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Autore: Yuki Delleran    13/09/2012    0 recensioni
Quando ormai il viaggio sta per volgere al termine e si è certi di aver raggiunto un porto sicuro, l'attenzione tende a calare e ci si abbandona all'euforia. Antonio imparerà a sue spese che il pericolo giunge quando meno te lo aspetti, a maggior ragione se conosciuto come Arthur Kirkland.
Sea Empire Saga, dopo "Il destino della Perla Azzurra" e "La Regina dei Ghiacci".
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Hispaniola - La malasuerte
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: giallo
Personaggi: Antonio Fernandez Carriedo (Spagna), Lovino (Sud Italia/Romano), Arthur Kirkland (Inghilterra). comparsa: Mathias (Danimarca)
Pairings: Spagna/Romano
Riassunto: Quando ormai il viaggio sta per volgere al termine e si è certi di aver raggiunto un porto sicuro, l'attenzione tende a calare e ci si abbandona all'euforia. Antonio imparerà a sue spese che il pericolo giunge quando meno te lo aspetti, a maggior ragione se conosciuto come Arthur Kirkland.
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Terzo capitolo della saga Sea Empires.
So che il nome della nave, Hispaniola, è lo stesso usato nell'Isola del Tesoro, ma, non avendo letto il romanzo (argh, che razza di amante dei romanzi d'avventura sono??? D:), l'ho scoperto solo successivamente. In realtà l'ispirazione mi è venuta dall'isola omonima (conosciuta anche come Santo Domingo o Haiti).
Beta: Mystofthestars






La goletta Hispaniola, carica di merci e rifornimenti per la colonia caraibica omonima, era reduce da una sfiancante traversata oceanica durata quasi due mesi e l’equipaggio fremeva al solo pensiero di poter finalmente posare i piedi sulla terraferma. Il capitano aveva promesso loro un’ingente ricompensa vista l’ottima condotta tenuta durante il viaggio, ma la parte più difficile doveva ancora arrivare: com’era noto, le acque in prossimità delle coste centroamericane erano infestate da pirati e bucanieri e riuscire a portare un carico in salvo a destinazione era da considerarsi un’impresa di tutto rispetto.
Le sera stava calando e mancava approssimativamente una giornata di navigazione prima di giungere al porto sicuro di Santo Domingo. Il fervore dei preparativi che aveva animato il ponte per tutto il pomeriggio, si era gradualmente smorzato, lasciando spazio a gesti più rilassati, inframmezzati da canti marinareschi, allegri e sguaiati. La brezza tesa gonfiava le vele, increspando il mare attorno alla chiglia come il merletto sull’orlo dell’abito di una nobildonna e tale paragone faceva sognare ad occhi aperti più di un marinaio. Il capitano Antonio Fernandez Carriedo, ex ufficiale dell’Invencible Armada, arruolato su una nave mercantile proprio a causa della difficoltà del compito, era fiducioso nella riuscita della missione. Nessun pirata avrebbe mai osato mettere  piede sulla sua nave, a maggior ragione ora che il viaggio volgeva al termine. Non sarebbe stato necessario nessun supporto da parte di vascelli da guerra, l’Hispaniola era già pesantemente armata e sarebbe stata in grado di rispondere al fuoco di qualunque attacco.
Sprofondato nella poltrona della propria cabina, i piedi negligentemente posati sul ripiano del pregiato tavolo di noce, capitan Carriedo si godeva la pace della sera imminente, l’allegro vociare che proveniva dal ponte e la certezza di una navigazione tranquilla. Una volta portata a termine quella missione, sarebbe potuto tornare in patria e riprendere il suo posto nella marina militare con un’onorificenza in più. Re Filippo aveva sempre avuto un occhio di riguardo per la sua famiglia, visti i meriti conseguiti per mare e in battaglia: lo dimostrava l’ampia tenuta di cui aveva fatto loro dono e che sorgeva a poca distanza dal mare, immersa negli splendidi paesaggi del sud della Spagna. Antonio aveva giurato una fedeltà totale al suo re, in aperta opposizione alle nuove potenze europee che insidiavano la supremazia marittima iberica. Il suo astio era diretto principalmente verso l’eretica isola del nord, in cui aveva preso piede il regno blasfemo della strega che aveva osato irretire Filippo quando ancora era sposato a sua sorella.* La minaccia inglese, sia a livello religioso che prettamente economico e militare, era diventata inaspettatamente concreta e Antonio si era fatto un punto d’onore nel dare battaglia alla donna indegna che sedeva sul trono. In modo particolare al centro del suo odio si trovavano i corsari che la corona inglese non solo non faceva nulla per arginare, ma addirittura incoraggiava nelle loro scorribande. Stava immaginando quanto sarebbe stato soddisfacente vedere i filibustieri di Elisabetta penzolare dalle forche sul porto di Panama, quando un grido richiamò la sua attenzione.
«Veliero a babordo! »
La voce della vedetta, a lui ben più che nota, risuonò per l’intera nave, inducendolo ad abbandonare lo stato di quieto torpore in cui era sprofondato: perché c’era un veliero in avvicinamento? Lui non aveva richiesto nessuna assistenza o scorta.
Balzando dalla poltrona e recuperando giacca e cappello, Antonio si precipitò sul ponte superiore. Buona parte dell’equipaggio era radunato verso la fiancata sinistra della nave, intento a scrutare l’orizzonte dove, per ora, era a malapena visibile la sagoma del vascello in avvicinamento.
Alzando lo sguardo verso l’albero maestro e la postazione della vedetta, Antonio portò le mani a coppa attorno alla bocca e gridò: «Lovino, che bandiera?»
Dall’alto giunse una risposta piuttosto confusa e, un attimo dopo, il giovane che si trovava sulla postazione afferrò una cima e si lanciò incoscientemente nel vuoto, atterrando sul ponte dopo un ampio volteggio. Il sole al tramonto incendiava i suoi capelli di mille riflessi rossastri, sottolineando il fisico agile vestito di abiti da marinaio vissuto, fin troppo grandi per lui.
«Bastardi francesi. » sentenziò.
Antonio corrugò le sopracciglia. Francesi, quindi alleati, anche se era bizzarro vederne in quelle acque. Con molta probabilità si trattava di un vascello della Compagnia delle Indie Occidentali. Meglio mettere in chiaro fin da subito chi avevano di fronte, per non rischiare di incappare in fastidiosi incidenti diplomatici.
«Issare il vessillo di Sua Maestà! » ordinò quindi ai marinai, che si affrettarono ad obbedire.
Preso atto della tempestività dell’azione, tornò a rivolgersi al ragazzo accanto a lui.
«Quante volte devo ripeterti di non lanciarti in quel modo?! È pericoloso! Una volta o l’altra finirai in acqua! »
Lovino sbuffò, imbronciandosi ed incrociando le braccia sul petto.
«Ma quanto sei pesante, bastardo. Scendere lungo il sartiame è lento e noioso. E poi tu sei il primo a dondolarti sulle cime come una scimmia. »
Non aveva tutti i torti e Antonio fu costretto a zittirsi. Se si fosse trattato di un qualunque altro membro dell’equipaggio, una tale sfrontatezza e mancanza di rispetto avrebbe significato l’immediata incarcerazione con l’accusa di insubordinazione, ma Lovino era diverso. Antonio lo aveva raccolto anni prima quando, ancora bambino, stava per essere venduto ad un banco degli schiavi. Molto probabilmente si trattava dell’ennesimo figlio indesiderato di qualche popolana disperata e l’allora appena adolescente figlio dell’ammiraglio Carriedo non aveva resistito a quello sguardo ribelle. Nonostante la pessima condizione in cui si trovava, il piccolo aveva l’aria di non rassegnarsi alle angherie del suo aguzzino e questo era stato sufficiente perché Antonio decidesse di “investire” la somma che aveva con sé, e destinata all’arruolamento di tre mozzi, per comprarlo. Aveva sfidato le ire paterne ma non se ne era mai pentito e Lovino, una volta raggiunta l’età per andare per mare, era diventato la sua ombra, sebbene si trattasse di un’ombra piuttosto chiassosa, e il loro rapporto era cresciuto di pari passo con l’esperienza. Per questo Antonio lo aveva voluto con sé anche in questa nuova avventura.
L’esclamazione di uno dei marinai che avevano issato la bandiera lo distrasse da quel piccolo viaggio nei ricordi. Doveva ammettere che aveva tutti i motivi di allarmarsi vista la velocità di avvicinamento della nave francese. Ormai era perfettamente visibile ad occhio nudo e di certo non si trattava di un galeone o di un mercantile della Compagnia delle Indie Occidentali. Aveva una sagoma troppo agile e si muoveva troppo rapidamente. Questo, in particolare, impensieriva Antonio: doveva esserci un motivo ben preciso se l’altra nave puntava su di loro così chiaramente. Si chiese se per caso l’alleanza tra i due Paesi fosse venuta meno in un momento in cui le notizie non potevano raggiungerlo, ma lo sloop, perché di questo si trattava, ora poteva vederlo chiaramente, non sembrava avere intenzioni bellicose.
Perplesso, ordinò di ammainare una vela e rallentare la velocità: se si fosse trattato di un’imbarcazione in difficoltà era loro dovere di alleati soccorrerla.
Quando si resero conto che quello a cui stavano andando incontro era un assalto in piena regola, era ormai troppo tardi. Lo sloop aveva ammainato lo stendardo francese per issare il Jolly Roger sovrastato dalla bandiera rossa.**
«Pirati! » gridò Lovino, ma la sua voce venne sovrastata dal fragore del primo colpo di cannone.
La palla non raggiunse lo scafo dell’Hispaniola ma chiarì una volta per tutte la situazione in cui si trovavano: se non avessero trovato il modo di allontanarsi velocemente, lo scontro sarebbe stato inevitabile. Antonio sapeva di possedere l’armamento necessario, ma non conoscendo la potenza di fuoco del nemico, il rischio di perdere il carico era comunque alto.
«Dannati pirati! » si trovò a ringhiare. «Spiegate le vele! Tutti i marinai disponibili ai remi! Dobbiamo allontanarci al più presto! »
Era una manovra disperata dato che lo sloop era chiaramente più leggero e veloce di loro, ma non avevano altra scelta che tentare il tutto per tutto. Per poco riuscirono a sfuggire alla temibile nave pirata, ma ben presto fu chiaro che il loro destino era segnato e lo scontro diretto inevitabile. Un colpo di cannone, che spezzò di netto l’albero di mezzana facendolo precipitare di schianto sul ponte, segnò definitivamente la loro sorte, scatenando il panico tra gli uomini. Antonio, gridando ordini al di sopra del caos generale, tentò disperatamente di mantenere l’ordine a bordo mentre i rampini lanciati dall’imbarcazione avversaria sbilanciavano lo scafo a babordo.
«Lovino! » esclamò ad un tratto. «Vai sottocoperta e restaci! »
Non avrebbe saputo in quale altro modo proteggere il ragazzo dalla furia omicida di quei pazzi.
«Puoi scordartelo, bastardo! Non andrò a rintanarmi come un topo! » gli strepitò contro il ragazzo, brandendo il coltello da pescatore che portava sempre con sé.
Come volevasi dimostrare: non c’era niente da fare, non sarebbe mai riuscito a farsi ubbidire da quella peste. Avrebbe voluto proseguire la discussione, ma le grida selvagge dei pirati che piombavano a bordo lacerarono l’aria, catturando completamente la sua attenzione. Nel caos generale che seguì, la vista di un uomo in particolare gli fece correre un brivido di orrore lungo la schiena: con la giacca rossa al vento, la lama imbrattata di sangue e un’espressione di implacabile ferocia negli occhi verdi, riconobbe Arthur Kirkland, famoso corsaro alle dirette dipendenze di Elisabetta. Persino nella marina spagnola c’era chi lo definiva “il terrore dei mari”, innumerevoli erano le navi affondate sotto i suoi colpi, incalcolabili i danni e sempre più funesta la fama dello sloop Albion sotto il suo comando. Incrociare la lama con lui significava morte certa, ma Antonio era ancora convinto della propria forza nonostante i corpi dei suoi marinai riversi a terra fossero sempre più numerosi, le tavole del ponte rese scivolose dal sangue versato e buona parte del sartiame e delle vele in fiamme. Non avrebbe mai potuto arrendersi e abbandonare la nave di Sua Maestà nelle mani di quel cane.
Tuttavia la sua determinazione venne meno nel momento in cui giunse alle sue orecchie un grido dal tono fin troppo conosciuto.
«Maledetto bastardo, lasciami o ti stacco le mani a morsi! »
Voltandosi di scatto vide Lovino trattenuto da un grosso danese, che già aveva fatto strage del resto dell’equipaggio. Nello stesso momento anche l’attenzione di Kirkland si distolse dal duello in corso per appuntarsi sul suo subordinato.
«Che ne facciamo di questo animaletto, capitano? »
L’inglese finse di meditare per un istante poi scosse la testa.
«Non abbiamo bisogno di un nuovo mozzo. Uccidilo. »
Glaciale e indifferente, come se stesse parlando di un oggetto.
«NO! »
Antonio si lanciò in avanti, sconvolto, ma la lama del capitano inglese bloccò sul nascere il suo impeto.
«Dove credi di andare, tu? Non abbiamo ancora finito. »
Lo spagnolo lo fissò, furente: aveva giurato di proteggere Lovino, non avrebbe lasciato che un pazzo del genere gli facesse del male. Inoltre la paura che vedeva crescere negli occhi del ragazzo gli provocò una morsa allo stomaco: non poteva permettere che gli succedesse qualcosa e non solo per la promessa che aveva fatto. Non riusciva ad immaginare la sua vita senza quella piccola peste che gli scorrazzava intorno. Lovino era violento, sboccato e testardo, ma Antonio lo adorava con una devozione che andava molto al di là del semplice attaccamento fraterno. Il suo sentimento era cresciuto in un modo che la società della religiosissima Spagna non avrebbe mai accettato, e questo era anche uno dei motivi di quella vita da vagabondo di mare: sulla nave nessuno avrebbe osato contestare la sua autorità e i suoi “gusti”. In ogni caso il problema non si poneva nemmeno visto che Lovino non sarebbe mai venuto a saperlo, avrebbe continuato a proteggerlo in silenzio.
«Lascialo andare! » ringhiò alla volta del danese che ancora stava trattenendo il ragazzo.
Kirkland gli sbarrò di nuovo il passo, con espressione strafottente.
«Cos’è tutto questo interesse per un semplice mozzo, eh, Carriedo? La marina spagnola è a corto di personale? Il vostro caro Re Filippo è disperato al punto di non poter fare a meno di un ragazzino? »
Antonio si sentì montare il sangue alla testa. Come osava il cane dell’eretica insultare Sua Maestà? Non gli era sufficiente aver fatto strage del suo equipaggio, aver razziato le sue merci e minacciato la vita della persona più importante per lui?
«Lui è… mio fratello! » sbottò sebbene fosse palesemente falso. «Tu, piuttosto, non sei sazio di atrocità? Hai già preso tutto quello che potevi. »
Kirkland gli rispose con un ghigno feroce.
«Non è mai abbastanza. Lo scopo della mia vita è distruggere fino all’ultimo nemico della mia regina. »
Quella frase spietata chiarì ad Antonio che la carneficina non si sarebbe fermata finché anche un solo uomo fosse rimasto in piedi. Il danese brandì l’alabarda che impugnava minacciosamente e Lovino urlò.
«Fermati! »
Disperato, Antonio gettò a terra la propria spada.
«Ti prego! È solo un ragazzo. Prendi me, potrei valere un ottimo riscatto. Re Filippo pagherebbe oro per riavermi nell’Armada! »
Sarebbe stato disposto anche ad offrire la sua vita se fosse stato necessario e tentò di comunicarlo a Lovino rivolgendogli uno sguardo accorato, intenso, che incontrò solo terrore negli occhi dorati del giovane.
«In effetti potrei trarre qualche vantaggio anche dalla tua inutilità. » meditò il capitano corsaro. «Chissà se Elizabeth necessita di un nuovo buffone di corte? »
Gli riservò uno sguardo sprezzante nel raccogliere la spada a terra e tenerlo sotto tiro con entrambe le lame mentre Antonio digrignava i denti per la frustrazione.
«Mathias, portali via! » ordinò. «E il ragazzo resta con noi, giusto per assicurarci che il riscatto non scappi. »
Non lesinando loro uno sguardo di scherno, Kirkland si avviò vero l’angolo del ponte dove giaceva la punta spezzata del pennone e raccolse lo stendardo reale spagnolo che ancora vi era legato, recidendo le corde con un unico colpo di spada. Dopo essersi accertato che sia Antonio che Lovino lo stessero ancora osservando, gli diede fuoco con una torcia e lo gettò in mare.
«Bruciate tutto! » ordinò con voce stentorea prima di far cenno al danese di proseguire. «Che sia ben chiaro a chiunque che fine fanno i nemici della Corona d’Inghilterra! »
Mentre gli venivano legati i polsi e veniva spinto verso la passerella, disarmato e reso inoffensivo, Antonio sentì montare la rabbia. Perché il destino beffardo aveva messo sulla sua strada un tale ostacolo proprio ad un passo dalla meta? Cosa ne sarebbe stato di loro, soprattutto di Lovino? Come poteva far sì, ora che era rimasto solo, senza una nave e senza nemmeno un uomo di equipaggio, che la sorte volgesse di nuovo a suo favore? L’ira dirompente che sentiva bruciare nel petto alla vista della sua bandiera che si consumava lentamente gli fece giurare di restituire fino all’ultimo colpo e ripromettersi due cose fondamentali: se il cielo avesse voluto che uscisse vivo dalle celle dell’Albion, avrebbe ucciso Kirkland e avrebbe confessato a Lovino che lo amava.



Note:
Fonti di documentazione: "Storia della pirateria" di David Cordingly e "Elisabetta I - La vergine regina" di Carolly Erickson.

* Si vociferava che Filippo avesse tentato di ingraziarsi Elisabetta nel periodo in cui era sposato con la sorella di lei, la precedente regina Maria Tudor (Blooy Mary), in quanto sarebbe stata l’erede al trono. Ovviamente Antonio gira la notizia a suo favore.
** La bandiera rossa significava scontro all’ultimo sangue.
   
 
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