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Autore: Monte Cristo    12/09/2012    2 recensioni
Un soldato torna a casa dalla guerra per rivedere lei.
Ha una promessa da rispettare, ma il prezzo che ha pagato per essa è alto. Troppo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Replica



Nothing’s what it seems to be,
I’m a replica, I’m a replica
Empty shell inside of me
I’m a replica of me…


Sonata Arctica


Ti ricordi di me?
Prima di partire io vivevo qui, alla porta accanto alla tua.
Ti ricordi dei nostri incontri, sotto il platano di fronte alle nostre case?
Parlavamo a lungo, io e te, e il mondo intorno spariva quando mi sorridevi e tutto di te si illuminava mentre ridevi felice. Sei felice, oggi?
Ti ricordi le notti di agosto, passate sul tetto a guardare le stelle cadenti?
C’era solo un parapetto a dividerci in quelle sere lontane, una fragile barriera tra le nostre terrazze, ma noi tacevamo e non osavamo sfiorarci, gli occhi fissi sulla volta buia del cielo, i nostri cuori talmente vicini da potersi toccare.
Ricordi l’autunno della città, quando tu camminavi tra le foglie cadute e alzavi le mani per farti accarezzare dalla pioggia che veniva giù leggera solo per te?
Ti ricordi come, sotto le nubi scure, con la neve che cadeva lentamente e il Natale alle porte, cercavi la mia mano e ti aggrappavi a me per non scivolare sul ghiaccio argentato?
Tutto, tutto questo è ancora inciso dentro me, come un’ustione che brucia, profonda, insopportabile.
E poi, quel giorno, quel giorno maledetto, lo ricordi?
Eravamo in piedi accanto al treno scuro, in mezzo al vapore e alla nebbia del mattino, e non si riusciva a capire dove terminasse l’uno e dove iniziasse l’altra. Il mondo era immerso nel nulla, il tempo sospeso. Quanto avrei voluto che lo fosse in eterno! Tu mi guardasti in silenzio, i tuoi occhi carichi di mille parole e mille pensieri, e, più di tutto questo, delle stelle che vedemmo gettarsi nel vuoto della notte in quell’agosto lontano. I tuoi occhi azzurri, due cieli traboccanti di desideri incompiuti. E il silenzio tra noi, in quell’ora, più denso di ogni discorso, di ogni parola, di ogni suono.
Ti ricordi di me, soldato partito per la guerra?
Il tuo addio, quanto si impresse dentro di me perché, in mezzo alla paura e al sangue della guerra, io continuavo a portarlo dentro di me.
Ricordi il mio giuramento?
Mai, mai lo dimenticherò. Fu la mia salvezza quando mi accasciai nel fango e pensai di lasciarmi andare, di essere troppo stanco per rialzarmi, fu la mia salvezza quando la tentazione di abbandonarmi laggiù mi assalì feroce, fu la mia salvezza, allora. Fu la mia condanna.
Eccomi qui, ora, dopo tanto tempo, ti ricordi di me?
Sono dietro alla tua porta, sono qui che aspetto che lei me la apra, ma non tremo, non sento caldo, non sento freddo, sono come un guscio svuotato, non ho più nulla dentro me. Lei, quella ragazza, ha i tuoi occhi, azzurri, limpidi, ma nessuna delle stelle che vedemmo cadere noi insieme si riflette nel suo sguardo. Ti somiglia, ma è così diversa da te. So chi è, posso capirlo. Mi hai dunque dimenticato? No, non posso credere a questo.
Entro, e ti vedo là, distesa in quel letto vecchio come la nostra giovinezza, logorato come la nostra felicità. I tuoi occhi sono chiusi, i tuoi due cieli d’agosto, incastonati in un volto che non sembra più tuo.
Mio Dio, quanto tempo è passato? Quanto?
Non riesco a vedere i tuoi occhi, sono serrati sotto le palpebre sottili, in un volto increspato di sogni perduti, come le vecchie foglie d’autunno, spazzate via dal tempo che scorre. Il tuo sorriso, luminoso di primavera, non c’è più. Vedo solo le tue labbra distese in un’espressione di pace.
Apri gli occhi, ti prego. Guardami: sono tornato. Ti ricordi di me?
Avevo giurato, quel giorno alla stazione, avevo promesso di essere di nuovo qui con te, un giorno.
Ti ho ricordato, sempre. La partenza, la guerra, io ricordo. Ricordo il fuoco, ricordo il tuono, e il buio, ricordo il sapore del sangue.
Tu non lo sai, ma loro mi hanno preso.
Potevo andare, potevo lasciarmi indietro il resto, potevo dire di no. Ma avevo giurato. Ho giurato.
Sono qui ora. Ma tu, tu non ti svegli, non ti volti, non mi guardi. Perché?
Mi vuoi lasciare? O mi hai trattenuto nel tuo cuore tutto questo tempo?
Io ti ho sigillato nel mio. Anche se poi me l’hanno strappato. Ora ho un guscio vuoto di metallo dentro me. Ma sono qui, l’avevo giurato.
Sei guarita con il tempo? O hai voluto mantenere aperta la ferita della separazione?
Io l’ho lasciata ardere, mille e mille istanti di sofferenza. Anche se poi mi hanno richiuso ogni squarcio, ogni breccia del mio corpo, ricuciti. Ma sono qui.
Hai raccattato e riparato i frammenti? O li hai lasciati sparsi per terra, un’anima completamente infranta?
Io i miei pezzi li ho abbandonati ai piedi del mio essere, scaglie perdute di me stesso. Anche se poi li hanno gettati via e sostituiti con pezzi nuovi, saldati dentro me.
Ma sono qui, sono qui.
Ti ricordi di me?
Ecco, apri gli occhi, ti giri, mi vedi. Il tuo volto, anche se invecchiato di tanti anni, ora mi sembra ancora lo stesso. Sorridi, ma i tuoi occhi sono lontani. Mi vedi? Mi vedi? Che cosa stai guardando davvero? Me? O qualcosa che io non posso vedere?
Ti ricordi di me?
Chiudi gli occhi, sospiri e rimani immobile. Lei, così giovane, così simile a te, si inginocchia e i suoi occhi, uguali ai tuoi, si bagnano.
Mi stai lasciando? Ma io ho giurato, e l’hai fatto anche tu. Hai giurato, abbiamo giurato. Non puoi andartene. Non puoi lasciarmi. Non adesso, non ora che sono qui.

Cammino lungo il viale alberato, il nostro viale, dove un tempo ci rincorrevamo. Quanti anni fa è stato? Non lo ricordo, non riesco a ricordare. Te ne sei andata. Io ho mantenuto la mia parola, e tu?
Prima di andartene, ti sei ricordata di me?
Prima di partire ero l’uomo che viveva. Non più, ora.
Ti sei ricordata di me?
Sto scontando la mia condanna, e sono tornato da te, oggi. Anche se non sono più io. Ingranaggi e circuiti al posto di me. Sono solo una replica di me.
Ho giurato di tornare da te a qualunque prezzo. L’ho pagato. Era alto, ma l’ho pagato. Sono qui, da te, dopo così tanti anni, un guscio esteriore uguale a tanti anni fa. Fuori sembro ancora io, ma non è come sembra. Dentro, tutto è cambiato.
Un’esplosione mi ha squarciato, uno scienziato mi ha ricostruito. No, non sono più io. Sono un robot, una replica di me.
Sei partita, andata in un posto che ho perduto, dove ormai non potrò mai più raggiungerti. Sono una macchina, ora. Ma sono tornato qui da te.
Ti sei ricordata di me prima di partire?
Chi ha mantenuto il giuramento? Io o te?


 

Note

Ho scritto questa storia anni fa, ispirata dalla canzone dei Sonata Arctica e l'ho pubblicata e cancellata parecchie volte. Tuttora, comunque, è una delle cose che ho scritto che mi piacciono di più anche se non saprei spiegarne il motivo.

  
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