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Autore: 17serena17    14/09/2012    0 recensioni
Il nostro è un silenzio surreale, siamo due sconosciuti legati semplicemente dalla pioggia probabilmente solo per una sera.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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È lì ed è lui, bello come mai è stato in tutti gli anni che sono trascorsi dal nostro primo incontro. Quella domenica mattina eravamo poco più che bambini, quei capelli scuri, quel sorriso beffardo e lo sguardo carismatico di sempre gli donavano quell’aria sfrontata da cui ancora adesso è caratterizzato. Parlavamo come dei bambini nonostante io fossi già al primo anno di scuole di medie e lui al secondo, ma non scorderò mai quella sua falsa aria innocente.
Il ricordo più vivido che ho di lui è quel viso da bambino e quel suo giubbotto rosso dal pellicciotto tendente al beige. Amo ricordarlo bambino, nella sua innocenza. Ma da quella mattina invernale sono trascorsi così tanti anni che nemmeno ricorderà il nostro primo incontro, quel giorno in cui nacque il mio interesse nei suoi confronti. Già da quella mattina, nonostante mi avesse fermata lui, capii che sarebbe stato irraggiungibile, che mai e poi mai una come me si sarebbe potuta avvicinare alla pienezza di quella vita felice.
Ma adesso è tardi, questa piazza spoglia è deserta ed io non so perché ancora non mi decido a telefonare a casa. Vedere la piazza giovanile del paese vissuta da sole due persone sembra quasi uno spettacolo irreale. I miei familiari staranno aspettando la mia telefonata per cenare, ma mio padre questa sera torna tardi e il suo treno dovrebbe ancora avere un’ora di viaggio. In questa solitudine condivisa posso godermi la sua tranquillità. Sembra anche lui in cerca di silenzio e mi chiedo cosa lo spinga ad una simile decisione. Lui è uno dei più conosciuti in questa cittadina, quello di cui tutti conoscono il nome incontrandolo per le strade, se io non fossi una persona così anonima trascorrerei ogni attimo con gli amici. Lui siede con il cellulare fra le mani sui gradini della chiesa, ha il borsone blu davanti ai piedi, a volte controlla se sta riuscendo a non sporcare i jeans costosi. Ha da poco finito di piovere, mi chiedo se i gradini non siano bagnati e se non senta freddo con quella maglietta di cotone sottile. Dietro la cupola della chiesa di vede lampeggiare, il cielo si illumina di quella tipica luce bianco iridescente per pochi attimi e poi riassume il suo solito blu intenso. Adesso tuona, alzo lo sguardo al cielo, ho l’ombrello in borsa, in un modo o nell’altro dovrò pur tornare a casa, ma mia madre ancora non si è fatta sentire, forse impegnata com’è, non si è nemmeno resa conto del cattivo tempo che avanza, un po’come Marco, che continua a fissare quello schermo luminoso mentre una bufera si preannuncia sopra il suo capo. Improvvisamente scoppia un temporale, senza nessuna goccia di preavviso la pioggia inizia a battere, il vento abbatte la sua furia sui i pochi sfortunati passanti come me. Con il naturale frastuono della tempesta apro irrazionalmente l’ombrello, il vento lo sbatte di qua e di là, ma riesco a ripararmi, sento la pioggia raggiungere il mio viso, ma riesco a mettere in salvo i capelli e i vestiti. Mentre cerco di tenere per il verso giusto i lembi dell’ombrello lo vedo correre, credo stia tornando a casa, forse sarebbe la cosa migliore anche per me, invece non è così, si ferma poco distante dai miei piedi e mi chiede senza parole di potersi riparare. Mi raggiunge titubante quando vorrei che facesse in fretta, la pioggia lo ha reso zuppo, la maglietta aderisce al corpo, i jeans impregnati d’acqua sono diventati pesanti e i capelli gli si sono appiccicati al viso bagnato. Poggia il borsone ai nostri piedi nonostante l’asfalto sia bagnato, ma credo che il suo contenuto sia già fradicio. Marco è in silenzio, ha lo sguardo basso e le spalle incurvate, è molto più alto di me e non riesco a reggere l’ombrello ad un’altezza adeguata a lui. Non ho il coraggio di chiedergli se vuole mantenerlo e mi accorgo di avere anch’io lo sguardo basso pur di non incontrare il suo. Il suo corpo è scosso da fremiti violenti causati dal freddo dei vestiti bagnati –Silvia, dici che i vestiti nel borsone si siano bagnati completamente?- Mi sorprende il fatto che ricordi il mio nome, ero convinta lo avesse dimenticato da tempo, guardo la sua borsa,la tela della sembra impermeabile, se ciò che gli serve non è in basso potrebbe essersi salvato. Non so esattamente per quale motivo non gli rispondo, lui si piega sulle ginocchia e apre il borsone estraendone una felpa blu. Chiude e si rialza con un’agilità inaspettata, si toglie la maglietta nel freddo del pieno dell’acquazzone e me la porge mentre si infila la felpa. Il suo corpo non è chiaramente quello di un tempo, ci sono dei visibili cambiamenti sull’addome, ha le spalle larghe, un fisico adatto alla sua età. Si stringe le braccia attorno al corpo e sorride, credo si senta meglio, ma io sono rimasta con la sua maglietta zuppa in mano e sento l’acqua bagnarmi i polsi. Dopo essersi goduto per qualche minuto il tepore della felpa asciutta si gira nuovamente verso di me ringraziandomi di aver mantenuto la maglia. La riprende e la infila nel groviglio di biancheria e bagnoschiuma che racchiude il suo borsone degli allenamenti. Sto tremando sotto il mio maglioncino da mezza stagione, il freddo è pungente e non capisco perché lui non si decida a tornare a casa in modo da poterlo fare anch’io. Eppure spero che rimanga ancora per un po’ al mio fianco, di avere la possibilità almeno per un po’ di continuare a sentire la sua fragranza leggera. Senza parlare mi prende l’ombrello dalle mani e inizia a camminare lasciandomi sotto la pioggia con il suo sorriso beffardo –ma aspetta! Cosa fai?!- La sua risata è quasi impercettibile con il rumore della pioggia battente –me ne vado- la pioggia mi ha bagnato il maglione, lo sento appiccicoso, non riesco a muovere al meglio le braccia avvolte dal cotone bagnato. Inizio a correre verso di lui, mi bagnerei comunque rimanendo ferma e ho decisamente bisogno del mio ombrello. Quando lo raggiungo non prosegue la strada che stava imboccando ma inizia a correre in tondo per la piazza, fa in modo che la pioggia mi percuoti fredda il viso e che mi bagni completamente mentre le sue scarpe da ginnastica continuano a schiaffeggiare le pozzanghere e ad inzupparsi. Mi chiedo come faccia a correre così veloce con i pantaloni resi pesanti dall’acqua e l’asfalto bagnato a prova di scivolamento. Ma credo si fermi per sfinimento e lasci che io mi avvicini alla sua postazione. I suoi occhi verde intenso scavano nei miei ambrati e un sorriso dolce, che mai ho visto apparire sul suo viso, affiora sulle labbra morbide. Mi copre con l’ombrello mentre mi stringo nelle mie braccia in cerca di quel calore che non riesco ad ottenere. Non si decide ad andar via, anzi mi guarda –adesso siamo pari, sennò non vale- ricambio la sua affermazione forse con più scetticismo di quanto avrei voluto –no, non lo siamo, tu hai la felpa asciutta, mentre io sono completamente fradicia- Marco allarga le braccia continuando a sorridere, ci lascia scoperti per qualche minuto e poi richiude il suo abbraccio intorno a me abbassando il capo per posarlo sulla mia spalla. Avvampo, vorrei rimanere così per secoli, sentire il suo calore infondersi lento dentro me, avvertire il naturale tremolio del suo corpo. Mi sussurra all’orecchio parole che non riesco a sentire, capisco solo frasi sconnesse del suo discorso. Credo abbia intuito che non riesco a capire molto delle sue parole e parla più forte –stringimi, così saremo pari- decido di non farlo, in realtà non voglio bagnarlo, non voglio vederlo tremare come prima. Ma lui sembra deciso, libera una mano dall’abbraccio e si lascia cingere la vita dalle mie. Il nostro è un silenzio surreale, siamo due sconosciuti legati semplicemente dalla pioggia probabilmente solo per una sera, anzi, credo sia sicuro che non mi verrà presentata nessun’altra possibilità. Intanto la pioggia sta placando lentamente la sua furia, e sento lui che si distanzia –che ne dici se ti accompagno a casa e mi lasci l’ombrello?- Guardo il mio ombrello come se fosse l’unica speranza per un prossimo incontro –vuoi andare in giro con un ombrello rosso a pois bianchi?- Marco ride piano e parla non molto distante dal mio viso, sento il calore del suo fiato –no, sai, preferisco bagnarmi sotto la pioggia a dirotto e avere la polmonite- allontana l’ombrello da me –però devi stare anche tu nelle stesse condizioni- cerco di recuperarlo, ma lui lo allontana da me facendo in modo che non riesca a raggiungerlo e mi arrendo –va bene- Marco abbassa nuovamente l’ombrello in modo che no mi bagni e iniziamo il cammino in direzione di casa. Sorrido e credo di avere un’aria vagamente ebete, credo che nemmeno la mia fantasia sarebbe riuscita a creare un simile incontro. Non avrei mai immaginato di percorrere al suo fianco questa strada che da anni faccio con la mia migliore amica. Ma Marco è allegro e mi distoglie dai miei pensieri, mi indica delle donne anziane scoppiando a ridere e mi trascina nella sua risata convulsa senza dare spiegazioni. Delle ragazzine delle medie ci passano accanto e ci guardano palesemente interessate. Sono certa che appena svoltato l’angolo, se non prima, parleranno di noi chiedendosi quale rapporto ci lega. Eppure nessuno potrebbe vederci più che amici, lui è abbastanza distante da me, parla sorridendo, qualche volta si gira nella mia direzione facendomi domande sul mio conto, credo che sembriamo a malapena dei conoscenti per i passanti che sfilano a poca distanza dal nostro ombrello. Quando ci affacciamo sulla strada che da sul mio condominio vedo immediatamente che la casa è illuminata e lo blocco lontano dalla vista dei miei parenti, questa sera tutti riuniti da me per festeggiare il rientro di mio padre. Lui non fa obiezioni, credo gli basti aver ottenuto l’ombrello per non tornare zuppo a casa. Allora, ormai convinta di essere giunta al termine della nostra breve avventura lo saluto con un timido cenno della mano, mi volto e faccio qualche passo tentennante, insicura di volermi realmente allontanare da lui. Mi giro e vedo che mi sta ancora guardando. Torno nuovamente sui miei passi, ma sento delle dita stringermi il polso e senza girarmi cammino nella direzione opposta, mi fido di lui. Mi riporta sotto l’ombrello e mi stringe e a se, sento il seno stretto sotto il suo addome. Il mio viso arriva al petto di Marco, ma lo vedo abbassarsi, alzo il capo e incontro le sue labbra, sono calde, morbide, la magnifica sensazione di quel bacio tanto desiderato. Non riesco più a distinguere il  mio corpo dal suo per quanto mi tiene stretta, sento distintamente il suono del mio cellulare, lui blocca improvvisamente il dolce movimento delle labbra e guarda beffardo la tasca illuminata dei miei pantaloni, ne estrae il telefonino e legge il messaggio scoppiando a ridere –adesso che diciamo che stai facendo al tuo Ruggero?- Il suo sorriso sfrontato tocca nuovamente l’espressione incerta delle mie e mi torna alla mente Ruggero. Lui è il mio ragazzo, in tutto questo tempo trascorso con Marco non ho pensato affatto alle sue camicie, a quelli occhiali, ai suoi modi impacciati al suo secondo nome femminile. Solo adesso mi sono accorta che sono stanca di ogni certezza, voglio rischiare per vivere al meglio. E Marco è la maggiore delle incertezze che avrei mai potuto incontrare, mi butto a capofitto in questo sogno sperando che non arrivi nessuno con l’intenzione di svegliarmi.  

  
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