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Autore: Just another boy_    14/09/2012    2 recensioni
E ora c’è solo il vuoto, un baratro oscuro e profondo che mi ha intrappolato al centro, senza permettermi di vedere né il suo inizio né la sua fine. Dovunque io guardi, vedo solo il buio.
Il buio dove prima c’era la luce. Il buio dove prima c’eri tu.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~Prisoner.




Ingurgito una buona dose di caffè ustionante, ma non riesco a sentire il calore bruciarmi la lingua e la gola.
In realtà, non riesco a sentire proprio niente, da un po’.
Appoggio la tazzina vuota sul tavolino da fumo in mogano davanti a me, mi sfilo gli occhiali e chiudo il libro che stavo fingendo di leggere, mettendo fine a quella serie di lettere che si srotolano davanti ai miei occhi senza seguire nessun senso.
In realtà, niente ha più senso, ormai.
Mi massaggio le tempie, sospirando, mentre una dolorosa pulsazione pompa dentro la mia scatola cranica, ogni secondo più intensa.
Lentamente mi alzo, stiracchiandomi braccia e gambe, e lancio un’occhiata al grande orologio a pendolo attaccato vicino alla libreria.
Sono le dieci.
E’ l’ora dei ricordi.
 
Sembriamo così contenti e felici in quella foto, non è vero?
Guardaci: i nostri occhi sono così pieni di luce, i nostri sorrisi così sfavillanti; tutto è perfetto,tutto va bene.
Sfioro leggermente la cornice di legno, fredda e ruvida contro le mie dita, ed aspetto quella fitta di dolore, che però non arriva.
Non so cosa sia meglio; se la rassegnazione, oppure la disperazione.
Afferro la foto e la avvicino al mio viso, pallido e stanco, per studiarla con un’attenzione quasi scientifica.
Ti ricordi a quando risale, vero?
Ce la scattò Jeff con quella sua nuova, orribile reflex da due soldi che la madre gli aveva regalato per la vittoria alle Provinciali, nel giardino della Dalton, il tredici di maggio, alle due e cinquantasette di pomeriggio.
E’ inquietante come il mio cervello abbia registrato con così tanta precisione ogni singolo dettaglio.
Ogni singolo dettaglio di ciò che abbiamo passato, di ciò che abbiamo vissuto, di ciò che siamo stati.
Non riesco a staccare i miei occhi dai tuoi; sono così ipnotizzanti e innocenti, anche se solo dietro ad una semplice carta da fotografia, ormai rovinata dallo scorrere asfissiante degli anni.
Sei così bello nel tuo blazer blu e rosso, con quelle buffe fossette agli angoli delle tue labbra e con quel tuo braccio stretto attorno ai miei fanchi.
Dicevi sempre che ti piaceva stare con me; che, se tu avessi potuto, avresti dato qualsiasi cosa per potermi anche solo sfiorare ogni secondo.
E ora, ora dove sei?
Poso nuovamente la cornice sul ripiano della mensola, mentre una lacrima di cui non mi accorgo mi solca la guancia, scivolando sulla mia pelle e depositandosi sul mio mento.
Sai, se chiudo gli occhi riesco ancora quasi a sentire le tue mani calde sul mio corpo, le tue labbra ruvide sulle mie; riesco quasi a sentirti ancora dentro di me, come quelle notti di passione che vivevano dei nostri gemiti e dei nostri sussurri sospirati labbra contro labbra.
E ora c’è solo il vuoto, un baratro oscuro e profondo che mi ha intrappolato al centro, senza permettermi di vedere né il suo inizio né la sua fine. Dovunque io guardi, vedo solo il buio.
Il buio dove prima c’era la luce. Il buio dove prima c’eri tu.
Quell’assordante pulsazione continua a pompare nella mia testa, e le mie palpebre si fanno pesanti come il piombo. Avrei bisogno di dormire, ma mi basta socchiudere gli occhi anche solo per un attimo per sentire il tuo soffice bacio della buonanotte che sa di cioccolata sulle mie spalle.
Mi assicuro che Rachel e Finn stiano dormendo, tendendo l’orecchio per captare il sospiro lento e regolare di lei e il ronfare più audace di lui, e poi prendo tra le mani la bottiglia di Cognac, poggiata distrattamente accanto alla televisione.
Rachel non vuole che io beva; dice che potrebbe danneggiarmi il fegato, che potrebbe venirmi l’epatite e che soprattutto qualche volta avrei potuto ubriacarmi ed andare a lavoro sbronzo.
Ma sinceramente, non mi importa più di tanto. Non mi importa più di niente, a dir la verità.
Quando si perde la cosa più importante di tutte, automaticamente tutto il resto perde valore.
Io devo solo dimenticare, ma nel frattempo, tutto quello che faccio è ricordare.
L’alcol mi scorre fluido e veloce nella gola, impregnandomi la bocca di quel sapore forte e bruciante, e restituendo alle mie membra intorpidite una sensazione di calore solo apparente. Schiocco le labbra silenziosamente, passandomi la lingua agli angoli della bocca per raccogliere le gocce di alcol rimastevi intrappolate, ed appoggio il calice da vino esattamente dove era prima, con una precisione meticolosa e maniacale.
Tu eri un maniaco dell’ordine, sai? Ogni volta che rientravi a casa dopo ore e ore di chitarra, ti lamentavi sempre che Finn lasciasse le sue scarpe ai piedi del divano e che Rachel si fosse dimenticata di pulire le briciole di pane dal tavolo. Allora io ti venivo incontro, prendendoti la giacca, e ti aiutavo a mettere in ordine.
Eri veramente insopportabile, ma le tue parole, i tuoi gesti mi facevano sempre dimenticare tutto.
E ora? Sono ancora più innamorato.
L’unica differenza è che tu non sei più qui a stringermi i la mano e a sussurrarmi di voler passare ogni attimo della tua vita con me, sfiorando lentamente l’anello che ci univa.
Quell’anello ancora fedelmente infilato attorno al mio dito.
 
L’aria è fresca e sa di primavera. La brezza soffia silenziosa, scompigliandomi i capelli e pizzicandomi la faccia, mentre la luce di una luna immensa si diverte a creare giochi psichedelici e ipnotici su di me.
Mi affaccio dal balcone e New York si impossessa di me. Ogni palazzo, ogni strada, ogni parco, ogni persona; tutto si srotola davanti a me seguendo schemi complicati di luci e suoni fino a sparire in quella linea grigia che chiamano orizzonte.
Ogni giorno mi chiedo che cosa io ci faccia qui, in questo posto, in questa vita.
E’ sempre stato il mio sogno vivere in questa città; sentire la puerile ebrezza di passeggiare per Central Park con addosso la nuova camicia di Gucci; sorseggiare un mocaccino seduto comodamente su una poltrona di Starbucks; salire su un vero palco di Broadway e intonare For good insieme alla mia migliore amica.
Ma era un sogno perché in ogni suo angolo vedevo il tuo viso che mi sorrideva e mi incitava a godermi tutto quanto.
Ora che te ne sei andato, tutto mi sembra inutile e noioso. Central Park è solo un parco, Starbucks è solo un bar, Broadway è solo un teatro.
Sospiro, guardando lungo la strada sotto l’appartamento. E’ così lontana e nera, eppure mi sembra così vicina. Se allungassi una mano riuscirei a toccarla.
“Non ti sporgere troppo, mica vorrai diventare una frittella?”
La tua voce riecheggia nella mia mente, e la pulsazione aumenta, insieme ai battiti del mio cuore. Vorrei scacciarla, mandarla via, ma più ci provo più diventa chiara e limpida, e per un attimo mi sembra di sentire le tue labbra vicino al mio orecchio. Con le mani stringo spasmodicamente il bordo del muretto.
 Avevi sempre paura che potesse accadermi qualcosa di male, qualcosa che mi avrebbe fatto soffrire.
E come mai ora sei proprio tu a farmi soffrire?
 
Voglio solo dimenticarti. Essere libero.
Ma tu rimani lì, fisso dentro di me, dentro la mia mente, a tenermi prigioniero.
Prigioniero dei ricordi.
 
Sono a un passo dalla libertà.
Stranamente, non ho paura; per la prima volta dopo sette anni, sono felice, in pace con me stesso.
Ci vuole coraggio, ci vogliono le palle, per riuscire a reagire, a ribellarsi, a forzare una prigionia e a guadagnarsi la libertà.
Ma finalmente, l’ho trovato anche io, scavando a fondo dentro di me.
Me l’hai insegnato tu, ricordi?
Ogni qualvolta tu ti senta oppresso, tira fuori le palle e abbi la forza di liberarti. Perché tu sei forte, più forte di quanto immagini, e nessuno ti può fermare.
Bè, anche stavolta ce l’ho fatta. Sono sicuro che, se tu adesso fossi qui dietro di me, saresti orgoglioso.
Sorrido, ed è così strano farlo dopo così tanto tempo. Mi ero scordato quali brividi potesse dare un semplice gesto come il sorriso.
Ma dietro quel semplice sorriso c’era finalmente l’inizio della mia nuova vita. Della mia nuova vita senza di te.
 
Perché te ne sei andato?
Hai infranto un giuramento.
Lo avevi giurato davanti a me, davanti a Dio, davanti alla tua famiglia e ai tuoi più cari amici.
Avevi giurato che mi avesti amato, sempre e comunque; che saresti stato sempre disponibile per me, e che mi avresti supportato, spronato, desiderato, ogni giorno della tua vita, senza mai abbandonarmi.
Allora perché te ne sei andato?
Che senso ha l’anello che ho al dito? Che senso hanno le tue parole? Che senso ha quel bacio che ci siamo scambiati come sigillo di un contratto che univa le nostre anime?
Che senso ho io?
Non mi importa di respingere le lacrime che vogliono uscire con prepotenza dai miei occhi, perché so che finalmente sono lacrime di gioia.
Ti ho mandato decine e decine di lettere, di messaggi, di e-mail. Non mi hai mai risposto. Ti ho chiamato Dio solo sa quante volte, e quell’odiosa voce telefonica gracchiava che eri irraggiungibile.
Ti ho cercato, ti ho raggiunto, e ho avuto solo una porta chiusa in faccia davanti a due persone che non eravamo io e te. C’eri tu, ma non c’ero io.
Mi hai sottratto ogni desiderio, ogni sogno, ogni speranza.
Hai creato quella voragine che mi mangiava giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno.
Mi hai strappato via con crudeltà la voglia di essere felice, la voglia di vivere.
Mi hai incatenato in un mondo dove non sei più entrato, ma che era un modo pieno di te.
Ma adesso sono stanco di essere il tuo prigioniero.
 
-Oh mio Dio, Kurt, no!
-Kurt, che cazzo fai? Sei impazzito?
Mi volto velocemente, e con delizioso piacere mi accorgo che ho ancora il sorriso impresso sulle labbra.
Rachel e Finn stanno correndo verso di me. I loro volti eranoassonnati ma contratti dalla paura, dal terrore.
Una piccola risata fuoriusce dalle mie labbra. Perché sono così preoccupati? Sto per iniziare a vivere di nuovo.
Dovrebbero essere contenti per me, o sbaglio?
-Tranquilli, amici miei- esclamo tranquillo, aprendo le braccia come se fossero le ali delle mia libertà –Adesso sono felice.
Rivolgo loro un ultimo, intenso sguardo pieno di luce, e poi, l’ultima cosa che sento prima di iniziare a vivere di nuovo è il rumore secco della porta che ti sei sbattuto alle spalle quando mi hai lasciato da solo.

 
 

 
L'angolo di _MrOverstreet_
Ciao a tutti, amici di EFP!
No, adesso, cioè, devo commentare? ç.ç
Diciamo che l'ispirazione per questa fanfiction mi è venuta così, di getto, tipo BOOM, e io ne ho approfittato e mi sono messo a scrivere scrivere scrivere;
ma credetemi, io mi sto odiando. Veramente: sono davvero un mostro. Come si può scrivere di Kurt che... che... non riesco nemmeno a digitare quelle parole! ç.ç
Però dobbiamo ammettere che gran parte della colpa è di Blaine -in questa fanfiction, don't misunderstand!- che, insomma,  è un vero stronzo.
Come si fa a lasciare il povero, cucciolosissimo Kurt?
Allora, spero che non mi malediciate/offendiate/veniate a cercarmi per uccidermi, perché fidatevi, mi sento già un mostro da solo *piange disperatamente*
Ma se magari volete lasciare una recensione, beh, mi fareste molto molto felice! :3
Grazie mille per essere arrivati fino a qui.
Bacioni! :***
_MrOverstreet_

 
 
  
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