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Autore: Princess of the Rose    13/09/2012    2 recensioni
Non poteva dire di essere stato il padre perfetto: non aveva avuto un rapporto vero con le figlie fino a quando c’era stato quell’“incidente” con Caterina, e anche oggi gli risultava difficile capirle davvero.
Non le conosceva bene come avrebbe voluto, ma fin da subito aveva notato in certo cambiamento nelle due: il loro rapporto stava diventando sempre più esclusivo, intenso e stretto.
Partecipante (o meglio, ex-partecipante) al Contest on Incest indetto da kakashina 1997
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Nome: Princess of the Rose
Titolo: Il bosco delle viole.
Luogo scelto: Bosco
Trama: Non poteva dire di essere stato il padre perfetto: non aveva avuto un rapporto vero con le figlie fino a quando c’era stato quell’“incidente” con Caterina, e anche oggi gli risultava difficile capirle davvero.
Non le conosceva bene come avrebbe voluto, ma fin da subito aveva notato in certo cambiamento nelle due: il loro rapporto stava diventando sempre più esclusivo, intenso e stretto.
Rating: Arancione
Avvertimenti: Shoujo-Ai, Incest (ovviamente XD ), One-Shot
Beta-reading: No
Note: Allora… premetto che io non sono una fan dell‘incest, salvo per una coppia soltanto, ma di un altro fandom: però, questa storia mi ha preso molto, e spero che la mia antipatia per il genere non abbia compromesso una storia di cui, tutto sommato, vado abbastanza fiera. Forse sarebbe stata meglio come long-fic che come one-shot, c’erano così tante cose che avrei voluto scrivere… Ma va be’, la mettrò tra i progetti da realizzare XD. Inoltre, questa è la prima originale che scrivo, quindi non guasterebbe un po’ di clemenza (anche le critiche costruttive sono ben accette ^^ )
Spero che la lettura sia piacevole, e… be’, non ho altro da aggiungere.
PS: Le linee __________ rappresentano salti temporali molto lunghi, più lunghi di un anno, mentre gli spazi bianchi stanno ad indicare un passaggio di tempo più corto di un anno. Spero che si capisca, comunque XD
Enjoy!
 
 


 
 

“Cassandra: dal greco Kassandra, femminile di Kassandros; è composto da kad, ‘eccellere’, e da andrò, ‘uomo’, il significato è dunque ‘uomo che eccelle, trionfatore.”
 
Margherita rilesse altre due volte le righe davanti ai suoi occhi, prima di chiudere il ‘Libro dei Nomi’ e sorridere. Aveva fatto la sua scelta.
Si alzò dall’albero contro cui era poggiata e corse verso casa, felice di essere riuscita nel compito che i suoi genitori le avevano affidato. Certo, era stato difficile: non credeva che ci fossero così tanti nomi al mondo, con così tanti significati diversi; ma era sicura di aver scelto bene: Cassandra era il nome perfetto per la sua sorellina.
La bambina di cinque anni sorrise. Non vedeva l’ora di dirlo ai suoi!
<< Mamma! >> esclamò, entrando in cucina dalla porta di servizio. Pierpaolo, impegnato a pelare della patate nel lavello, sorrise quando, voltandosi, i suoi occhi verdi si posarono sulla sua primogenita.
<< Marghe’, non correre per casa. >> disse, posando gli utensili da cucina e prendendo la piccola in braccio.
<< Papà, papà dov’è mamma? Devo dirle il nome della mia sorellina! >>
<< Hai già scelto? >> chiese l’uomo, lievemente sorpreso. La bambina annuì vigorosamente, per poi aprire il libro e mostrare la sua scelta. << Cassandra. >> disse orgogliosa. Pierpaolo  ne lesse brevemente il significato, per poi guardare la figlia con fare un po’ scettico.
<< Cassandra. Non è un po’ vecchio come nome? >> chiese, dirigendosi verso la camera da letto dove sua moglie si stava riposando. << Fino a ieri volevi chiamarla Anna. >>
<< No no >> disse Margherita, muovendo anche il ditino per enfatizzare le sue parole. << Quando avevo scelto Anna non ero ancora arrivata a Cassandra. E poi non è un nome vecchio, io lo trovo molto carino! >>
Pierpaolo scosse la testa, sorridendo. I bambini cambiavano idea così facilmente.
Salì le scale, e si diresse verso la sua camera da letto, senza mettere giù Margherita, che continuava ad elencare i motivi per cui Cassandra era il nome perfetto. Una volta arrivato, aprì la porta della stanza e mise giù la piccola, la quele corse subito verso sua madre, una donna che mostrava tutto fuorché i suoi trent’anni anni, resa ancora più bella dalla gravidanza avanzata. Pierpaolo sorrise, prima di tornare in cucina a preparare il pranzo.
<< Mamiiiii!!!!> esclamò Margherita, salendo sul letto e poggiando le mani sul grande ventre che ospitava la sua sorellina, la quale salutò quel tocco con un piccolo calcio.
<< Merghe’, che succede? >> chiese Caterina, accogliendo nella sue calde braccia la sua primogenita.
<< Ho scelto il nome della mia sorellina! >> disse la piccola, carezzando il pancione della madre con la devozione che solo un bambino può dare nei confronti di qualcosa di così meraviglioso.
<< Davvero? Quale hai scelto allora? >>
Margherita sorrise, aprendo il libro e mostrando il nome con il ditino. << Cassandra! >>
<< Cassandra. E’ molto bello, tesoro. Ma credevo volessi chiamarla Anna. >>
<< No, Anna non mi piace più! Preferisco Cassandra! >>
Caterina rise, carezzando i morbidi capelli castani della figlia.
<< E Cassandra sia. Guarda, credo che le piaccia. >> disse, prendendole la manina e poggiandola poco al di sopra dell’ombelico, dove il feto stava dando dei piccoli colpetti. Margherita sorrise, interpretando quei gesti come se fossero un segno di approvazione! << Evviva, piace anche a lei! >>
<< Marghe’ >> la voce di sua madre si fece più seria, catturando subito la sua attenzione. << Ricordati che presto sarai una sorella maggiore. Dovrai prenderti cura di lei e proteggerla in tutto, chiaro? >>
Margherita annuì energicamente. << Lo giuro su Gesù. >> disse, posando una mano su cuore e guardando il crocefisso appeso sopra il letto matrimoniale.
Caterina sorrise.
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Cassandra Ciancarelli nacque in un piovoso giorno di ottobre. Caterina ebbe le doglie alle quattro del pomeriggio e, dopo un travaglio di cinque ore, Pierpaolo poté abbracciare una bellissima bambina di tre chili e mezzo, in perfetta salute. Quando la neonata venne messa nelle esili braccia di Margherita, seduta sul letto dell’ospedale vicino alla madre, la cinquenne provò un po’ di delusione: non credeva che i bambini piccoli fossero così… bruttini. Tutti i fratellini delle sue amichette erano così carini e paffuti.
<< Allora, che ne pensi della tua sorellina? >> chiese Caterina, ancora un po’ stanca per il parto, ma decisamente felice.
<< Non so. >> rispose Margherita, osservando perplessa la cosina che si muoveva nella sue braccia. << Me la immaginavo diversa. >>
<< Diversa in che senso? >> chiese la donna, perplessa.
<< La sorellina di Chiara non è così piccola. >> rispose, passando la neonata alla madre quando questa si mise a piangere.
<< Perché è appena nata. Quando crescerà diventerà più grande, come quando sei nata tu. >> disse, non aspettandosi lo sguardo inorridito che Margherita le rivolse dopo quelle parola.
<< Io ero così?! >>
<< Ovvio. Perché, some pensavi di essere? >>
La piccola deglutì, guardando prima le manine della sorellina, attaccate al seno della madre mentre veniva allattata, e poi le sue, trovandole decisamente diverse in grandezza. Non ricordava di essere stata così minuta.
<< Ero così… brutta? >>
Caterina la guardò perplessa per qualche istante, per poi scoppiare a ridere leggermente. << Ma che ti viene in mente? Tu non eri affatto brutta, anzi! Eri bellissima, proprio come Cassandra. >> disse dolcemente, carezzando prima i capelli della cinquenne, poi la vellutata guancia della neonata, che continuava a bere il latte materno indisturbata.
Margherita non sembrava convinta, ma decise di non replicare. Invece, si mise ad osservare la sua sorellina, la quale, dopo aver fatto il ruttino, aveva chiuso i grandi occhi verdi, addormentandosi beata tra le braccia della madre. Alla fine, sorrise, rinnovando dentro di sé la promessa di essere la migliore sorella maggiore della mondo.
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Margherita aveva sei anni, e Cassandra uno.
Erano andate al centro commerciale per rinnovare il guardaroba della più piccola di casa Ciancarelli, la quale, come Caterina aveva detto alla maggiore l’anno precedente, stava crescendo a vista d’occhio. Adesso arrivava poco al di sopra della vita di Margherita - che era comunque piuttosto alta per la sua età - sapeva camminare da sola e riusciva già a dire qualche parola più articolata di “mamma” o “papà” o “pupù”. Era diventata più paffutella, e sulla testa si stava lentamente formando una folta chioma biondiccia, eredità di sua madre. Per la gran parte dei parenti della famiglia, era una bambina adorabile.
Margherita la teneva per mano mentre camminavano per i negozi, fermandosi ogni tanto ad ammirare le vetrine colorate e gli adorabili vestitini. Vicino a loro, Caterina spingeva il passeggino vuoto, controllando con attenzione maniacale i prezzi della merce - in tempi di crisi, era meglio risparmiare anche se lo stipendio di un avvocato e un chirurgo permettevano uno stile di vita decisamente al di sopra della media.
<< Allora, Cassy, cosa ti piace? >> chiedeva Margherita alla sorellina, indicando una vetrina piena di completini.
<< Magghe, Magghe! >> rispose Cassandra, abbracciando la maggiore, la quale sospirò esasperata, arrossendo lievemente.
<< Non io, sciocchina! Io dicevo i vestiti! Ti piacciono i vestiti? >>
Cassandra sembrò non capire le parole dell’altra, o, comunque, non fece segno di averle comprese, limitandosi a strofinare la guancia contro il suo ventre. Caterina rise alla scena.
<< Forza ragazze, non rimanete indietro. >> disse, entrando dentro un negozio, seguita a ruota dalle figlie.
Mentre la donna parlava con le commesse, le due girovagavano allegramente fra i manichini, giocando a rincorrersi.
<< Margherita, controlla tua sorella. >>
<< Si mamma! >> esclamò questa, per poi toccare la spalla di Cassandra. << Ahaha, ora è il tuo turno! >>
<< Magghe, Magghe!!! >> esclamò la più piccola, mettendosi a rincorrere la maggiore; quest’ultima rise, nascondendosi dietro dei vestiti per non farsi vedere e aspettando che Cassandra la trovasse. Dopo qualche minuto, uscì fuori dal suo nascondiglio, impensierita dal tempo che la più piccola ci stava mettendo per trovarla. Si guardò attorno, cercando la sorellina.
<< Cassy! >> la chiamò. << Cassy, dove sei? >>
Sempre più preoccupata dalla mancanza della famigliare testolina bionda, si mise a cercare Caterina, sicura che la più piccola fosse tornata da lei lamentandosi di << Magghe che non si faceva mai prendere. >>
Poi, accadde tutto in un attimo: l’urlo di sua madre e delle commesse, l’uomo della vigilanza che si gettava addosso ad una donnona vestita con abiti scuri, strappandole dalle braccia una bambola bionda; poi, Caterina che correva verso il poliziotto, prendendo in braccio il pupazzo - che non era un pupazzo: era Cassandra, addormentata e pallidissima; Caterina continuava a strillare, cullando il corpicino inanimato, mentre una delle commesse era al telefono.
Margherita rimase immobile, cercando di capire cosa stesse succedendo. Si avvicinò con timore a sua madre, chiamandola e picchiettando leggermente su una gamba. Caterina si voltò, il viso rigato dalle lacrime e sconvolto dalla paura presto si deformò in un’espressione di rabbia.
Lo schiaffo che ricadde sulla sua guancia fu improvviso quanto doloroso.
<< Stupida! >> urlò Caterina << Ti avevo detto di badare a tua sorella! Lo sai che non devi lasciarla sola. Stupida! Stupida! Stupida! >>
Margherita fissò sua madre in un muto orrore, deglutendo a fatica, la guancia che pulsava dolorosamente e il piccolo cuoricino spezzato dalle efferate parole di sua madre e dal vociare agitato dei medici dell‘ambulanza.
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Margherita aveva dieci anni, Cassandra cinque.
La casa dei Ciancarelli era a pochi passi da un bosco, vecchio residuo di una deforestazione del regime fascista. Non era molto grande, ma era decisamente un bel pezzo di natura considerato che si trovava a pochi passi dalla caotica Roma.
Margherita amava rifugiarsi lì: sotto uno di quegli abeti, aveva scelto il nome di sua sorella; vicino ad un cespuglio di more, Gianmaria le aveva dato il suo primo bacio; in un piccolo prato, a pochi passi dall’entrata del bosco, dove crescevano solo viole, spesso si metteva a studiare o a leggere.
Era il suo piccolo rifugio privato, lontano dalle compagne stupide, dalla madre, perennemente semi-ubriaca, e dal padre assente per ‘viaggi di lavoro‘, e da Cassandra, che da cinque anni cerca la sua compagnia. E da cinque anni, Margherita la respinge, infastidita dal quella bambinetta paffuta che la chiama con la sua voce acuta e sgraziata, che la seguiva dappertutto; sfortunatamente, in una delle rare decisioni che da qualche anno a questa parte prendevano di comune accordo, i suoi genitori avevano deciso che le due frequentassero la stessa scuola, quindi neanche lì poteva rimanere da sola.
La decenne sospirò, continuando a sfogliare il libro di matematica, cercando di destreggiarsi fra le varie operazioni. Non le andava di chiedere aiuto a sua madre: nel migliore dei casi, l’avrebbe trovata ubriaca fradicia - anche se erano solo le quattro del pomeriggio - o, anche se fosse stata sobria, gli sguardi di puro odio che le riservava facevano tacere sul nascere qualunque richiesta d’aiuto.
Caterina non le aveva mai perdonato il quasi-rapimento di Cassandra. Quando era sobria, si comportava come una madre solo con la più piccola; quando era ubriaca, non perdeva occasioni per rinfacciare a Margherita il suo errore, accusandola di essere la rovina della famiglia, il motivo che aveva messo in crisi il matrimonio e per cui Pierpaolo tornava a rincasava sempre tardi con addosso un profumo che non era quello di sua madre.
In cinque anni di critiche abbondanti, di paragoni degradanti - << Cassandra a quattro anni già sa leggere, a te è servito andare a scuola per imparare. >> oppure << Cassandra ha dei bei capelli, vero? Non come i tuoi, che hanno il colore della merda, proprio come quelli della famiglia di quel porco di tuo padre. >> o ancora << Scrivi meglio! Hai dieci anni, ma Cassandra scrive meglio di te, ed è più piccola! Possibile che sei così ritardata?! Migliora, signorina: non posso sprecare soldi inutilmente per la tua istruzione! >> - e insulti, Margherita era cresciuta in fretta: dieci anni ne dimostrava solo nell’aspetto, col volto ancora pienotto e i primissimi accenni di curve sul suo corpo di futura donna. Nella mente e nel comportamento, ne dimostrava tre o quattro di più. Infatti, col padre perennemente assente, la madre che la ignorava, e Cassandra troppo piccola per poterla aiutare, si era abituata fare le cose da sola, a non contare sull’aiuto altrui. Ed era meglio così, visto che quando mostrarsi disponibile non le aveva giovato a nulla, ne in famiglia ne a scuola, dove era il bersaglio della classe da quando sua madre aveva fatto un commento molto offensivo sul suo taglio di capelli, davanti a tutti, quando era venuta a prenderla scuola: da quel giorno, lei era << Faccia da cavallo >>, o << Capello di merda >>, per chi, tra i suoi compagni, era così trasgressivo da dire parolacce. 
Margherita sospirò, decidendo che era meglio concentrarsi su matematica che sulla sua famiglia disastrata, ignorando con forza le piccole gocce d’acqua che bagnavano le pagine del libro che stava studiando.
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Margherita aveva undici anni, Cassandra sei.
Le condizioni psichiche di Caterina peggiorava di giorno in giorno. Il matrimonio con Pierpaolo era in crisi già da quando aveva scoperto di essere incinta di Cassandra: la felicità per la lieta notizia era durata poco, sorpassata dalle preoccupazioni finanziarie e di salute. Caterina aveva già subito due aborti dopo la travagliata gestazione di Margherita, che l’avevano profondamente segnata e, pur di riuscire a dare alla luce la tanto sospirata secondogenita, era disposta a mettere a rischio la sua carriera di promettente chirurgo; cosa che Pierpaolo non era disposto a fare: << Sei matta?! >> le diceva << Hai trent’anni anni, per la tua età una posizione simile è un miracolo! Perché vuoi buttare tutto all’aria per quel bambino? Potrai averne altri, sei giovane, maledizione! E poi ho già rischiato di perderti due volte! Abbiamo Margherita: non ti basta lei? >>
No, a Caterina non bastava una figlia sola: contro tutto e tutti, si era presa  un anno di licenza per maternità, sopportando stoicamente il dolore della quarta gravidanza, e dando alla luce la bella Cassandra.
Che gioia era stata, poterla finalmente tenere in braccio: pienamente in salute, mostrava una grande vivacità già da quando era nata; aveva poggiato quasi con riverenza una mano sul piccolo petto, ancora incredula che avesse potuto dare alla luce un miracolo simile.
Cassandra era stata tanto desiderata dalla mamma; la stessa cosa non poteva dirsi del papà: Pierpaolo era stato felice, ma non con lo stesso slancio con cui lo era stato per Margherita, visto che la sua era stata una gravidanza programmata e attesa, mentre quella della secondogenita era stata più un capriccio di Caterina.
Il rapporto tra i due era andato incrinandosi, così come la sanità mentale di Caterina, ancora provata dai due aborti precedenti e dalla preoccupazione nevrotica che aveva nei confronti della più piccola, mentre Margherita passava sempre più in secondo piano nei pensieri dei due genitori.
Poi, un anno dopo, era accaduto il fattaccio: Cassandra aveva rischiato di essere rapita da una zingara squilibrata; e il rapporto con la maggiore delle sue figlie - accusata di imperdonabile negligenza - e col marito - che la accusava di essere una madre orribile, se per un suo errore accusava una delle sue bambine - si era spezzato per sempre.
Caterina e Pierpaolo, per il bene delle figlie, avevano deciso di non divorziare; Caterina aveva iniziato a bere, e Pierpaolo ad essere sempre più assente da casa.
Cassandra veniva continuamente riempita di attenzioni dalla madre, mentre Margherita era diventata il quarto incomodo in quella famiglia ormai distrutta, disprezzata dalla madre e praticamente ignorata dal padre.
 
 
L’8 settembre sarebbe stato il primo giorno di scuola media per Margherita, e il primo di elementare per Cassandra.
Nel suo zainetto rosa, la minore aveva tre quaderni, due a righe e uno a quadretti, con sopra disegnate delle fate, un astuccio color carta da zucchero con un piccolo pony rosa disegnato sopra, un panino alla nutella e un succo di frutta all’arancia; nel suo zainetto blu, la maggiore aveva tre quaderni a quadretti monocolore, uno nero e due bianchi, il consunto astuccio rosa che usava dalla prima elementare, e una merendina al cioccolato. Cassandra aveva i lunghi capelli biondi legati in due treccine, e indossava la divisa della scuola - una camicetta azzurra sotto un maglioncino nero, una gonna dello stesso colore e lo stemma dell’istituto cucito a livello del cuore - perfettamente stirate; Margherita aveva i corti capelli castani pettinati all‘indietro, la frangia era tenuta da una piccola forcina, e indossava la divisa della quinta elementare, perché sua madre non gliene aveva voluta comprare una nuova - << Ancora ti sta. >> aveva detto, nonostante la camicetta non si abbottonasse a livello del petto e l’elastico della gonna fosse quasi del tutto rovinato.
Prima di lasciarle andare, Caterina diede tre baci sulla guancia a Cassandra, abbracciandola forte e facendole gli auguri; a Margherita, riservò una debole carezza e un minaccioso << Fai attenzione a tua sorella. >> per poi andare via.
Cassandra salutò sua madre con la manina fino a quando non la perse di vista, per poi prendere quella della sua sorellona, trascinandola verso gli altri bambini.
<< Marghe’ mi presenti i tuoi amici? >> chiese allegramente, i grandi occhi verdi sembravano brillare di luce propria.
<< No, tu vai con quelli della tua classe, scema. >> disse sgarbatamente la maggiore, scrollandosela di dosso - ignorando lo sguardo ferito dell’altra - e dirigendosi verso Chiara Ascalese e Giulia Ottaviani, le sue uniche amiche in cinque anni di scuola elementare.
<< Oi, Marghe’! >> la salutò allegramente Chiara, una moretta paffuta, con lievi lentiggini attorno gli occhi azzurri. << Passate bene le vacanze? >>
<< Uno schifo come al solito. >> disse la Ciancarelli, sedendosi su una panchina del giardino, dove tutta la scolaresca, dalle elementari al liceo, aspettava pazientemente che il preside facesse il discorso di inizio anno.
<< Tua madre non ti dà tregua, eh? >> disse mestamente Giulia, dandole una pacca sulla spalla. Margherita rispose con un grugnito, aprendo lo zaino e afferrando la merendina.
<< Non mangiarla subito. >> disse Chiara << dopo avrai fame. >>
<< Non la voglio mangiare, voglio rifilarla a qualcuno. >> le rispose, guardandosi attorno in cerca di un possibile acquirente.
<< Eh? E perché scusa? >>
<< Per comprarmi ‘tu sai cosa’. >>
Chiara e Giulia si scambiarono uno sguardo dubbioso, prima di rivolgere uno sguardo diffidente alla loro amica.
<< Intendi le sigarette? >>
<< Sh!!! >> Margherita sbatté una mano sulla bocca di Giulia, guardandosi attorno per assicurarsi che nessuno l’avesse sentita. << Sei matta?! Non dirlo ad alta voce! Comunque, si, è per le sigarette. Voglio dividerle con Gianmaria. >>
<< Ancora vai dietro a Gianmaria? >>
<< Chia’, non rompere! >>
<< Lo sai che non è un bel tipo. E poi a quattordici anni, è troppo grande per te! >>
<< Io sono sicura di piacergli, se no non mi avrebbe baciato. >>
<< E’ successo un anno fa. E comunque, quello è interessato a te solo perché gli compri le sigarette. >>
<< Nah, io gli piaccio, ne sono sicura. >>
<< Non vorrei che ci rimanessi male, Marghe’ >> disse Giulia, torturandosi nervosamente una ciocca dei capelli ramati.
<< Non vi preoccupate. Sicuramente è interessato a me. E poi, mi sto sviluppando: tempo un anno, massimo due, e Gianmaria sarà pazzo di me. Come se non lo fosse già ora. >> Margherita concluse il suo piccolo discorso con una risata a cui le sue amiche non si unirono.
In quel momento, suonò la campanella, e il preside si affacciò al piccolo palco allestito per il discorso. Gli alunni si misero in fila, disponendosi a seconda dell’anno e della classe; Margherita si posizionò nella fila della prima media A, vicino a Chiara, mentre Giulia era stata smistata nella sezione B.
La Ciancarelli si diede un’occhiata attorno, cercando di individuare sua sorella: la trovò nella sezione E della prima elementare, mentre chiacchierava con due compagne. Un moto di gelosia  la costrinse a distogliere lo sguardo e a tenerlo fisso sul corpulento preside: a lei c’erano voluti due anni prima di fare la prima amicizia a scuola.
 
 
La giornata passò piuttosto velocemente - infondo, il primo giorno non si fa mai nulla - e le sei ore passarono molto più in fretta di quando Margherita avrebbe voluto. Alle due in punto, suonò la campanella, e, dopo aver salutato Chiara e Giulia, si mise ad aspettare sua sorella davanti al portone. Si mise una mano in tasca, dove risuonavano le tre monetine da un euro, la cifra a cui era riuscita a vendere la merendina. Sicuramente, avrebbe trovato qualche altra moneta a casa e, con un po’ di fortuna, avrebbe trovato i due euro necessari per comprare il pacchetto di sigarette da dare a Gianmaria - a dire il vero, non sapeva esattamente quanto costassero quelle nuove sigarette che gli aveva chiesto, ma dubitava che valessero cinque euro; ma la sicurezza non è mai troppa.
Persa nei suoi pensieri, si spaventò lievemente quando si sentì tirare per la manica: Cassandra era arrivata, allegra e solare come sempre.
Riservandole uno sguardo indifferente, si diressero entrambe vero la macchina della madre, che le aspettava pazientemente al di fuori del cancello, il volto leggermente smagrito illuminato sa un caldo sorrido, tutto per Cassandra.
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Il tempo passò velocemente; arrivò marzo, e il 17 sarebbe stato il compleanno di Margherita.
Pierpaolo era fuori per lavoro, ma aveva promesso che le avrebbe portato un regalo dall’America quando sarebbe tornato; Cassandra le regalò un disegno quella mattina, che Margherita accettò controvoglia per poi rifilarlo in un cassetto; sua madre le fece trovare nello zainetto un panino alla nutella e un succo di frutta, più un astuccio nuovo. La maggiore delle sorelle Ciancarelli mormorò un << Grazie. >> per poi andare di corsa in macchina, avendo l’accuratezza di saltare la colazione - recentemente, aveva messo su qualche chilo, e aveva deciso di mettersi a dieta (trovata su internet) per un paio di mesi: a Gianmaria non piacevano le ciccione - e di non far notare il pacchetto di sigarette che gonfiava le tasca dei pantaloni da ginnastica.
Cassandra l’aveva seguita poco dopo, con in mano un muffin mezzo mangiato e il solito, luminoso sorriso ad abbellirle il volto bambinesco, entusiasta di poter iniziare una nuova giornata scolastica.
Il viaggio verso l’istituto privato durò la classica mezz’ora di macchina; all’arrivo, Caterina diede i canonici tre baci sulle guance della più piccola, mentre alla maggiore non riservò nemmeno una carezza.
Le due sorelle entrarono dentro la scuola, dividendosi poco dopo per andare nella propria classe.
In quella di Margherita, quel giorno, era stata preparate una piccola festicciola a sorpresa per la neo dodicenne: tutto si sarebbe svolto durante la terza ora - la professoressa di inglese, Julia Yang, lasciava fare alla classe ciò che voleva, e il primo giro di interrogazioni del pentamestre era ormai finito - e la ricreazione. Margherita sorrise quando Chiara le porse una piccola torta alle mele sul banco, con sopra dodici candeline, mentre i suoi compagni le cantavano ‘Tanti Auguri’ in italiano ed in inglese. Soffiò sulle candeline, lasciandosi sfuggire una piccola risata mentre Mattia Pavone, il buffone della classe, faceva battute sulla vecchiaia incombente.
La professoressa Yang tagliò la torta in ventidue fette, una per ogni alunno. Quando la prima fetta, leggermente più grande delle altre, venne offerta a Margherita, questa la rifiutò garbatamente. Chiara la osservò perplessa.
<< Come mai non mangi? Questa è la tua torta preferita >>
<< Non ho fame, e poi mi fa male la pancia. >>
<< Sicura? Non è che ti stai rifiutando di mangiare? >> chiese l’amica, ricordandosi lo strano comportamento della giovane in quelle ultime settimane.
<< No tranquilla. >>
Effettivamente, male si sentiva davvero: il seno le si era gonfiato, così come la pancia, che le doleva da giorni; aveva provato a parlarne con sua madre, ma Caterina le aveva detto di prendersi qualcosa per far passare il dolore e di lasciarla in pace mentre ingurgitava l‘ennesimo bicchiere di gin. Alla fine, aveva pensato che fosse una conseguenza della dieta, e non ci aveva più badato tanto.
La campanella della ricreazione suonò, e Giulia ci mise meno di un minuto ad arrivare in classe e afferrare una delle poche fette rimaste. Margherita rise alla buffa scena, pensando un po’ malignamente che se la sua amica avesse continuato a mangiare così tanto sarebbe ingrassata, e poi i ragazzi non le sarebbero più andati dietro. Fu quasi automatico che il pensiero si rivolgesse a Gianmaria. Aveva un appuntamento con lui, quel pomeriggio, per dargli il pacchetto di sigarette e, magari, fumarne una con lui. Margherita sentì in cuore battere con forza al pensiero del suo amato, aspettando con ansia il termine della giornata scolastico.
 
 
Gianmaria Marocchini era il figlio del pescivendolo di fiducia di Caterina. Andava alla scuola statale, e nel quartiere era generalmente considerato un poco di buono per la facilità con cui arrivava alle mani.
Margherita lo aveva conosciuto mentre era andata a fare la spesa con sua madre, circa sette anni fa.
E da ben sette anni, il suo cuoricino batteva unicamente per Gianmaria, per quel ragazzetto di quattro anni più grande di lei, coi capelli biondi e gli occhi azzurri, che sembrava uscito da un film americano.
Si davano appuntamento nel boschetto vicino la casa dei Ciancarelli, alle cinque del pomeriggio in punto: Margherita, in cambio di qualche bacio, dava un pacchetto di sigarette a Gianmaria, che spendeva la sua già poca paghetta in vestiti che, teoricamente, non avrebbe potuto permettersi - nulla, comunque, che un piccolo prestito “inconsapevole” da parte dei genitori di Margherita non potesse compensare.
Anche il giorno del compleanno di lei, i due si incontrarono nel boschetto, ne piccolo prato dove crescevano solo viole, per poi sedersi l’uno vicino all’altra.
<< Allora, hai portato le sigarette? >> chiese il più grande, scocciato.
<< Si, Gianmaria, eccole. >> mormorò timidamente Margherita, porgendogli il pacchetto. Il ragazzo quasi glielo strappò dalle mani, controllando che fosse la marca giusta, per poi schioccare un piccolo bacio sulla guancia di lei.
<< E brava Marghe’. >> disse, accendendosi una sigaretta e porgendogliene una; la Ciancarelli la accettò volentieri, avvicinando il volto a quello dell’altro in modo che la punta della sua sigaretta sfiorasse quella dell’altro, accendendola. Erano pochi mesi che fumava, e lo faceva solo in presenza di Gianmaria, per farsi vedere più grande e appetibile agli occhi del ragazzo.
Come ad ogni loro appuntamento, rimasero in rigoroso silenzio fino a quando le due sigarette si consumavano; poi si alzarono, Gianmaria le diede un bacio sulla guancia per poi andarsene, lasciandola col batticuore e la promessa dell’ennesimo prestito da dargli al loro prossimo incontro.
 
 
Margherita tornò verso casa, sospirando felice, nonostante il dolore lancinante alla pancia e l‘impellente bisogno di andare in bagno.
Prima di entrare, si controllò l’alito; certa che l’odore del fumo non si sentisse, entrò in cucina. Venne accolta dal profumo del polpettone che sarebbe stato servito a cena e da uno schiaffo violentissimo sulla guancia.
<< Brutta disgraziata! >> urlò Caterina, afferrando per il colletto la figlia e sollevandola, dandole altri due manrovesci. << Feccia umana! Feccia! Feccia! Come ti è venuto in mente di metterti a fumare, eh?!?!?! Io mi spacco la schiena per assicurarti un futuro, e tu fumi!? Stupida! Stupida ritardata! E con chi, poi? Con quel disgraziato di Gianmaria Marocchini!!! Chi ti ha dato il permesso di frequentarlo, stupida!?! Sei così ritardata da non renderti con che quello ti porterà alla rovina, eh??!?? Scema! Stupida mongoloide!!!>>
Ogni volta che finiva una frase, Caterina dava uno schiaffo; all’ultima, arrivò a darle un pugno sulla pancia, esattamente dove le aveva fatto male per tutto il giorno. Il dolore che ne seguì fu lancinante, e Margherita urlò fino a quando non le si spezzò la voce, supplicando la madre di smetterla.
Caterina la buttò a terra, pronta a darle un calcio, quando notò il sangue che macchiava i pantaloni blu di sua figlia, proprio in mezzo alle gambe. La vista di quella chiazza la fece tornare in sé: smise di urlare, si inginocchiò vicino a lei e esaminò i lividi che le aveva lasciato sul volto, reso ancora più grottesco dall’espressione di puro dolore che vi era impressa. Il panico prese il sopravvento sulla rabbia.
<< M-Marghe’? M-Margherita, m-mi dispiace c-così tanto, Marghe’? >> l’aveva davvero colpita così forte? << Marghe’? Margherita!?! >>
Si alzò, traballante a causa della paura e dello choc, prese il cellulare e chiamò un’ambulanza, sbagliando tre volte il numero perché le tremavano le mani. Mentre sentiva distanti le parole di sua madre, Margherita notò Cassandra, immobile davanti la porta della cucina, il volto congelato in un’espressione di puro terrore. Sua madre avrebbe fatto del male anche a lei? No, figurarsi, Cassandra era la sua figlia prediletta! Era pure vero, però, che in quel momento Caterina non era nel pieno delle sue capacità mentali - non l’aveva mai picchiata, salvo per lo schiaffo ricevuto quando aveva cinque anni. Avrebbe fatto del male anche a lei? Deglutì a fatica, allungando una mano verso la sorella, guidata da un moto di tenera protettività che da tanto tempo non sentiva nei suoi confronti, soffocato da anni di tormenti. Cassandra non si mosse.
Quando arrivò l’ambulanza, l’ultima cosa che vide prima di essere sedata furono sua madre in piena crisi isterica e Cassandra che mormorava qualcosa di incomprensibile.
 
 
Quel giorno, Margherita ebbe le sue prime mestruazioni.
Una settimana dopo, Pierpaolo tornò dall’America, con un cellulare nuovo di zecca e una scatola di cioccolatini.
Tre giorni dopo aver saputo degli eventi del compleanno di Margherita, Pierpaolo chiese il divorzio e l’affidamento esclusivo delle figlie.
Ottenne tutte e due le richieste.
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Margherita aveva quattordici, Cassandra nove.
Dopo quanto accaduto tre anni prima, Pierpaolo aveva deciso di mettersi a fare il padre in maniera seria: si erano trasferiti dall’altra parte di Roma, aveva iscritto le figlie alla scuola pubblica e si era fidanzato con Manuela Fiume, una bella ragazza siciliana con i capelli corvini, gli occhi color cioccolato e i sui capelli emanavo sempre un buon profumo di pesco.
Caterina era stata perennemente allontanata dal nuovo nucleo familiare, e da cinque anni Margherita non sapeva più nulla di sua madre. Non che le importasse: Manuela era stata un’ottima sostituta, un genitore molto migliore di quanto il suo genitore biologico avrebbe mai potuto essere.
Adesso, Margherita si stava per iniziare il liceo: aveva fatto crescere i capelli, il suo corpo si stava modellato in forse abbastanza armoniose, mentre caratterialmente si era un po’ aperta rispetto ai primi anni scolastici.
Cassandra, apparentemente, si era ripresa dallo choc subito tre anni prima: avendo visto sua sorella fumare, e sapendo quanto il fumo fosse dannoso, nella sua ingenuità di bambina aveva detto tutto a Caterina; certo, non avrebbe potuto sapere che la reazione sarebbe stata quella che era stata.
Margherita, stupendo se stessa, l’aveva perdonata in pochi secondi: dopo anni passati all’ombra di sua sorella, gelosa delle favori di cui godeva e del suo rapporto esclusivo con Caterina, aveva capito che era inutile disprezzarla per gli errori commessi da sua madre: se c‘era una persona verso cui doveva indirizzare la sua rabbia, era verso la donna che l‘aveva messa la mondo; il suo compito, in quella nuova vita nella zona sud di Roma, era stato quello di proteggere sua sorella, troppo piccola per non aver subito dei traumi da quella terribile esperienza, da ogni cosa che si fosse rivelata una minaccia, aiutandola appena possibile. Aveva smesso di vedersi con Gianmaria dopo il giorno del suo dodicesimo compleanno, quando si era trasferita, aveva chiuso i ponti anche con le sue vecchie amiche.
Chiara e Giulia erano due dei pochi rimpianti che aveva della sua vita precedente, assieme al bosco della sua vecchia casa.
In quei tre anni, ci aveva pensato spesso a quel minuscolo polmone verde, al prato in qui crescevano solo le viole, ai baci di Gianmaria dietro i cespugli di more, ai compiti svolti in solitario, e non negava una certa nostalgia per quel luogo in cui era cresciuta.
Sua madre non abitava più a Roma - Caterina si era trasferita a Milano dai genitori - perciò il villino era praticamente disabitato, tranne per la vecchia domestica filippina incaricata di prendersi cura della magione in attesa di un nuovo proprietario.
Così, una sera, mentre erano a tavola gustarsi dei deliziosi cannoli, Margherita aveva preso il coraggio a quattro mani e aveva fatto la sua proposta.
<< Papà, possiamo tornare a vivere nella nostra vecchia casa? >>
Il silenzio calò improvviso e pesante, e Margherita si pentì quasi subito della domanda: Manuela lanciava occhiate interrogative a Pierpaolo, il quale osservava la maggiore delle sue figlie con fare sconvolto; Cassandra, invece, era impallidita di colpo, probabilmente spaventata dai ricordi di cinque anni fa - da sotto il tavolo, Margherita le strinse forte la mano, e questo sembrò calmarla un poco.
<< Come mai? >> chiese cautamente Pierpaolo, notando il disagio della più piccola.
<< Ecco, io… >> Come poteva mettere a parole la sua nostalgia, la bellezza del suo piccolo bosco? << Perché no? Cioè, tanto ormai sono passati tre anni, quindi… Ecco… Insomma… Mi piacerebbe rivedere il bosco che avevamo vicino casa… E poi, Chiara e Giulia mi mancano un casino, e- >>
<< Anche Gianmaria ti manca un casino? >> chiese sarcasticamente il padre, riprendendo a mangiare il suo cannolo. Margherita deglutì debolmente. Stava perdendo punti.
<< No, che centra Gianmaria! A parte che si è trasferito a Napoli… E comunque, ecco, io… >>
<< Facciamolo papà! >> esclamò Cassandra, dando al padre un sorriso un po’ tremante. << Anche io vorrei rivedere i miei compagni. Qui non mi trovo così bene, lo sai. >>
Margherita le lanciò un’occhiata stupita e riconoscente insieme, aumentando di poco la forza della presa. La sua sorellina ricambiò con un caldo sorriso.
<< Non saprei… >>
<< Tesoro, per te sarebbe anche più comodo. >> intervenne Manuela, facendo l’occhiolino alle due ragazze. << Il tuo studio è vicino alla tua vecchia abitazione, e ogni volta devi svegliarti prestissimo la mattina per andare a lavorare, per non parlare del fatto che torni a casa tardissimo ogni sera. Non sarebbe più comodo? >>
<< Effettivamente. >> mormorò Pierpaolo, per poi addentare un altro pezzo del cannolo. << Non vi prometto nulla, ma ci penserò. >>
 
 
Due settimane dopo, il piccolo nucleo famigliare si trasferì nella vecchia casa.
 
 
Non era cambiato molto quel luogo.
Appena aveva avuto un attimo libero, Margherita era subito corsa nel suo bosco: c’erano gli alberi, ancora rigogliosi nonostante l’autunno imminente, i cespugli sempreverdi, e il prato delle viole.
Tutto era rimasto come tre anni prima.
Si sdraiò sull’erba, inspirando a fondo l’odore dei fiori che aleggiava nell’aria e godendosi i raggi del sole filtrati dal fogliame dei rami. Dio, quanto le era mancato quel posto!
<< Marghe‘? >>
La giovane aprì gli occhi, trovandosi davanti il volto rotondo di Cassandra. Aveva lo sguardo lucido e le guance bagnate.
<< Cassy, che succede? >> chiese preoccupata, mettendosi subito a sedere e prendendo le manine nelle sue.
<< E’-E’ solo che… M-Mamma… Q-Quel giorno… >> balbettò la più piccola, prima di scoppiare in lacrime, poggiando la fronte contro la spalla della sorella. Quest’ultima sospirò tristemente, abbracciandola e massaggiandole piano le spalle per calmarla.
<< Sh, non pensarci. >>
<< E’ stata colpa mia! >>
<< Ti ho perdonato, Cassy. Perché continui a pensarci? >>
<< Mi spiace Marghe’!!! >>
La maggiore sbuffò; staccò il corpicino tremante della sua sorellina da sé, le asciugò le lacrime, per poi agganciare il loro sguardi.
<< Smettila di colpevolizzarti. Non è colpa tua. Nostra madre- no, Caterina - è solo colpa sua. Tu non centri nulla. >>
<< Ma se io non fossi na- >>
<< Non ti azzardare a finire la frase. >> si affrettò a dire, lanciandole un’occhiata d’avvertimento. Cassandra deglutì nervosamente, intimorita.
<< La colpa è solo ed esclusivamente di quella donna. Ne io, ne te, abbiamo alcuna colpa. >>
Cassandra inspirò profondamente, asciugandosi le lacrime e annuendo tremante. Ripetere le parole della loro psicoterapeuta riusciva sempre a calmarla.
Margherita sorrise, carezzandole piano il capo; notò poi lo zaino che l’altra si era portata dietro.
<< Ancora problemi con matematica? >>
Cassandra sorrise mestamente, aprendo la cartella e prendendo il quaderno e il libro. << Non riesce ad entrarmi in testa. >>
Margherita sospirò, divertita, per poi aprire il testo scolastico e spiegare la materia e gli esercizi alla sua sorellina, conscia che sarebbe stato un lungo pomeriggio.
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L’inizio della svolta avvenne quando Margherita aveva quindici anni, e Cassandra dieci.
Il corpo della maggiore delle due sorelle stava velocemente maturando, modellandosi in forme attraenti e appetibili per qualunque ragazzo. Anche i suoi pensieri stavano perdendo la loro innocenza, avanzando i percorsi più proibiti che lei, Chiara e Giulia, imparavano a conoscere solo con discorsi e sentito dire.
Il suo carattere, nonostante l’apertura negli anni delle medie, rimaneva comunque molto riservato - tanto che la sua cerchia di amici era molto ristretta: oltre alle sue due vecchie amiche, solo un’altra persona, Mariko Yang, una giovane ragazza cinogiapponese - nonché figlia della sua ex insegnante di inglese alle medie -, acuta osservatrice e appassionata di fumetti, era riuscita ad entrare nelle sue grazie.
Nonostante non mancassero i corteggiatori, Margherita non era attratta da nessuno di loro. Anzi, a dire il vero non era attratta dal mondo maschile in generale. Ancora non ne era sicura, ma la Ciancarelli stava iniziando a pensare che le donne costituissero per lei un polo attrattivo decisamente più allettante: spesso, negli spogliatoi della palestra che frequentava, si era ritrovata a guardare di sottecchi le altre ragazze, le forme sinuose e aggraziate - chi più chi meno -  dei loro corpi, così diverse da quelle spigolose e rozze dei maschi; ogni tanto, le capitava di fantasticare sul altre donne - come la sua professoressa di italiano, che tanto piaceva agli studenti per il suo carattere carismatico e il seno giunonico che tirava qualunque tipo di maglietta indossasse.
All’inizio si era trovata disorientata: ne nel suo atteggiamento, ne nella sua storia passata, aveva riscontrato somiglianze con gli stereotipi tipici delle donne lesbiche, che sentiva ogni tanto in TV o nelle chiacchiere tra compagni - non aveva un carattere mascolino, anzi: spesso e volentieri era lodata per la sua femminilità e per la sua eleganza; non diceva mai parolacce (non tante almeno, e mai senza un motivo); le piacevano le gonne e non praticava sport tipici maschili, né aveva mai voluto farne qualcuno. Perché, allora, aveva quei pensieri?
Margherita non aveva mai avuto pregiudizi sugli omosessuali: gli considerava persone normalissime, che andavano rispettate e elogiate se lavoravano e si comportavano onestamente, e che non dovevano essere trattate diversamente solo perché erano innamorate di persone del loro stesso sesso; e chi li discriminava, poi, era solo uno stupido. Eppure, lei era convinta di non poter essere lesbica! Gianmaria non era stato l’unico ragazzo che aveva avuto, e questa attrazione verso le donne si era manifestata di recente; spesso leggeva sulle riviste di questa fase della sessualità dell’adolescente, del fatto che fosse una cosa passeggera, e che i gusti sessuali si delineavano solo in età adulta.
Margherita sospirò pesantemente, mentre si sistemava i capelli in una malandata cipolla.
<< Tutto bene? >> chiese Cassandra, staccando lo sguardo dai suoi compiti di italiano per rivolgerlo a sua sorella, che negli ultimi tempi le sembrava sempre più stanca.
<< Si si, tranquilla. >> rispose distrattamente l’altra, sdraiandosi sul prato delle viole del boschetto dietro casa, dove stavano facendo i compiti - o meglio, dove Margherita stava aiutando Cassandra a fare i compiti.
<< Sei un po’ pallida. >> disse la più piccola, per poi riprendere a studiare. La maggiore si mise di colpo seduta; preoccupata, prese lo specchietto del trucco dalla sua cartella, controllandosi il viso, riscontrando effettivamente un certo pallore.
<< Oddio mio! >> esclamò disperata, buttandosi di nuovo sull’erba. Quella storia della sessualità la stava mandando ai matti!
<< Marghe’? >> la chiamò preoccupata Cassandra, lasciando i compiti e mettendosi vicino a lei, scuotendola leggermente. << Che hai, sorellona? >>
<< Niente. >> sbottò l’altra, coprendosi gli occhi con un braccio.
<< Niente è troppo poco. >>
<< Sto bene. >>
<< Non si direbbe. >>
<< Cassy, per favore. >>
<< Voglio aiutarti! >>
<< Non puoi, Cassy! >>
<< Fammi provare! >>
Margherita sbuffò, conscia che sua sorella non se ne sarebbe andata fino a quando non avrebbe ottenuto una risposta soddisfacente.
<< Ah, ho capito! >> esclamò felicemente Cassandra, catturando l’attenzione della maggiore, che le lanciò uno sguardo perplesso.
<< Cosa hai capito? >>
<< Perché sei triste. E’ come quando prendono in giro Luigia. >> disse l’altra, ricordando le angherie che la sua compagna subiva dai bulli della sua classe. << Dicono sempre che lei è brutta, e così lei si offende, ed è triste. >>
Margherita si diede mentalmente della stupida; per un attimo, aveva temuto che sua sorella avesse capito cosa stava succedendo nella sua testa - ma come poteva? Era ancora così piccola!
<< Non preoccuparti, Marghe’! >> disse Cassandra sorridendo, interpretando lo sguardo scocciato della sorella come una conferma della sua teoria. << Non devi dare retta ai bulli. Tu sei bellissima! Sei la ragazza più bella che io abbia mai visto! >>
Era un complimento innocente, tipico di una bambina quale era ancora Cassandra. Eppure Margherita, a quelle parole, sentì il cuore perdere un battito, mentre un lieve rossore gli imporporava le guance chiare.
<< Scema! >> disse, arruffandole la testa mentre cercava di ignorare quella sensazione che assomigliava tanto a ciò che aveva provato a nove anni, quando usciva con Gianmaria.
 
 
Cassandra usava una linea di prodotti all’odore di agrumi per lavarsi. Vivendo nella stessa casa, e condividendo molte cose, il profumo delle arance e dei limoni era diventato una costante nella vita di Margherita.
In aprile, Cassandra era partita per una gita scolastica, e si sarebbe assentata da casa per una settimana. Il primo giorno di lontananza, mentre era al supermercato, senza neanche sapere bene perché, Margherita aveva preso lo shampoo all’arancia della stessa marca utilizzata dalla sorella, l’aveva aperta, e ne aveva assaporato l’odore dolce e pungente. Era stata lì per dieci minuti buoni prima di decidersi a comprarlo.
Per quella settimana, Margherita usò solo ed esclusivamente quello shampoo per lavarsi i capelli.
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La svolta vera e propria arrivò quando Margherita aveva diciassette anni e Cassandra dodici.
Era il giorno del matrimonio tra Manuela e Pierpaolo, che si erano decisi a dare una stabilità in più alla loro famiglia, che tra poco si sarebbe allargata di un elemento in più.
Il lieto evento sarebbe avvenuto in comune, in una cerimonia sobria e privata: Manuela, al sesto mese di gravidanza, avrebbe indossato un delizioso abito color crema, Pierpaolo un completo grigio scuro con la cravatta rossa - regalo delle figlie; Margherita e Cassandra, le damigelle, avrebbero portato dei vestiti intonati a quello della sposa.
Gli invitati erano pochi intimi: c’erano Chiara, Giulia e Mariko, Luigia e Carlo, il migliore amico di Cassandra, qualche collega di Pierpaolo e la madre di Manuela, Ursula, che piangeva commossa per il matrimonio della primogenita sulla spalla del trentottenne Gennaro, il più piccolo nella famiglia Fiume. << Se solo il mio caro Alfio fosse qui. >> ripeteva tra i singhiozzi, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto ricamato.
 
 
<< Odio i matrimoni. >> mormorò Margherita, cercando di grattarsi la schiena senza rovinare il prezioso abito di seta che indossava. << Cassy, dammi una mano! >>
Cassandra, al richiamo della sorella, sembrò cadere dalle nuvola: si alzò dalla sedia su cui si era accomodata, andò dietro la sorella e le grattò la zona tra le scapole. Margherita sospirò soddisfatta.
<< Fiù, grazie mille. >> disse, per poi voltarsi e notare l’espressione triste della minore. << Ehi, che è successo? >>
<< N-Niente. >> mormorò Cassandra, abbassando lo sguardo.
<< Non mi mentire. >> disse la maggiore, sistemando una ciocca di capelli biondi che si era districata dal complicato chignon. << Questo è un giorno felice. Certo, i matrimoni sono una gran scocciatura, ma quello che si festeggia dovrebbe essere motivo di gioia. Perché sei triste? >>
Cassandra sussultò leggermente, si morse il labbro inferiore, lanciò un’occhiata colpevole alla sorella, e poi sospirò. Non era un tipo che capace di tenere le emozioni dentro di sé senza condividerle, soprattutto con la sorella.
<< Non mi vorranno più bene, vero? >> chiese infine.
<< Chi? >>
<< Manuela e papà. >>
<< Perché scusa? >> chiese Margherita perplessa, sedendosi vicino all’altra su una sedia del camerino dove si stavano preparando.
<< Perché tra un po’ nascerà Gennaro. Loro si affezioneranno a lui, e mi odieranno, come ha fatto mamma con te. >>
Ah, ecco quel era il punto. La maggiore delle due sospirò, esasperata, prima di dare uno scappellotto alla sorella, dietro la nuca - avendo l‘accortezza di non rovinare l‘acconciatura.
<< Ahi! >>
<< Ancora con questa storia? Te l’ho detto mille volte: a quella donna non ci devi pensare più! >>
<< P-Però- >>
<< Però un corno! Quella donna non è degna di essere chiamata madre. Non ti azzardare a comparare papà e Manuela a quella là. Loro non sono affatto così! >>
Cassandra trattenne un singhiozzo, abbassando colpevolmente la testa.
<< I-Io- >>
<< Cosa? >>
<< … E’ solo che… Ho paura… >> balbettò, mentre un paio di lacrime traditrici uscivano dai suoi occhi. Margherita sospirò, avvolgendo un braccio attorno alle esili spalle della sorella e baciandole il capo con dolcezza.
<< Lo capisco. Ma ti assicuro che non ne hai motivo: papà e Manuela non commetteranno mai quegli errori. E anche se lo faranno, ci sono sempre io. Non ti lascerò mai sola, Cassandra. >> disse dolcemente, cullando la sua sorellina e asciugandole le lacrime, cercando di non far sbavare il trucco, fino a quando questa non si calmò.
<< Va meglio ora? >>
Cassandra annuì, poggiando la testa contro il seno di Margherita, la quale si sentì avvampare di colpo.
<< Il tuo cuore batte veloce. >> mormorò Cassandra, assente, dopo aver spostando la testa in modo che l’orecchio potesse sentire tranquillamente il battito cardiaco. Margherita deglutì a fatica, divisa tra lo staccare la sorella da sé o godersi la sensazione delle sue guance fresche contro il suo petto.
Oramai, la maggiore delle due sorella Ciancarelli aveva pienamente accettato la sua omosessualità, perciò riteneva perfettamente normale il fatto che la vicinanza di una persona del suo stesso sesso le facesse provare quel genere di emozioni; però, ciò non voleva dire che fosse normale provarle nei confronti di una bambina, per di più se questa bambina era sua sorella!
Deglutì a fatica, cercando mentalmente una scusa per staccarsi la più piccola di dosso. Per sua fortuna, fu Manuela a venirle in aiuto.
<< Ragazze siete pronte? >> chiese dolcemente, affacciandosi alla porta e lasciando le due sorelle a bocca aperta; Manuela era bellissima: l’abito color crema fasciava perfettamente il corpo e il pancione gravido, e il sorriso luminoso e sereno contribuiva a darle un’aura di pura felicità che le due ragazze non avevano mai visto in nessun’altra persona.
<< Sei bellissima Manuela. >> disse le due in coro, incantate dalla futura mamma, la quale ricambiò il complimento con un sorriso imbarazzato.
<< Grazie. E ora dai, ci aspetta la cerimonia. >>
 
 
<< Ti sei innamorata? >>
La domanda di Mariko la lasciò completamente spiazzata.
<< C-Che?! >>
<< Ti sei innamorata. >> affermò l’altra, sorridendo divertita alla faccia sconvolta di Margherita.
Le due amiche erano sedute sul prato delle viole nel boschetto della Ciancarelli, e teoricamente avrebbero dovuto studiare per l’imminente compito di latino, in cui nessuna delle due brillava per bravura.
<< M-Ma non è vero! >>
<< Si vede lontano un miglio, cara. >> disse Mariko, sistemandosi i capelli corvini in una cipolla perfetta. << Hai sempre la testa fra le nuvole, sospiri trasognata, a volte sorridi senza motivo. Che cosa possono essere se non tipici segni dell’innamoramento? >>
Margherita sbuffò rumorosamente, spostando lo sguardo sui versi di Catullo.
<< E’ inutile che mi ignori. Allora, chi è la fortunata? >>
<< Nessuna. >> rispose rapidamente, cercando di non badare al penetrante sguardo smeraldino della sua amica, chiedendosi internamente come diavolo avesse fatto a capire i suoi sentimenti. Si vedeva così tanto?
<< Andiamo, non essere timida, lo sai che puoi dirmi tutto. >> disse Mariko sorridendo, carezzandole piano una spalla. Margherita rabbrividì al tocco gelato delle dita dell’altra.
<< Lo so, Mari. E’ solo che… E’ complicato. >>
Mariko era stata la prima a sapere della sua omosessualità; quando glielo aveva confessato, un anno prima, si era preparata per insulti e offese di ogni tipo, nonché all’inevitabile perdita della sua amicizia: invece, l’altra aveva sorriso, le aveva asciugato le lacrime, e aveva detto sorridendo << Pensavo dovessi dirmi chissà che cosa! Mi hai fatto prendere un colpo, scemotta! >>
A dispetto della rigida educazione che le era stata impostata, Mariko aveva una mentalità molto aperta, e difficilmente si sconvolgeva per qualcosa; per le confessioni importanti, era sicuramente l’ascoltatore migliore che si potesse trovare in giro. Eppure, nemmeno a lei poteva dire quello che stava provando.
<< Penso di essere innamorata. >> disse Margherita, fissando “Odi et Amo” senza vedere davvero le parole.
<< Questo lo avevo capito. >>
<< Non dovrei amarla. >>
<< E perché? >>
Nemmeno Mariko avrebbe potuto capire: per quanto fosse aperta, per quanto nulla potesse sorprenderla, nemmeno lei avrebbe potuto accettare una cosa simile.
<< E’… Difficile. >>
Mariko annuì, capendo dallo sguardo lucido dell’amica che era meglio non insistere oltre.
<< Ok… Allora, con Catullo come siamo messe? >>
Margherita le sorrise riconoscente, prendendo il computer con la traduzione e ricominciando a studiare.
 
 
Più tardi, quella sera, Margherita aiutò sua sorella a studiare matematica, l’eterna bestia nera per Cassandra. Sedute vicine, sotto le fronde dell’unico salice del boschetto, per la terza volta cercava di spiegarle le disequazioni.
Fu quasi per caso che il ginocchio di Cassandra, scoperto dai pantaloncini che indossava, sfiorasse quello della maggiore, la quale rimase immobile per qualche secondo, il tempo perché il contatto tra la sua gamba e quella della sorella finisse, prima di riprendere la sua piccola lezione privata.
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Margherita compiva diciotto anni.
Pierpaolo aveva affittato la piscina, il giardino e il salotto di un villino sulla via Cassia, lasciando il resto dell’organizzazione a Manuela che, facendolo di mestiere, era decisamente più esperta in quel genere di cose.
Margherita aveva dato direttive precise: niente di troppo vistoso, pochi intimi, e buon cibo. Di queste indicazione, Manuela aveva rispettato solo l’ultima.
E così la Ciancarelli si era ritrovata ad una festa dove erano stati invitati tutti i suoi compagni di scuola, i parenti, i vicini e gli amici di Cassandra, fasciata in un costoso abito rosso e totalmente a disagio in mezzo a tutta quella gente.
Sospirò amareggiata, sorseggiando la sua birra svogliatamente mentre vedeva Chiara e Giulia scatenarsi con i rispettivi fidanzati, Julian e Zaccaria.
<< Tu non hai un ragazzo cara? >>  chiese Ursula, pizzicandole con dolcezza la guancia.
Margherita le sorrise nervosamente. Avrebbe tanto voluto dirle che si, c’era qualcuno che le piaceva, che le piaceva da impazzire, che era innamorata e che, per questo, era un anno e mezzo che soffriva come un cane, perché era una cosa orribile essere attratti da una bambina che ancora vestiva di rosa e tonalità pastello, disgustoso immaginarsi il suo corpo da adulta, vomitevole sapere che nelle sue vene scorreva il tuo stesso sangue, quello di un padre che si è rivelato tale troppo tardi e di una madre snaturata il cui ricordo ti perseguita negli incubi.
<< No, nonna, nessuno in particolare. >>
Avrebbe tanto voluto dire a tutto che si, era innamorata; e dell’amore più nauseante che potesse esistere sulla faccia della terra.
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Margherita aveva diciannove anni, ed aveva appena passato la maturità; Cassandra aveva quattordici anni, e stava affrontando i corsi di recupero.
<< Marghe’, ho un problema. >>
<< Quale? Di nuovo matematica? >>
<< Magari. Si tratta di Carlo. >>
Margherita posò “Fosca” di Tarchetti sull’erba, pronta a sentire per l’ennesima volta i problemi di cuore della sua sorellina - e a soffrire, per l’ennesima volta.
<< Ecco… Lo sai, no? Io e lui siamo mezzi impicciati, no? Ecco, oggi mi ha chiesto… Sai… Mi ha chiesto di… Ecco… >>
<< Ho capito. >> disse Margherita, intuendo dove il discorso sarebbe andato a finire. << Cosa vuoi sapere? >>
<< N-Niente, è solo che… Ecco… >> Cassandra deglutì a fatica, mentre gli occhi diventavano lucidi. << Io gli ho detto di no e… Lui si è arrabbiato… Io, p-però n-non mi sento… pronta e- >>
<< Non ti merita. >> disse Margherita con forza, interrompendo il balbettare della minore. << Se non sa aspettarti, non ti merita! >>
<< E’ il mio migliore amico… >>
<< Talmente amico che non esita a farti piangere se lo rifiuti! >>
A quelle parole, Cassandra scoppiò a piangere. Margherita sospirò, tirandola a sé e abbracciandola, baciandole piano il capo e ispirando il delicato profumo di agrumi che emanavano i capelli biondi.
Ogni volta la stessa storia: Carlo e Cassandra litigavano, lei andava a piangere sulla spalla della sorella, facevano pace e poi il ciclo ricominciava. Onestamente, quella situazione stava diventando difficile anche per Margherita: già sapere che c’era un’altra persona nel cuore di sua sorella la faceva stare male; il fatto, poi, che lei soffriva per un bastardo come Carlo, non faceva che peggiorare la situazione.
<< Il punto è >> disse Cassandra tra i singhiozzi. << E’ che mi sono resa conto che mi piace un’altra persona. >>
Ah, perfetto.
<< Capisco. E chi è? >>
I singhiozzi della più piccola aumentarono di intensità, e Margherita rinunciò a farsi dare una risposta.
Passarono tutto il pomeriggio nel bosco, semisdraiate sul prato delle viola, baciate dai raggi del sole filtrati dalle fronde degli alberi.
Prese a massaggiarle pigramente la schiena, mentre, senza quasi rendersene conto, i baci si erano spostati sulle tempie. Il nuovo trattamento sembrò calmare la più giovane, che smise di singhiozzare, accoccolandosi contro il seno di sua sorella.
Le mani di Margherita superarono la barriera della maglietta, carezzando la pelle chiara dei fianchi. Cassandra si tese, e per qualche minuto nessuna delle due si mosse. Poi, la mano eseguì dei piccoli movimenti circolari, e le spalle della minore si rilassarono visibilmente.
La pelle di Cassandra era morbida e calda, priva di qualunque peluria.
Perfetta.
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Margherita aveva vent’anni e Cassandra quindici, e le conseguenze della svolta iniziarono a gravare sulle spalle delle due ragazze.
 
La prima ad accorgersi di un cambiamento fu Mariko.
Da brava osservatrice quale era, aveva visto subito il cambiamento in Margherita: più rilassata, serena, felice. Soprattutto felice.
Aveva cercato di farsi dire il nome dell’amante che l’aveva resa così allegra - perché era sicura che fosse l’amore la causa di quella serenità: in una vita quasi perfetta come la sua, le mancava solo il sommo degli affetti per completarla - ma non aveva cavato un ragno dal buco. Così, con la sua solita riservatezza, non aveva insistito, accontentandosi del fatto di vedere la sua amica felice.
 
La seconda a notare un cambiamento era stata Manuela.
Considerava Margherita e Cassandra come due figlie; e, anche se loro non l’avevano mai chiamata mamma, sapeva che le due provavano per lei la stessa cosa. In quegli anni aveva imparato a conoscerle: aveva compreso l’ipersensibilità della più piccola, dovuta ai ricordi violenti della madre naturale; aveva accettato la riservatezza della maggiore; con loro aveva condiviso ogni tipo di momento che una famiglia normale vive, dalla gioia per la nascita di Gennaro alla tristezza per la morte di sua madre Ursula; aveva ascoltato le loro storie, condiviso le loro emozioni positive e negative.
Stava male se le vedeva infelici, e si rallegrava della loro serenità.
Nell’ultimo anno, aveva visto la perenne malinconia che trasudava dai loro occhi tramutarsi in felicità: le aveva viste più legate di quanto non fossero quando le aveva conosciute, più complici, unite nell’amore per il loro piccolo fratellastro. All’inizio, l’aveva vista come una cosa piuttosto anomala: lei e suo fratello Gennaro avevano la stessa differenza di età delle due Ciancarelli e, nonostante potessero vantare un rapporto molto solido, non ricordava un attaccamento così forte, quasi morboso per certi versi. Poi, però, aveva pensato che, magari, tra sorelle era una cosa normale un attaccamento simile; perciò, non aveva indagato oltre.
 
Il terzo a notare un cambiamento fu Pierpaolo.
Non poteva dire di essere stato il padre perfetto: non aveva avuto un rapporto vero con le figlie fino a quando c’era stato quell’“incidente” con Caterina, e anche oggi gli risultava difficile capirle davvero.
Non le conosceva bene come avrebbe voluto, ma fin da subito aveva notato in certo cambiamento nelle due: il loro rapporto stava diventando sempre più esclusivo, intenso e stretto. Aveva visto la loro complicità, gli sguardi accondiscendenti; sentiva, ogni notte, la porta della camera di Cassandra aprirsi, seguita da quella di Margherita, che poi veniva richiusa; se non erano a casa o a scuola o in compagnia, stavano sempre nel boschetto adiacente la villa a studiare - dicevano loro due.
Pierpaolo non aveva fratelli, e non aveva mai avuto desiderio di comprendere la bellezza di quell’inscindibile legame di sangue, il fascino della consapevolezza di aver vissuto nello stesso grembo. Pertanto, quello che vedeva nelle sue figlie non lo recepiva come anormale. E poi, dopo tutto quello che era successo tra loro, come poteva pretendere le spiegazioni di quegli abbracci prolungati o di quei baci così vicini alla bocca che si scambiavano sempre più spesso?
 
 
Una sera, dopo cena, Margherita prese il coraggio a quattro mani e fece la sua proposta.
<< Papà, voglio andare a vivere da sola. >>
<< Per l’università? >> chiese Pierpaolo dopo qualche attimo di silenzio.
<< Si. E’ per comodità, sai? Svegliarmi presto e tornare a casa sempre tardi… Sai come sono i mezzi in città no? Quindi… Pensavo… >>
Chissà perché, Margherita aveva sempre avuto soggezione di suo padre, un certo timore dovuto alla povertà del loro legame negli anni delle elementari e delle medie.
<< Va bene, non c’è problema. Ti pagherò l’affitto fino a quando non troverai un lavoretto con cui potrai mantenerti da sola. >>
<< Be’, sola sola non sarei… Ci saranno anche Mariko, Chiara e Giulia con me, e… >>
<< Va bene, va bene: pagherò la tua parte di affitto fino a quando non troverai lavoro. >> disse, carezzando piano la guancia della figlia. Margherita, dal canto suo, gli sorrise come mai aveva fatto, abbracciando suo padre con slancio.
<< Grazie pa’! >>
 
 
<< Non voglio che te ne vada! >>
Margherita sospirò per l’ennesima volta, mentre chiudeva la terza valigia contenente tutte le sue cose.
<< Cassy, ne abbiamo già parlato. L’università è troppo lontana da casa, e- >>
<< Cambiala! >>
<< Qualunque università è troppo lontana dalla nostra zona. >>
Cassandra non riuscì a trattenere un singhiozzo, mentre osservava sua sorella sistemare le valige vicino alla porta, pronte per essere portate via la mattina successiva.
Non voleva che Margherita la lasciasse. Non ora che doveva affrontare il liceo e tutto il resto: sarebbe stata sola contro quattro anni di studi classici, come avrebbe potuto resistere!?
<< Cassy. >>
<< Non voglio che te ne vai! >>
<< Cassy. >>
<< No no no!!! >>
<< Cassandra! >>
<< No! >> urlò la più piccola, uscendo di corsa dalla camera di Margherita, sbattendosi la porta alle spalle. La maggiore sospirò tristemente, conscia che sua sorella non si sarebbe mai abituata all’idea.
Si avvicinò al comodino, aprì il cassetto e prese la scatolina nascosta dietro i libri di poesie di d’Annunzio e Baudelaire. Inspirò a fondo, poi uscì dalla stanza.
<< Che è successo a Cassandra? >> chiese Manuela quando scese in cucina, interrompendo il tentativo di imboccare Gennaro, il quale, alla vista della sorellastra, tese immediatamente le braccine paffute verso di lei, ridendo.
<< Magghe, Magghe!! >> la chiamò, facendo nascere un sorriso spontaneo sulle labbra di Margherita; si accostò al piccolo, baciandogli le manine e la fronte con puro affetto, prima di rivolgersi alla matrigna.
<< Cassandra è uscita? >>
<< Si, sembrava anche piuttosto sconvolta. Che le è successo? >>
<< Non accetta il fatto che io vada a vivere lontano da casa. >> disse mestamente Margherita. Manuela sorrise comprensiva, per poi alzarsi e prendere due mele; le lavò con cura e le porse alla figliaccia.
<< Non fate tardi là fuori, domani devi alzarti presto. >>
 
Margherita si chiedeva spesso se Manuela avesse mai compreso quale fosse il rapporto la univa alla sorella; avevano preso ogni precauzione possibile quando si trovano dentro e fuori casa, ma a volte aveva la sensazione che le persone che la circondavano, specie Mariko e la sua matrigna, sapessero più di quanto dessero a vedere.
Scosse la testa, liberandosi da quei pensieri, mentre si addentrava nel boschetto vicino casa, già sapendo dove andare: Cassandra era accovacciata contro il salice, e piangeva disperata. Il cuore di Margherita si strinse in una morsa soffocante.
<< Cassandra? >>
A quel richiamo, la minore sussultò visibilmente. L’altra le si sedette vicino, porgendole la mela datale da Manuela: era rossa e lucida, e dall’aspetto pareva deliziosa. Cassandra si lasciò sfuggire un ultimo singhiozzo, prima di prendere il frutto e addentarlo mestamente.
Mangiarono le due mele in silenzio, godendosi il profumo dei fiori in quell’inizio di primavera insolitamente caldo.
Quando finirono, Cassandra si era visibilmente calmata.
<< Allora, passato tutto? >> chiese Margherita. La minore non rispose a parole: si gettò contro il petto della sorella, strofinando il volto fra i seni nel vano tentativo di trovare chissà quale nascondiglio.
<< Cassy- >>
<< Non andare Margherita! >> singhiozzò la più piccola. << Non mi abbandonare come ha fatto mamma! >>
L’altra si irrigidì di colpo, per poi stringere i pugni con forza. Quanto altro tempo sarebbe dovuto passare prima che il ricordo della sua genitrice avrebbe smesso di ossessionare la vita sua e di sua sorella?
<< Quante volte te lo devo dire. >> disse, staccando il corpo tremante della sorella dal suo con più forza di quanto avrebbe voluto. << Non ci devi pensare a quella donna! Io non sono lei, non ti abbandonerò mai! >>
<< E allora non andare! >>
<< Cassandra- >>
<< Se mi vuoi bene, non te ne andare! >>
<< Ma certo che ti voglio bene, Cassandra! Non fare la sciocca! >>
<< Se mi ami, non te ne anda- >>
Lo schiaffo arrivò all’improvviso. Cassandra si portò una mano alla guancia dolorante, per poi rivolgere un’occhiata interrogativa e ferita alla sorella.
<< Non. Ti. Azzardare. A. Ricattarmi. >> scandì l’altra, prendendo il viso della minore nella sue mani e incatenando i loro sguardi. << Non sono mai scesa a patti di questo genere con nessuno. E non credere che lo farò con te perché sei tu. >>
Cassandra deglutì a fatica, terrorizzata: quando si arrabbiava, Margherita aveva lo stesso sguardo glaciale della loro madre.
Poi, però, quegli occhi azzurri si addolcirono; le mani che tenevano saldamente la sua testa cacciarono via i residui delle lacrime; le labbra serrate si rilassarono, posandosi delicatamente sulle sue in un bacio casto ma pieno di amore.
<< Marghe… >>
<< Piccola mia, devi smetterla di avere questi pensieri. >> disse l’altra dolcemente, ricoprendo con piccoli baci il volto della sorella. << Io non ti abbandonerò mai, lo sai quanto me. Però devo anche pensare al mio futuro e- >>
<< Perché non posso essere io il tuo futuro? >>
Margherita sospirò tristemente. A quindici anni, uno crede che tutto sia giusto e lecito, che l’amore sia una cosa che durerà in eterno, mentre il domani pare sempre lontano. Cassandra era ancora così piccola, non realizzava pienamente quanto grave e sporco fosse il loro rapporto.
<< Perché no, Cassandra. Per ora non puoi esserlo. Nemmeno so se lingue sia il mio futuro, se sia stata la scelta più adatta. >>
<< Ma poi lo sarò? >>
Margherita osservò gli occhioni verdi della sorella, rispondendo con un << Si >> poco convinto, detto più per farla contenta. Cassandra sembrò non accorgersene, accontentandosi di quella risposta, accoccolandosi contro la sorella e godendosi il silenzio del bosco che tante volte era stato testimone dei loro incontri d’amore.
<< Potrai venire a trovarci. >> disse ad un certo punto la maggiore mentre carezzava i morbidi capelli biondi dell’altra. << Ne ho già parlato con Mariko e le altre: loro non hanno problemi, anzi sarebbero più che felici di ospitarti che per la notte. >>
<< Mh >> mormorò Cassandra, assonnata dopo quello sfogo violento. Margherita sorrise teneramente; dalla tasca prese la scatolina, ne prese il contenuto e lo infilò nel dito della mano sinistra di Cassandra, sull’anulare. << Dai quest’anello solo alla persona che ti è più cara. >> si era raccomandata nonna Ursula, prima di spirare: voleva che il suo anello di fidanzamento fosse riservato solo a qualcuno di importante, tale da potersi coronare nel matrimonio.
Probabilmente, se avesse saputo su quale mano era stata posta la sua fede, si sarebbe rivoltata nella tomba tanto da morire una seconda volta - per quanto fosse piena d’amore per la sue nipotine, era troppo cattolica e troppo bigotta nella sua mentalità di paesello per comprendere a pieno la loro situazione, tanto meno accettarla.
Margherita osservò con piacere come l’anello sembrasse fatto apposta per il dito di Cassandra, ormai addormentatasi tra le sue braccia. Alzò lo sguardo, cercando di vedere il cielo stellato tra le fessure del fogliame del bosco; poi tornò a guardare la sorella, e le diede un piccolo bacio a fior di labbra, stringendola a sé con forza e affondando il viso nei sui capelli, inspirandone il profumo di arance e limoni che ogni volta la faceva impazzire.
<< Non potrei vivere senza di te. >> mormorò, più a se stessa che alla sorella, mentre Morfeo la accoglieva delicatamente tra le sue braccia.
 

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Questo contest è stato una vera tortura! La giudice è sparita, quella che doveva sostiruirla non si è più fata sentire, e alla fine mi sono proposta io per giudicare le storie, escludendo, per forza di cose, la mia.
Questa è la fic che avrebbe dovuto partecipare al contest. Penso che la storia sia più adatta ad una ling fic che ad una one-shot, ma non credo di poterne gestire una. Forse in futuro, vedrò.

Spero che, a chiunque la legga, possa piacere la storia. Vi invito anche a leggere le storie delle altre partecipante al Contest on Incest, meritano tutte un po' del vostro tempo!
 
Bye bye!
   
 
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