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Autore: Nana Stonem    12/09/2012    6 recensioni
Vittoria ha 22 anni, è indipendente e vive lontano dalla sua famiglia. Dopo cinque anni passati dall'incontro del suo grande amore riceverà una chiamata inaspettata, che la porterà su una strada che non pensava di poter ripercorrere. E' la storia di un passato che non può essere dimenticato, di un presente inaspettato e di una scelta, la scelta del cuore, che la porterà tra i ricordi di quell'estate passata con l'unica persone di cui è stata capace di amare, il suo Marco.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tutto quello che non sarebbe dovuto succedere

.- di Nana Stonem -.


 

 

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La luce si rifletteva a intermittenza dai  finestrini del treno.
Gli occhiali mi riparavano da quel sole di mezzogiorno,continuamente interrotto dalle gallerie.
L'arrivo era previsto per le ore 13. 45, ultima fermata  Roma Termini.
Non sarei dovuta essere lì, non avrei dovuto intraprendere quel viaggio che mi avrebbe portato alla rovina.
Avevo preso la mia decisione la mattina stessa, prima una corsa a perdifiato verso la stazione  , poi il sollievo di tenere tra le mani  l'ultimo biglietto disponibile, finalmente mi ero imbarcata.
Forse era un segno del destino,che fosse rimasto un solo biglietto. Era come se mi stesse aspettando, come se avesse saputo che prima o poi mi sarei arresa e lo avrei comprato.
Avevo avuto una settimana di tempo per decidermi, sapevo che non sarei dovuta partire. Lui non lo meritava il mio perdono, avrei dovuto lasciarlo solo ad aspettare, come lui aveva fatto in passato con me. Eppure ero lì, diretta a quell'appuntamento, col cuore che batteva all'impazzata e ansiosa di rivederlo.

Vediamoci a piazza di Spagna, stessa ora e giorno di 5 anni fa, mi manchi. Abbiamo lasciato le cose in sospeso troppo a lungo, non voglio continuare a vivere con quel rimorso, ti prego.

Nonostante gli avessi sbattuto il telefono in faccia, avevo già preso la mia decisione.
Era bastato quel "mi manchi" a farmi capitolare, la rabbia, il rancore e la delusione erano scomparsi, sovrastati da un'incontrollabile desiderio di rivederlo, di poterlo stringere di nuovo.
Anche tu mi manchi,  pensai, ma non fui capace di dirlo a causa della voce rotta dal pianto.
La chiamata era arrivata inaspettata, l'avevo desiderata per così tanto nel passato,che ora mi sembrava frutto della mia immaginazione.
Perché ci aveva messo tanto a contattarmi? Tutto quel tempo passato a lottare per dimenticarlo, tutti gli sforzi si erano completamente disintegrati nell'attimo in cui avevo sentito la sua voce.
Quella mattina ero in compagnia di Michele, avevamo dormito insieme. Ci frequentavamo da diversi mesi, lui mi faceva la corte da tanto e alla fine avevo ceduto. In realtà non lo amavo , ma era una cosa con cui avevo imparato a convivere, probabilmente non sarei mai riuscita ad amare qualcun'altro, oltre a Marco.
Eravamo stesi pigramente a letto quando il telefono iniziò a squillare, uscii mal volentieri dal mio rifugio sotto le coperte e mi avviai in cucina.
Mi chiedevo cosa sarebbe successo se non avessi risposto a quella chiamata. Mi avrebbe richiamata o gli anni sarebbero passati senza che ci fossimo rivisti.
Risposi, quando sentii quella voce pensai di morire. Era davvero lui? O era frutto della mia immaginazione?
"Non puoi essere davvero tu" pensai.
 Il mio cuore batteva all'impazzata, in bilico tra la speranza che non fosse soltanto un sogno, e la consapevolezza che ormai sperare per me era tempo perso.
"E invece sono proprio io, il tuo Marco".
Lacrime amare cominciarono a solcare le mie guance , me ne resi conto soltanto quando le vidi riflesse nell'espressione che aveva Michele.
Per mia fortuna non mi fece domande, si limitò ad osservarmi.
"Come hai fatto a trovarmi?" 'Ma soprattutto, perché mi hai cercata?",  non gli posi la seconda domanda, avevo paura della risposta.
"Ho fatto tante ricerche, avevo il tuo numero da mesi ma non ho mai trovato il coraggio di chiamarti. Ormai sono passati cinque anni e io non voglio far passare oltre, continuo a vivere nel rimorso. Ti prego non attaccare e accetta la mia proposta".
 Rimasi inerme ad ascoltare la sua richiesta di incontrarci, senza avere la forza di dire nulla. Riattaccai il telefono mi accasciai a terra, lasciandomi travolgere da un pianto ricco di singhiozzi .
Michele non mi fece domande, si limitò ad accovacciarsi di fianco a me accarezzando e baciando i miei capelli. Lo ringraziai per la sua decisione di non fare domande, ma non potevo mentirgli, così gli raccontai tutto.
"Ci devi andare, sennò non chiuderai mai del tutto col tuo passato".
Michele era convinto che incontrarlo mi sarebbe servito, che magari un impatto con la realtà mi avrebbe fatto rendere conto che probabilmente era stata solo una cotta adolescenziale, dopotutto ai tempi avevo solo diciassette anni.
Lui non capiva, e non voleva capire, forse illudendosi che lo amassi più di quanto avevo amato Marco.
Una settimana di notti insonni e ansia perenne mi avevano portata su quel treno.
Mancavano due ore al nostro incontro, a ogni minuto che passava sentivo crescere l'ansia e l'inquietudine, il disperato bisogno di vederlo si affiancava ad una paura pura, che mi faceva tremare dalla testa ai piedi.
A che sarebbe servito incontrarlo? Ormai avevamo due vite parallele, che probabilmente non avrebbero mai potuto incrociarsi. Ma cosa mi aveva spinto allora a salire su quel treno?
Forse era la voglia di sapere, di capire perché quel giorno mi aveva abbandonata, o forse la voglia di urlargli contro tutto quello che mi aveva fatto passare.
 Il desiderio di aggredirlo e di fargli capire quanto mi ero sentita sola, distrutta e delusa era accompagnato da un disperato bisogno di stringerlo a me e baciarlo. I miei pensieri contraddittori, mi inducevano a pensare di essere pazza.

*Ooh somebody - ooh somebody
Can anybody find me somebody to love ? *

Qualcuno potrà mai trovarmi qualcuno da amare? La voce di Freddie Mercury dava voce ai miei pensieri, anche se non avrei dovuto ascoltarla, riportava  a galla ricordi dolorosi.
"Ho deciso, questa sarà la nostra canzone" Decretò Marco dopo aver canticchiato qualche nota di Somebody To Love.
Quel giorno era raggiante, era come se avesse assorbito la luce del sole e me la stesse trasmettendo. Eravamo distesi sul prato, sotto il nostro albero preferito, abbracciati e innamorati.
"Perché mai una canzone così triste?", non capivo quella scelta,una canzone così malinconica perché avrebbe rappresentato il nostro rapporto?
"Perché noi lo abbiamo trovato, qualcuno da amare, Freddie sarebbe stato felice per noi".
La sua devozione verso i Queen lo faceva parlare di Freddie come l'essenza di un padre scomparso, o un amico d'infanzia.
"La vuoi finire di parlare di lui come se lo avessi conosciuto?", il mio tono era ironico, ormai ero abituata alla sua pazzia.
"Perché so che noi ci siamo conosciuti in realtà, in una vita passata probabilmente eravamo fratelli, o ero suo figlio".
 Il suo tono fiero mi fece sorridere.
"Tu ti fai troppi sogni ad occhi aperti", in realtà  era una delle cose che amavo di lui.
"Lo so che mi ami anche per questo, senza di me la tua vita sarebbe terribilmente noiosa ammettilo,  e poi sono un romantico, ti ricordo che ti ho fatta innamorare di me sin dal primo momento".
Il suo sorriso era così dolce e le sue mani non facevano che accarezzarmi i capelli.
Avevo il viso appoggiato sul suo braccio,ma a sentire questa frase scattai seduta, rossa di vergogna.
Ci aveva preso in pieno.
"Non è vero" urlai, cercando di difendermi, non volevo fare la figura della ragazzina che si innamorava a prima vista del ragazzo più grande.
"Oh si invece, me lo ricordo bene,  mi hai guardato con gli occhi a cuore da subito"
"Ma che diavolo dici idiota, non è vero...è stata tutta una tua illusione" .
Iniziai a colpirlo, o almeno a provarci visto che oltre a non farsi alcun male, non la smetteva di ridere. Mi afferrò per un braccio e mi fece distendere di nuovo.
Si distese sopra di me, con i gomiti appoggiati sul prato per non pesarmi, e mi guardò serio.
Aveva smesso di ridere e non faceva altro che guardarmi. Anche io lo guardai di rimando , avrei passato le giornate intere a guardarlo senza staccarmi.
I capelli biondo cenere erano tutti scompigliati, il viso arrossato dalla sforzo di difendersi da me poco prima, e gli occhi liquidi che si riflettevano nei miei, occhi scuri, profondi, capaci di farmi venire brividi per tutto il corpo.
"Dillo che mi ami più di chiunque altro", i suoi occhi magnetici, il suo viso così vicino al mio... avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa e gli avrei detto sì.
"Ti amo più di chiunque altro" , il mio sussurro flebile gli bastò. Si lanciò sulle mie labbra con voracità, con quella frenesia, quel desiderio che solo lui sapeva trasmettermi.
Le mie mani nei suoi capelli, sulle sue spalle, ovunque avessi la possibilità di toccare.
Le sue mani mi toccavano dappertutto , mi accarezzavano le cosce, il seno, i capelli, mi stringevano in una morsa di passione a cui non sarei mai stata capace di sfuggire.
La sua lingua bollente a contatto con la mia mi faceva andare a fuoco, potevo sentire un bruciore che partiva dal centro della pancia e si estendeva per tutto il corpo. Innamorati, vogliosi, eccitati, desiderosi l'uno dell'altra, noi eravamo tutto questo.
Ogni schiocco, ogni tocco, ogni attimo di quei baci era impresso nella mia memoria e il solo ricordo bruciava ancora.
Ormai ero quasi arrivata a destinazione, e avevo paura. Una maledetta paura.
Sarebbe potuto essere tutto diverso, peggiore. Come il risveglio di un sogno durato troppo a lungo.
Forse ero davvero troppo giovane per capire davvero l'amore.
 Scesi meccanicamente dal treno e presi un taxi per farmi portare nei pressi della piazza.
Guardavo distrattamente il panorama , persa nei miei ricordi...
"Posso baciarti?" Come poteva farmi una domanda del genere? Di solito gli uomini ti baciavano e basta. Lo guardai accigliata, non sapevo davvero cosa dirgli.
"Deficiente, avresti dovuto baciarmi e basta" , scoppiammo entrambi in una risata allegra, eravamo nel nostro posto preferito, quel salice piangente tra i boschi, poco lontano da casa mia.
Era sempre stato il mio posto solitario, ma qualcosa era cambiato. Il suo viso si avvicinò esitante al mio, incerto. Il mio cuore batteva a più non posso, ma avevo voglia di baciarlo, non mi sarei tirata indietro.
I nostri occhi erano incatenati, a pochi centimetri l'uno dall'altra, e poi accadde.
Quando le mie labbra sfiorarono le sue tutta la tensione passò. Non c'era più nulla intorno a me.
C'era solo lui, lui, l'unica cosa che desideravo ardentemente.
Mi aggrappai al suo corpo con tutte le mie forze, e approfondii quel bacio, che non avrei voluto fermare mai. Mi stupii di me stessa, non avevo mai desiderato tanto un ragazzo prima.
Da parte sua il desiderio non era minore, mi strinse a lui con forza, senza nessuna intenzione di lasciarmi.
Ansimanti ed eccitati, interrompemmo il bacio. I suoi occhi brillavano, probabilmente come i miei in quell'istante.
"Mio Dio piccola, non pensavo fossi così scatenata, credo che dovremmo baciarci più spesso".
Era capace sempre di fare dell'ironia ovunque. Avvampai per l'imbarazzo e cercai di allontanarmi da lui, ma la sua stretta era ancora forte.
"Se ti dà tanto fastidio questo mio lato, non baciarmi", ero stizzita.
"Ma che dici, è fantastico! Dovresti essere sempre così", il suo tono così euforico mi fece scoppiare a ridere, ormai arrendevole ai suoi modi di fare.
"Vorrei precisare che dovrai farlo solo con me, esclusivamente con me, se la cosa non era chiara", mi mancava il respiro, era una specie di dichiarazione?
"Cos'è, una proposta?" , lo provocai, ma dentro di me morivo in attesa di una risposta.
"Forse, forse vorrei che diventassi la mia ragazza... ".
Sì, sì, sì e ancora sì. Avrei voluto gridare di gioia.
"Ma certo" , non mi trattenni e lo baciai di nuovo, ebbra di felicità.
Quei ricordi erano così felici, così vivi. Fu L'estate migliore della mia vita.
Che idiota che ero stata a credere che sarebbe durata per sempre.
Ero stata stupida ad accantonare i problemi in un angolo  e ad aspettare che si risolvessero da soli.
 Lui non abitava nella mia città, era arrivato lì controvoglia, per incontrare dei parenti che non aveva voglia di conoscere.
A fine agosto sarebbe partito, ne ero consapevole, ma non volevo pensarci. Preferivo continuare a illudermi crogiolandomi nel mio sogno.
"Siamo arrivati" , la voce del tassista mi fece ritornare al presente.
Mi avviai lentamente verso la piazza, in quel posto di cui avevamo parlato tanto.
Sognavamo di trasferirci insieme a Roma. Lui ci era riuscito, io no. Arrivata nei pressi della piazza, mi mancò il fiato. Era lì. Per un attimo il tempo si fermò, era esattamente come me lo ricordavo.
Era lui per davvero, non era semplicemente il frutto della mia immaginazione.
Ad un tratto mi invase il terrore, cosa avrei dovuto fare a quel punto?
Il solo vederlo mi aveva provocato uno shock, a cosa avrebbe portato questo incontro?
Probabilmente a  nulla di buono. Tremante, cominciai a pensare che sarebbe stato meglio scappare, fuggire via da ricordi dolorosi e da una realtà impossibile.
Ero paralizzata. La piazza era gremita di gente, e io speravo che non riuscisse a vedermi, nonostante gli fossi di fronte.
Ma bastarono pochi attimi, il suo sguardo nel mio, il suo stupore, la sua corsa verso di me.
Corse a più non posso tra la folla, e quando arrivò davanti a me, il mondo si fermò.
Scoppiai in lacrime, mentre lui cominciò a toccarmi e baciarmi ovunque.
Le sue mani premevano con forza sul mio viso. La sua bocca mi ispezionava il viso, tranne le labbra, quello sarebbe stato troppo da sopportare.
"Quanto mi sei mancata. Finalmente, eccoti davanti a me".
 I suoi sussurri, simili a preghiere, erano come pugnalate nel cuore. Io continuavo a piangere, inerte, fra le sue braccia.
Finché le sue labbra non toccarono di nuovo le mie, e allora tutto perse senso.
Mi strinsi a lui disperata, bisognosa di quel contatto di cui mi ero privata da troppo tempo.
Sentire di nuovo il sapore della sua lingua, delle sue labbra mi stava facendo impazzire.
Non avrei dovuto farlo, non così, non senza aver chiarito nulla. Eppure non ce la facevo, avevo bisogno di lui. Le mie lacrime si confondevano tra i nostri baci, anche io gli ero mancata quanto lui era mancato a me? Non potevo saperlo, ma dal modo in cui mi toccava, mi baciava in preda ad un bisogno smanioso, pensai di non essere stata l'unica ad aver sofferto.
"Non avresti dovuto abbandonarmi, non avresti dovuto lasciarmi sola" , sussurravo tra un bacio e l'altro, la ferita che mi aveva inflitto era ancora aperta, e bruciava più che mai.
"Mi dispiace, sono stato un idiota, un idiota" , continuava a ripetere.
Questo però, non giustificava quello che mi aveva fatto.
Avrei dovuto staccarmi, schiaffeggiarlo, e invece lo seguii meccanicamente.
"Dove stiamo andando? ", dissi come in trance.
"A casa mia" , e senza che me ne accorgessi eravamo nel suo appartamento. Piccolo, accogliente, nel centro di Roma.
"Sarebbe dovuto essere il nostro" , la mia voce era spenta, flebile.
"Perché non sei venuto? Perché mi hai lasciato sola ad aspettarti? Ero così sicura che saresti venuto, che saremmo scappati insieme, alla ricerca della vita che desideravamo. Mi hai spezzato il cuore, mi hai fatta soffrire, mi hai distrutta, e ci hai messo cinque anni a ripensarci", le parole mi sgorgavano senza che avessi la forza di fermarle.
"Come hai potuto? Come? Mi hai illusa, ecco cos'hai fatto, e poi mi hai abbandonata, come un perfetto stronzo" , era solo una minima parte di quello che avrei dovuto dirgli, quante volte mi ero immaginata la scena, quella in cui gli avrei urlato tutto il mio dolore.
Ma quando incontrai i suoi occhi, vidi una sofferenza tale da farmi stringere il cuore. Non avrei dovuto provare compassione, non sarei dovuta arrivare fin lì e baciarlo così facilmente. Eppure mi era sembrata la cosa più naturale da fare, stringerlo forte a me.
"Paura. È questo che mi ha fermato. Stavamo così bene insieme che avevo una fottuta paura. Avevo il terrore che le cose sarebbero andate male, che non ce l'avremmo fatta. Era una cosa più grande di noi, fuggire via così da tutto e da tutti. Non avevo abbastanza coraggio, non mi sentivo pronto, non ero abbastanza uomo da poterti garantire un futuro, era una responsabilità troppo grande, tu avevi solo diciassette anni, io soli due più di te,cosa avremmo potuto fare?"
Già avevo solo diciassette anni, ed ero più coraggiosa di lui.
"Non so se questa scusa mi basti, non so se potrò perdonarti così facilmente".
"Vittoria, non capisci io ti amo, e continuerò a farlo. Quell'estate è stata la più bella della mia vita, non la dimenticherò mai, e mi sento un idiota per aver rovinato tutto. Ogni giorno ti ho pensata, ogni giorno il peso del mio errore mi faceva star male, finché non ho deciso che qualcosa doveva cambiare".
Ma come poteva cambiare? Come potevamo tornare quelli di una volta, così facilmente? La situazione si stava aggravando più di quanto pensassi. Non ce la facevo più a piangere, soffrire e penare per lui.
Non sapevo che fare. Mi bastava guardarlo per desiderare ardentemente di rimanere lì con lui, ma sapevo che prima o poi anche questo sogno sarebbe finito.
"Non so cosa pensare".
"Non pensare a nulla, e resta qui con me" , mi afferrò di slancio e mi baciò di nuovo. Stavolta più deciso, audace. La mia indecisione si stava sciogliendo lentamente.
Ad ogni bacio mi rendevo conto che andarmene da lui sarebbe stato un male fisico.
Non ero pronta a perderlo, non di nuovo. Avevo bisogno di lui, un bisogno disperato di averlo per me, completamente. Senza che me ne rendessi conto la mia maglietta era finita sul pavimento, stessa cosa per la sua. Le sue mani e la sua bocca mi distraevano da qualunque altra cosa.
Non mi accorsi di come mi prese in braccio d'impeto, ma il contatto col materasso mi fece tornare nelle realtà,ero fra le sue braccia, e stavo per fare qualcosa che non avrei dovuto, ma non me ne importava. Gli slacciai i pantaloni, mentre lui mi tolse la gonna. I nostri gesti erano frenetici, voraci, spinti da un desiderio da troppo tempo sopito.
Quel desiderio che mi divorava, mi faceva ardere come la fiamma di un incendio. Iniziai a sussurrare il suo nome, come se chiamarlo lo rendesse reale, come se avessi bisogno di una conferma, che non fosse un semplice sogno.
"Vittoria sono qui, e ti desiderio, più di ogni altra cosa", il suo tono implorante mi strinse il cuore.
"Anche io ti desidero, Marco, e tanto".
Nuda e tremante tra le sue braccia, mi lasciai amare da lui. Nel modo più profondo e intenso possibile.
Un rumore proveniente dalla strada mi fece risvegliare dal mio sonno.
Marco dormiva beato accanto a me, incurante delle mie preoccupazioni. Avevamo fatto l'amore, era successo davvero, eppure stentavo a crederci.
Avevo la folle paura che mi sarei svegliata, per scoprire che era tutto un sogno. Come era successo esattamente cinque anni prima.
"Domani Vittoria, domani sarà il nostro grande giorno, andremo dovunque vorremmo, liberi dalle nostre famiglie e dalla nostra vita" , era agosto ormai, e tra poco lui sarebbe dovuto partire, ma la nostra storia non poteva finire così.
Gli raccontai dei miei problemi con i miei genitori, con mia sorella, gli dissi come stavo conservando soldi da mesi in attesa di averne abbastanza per poter fuggire.
"E se scappassimo insieme?", aveva proposto. E così, il giorno seguente ero lì, sotto quel salice piangente, ad aspettarlo. Ero irrequieta, ogni minuto che passava il dubbio iniziava a insinuarsi dentro di me.
Una vocina dentro di me mi diceva che sarei rimasta sola, abbandonata, ma io facevo di tutto per fermarla. Senza che me ne accorgessi, crollai in un sonno profondo.
Lui veniva a prendermi, sorridente si scusava per il ritardo. Io lo perdonavo, e con un bacio ci incamminavamo verso la stazione. Mano nella mano, verso il nostro futuro. Ma ad un tratto qualcosa andava storto, una voce proveniente dall'alto continuava a ripetere il mio nome.
"Vittoria".
"Vittoria insomma, ti vuoi svegliare? ".
 Aprii gli occhi stanchi e incrociai quelli di mia madre, preoccupati. Mi guardai intorno, era giorno, ed ero sola. Avevo dormito tutta la notte, in attesa di qualcuno che non sarebbe arrivato. Sotto lo sguardo confuso di mia madre scoppiai in lacrime. Dopo un anno da quell'episodio fuggii via da quella città, dalla mia famiglia, per sempre. Senza nessuno al mio fianco.
Guardai il profilo di Marco, bello come sempre, sembrava aver perso ogni preoccupazione.
A me invece, continuava ad aumentare l'ansia. Non potevo restare lì, dovevo andare via, ma non potevo tornare a casa, non dopo tutto quello che era successo.
Non avrei avuto il coraggio di vedere Michele. Avevo bisogno di un rifugio, lontano da tutto.
Avevo bisogno di tornare sotto il mio salice, dove tutto aveva avuto inizio, e fine. Mi alzai di fretta e cominciai a rivestirmi altretanto in fretta, dovevo fuggire prima che si svegliasse. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi.
"Dove stai andando?" , la sua voce mi fece sobbalzare, ma ormai ero sull'uscio della porta, pronta a scappare.
"Ho bisogno di pensare, andrò dove tutto è cominciato" .
Sbattendo la porta corsi a perdifiato, arrivata alla stazione presi il primo treno diretto in Campania , sarei tornata nel Cilento, nella terra dei miei genitori.
Avevo le lacrime agli occhi e tremavo, avevo fatto una cosa avventata e stupida.
Per di più gli avevo detto dove ero diretta, e se mi avesse seguita? Forse in fondo ci speravo che l'avrebbe fatto. Durante il tragitto caddi in un sonno senza sogni.
Arrivata a destinazione guardai la città, nostalgica per un passato che non esisteva più.
Mi incamminai a piedi, sperando di non essere riconosciuta da nessuno. Quando vidi l'albero da lontano, ebbi un tuffo al cuore. Ero tornata lì, in quel luogo che mi aveva vista ridere, amare, piangere e disperare. Mi sedetti con la schiena appoggiata a quel grande tronco, pensai al giorno in cui era iniziato tutto.
Era ancora giugno, eppure il caldo di quella sera la faceva sembrare piuttosto una sera d'Agosto.
La casa era affollata di gente di cui non mi importava nulla, come tutte le serate organizzate dalla mia famiglia. Ma c'era una cosa che amavo di quel posto, ed era fuori, nel bosco.
Mi dileguai presto da quella folla indistinta per correre verso il mio posto segreto, un salice piangente. Quell'albero era il mio rifugio, quando la realtà intorno a me diventava troppo pressante.
Non mi piaceva andarci di sera, era poco illuminato, e da ragazzina quale ero, avevo paura del buio.
Ma quella sera avevo bisogno di lui. Ero sul punto di sedermi ai piedi del tronco, quando qualcosa mi fece urlare di spavento. C'era qualcuno, un' ombra che non riuscivo a distinguere mi fece tremare di terrore.
Ero sul punto di urlare di nuovo, quando una grossa mano si posò sulle mie labbra.
"Insomma vuoi stare zitta? Non ho certo intenzione di violentarti" .
La voce era di un ragazzo, probabilmente non molto più grande di me. Il suo modo di fare era decisamente scocciato, ma non mi convinceva, così gli morsi la mano, come unica difesa che mi venne in mente.
"Ahi, maledetta, perché diavolo sei venuta a disturbarmi? "
"Io? Sei tu quello venuto nel posto sbagliato! Questo è il mio rifugio e devi andartene, sei tu quello fuori posto, non io" , alzai la voce più del dovuto, e lui fu costretto a zittirmi.
"Oh, insomma vuoi fare silenzio? Ci ho messo una vita a fuggire da quella gente e non sono intenzionato a tornarci" .
Forse neanche a lui piaceva quella gente, forse eravamo più simili di quanto potessi credere.
Ma non potevo fidarmi.
"No che non me ne vado, hai capit..? ".
 Di nuovo la sua mano mi coprì la bocca, ma stavolta mi prese per il braccio e mi avvicinò a lui. La mia schiena toccava il suo petto, il suo braccio a cingermi la vita.
La sua bocca sfiorò il mio orecchio e un brivido mi percorse la schiena.
"Shh, zitta gattina... sta buona, siamo qui probabilmente per lo stesso motivo".
 Quelle parole sussurrate così vicine, il suo petto a così stretto contatto, e il mio cuore batteva all'impazzata. Per la timidezza, pensai ingenuamente. Purtroppo per me, anche lui se n'era accorto.
"Ti vedo tesa micetta, cos'è la troppa vicinanza ti ha fatta emozionare?" ,mi stava provocando deliberatamente.
"Non dire idiozie, neanche ti conosco e già dovrei emozionarmi per te?" , era ridicolo, lui era ridicolo.
Ma quando mi dimenai per liberarmi, riuscii a guardarlo in volto e ne rimasi sconvolta. Era bellissimo.
Il mio sguardo si soffermò troppo sul suo, incantato da quel ragazzo sbucato dal nulla.
"Non ti ho mai visto" , avrei notato un ragazzo del genere prima.
"Perché non so del tuo paese, sono qui in vacanza, e per la tua felicità ci rimarrò per tutta l'estate" era uno sbruffone, bellissimo, ma sbruffone.
"Ma cosa diavolo vuoi che me ne importi di te? Puoi anche andartene seduta stante, non sarà una grave perdita".
Era stupido pensare che se se ne fosse andato, in quel momento mi sarei sentita sola? Sì , lo era decisamente.
"Le tue parole dicono una cosa, ma i tuoi occhi da pesce lesso mi dicono tutt'altro".
Si divertiva a prendermi in giro, decisamente troppo invadente.
"Ma quale pesce lesso, cercavo di ricordare il tuo viso se un giorno dovessi denunciarti per molestie!" Il mio viso, già rosso, divenne color pomodoro maturo.
"Sei proprio un bel tipo, davvero carina quando ti arrabbi".
"Oh vai al diavolo" , iniziai ad incamminarmi verso casa, purtroppo per me il mio riparo era stato sconsacrato.
"Ehi, aspetta che ti dia la buonanotte" .
Mi afferrò per un braccio e mi tirò verso di lui. Un bacio a stampo, era quella la sua buonanotte. Un semplice bacio,che mi scombussolò completamente.
Mi staccai da lui mentre mi salutava dicendo.
"Sognami stanotte".
 Col cavolo pensai, non sarebbe mai riuscito ad entrare nei miei pensieri, mai. Anche se, non potevo ammetterlo, era già riuscito ad entrare nella mia testa più del dovuto.
Chi poteva immaginare cosa sarebbe successo quell'estate.
Chi poteva avvertirmi che lì avrei trovato il mio più grande amore, e lì lo avrei perso? Lui mi aveva ritrovata, ma cosa sarebbe successo ora? Che strada avrei scelto? Avevo un lavoro, una casa, un ragazzo.
Eppure i ricordi del passato si erano scaraventati su di me come un ciclone. Avevo due possibilità davanti a me, e non sapevo in che direzione andare.

Lord somebody,somebody, ooh somebody...Please...Can anybody find me somebody to love?

La voce di qualcuno che imitava la canzone dei Queen arrivò alle mie orecchie. Speranzosa, e anche un po' spaventata, non riuscivo a guardare chi fosse.
Continuava ad avvicinarsi, ma io avevo paura di alzare gli occhi. Alla fine mi arresi e lo guardai, mentre si avvicinava.
Ormai la mia decisione era presa.
Grazie Freddie, per avermi fatto trovare l'amore.


[ Capitolo betato da Lady Eloise , che ringrazio per la disponibilità e la collaborazione. Grazie mille!=) ]

Questa oneshot ha partecipato al concorso indetto da Eris :Un treno per...
Settima classificata, si è aggiudicata il premio Miglior personaggi..è una storia uscita così di getto, ispirata ai suggerimenti che mi erano stati dati. Una storia a cui mi sono davvero affezionata! Ho pensato fosse giusto pubblicarla insieme ai due bellissimi banner dati in premio ** grazie a chi è arrivato a leggerla fino alla fine! A chi (se e qualcuno) la commenterà o la inserirà tra seguite/preferite/ricordate ecc.
   
 
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