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Autore: lilac    31/03/2007    18 recensioni
Un altro spargimento di sangue. Un'attesa. Ma è un giorno diverso dagli altri per il principe dei saiyan, perché sta per incontrare per la prima volta qualcuno di importante, perché sta per ascoltare per la prima volta una voce che non ha mai ascoltato... la sua coscienza.
[Questa storia si è classificata al terzo posto nella venticinquesima edizione del concorso indetto da Efp]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I Personaggi, i luoghi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale di Dragon Ball, non mi appartengono ma sono di proprietà di Akira Toriyama che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.



BUON SANGUE



Il sangue muore lentamente. Scivola via, altrettanto lentamente, goccia dopo goccia, come volesse farsi rimpiangere, renderti la separazione più dolorosa possibile. O a tradimento fluisce via veloce, a fiotti. Troppo velocemente, da farti maledire la sua vigliaccheria, la sua incostanza. Come una puttana qualsiasi si fa usare finché ne ha voglia, finché il gioco vale la candela. Ti fa credere di avere il potere, la forza, ma è lui ad usare te, finché sei abbastanza forte. Poi alla prima occasione ti abbandona, senza rimpianti, senza tentennamenti. Basta una piccola scalfittura, un pertugio in quella che ritieni una fortezza indistruttibile, e ne approfitta. Crudele, spietato, ti lascia morire da solo.
A volte è lui che guarda morire te.

L’hai guardato negli occhi quando l’ha fatto vero? Non hai scordato le lacrime che hai versato il giorno in cui ti sei sentito per la prima volta sconfitto. Quel giorno in cui hai guardato il tuo sangue che colava sulla nuda terra, lo sguardo beffardo di Freezer, quello compassionevole di Kakaroth, quello sguardo maledetto che ti ha fatto più male della morte. Lui pensava di capire, ma non ha mai capito niente…e il tuo sangue che scorreva via, l’implacabile sentenza della tua debolezza.

Il sangue muore da solo. Si spegne a poco a poco, cambia lentamente colore e consistenza. Da rosso scarlatto diventa scuro, sempre più nero. Dapprima è vivo, liquido e puro, poi sempre più vischioso, denso e stagnante, finché non muore, e si indurisce. A poco a poco diventa freddo; il suo odore acre e dolciastro sempre più pungente.
E’ l’odore della morte. E del potere.
La prima volta che lo senti è inebriante, ubriacante. Poi diventa come una droga. L’odore del sangue chiama altro sangue, qualcuno muore e tu vivi. Vorresti sentirlo ancora, e poi ancora, per sentirti più vivo ogni volta, più forte. E ti chiama a gran voce, ti chiamano le urla di dolore, gli sguardi muti di terrore di chi non vuole lasciarlo andare. E infine diventa un abitudine, una presenza familiare, una voce nella tua testa che torna ogni tanto a farti compagnia. Una puttana che ti sbatti quando ne hai voglia.
Non ti appartiene ma puoi servirtene, e a volte stare a guardare. E non ti resta altro che aspettare, perché torna sempre. Non sono le persone che tornano a trovarti, è il loro sangue.
Il colore. L’ odore.

Quante volte l’hai guardato morire? Quante volte l’hai sentito quell’odore? Le senti ancora le urla di terrore, li vedi gli occhi accesi di paura. Quanto sangue hai versato? Ti ha sempre reso forte, ma non abbastanza.
Non l’hai dimenticata quella sentenza implacabile. Non la dimenticherai mai, perché il tuo sangue era diverso, aveva un odore diverso, e un colore diverso, e faceva maledettamente male.
Non hai permesso che accadesse di nuovo. Non gli hai permesso di lasciarti morire da solo un’altra volta. L’hai maledetto perché ti ha tradito, non era all’altezza del Principe dei guerrieri saiyan, e che morisse con te senza lasciare alcuna traccia, che ti seguisse all’inferno, che fosse la tua energia l’ultima cosa a vivere di te sulla Terra...



Vegeta se ne stava seduto a braccia conserte, fissava un punto non meglio identificato di fronte a sé. Sembrava assorto in chissà quali pensieri. Le figure che si aggiravano per quel luogo, confuse e disorientate, lo notavano appena. Ognuno concentrato sui propri dolori o sulle proprie speranze, si scambiavano muti sguardi sfuggenti e solidali, pareva avessero vergogna nell’intromettersi nei pensieri altrui, che pure dovevano essere simili ai loro. Gettavano ogni tanto un’occhiata distratta al saiyan, immobile come una roccia, l’espressione imperturbabile, come ad attingere per un istante dall’energia emanata dal suo sguardo, dalla solidità di quella posa rilassata. Andavano e venivano, chi trovando il coraggio e chi perdendolo per sempre, passavano attraverso il suo sguardo come trasparenti, ne percepiva appena la presenza. L’odore del sangue, dell’adrenalina, quello lo sentiva ancora forte e chiaro.
Quel corpo straziato, vinto dal dolore, l’aveva ancora davanti agli occhi.


La Terra è uno strano pianeta, un sasso insignificante nell’universo, abitato da esseri deboli, che usano la tecnologia per sopperire alle loro mancanze più che per accrescere la loro forza. Hanno la presunzione di essere completi, di bastare a se stessi, ma si scoprono impotenti troppo spesso. Eppure in certe occasioni sopportano strenuamente cose terribili, hanno un coraggio insospettabile.
Esseri deboli che fanno dalla sopportazione la loro forza.
Esseri ostinati, così ostinatamente attaccati alla loro patetica vita.

Ti sei sentito impotente anche tu quando hai saputo che quel mostro era ancora vivo, lo eri. E lo sei sempre stato, non hai mai avuto una possibilità, hai sempre perso… hai sempre vissuto solo per questo, vincere… ma hai sempre perso.
Hai avuto sempre una seconda opportunità e hai sempre perso…Te ne hanno data un’altra, forse l’ultima, ed hai accettato ancora di combattere, eri pronto a versare ancora il tuo sangue. Perché? Per chi questa volta?


Per i terrestri il sangue è una cosa sporca, è solo dolore, da lavare via al più presto, da cancellare subito, senza nemmeno fermarsi a guardarlo morire. Tutto quel sangue versato va spazzato via, dimenticato in fretta, non possono e non vogliono sentirne l’odore.

Tu lo senti ancora invece, non lo dimenticherai così facilmente, neanche questa volta.


Con la coda dell’occhio vide l’uomo fargli segno di avvicinarsi. Si alzò svogliatamente e lo seguì. Questi gli fece strada tenendo la porta aperta per farlo passare. Camminava a passo spedito davanti al saiyan e di tanto in tanto si voltava per assicurarsi che il suo silenzioso interlocutore lo stesse ancora seguendo.
Stava dicendo qualcosa, parlava con lui ma non lo stava ascoltando.


Decisamente i terrestri sono degli strani esseri. Hanno una vera e propria ossessione per la memoria. Scattano fotografie, registrano le loro opinioni, costruiscono opere destinate a durare per secoli, seppelliscono i loro morti per ricordarli in eterno. Eppure dimenticano in fretta il dolore.

Quell’uomo probabilmente ha pianto per qualcuno che tu stesso hai barbaramente ucciso. Lo stesso sangue che hai visto sgorgare impietoso da quel corpo fragile tu l’hai rubato a sua moglie o ai suoi figli, il giorno in cui erano seduti sugli spalti di quella maledetta arena. Quel maledetto torneo…Eppure quell’uomo ha dimenticato, e ha dimenticato anche chi gli ha inflitto quel dolore. Non se lo chiede più, non si chiede più cosa hanno provato sua moglie e i suoi figli quando hanno visto il colore del proprio sangue.

La paura, il dolore, il sangue. Tutto dimenticato.

Le sfere del drago possono di queste magie, un tempo te ne eri illuso anche tu, ma lo sai che non è merito solo delle sfere. Sai che non tutti hanno dimenticato, eppure è come se lo avessero fatto. E’ questo quello che chiamano perdono?
Tu non hai mai avuto bisogno del perdono di nessuno, solo del tuo. Ma perché dovresti chiedere perdono a te stesso per essere sempre stato quello che sei?



“Bene. Io torno più tardi”.
Vegeta non si degnò neanche di guardarlo uscire. Fece alcuni passi e si sedette di nuovo, nella stessa posizione. Questa volta lo sguardo fisso su di lei. Era pallida, gli occhi cerchiati di nero. Sembrava non le fosse rimasta neanche una goccia di sangue in corpo. Unico segno di vita l’alzarsi e l’abbassarsi ritmico e regolare del suo petto. La lampada accesa sul comodino di fianco al letto creava strane ombre sulle pareti, e illuminava di una luce calda il viso di lei. Aveva un’espressione tranquilla.
Si soffermò per un momento con lo sguardo sulla sua mano adagiata sul lenzuolo. Gli sembrò di ricordare la prima volta che quella mano si era posata su di lui, la sensazione strana che aveva provato nel sentire quel tocco leggero, mentre la voce di lei cristallina lo invitava ad entrare in casa come fosse stato un ospite qualsiasi, arrivato dopo un lungo viaggio.
Un sottile velo di tristezza gli offuscò per un attimo la vista.


Anche lei sembra aver dimenticato tutto quel sangue. L’ha fatto subito. Ha visto morire migliaia di persone per mano tua, ma ha pianto solo alla tua morte. Tutto quel dolore per colpa tua e in cambio ti ha sorriso. Lei non ti ha mai perdonato, perché lei non ha mai avuto bisogno di farlo. Lei sa chi sei.

E adesso… È stata letteralmente dilaniata dal dolore, ma non ha emesso un grido, né un lamento. Il suo corpo è stato devastato, il suo sangue sparso copiosamente. E lei non ne ha rimpianto neanche una goccia. Era felice.
Tutto quel sangue ed è ancora viva.

E tu sei felice? E’ la prima volta in vita tua che te lo domandi, vero? Ti stai chiedendo anche perché non l’hai mai fatto prima.


“Vegeta” Con una smorfia di dolore si issò a sedere sul letto e sorrise debolmente.
Lui non aveva mutato espressione.
“Allora? L’hai vista?!”
Vegeta scosse la testa in segno di diniego.
“Uffa sei il solito testone!” Lo rimproverò allegra “Muovi il sedere e fai due passi, stupido! Sta proprio lì.” Disse indicando con un cenno della testa la piccola culla a pochi passi dal suo letto.
Lui non si mosse.
“Guarda che non ti mangia mica!”
Vegeta la fissò con un’espressione scocciata. “Di un po’ Bulma, non ti sei stancata abbastanza? Hai ancora voglia di seccarmi?”
“Uff …” Sbuffò lei scostando le lenzuola e lasciandosi scivolare verso il bordo del letto. “Sei proprio insopportabile”.
Appoggiò appena i piedi nudi sul pavimento e rabbrividì per quel contatto freddo. E per la fitta di dolore al basso ventre causata da quel movimento.
Lui la osservò con velata apprensione notando i muscoli delle sue spalle contrarsi.
“Cosa credi di fare?” Chiese in tono piatto restando immobile, seduto al suo posto.
Bulma non rispose. Si alzò e raggiunse la culla con calma. Afferrò delicatamente una delle sbarre al lati del lettino e lo trascinò lentamente vicino al suo. Tornò a sedersi e guardò a lungo la bambina che dormiva beatamente.
Con ancora negli occhi un’infinita dolcezza si voltò verso di lui.
“Vieni a sederti qui”
Vegeta ubbidì svogliatamente, badò bene di non essere troppo solerte.
Quella donna avrebbe insistito fino alla sua morte se lo avesse ritenuto necessario.
Si fermò in piedi accanto a lei e incrociò le braccia sul petto. Diede un’occhiata distratta a sua figlia, dormiva tranquilla, sembrava aver fatto la stessa fatica di sua madre.
“Bra, ti presento quello scimmione di tuo padre.” Annunciò lei teneramente.
Vegeta non poté fare a meno di notare che assomigliava a Bulma come una goccia d’acqua. Un moto impercettibile di stupore attraversò il suo sguardo per un momento.
“Mi somiglia, vero?” Chiese Bulma con una punta di orgoglio.
Il saiyan si allontanò di un paio di passi leggermente seccato “Ha il tuo stesso colore di capelli.” Rispose senza particolare emozione.
“Ha anche i miei occhi se è per questo!... E’ bellissima! Non trovi?”
“Ma che modesta!” Replicò sarcastico.
“Be', non so se da grande diventerà bella come sua madre...” Ipotizzò lei fingendosi dubbiosa “Ma per ora è proprio una bella bambina! Speriamo che non sia scorbutica come suo padre.”
Una smorfia di disappunto apparve fugacemente sul volto del saiyan. “Non sei per niente divertente.”
“Certo!” Proseguì lei allegra, come se niente fosse. “Di sicuro erediterà anche il mio acuto senso dell’umorismo e... ovvio, anche la mia intelligenza!”
Vegeta sollevò per un attimo gli occhi al cielo, poi tornò a posarli sulla piccola addormentata.
Bulma fu per un momento gelosa di quello sguardo in cui lei sola pensava di poter vedere tanto. Quando il saiyan rivolse lo stesso sguardo verso di lei sorrise, come se in quel sorriso ci fosse anche quello di lui, che non vedeva mai.
“L’unica cosa che spero proprio” disse lui sarcastico “È che non abbia la tua linguaccia assordante!”
Il sorriso di lei si allargò “Sei proprio uno stupido.”
Lo rimproverò, cercando di apparire arrabbiata, ma quelle parole suonarono diverse.
Vegeta distolse lo sguardo per un momento. “Bene, ora che l’ho vista posso anche andarmene.”
“Mamma?!” Una testolina lilla aveva fatto timidamente capolino dalla porta socchiusa.
Lo sguardo divertito di rimprovero di Bulma si tramutò in sorpresa e gioia “Trunks! Vieni qui a conoscere la tua sorellina!”
A quell’invito la porta si spalancò. Un ragazzino sorridente attraversò la stanza saltellando e raggiunse la culla con un’espressione curiosa ed eccitata sul viso. Bulma osservò Vegeta che stava accuratamente evitando di incrociare il suo sguardo e ostentava indifferenza, sorrise tra sé e sé al pensiero di come era riuscito a stupirla ancora una volta.
Mentre tornava a rivolgersi al suo primogenito stava ancora sorridendo. Ovviamente Vegeta avrebbe negato fino alla fine dei suoi giorni che era stata sua l'idea di portare Trunks in ospedale.
“Dove te ne stavi nascosto tu? Pensavo fossi a casa con il nonno.”
“Ero in giro...” Rispose il bambino dandosi un tono. “Hanno una sala giochi al piano di sopra!” Continuò senza nascondere troppo il suo entusiasmo per quella scoperta.
Bulma lo ascoltò con interesse raccontare di guerre spaziali e altre imprese eroiche, finché il ragazzino non dovette fermarsi a riprendere fiato e si trovò ad osservare meglio sua sorella. Sembrò per un attimo dimenticarsi di quello che stava dicendo fino ad un attimo prima.
“Non è molto interessante, non fa altro che dormire.” Commentò leggermente deluso.
Bulma rise divertita.
“Bra, ti presento Trunks, il tuo fratello maggiore, patito per i videogiochi. Trunks, lei è Bra, be'a lei per ora piace molto dormire.”
Il bambino la guardò per un momento pensieroso “Bra, che razza di nome!” Affermò incrociando le braccia sul petto. Bulma sorrise di nuovo osservando la versione in miniatura dell’uomo pensieroso appoggiato allo stipite della porta, che cominciava ad apparire annoiato.
“Neanche lei ha i capelli neri come papà.” Aggiunse poi soddisfatto per la sua acuta conclusione. “Posso toccarla?”
“Certo tesoro. Attento a non svegliarla però”
Vegeta afferrò la maniglia della porta e fece per andarsene.
“Aspetta Vegeta!” Lo bloccò Bulma. “Porta anche Trunks a casa con te, è tardi.”
Lui si fermò attendendo implicitamente che il bambino lo seguisse.
“Ehi, mi ha preso un dito! Cavolo che stretta! E’ forte!” Commentò il ragazzino voltandosi a cercare suo padre.
Vegeta dal canto suo, parve non scomporsi minimamente.
“Muoviti Trunks!” Ordinò perentorio, mentre il bambino si liberava della presa e tornava a rivolgersi alla madre.
“Ciao mamma!”
La salutò frettolosamente con un abbraccio, sbirciando di sottecchi l’espressione impaziente di Vegeta.
“Ciao Tesoro!”
“Ciao!” Disse poi rivolto alla sorellina con un cenno della mano.
Bulma li guardò uscire dalla stanza e sorrise, non era riuscita a fare altro in quelle ore...


Il sangue muore lentamente. Ti lascia e se ne va a morire per conto suo. Perché non ti appartiene, e te lo ricorda ogni volta che può. Non è cosa tua. E non sei niente senza. Può tradirti, ferirti, illuderti. Non perdona, anzi... non dimentica. Alla prima occasione ti abbandona, senza tentennamenti, senza rimpianti, e sei costretto a ricordartelo.
E’ disposto a morire lui stesso per ricordartelo.
Ma a volte ti lascia così, semplicemente, senza fare alcun rumore. Continua a ricordartelo, ogni volta che può, ma ti ricorda anche di altre cose, di altre possibilità. Ed è disposto a morire anche per questo.
A volte il tuo sangue non è così diverso da quello di altri. E il loro sangue versato fa male come il tuo, forse anche di più.
A volte il sangue non ha l’odore della morte, né il colore.

Quelle volte non fa così male...


“Papà, andiamo ad allenarci?” Chiese speranzoso il ragazzino rincorrendo suo padre lungo il corridoio.
“Hai sentito tua madre. E’ tardi.”
“E dai non è vero, è prestissimo!Devo farti vedere una nuova tecnica che ho inventato!”
“Me la fai vedere domani.”
“Dai, non sei curioso di vederla?” Insistette malizioso il bambino. “Guarda che ho steso Goten al primo colpo! Non riusciva più ad alzarsi!” Annunciò orgoglioso.
Vegeta rallentò appena l’andatura e precedette suo figlio attraversando la porta a vetri che dava nella sala d’aspetto.
“Uffa papà!” Protestò il ragazzino fermandosi appena dietro lui, in mezzo alla stanza. “Lo sai che quando torna a casa la mamma poi dice che non puoi farmi troppo male...”
Vegeta proseguì verso l’uscita con passo deciso.
“Che tecnica sarebbe?” Chiese senza voltarsi, mentre spingeva la porta che dava sull’esterno.
L’espressione di Trunks mutò in un istante, il suo sguardo si illuminò e cominciò a correre verso l’uscita.
Non raggiunse in tempo suo padre per scorgere il sorriso che era apparso, solo un istante, sul volto di lui.





FINE




Grazie di cuore alle persone che hanno commentato "La notte porta consiglio".
Grazie mille anche a chi lascerà un commento a questa storia e a chi la leggerà solamente.
Baci, lilac.
  
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