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Autore: Julia Veiss    12/09/2012    13 recensioni
La mattina dopo una sbronza è il momento perfetto per creare: non sei ancora del tutto in te e il mondo appare irreale. Le mie canzoni migliori le ho scritte così.
-Da Rolling Stone, gennaio 2012
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Un altro, grazie».
Prendo in mano per l'ennesima volta la bottiglia di brandy e verso per l'ennesima volta il liquido dorato nel bicchere con il bordo sporco di rossetto. Mi allontano di qualche passo e una volta estratto lo straccio dalla tasca del grembiule inizio a pulire il bancone, scrutando con la coda dell'occhio l'ultima cliente rimasta, che se ne sta seduta sull'angolo. 
Questa porta il bicchiere alla bocca, lentamente, beve qualche sorso e poi lo riposa sul bancone, con gli occhi persi nel vuoto. Le dita lunghe, pallide ed affusolate giocherellano con una ciocca di capelli rossi rimasti fuori dalla molletta, messa apparentemente a casaccio sulla nuca. 
Il locale, un piccolo pub nella periferia dell'uggiosa Londra di metà novembre, è così silenzioso che si può sentire il ticchettio del grande orologio appeso vicino alla porta. Segna quasi l'una del mattino. Sbadiglio e mi stropiccio gli occhi, assonnato. Gli angoli della bocca della donna dai capelli rossi abbozzano un sorriso, anche se lei continua a fissare il vuoto. Beve gli ultimi di sorsi di brandy e si alza lentamente. Cerco di mascherare il mio sollievo con tutte le mie forze.
«Da quanto tempo dovresti essere a casa?» dice la donna rassettandosi l'abito grigio tutto stropicciato che le arriva fino al ginocchio con noncuranza. Ha una voce molto delicata, sottile, come in fruscio delle foglie trasportate dal vento.
«Beh... più o meno due ore» dico cercando di sembrare il meno assonnato possibile. 
«Quant'è? Per l'alcol, intendo» dice lei fissando il bicchiere vuoto. Da quando lavoro qui non ho mai visto nessuno bere così tanto in un colpo solo, eppure sembra stranamente sobria. Torno rapidamente dietro al bancone, e picchietto qualche numero sulla vecchia cassa arrugginita.
«Venti sterline» dico sottovoce, quasi vergognandomi. 
La donna mette la mano in una tasca del vestito ed estrae un portamonete color borgogna, uno di quelli con le clip argentate come quelle delle vecchiette al supermercato. Tira fuori un fermaglio per capelli azzurro, uno scontrino, una matita per gli occhi e un piccolo batuffolo di lana verde e, finalmente, qualche monetina e un paio di banconote usurate.
«Con questi arrivo a tredici» dice in un soffio. Nel locale scende un silenzio imbarazzato. Non sono mai stato portato per gli affari, fosse per me la lascerei andare ma se il mio datore di lavoro mi scoprisse per me sarebbe la fine. Restiamo in silenzio per un paio di minuti, quando la donna finalmente apre bocca:
«Posso cantarti una canzone. Ti va?» dice alzando lo sguardo dalla punta delle scarpe e guardandomi con i grandi occhi verdi come il bosco.
Per un attimo rimango spiazzato ma senza pensarci accetto, e quando annuisco con forza vedo una luce che le si accende negli occhi. Ho sempre amato la musica, con tutto il mio cuore. La donna sorride compiaciuta, chiude gli occhi e fa un respiro profondo.
 
A falling star fell from your heart and landed in my eyes
I screamed aloud, as it tore through them, and now it’s left me blind.
 
Resto letteralmente senza parole. La sua voce è come un sussurro, un soffio, e se chiudo gli occhi mi fa venire in mente quel venticello leggero che ti muove appena i capelli quando sei in riva al mare.
 
The stars, the moon, they have all been blown out
You left me in the dark
No dawn, no day, I’m always in this twilight
In the shadow of your heart
And in the dark, I can hear your heartbeat
I tried to find the sound
But then it stopped, and I was in the darkness,
So darkness I became.
 
La sua voce cambia improvvisamente. Da mare tranquillo si trasforma in un mare in tempesta, con la schiuma bianca e barche sballottate qua e la, in balia delle onde. 
 
The stars, the moon, they have all been blown out
You left me in the dark
No dawn, no day, I’m always in this twilight
In the shadow of your heart
I took the stars from our eyes, and then I made a map
And knew that somehow I could find my way back
Then I heard your heart beating, you were in the darkness too
So I stayed in the darkness with you.
 
Le ultime note della canzone si spengono nell’aria, dopodichè resta il silenzio. La donna si sistema una ciocca di capelli dietro all’orecchio e si risiede, con un’espressione compiaciuta.
Io sono ancora incantato dalla sua voce. Sbatto le palpebre e mi sembra di risvegliarmi da un sogno.
«Beh, io...»balbetto. «Come faccio a darti il resto? Questo valeva di più di venti sterline» dico a mezza voce, arrossendo.
La donna abbozza un sorriso e si avvia verso l’appendiabiti dietro alla porta e prende l’unico indumento appeso, una giacca di pelle nera con le maniche un po’ troppo corte.
«Buonanotte» dice con un sussurro quasi impercettibile. Lancia un ultimo sguardo distratto al locale prima di aprire la porta.
«Come ti chiami?» dico tutto d’un fiato. Non voglio che se ne vada, lei e la sua splendida voce, cerco disperatamente di trattenerla il più che posso. Ogni istante è prezioso.
Lei si volta e mi sorride, il primo vero sorriso da quando è entrata nel locale, ormai parecchie ore fa.
«Florence» dice un secondo prima di spalancare la porta e sparire, gettandosi nella notte fredda e gelida. 
 
 
  
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