occhi le si velarono di lacrime. Deglutì. «Oppure potresti perdere per sempre l'uso della gamba o, in uno dei casi migliori, potresti rimanere zoppo per tutta la vita. Io... Io non so cosa capiterà.» Soprattutto perché sei ancora così debole a causa del virus vivo che io ti ho iniettato... La bocca le si increspò e dovette respirare profondamente per calmarsi, ma non aveva molto tempo per pensare alle eventuali conseguenze: doveva assolutamente rimuovere il proiettile il prima possibile.

Avvicinò la pinza alla ferita. «Dio, ti prego...» Inserì la punta metallica nella carne dilaniata. «Ti prego, se mi ascolti...» L'acciaio scivolò un poco, penetrando nella coscia di Aaron per qualche centimetro. «Non farlo morire, d'accordo?» Ancora qualche centimetro e le pinze si scontrarono con qualcosa di duro, proprio sopra l'osso. «Qualsiasi cosa, ma non farlo morire.» Strinse la pallottola e cominciò la retromarcia. «Ti prego, ti prego, ti prego...» La sua voce accompagnò il lento strisciare della pinza come una litania e si ruppe solo quando, a metà tragitto, il sangue cominciò a uscire a fiotti dalla ferita, inondandole le mani. «Merda!» Un'emorragia. «No no no no!»

Pensa, Marta, pensa in fretta, dannazione! Guardò il sangue. Non credo sia un'arteria. Le vene, quelle non troppo grandi, possono essere cauterizzate, ma avrei bisogno di attrezzature ospedaliere... Estrasse il resto della pinza e la pallottola, che buttò in un contenitore di plastica. Aprì una confezione di garze e la premette sulla ferita. «Ti prego, Dio, ti prego...» Quando le garze furono impregnate di sangue le cambiò con nuove garze, premendo con forza per fermare il flusso mentre cercava con lo sguardo qualcosa con cui legare le garze attorno la gamba e, al contempo, fare pressione per arrestare l'emorragia. Lo sguardo le cadde su degli avanzi di tela – probabilmente usata per rappezzare le vele quando i pescatori erano in mare aperto. Tanto vale provare... Lasciò la presa sulla gamba di Aaron per agguantare la stoffa biancastra, che strappò – con l'aiuto del bisturi – per ottenere delle strisce di circa venti centimetri di larghezza.

Tolse le garze dalla ferita e la disinfettò nuovamente prima di rendersi conto che avrebbe dovuto mettere i punti ora, se voleva evitare che rimanesse una cicatrice visibile, ma che non aveva un ago, né tanto meno del filo da sutura. «Scusa» mormorò ad Aaron mentre puliva la carne con l'alcool. «Spero non me ne vorrai..:» Per cercare di ovviare almeno un poco al problema avrebbe messo – non appena il sangue si fosse fermato – dello scotch, ben teso, sulla ferita, così che i lembi di pelle fossero più vicini, cosa che sperava avrebbe evitato ad Aaron di ritrovarsi con una ferita mostruosa sulla coscia. Anche se dovrebbe sopravvivere a questo per potersene lamentare... Mise delle garze nuove sulla ferita e avvolse rapidamente la stoffa attorno alla gamba, stringendo bene, annodandola per mantenere stabile la pressione nella speranza che l'emorragia si fermasse presto.

Non appena le sue mani si levarono dal nodo, Marta scivolò ai piedi del letto, la schiena contro il materasso, la testa tra le mani insanguinate. Dei singhiozzi si fecero strada tra i suoi capelli che, mentre si lasciava cadere a terra, le erano calati sul viso, coprendoglielo.

Dovette far ricorso a tutta la sua volontà per smettere di singhiozzare e trattenere le lacrime che spingevano contro le palpebre per poter uscire. È forte... Ce la può fare. Se l'emorragia si arresta ce la farà e starà bene. Volse lo sguardo verso il cielo, nascosto alla sua vista dal soffitto della cabina. «Ce la farà, dimmi che ce la farà. Deve farcela.» Mosse impercettibilmente la testa, come se stesse annuendo ad una silenziosa risposta, e si rialzò: doveva ancora medicare la ferita sul braccio.

Le sue mani esitarono un attimo prima di afferrare il bordo della maglietta per sfilarla – non senza l'aiuto delle forbici e di qualche taglio strategico – dal corpo esanime di Aaron, le dita insicure e timide. Quando finalmente la sua pelle si scontrò con quella tiepida dell'uomo sentì un brivido scorrerle lungo le braccia e pochi istanti dopo – quando la maglietta fu per terra, accanto ai jeans – le sue dita tornarono sul corpo di Aaron, disegnando il contorno dei muscoli con leggerezza, tentennando lungo una cicatrice appena visibile, proprio sotto l'ombelico. Un pensiero poco consono alla situazione le fece avvampare le guance.

Agguantò con veemenza un batuffolo di cotone e lo imbevette nell'alcool. Mentre lo passava sulla ferita, poco sotto la spalla, si rilassò alla conferma che, almeno lì, quella specie di robot che li aveva seguiti malgrado i vari proiettili nel corpo non aveva centrato il bersaglio, ma si era limitato a prenderlo di striscio. Ripulì bene la ferita e la coprì con alcune garze, che fermò con dello scotch per evitare che si spostassero.

«Ho fatto quello che potevo, ma ora tu devi sopravvivere.» Si voltò, gli occhi bassi, a bagnare un pezzo di stoffa con dell'acqua tiepida. «Mi hai capito bene, Aaron Cross?» Lavò lo sporco e il sudore dal suo volto impassibile, sciacquò lo straccio e continuò a lavargli la pelle: il collo, le spalle, il torace abbronzato. «Non morire.»

Gli lavava il corpo con movimenti circolari, attenta a non premere troppo, trasformando il gesto in una carezza quando la pelle sotto lo straccio era violacea o scorticata. Senza nemmeno accorgersene cominciò ad accompagnare il movimento della sua mano canticchiando una melodia di quando era bambina – la stessa che sua madre le cantava quando cadeva dalla bicicletta e si sbucciava un ginocchio, o quando lei e sua sorella giocavano a nascondino nel boschetto dietro casa e, inevitabilmente, si infilavano nei rovi o nelle ortiche.

Quando ebbe finito di lavar via il grosso, l'acqua nel contenitore si era raffreddata ed aveva acquistato un colore grigiastro. Vi buttò dentro gli stracci che aveva utilizzato ed afferrò l'asciugamano che il ragazzino le aveva consegnato assieme ai medicamenti; il caldo aveva fatto evaporare gran parte dell'acqua rimasta sul corpo di Aaron, ma Marta lo asciugò ugualmente con fare metodico – solo perché la fase acuta dell'influenza (come lui stesso l'aveva chiamata) causata dal virus era passata non significava che si fosse già ristabilito, e sicuramente Marta non desiderava dover combattere con un'infezione intensificata dalla febbre dovuta al virus.

Si sedette sulla branda, accanto alle gambe di Aaron, e lo guardò. Sapeva di doversi lavare e di dover lavare i suoi vestiti dal sangue e dalla terra, ma quell'uomo – una spia, un essere creato per combattere – sembrava così innocente e pacifico mentre dormiva, le labbra – carnose, non sottili e fredde, anonime come quelle del suo ex... – dischiuse. Una strana sensazione le prese la bocca dello stomaco non appena si rese conto che sarebbe potuta rimanere così, immobile, a guardarlo dormire fino a sera. E forse anche dopo.

Si alzò e prima che potesse accorgersene aveva posato un bacio leggero sulle labbra di Aaron. Il cuore sembrava pronto a scoppiarle in petto, le guance bruciavano – ma era stato così bello.

«Ti... ti lascio riposare.» balbettò prima di fiondarsi fuori dalla cabina.

Mi ci vuole un bel bagno nel mare, si disse pochi istanti dopo, la schiena appoggiata alla porta che aveva appena chiuso. Inspirò profondamente e si diresse verso il ponte, dove il ragazzino le mostrò la scaletta – non prima di averle assicurato che in quella zona raramente si vedevano squali – da dove sarebbe potuta ritornare sul peschereccio non appena avesse finito di fare il bagno nell'acqua verde e limpida della baia.

Mentre l'acqua fredda le lavava via di dosso il sangue di Aaron e i segni della loro allegra gita in moto, Marta sorrise. Potrebbe piacermi, qui. Potrebbe piacerci.

 



Salve a tutti!
Una ndA molto, molto breve, giusto per citare la mia mamma, che mi ha aiutata nella parte 'medica' (nel senso che volevo rendere l'estrazione del proiettile realistica e quindi le ho fatto mille domande - non che lei abbia mai estratto un proiettile, ma essendo infermiera sicuramente qualcosa più di me sull'argomento lo sa) :)

Spero abbiate apprezzato la lettura!

A presto,
Cabiria Minerva
   
 
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